5 Mar 2013 | Focolare Worldwide, Focolari nel Mondo, Nuove Generazioni, Sociale
I Giovani per un Mondo Unito hanno lanciato il progetto Sharing with Africa, che vuol contribuire a far conoscere il dono che questo continente, con le sue specificità e tradizioni, può essere per il mondo intero. Già nel dicembre 2011 circa 200 giovani provenienti da vari paesi africani si erano incontrati con lo scopo di approfondire un progetto di fraternità realizzata, che va avanti fin dagli anni ’60 del secolo scorso a Fontem, in Camerun, per vedere come contribuire anche loro alla fraternità universale. Da quel momento è nato Sharing with Africa per concorrere alla formazione di una cultura aperta alla realizzazione di un mondo unito, promuovendo i valori che hanno edificato e formato la società del Continente africano. Il progetto vuole essere uno spazio di comunione tra i giovani, non soltanto del Continente africano ma del mondo intero e favorire lo scambio di culture, di talenti, di esperienze di vita, di sfide, corredato da attività concrete. Il primo passo del progetto prevede di partecipare il prossimo maggio a Nairobi, in Kenya, alla Scuola di Inculturazione che avrà come tema: “La persona – Ubuntu – Io sono perché noi siamo”.
L’“Ubuntu” è una visione unificante del mondo, espressa nel proverbio zulu: “Umuntu Ngumuntu Ngabantu” (“Una persona è persona tramite e attraverso le altre persone”). Questo concetto è una concezione della vita che si trova alla base delle società africane e che contiene in sé il rispetto, la condivisione, la fiducia, l’altruismo e la collaborazione. È un concetto comunionale dell’uomo, che definisce la persona in rapporto alle sue relazioni con gli altri. Una persona con Ubuntu è aperta, disponibile agli altri, solidale, sa di appartenere a un tutto più grande. Quando si parla di Ubuntu si intende un senso più forte di unità nei rapporti sociali, per essere disponibili a incontrare le differenze dell’umanità dell’altro e arricchire la nostra: “Io sono perché noi siamo”. Il progetto Sharing with Africa prevede per i partecipanti alla scuola di inculturazione, oltre ad approfondire l’Ubuntu, anche la possibilità di svolgere diverse attività sociali insieme ai Giovani per un Mondo Unito del Kenya. Conoscere ed interagire con la tribù Samburu, ma anche lavorare per i bambini di uno slum, cioè un quartiere povero e degradato, di Nairobi e per quelli di un centro di alimentazione, sempre nella periferia di questa immensa città. (altro…)
22 Feb 2013 | Focolari nel Mondo, Nuove Generazioni
Dal 10 al 13 maggio 2013 la “cittadella Piero”, a Nairobi (Kenya), ospiterà la Scuola di Inculturazione, un laboratorio che quest’anno ha come tema principale “la persona” nelle varie tradizioni africane. Un gruppo di giovani parteciperà inoltre per la prima tappa del Progetto “Sharing with Africa”. Di seguito il racconto di Giulia, dopo la sua esperienza in Uganda. «Aeroporto di Malpensa, 2 agosto 2011: destinazione “Kampala – Uganda”. L’emozione è tanta, anche se ancora non posso immaginare che quelle quattro settimane diventeranno una delle esperienza più belle e più importanti della mia vita. Per un mese ho condiviso la casa e la quotidianità con un’altra ragazza italiana e tre ugandesi e questo mi ha costretta fin da subito a mettere da parte ogni abitudine “occidentale”, ogni modo di fare o di pensare, per aprirmi a loro e alla loro vita: ma quelli che all’inizio erano piccoli sacrifici, presto sono diventati ricchezza, un nuovo modo di pensare e di relazionarmi con chi avevo intorno. Mi ha colpita la concezione che gli africani hanno della persona: per loro al centro di ogni cosa sta la persona, l’altro, e non il tempo, la fretta, gli impegni. E così, ad esempio, una riunione inizia quando tutti sono arrivati, e non solo quando lo dice l’orologio, o l’autobus parte quando è pieno e tutti sono saliti, e non ad un orario prestabilito. “Come potete voi occidentali basare le vostre giornate sullo scorrere del tempo, che non vi appartiene e non potete controllare in alcun modo?”: una domanda che ancora mi risuona dentro quando mi lascio travolgere dalla frenesia delle giornate, rischiando di ignorare le persone che ho attorno.
Tipico dell’Africa sub-sahariana è il concetto di “Ubuntu”, un’espressione che può essere tradotta come “Io sono ciò che sono per merito di ciò che siamo tutti”. A questo proposito, Nelson Mandela ha detto: “Ubuntu non significa non pensare a se stessi; significa piuttosto porsi la domanda: voglio aiutare la comunità che mi sta intorno a migliorare?”. Quanta saggezza in queste parole! E non si tratta solo di parole ma di vita vera, di quotidianità vissuta nella prospettiva del “noi” e non solo dell’”io”: tutto è in comune, tutto è fatto insieme, i figli dei vicini sono come i tuoi e anche l’ospite più sconosciuto che capita per sbaglio in casa tua diventa immediatamente parte della famiglia. Non scorderò mai la commozione provata quando sono stata invitata a pranzo dalla famiglia di una delle mie coinquiline: una casa senza bagno in un quartiere non così diverso da una baraccopoli, eppure la tavola era imbandita e il pasto abbondante. Perché non importa quanti sacrifici ti costi invitare a pranzo le amiche di tua figlia: l’ospitalità, la reciprocità e la condivisione con l’altro contano più di ogni altra cosa.
Ho lasciato l’Uganda sentendomi più ricca di prima. Per settimane sono stata straniera, quella con un colore della pelle diverso, una lingua diversa, abitudini diverse; eppure sono sempre stata accolta, ho sempre trovato un sorriso e una stretta di mano, mai mi sono sentita discriminata o fuori posto. Adesso, incontrando per strada i tanti immigrati che abitano nella mia città, mi sembra di vederli con occhi nuovi: cerco di calarmi nei loro panni. Questo pezzo di Africa che ogni giorno sbarca in Europa merita quella stessa, enorme accoglienza che io per prima, pur straniera e bianca, ho ricevuto in Uganda: è condivisione, è reciprocità, è Ubuntu, è qualcosa che va ben oltre il semplice rispetto per “il diverso”. Che poi, diverso da chi? Poche ore di aereo e “il diverso” sei tu, e ti rendi conto che siamo tutti molto più simili di quanto non si creda». (altro…)
16 Feb 2013 | Cultura, Focolare Worldwide, Focolari nel Mondo
«Le cannonate via terra e i passaggi degli aerei rendono difficile i collegamenti. La situazione nella periferia di Damasco si sta facendo più drammatica. Basta poco per rendersi conto che non siamo ancora arrivati alla parola tregua! Eppure la speriamo. E la chiediamo. Ho saputo da Rim che ha proposto il time-out per la pace a tutte le sue allieve, a grande maggioranza musulmane, in un Centro che le ospita e dove imparano il mestiere di sarte. L’altra sera ho telefonato a Maryam di Homs, per avere notizie, da tempo non riesco a raggiungerla. Mi conferma che anche a suo avviso ci vuole un intervento deciso di Dio, che ci aiuti anche a non perdere la fede. Da dieci mesi è sfollata in un paesino vicino. La casa dei genitori non esiste più ma il padre anziano non lo sa, sarebbe troppo per lui. Il figlio di Maryam è tornato da Raqqa dove si era trasferito per poter continuare l’università perché anche lì la situazione si fa molto difficile. Mi dice che a fine mese devono lasciare la casa che hanno preso in affitto: “Dove andremo?”. «Oggi parlo con Luna di Aleppo. Mi fa sapere che stanno tentando, con Marah, Yasmina ed alcuni amici di avviare una piccola attività in casa (marmellate, centrini o altro) e vorrebbe trovare una possibilità per smerciare questi prodotti. Mi dice: «Tanti come noi sono grati se ricevono aiuti per comprare il pane o qualche litro di gasolio per il riscaldamento, ma vogliamo lavorare!». «Penso subito alle strade bloccate o al rischio di furti ma le assicuro che non lasceremo cadere questa proposta. La conosco da tempo, Luna. Non mi stupisce questa sua determinazione. Conosco anche il fratello Nader e la famiglia di lui, due splendidi bambini molto intelligenti. «Fino a due anni fa Nader col papà e il fratello maggiore gestiva una falegnameria molto conosciuta in città, mobili d’arte eccellenti. Da almeno sei mesi non lavorano più. Mi dice Luna: «Se non troviamo un altro modo di sovvenire alle necessità delle nostre famiglie, anche noi dovremo bussare alle porte delle chiese, per chiedere aiuto!». «Quanta menzogna in quel: “Si vis pacem para bellum” (se vuoi la pace prepara la guerra)! imparato a scuola. Se vuoi la pace prepara uomini nuovi, mi verrebbe da dire, che ragionino in termini di fraternità, giustizia, condivisione dei beni, amore, libertà vera». «Il vescovo latino parla di almeno due generazioni a suo avviso necessarie prima di poter risanare le ferite di questa guerra (se però si riuscirà a fermarla in fretta!) che lacera il Paese e la cui motivazione, tanti anche qui ne sono convinti, è primariamente di natura economica e politica. «Vorrebbe fare qualche cosa, tanta gente, per finirla con questi progetti insensati e maligni. C’è anche chi, invece, e non sono pochi, si riuniscono per pregare, e non solo alle 12 per il time-out per la pace lanciato dal Movimento dei Focolari, che si cerca anche qui di divulgare parlandone a conoscenti, amici, gente incontrata magari per caso, uomini di tutte le religioni». Fonte: Città Nuova Diario dalla Siria/15 Diario dalla Siria/14 Diario dalla Siria/13 (altro…)
11 Feb 2013 | Centro internazionale, Chiara Lubich, Dialogo Interreligioso, Focolare Worldwide, Focolari nel Mondo, Sociale, Spiritualità
«Una storia straordinaria, divina, che conoscete bene. Tantissimi anni di fedeltà e d’impegno da parte di molti di voi, che hanno fatto germogliare quel seme – piantato all’inizio in Camerun – da cui sono fioriti brani di umanità rinnovata dall’amore che tendono alla realizzazione del piano di Dio per tutto il grande continente africano e oltre». Sono alcuni stralci del messaggio che Maria Voce (Emmaus), presidente dei Focolari, ha inviato ai membri del movimento in Africa, che quest’anno festeggiano il 50° anniversario dell’arrivo del “carisma dell’unità” nel loro continente. Sono 2000 le persone radunate lo scorso 9 febbraio a Shisong, nella Regione di Bamenda (Nord-ovest del Camerun); lì dove i primi focolarini sono arrivati, il 12 febbraio del 1963. Sono tutti quelli che si riconoscono come “figli di Chiara”, che nel gennaio del 2009 avevano celebrato il Cry Die, (la fine del lutto) per la fondatrice dei Focolari, evento con il quale Chiara Lubich è stata solennemente annoverata tra gli antenati e quindi degna di essere ricordata e invocata, perché “il suo ideale di solidarietà, spiritualità, condivisione, amore, non può morire”. Ci sono anche quanti, nel corso degli anni sono stati coinvolti nell’azione della “Nuova Evangelizzazione”, un piano organico messo a punto nel 2000 tra Chiara e il Fon (re) di Fontem (nel Sud-ovest del Paese) che per primo si è impegnato davanti al suo popolo a vivere lo spirito di amore e di unità del Vangelo. È lo stesso Fon che in seguito ha coinvolto i capitribù e i notabili. L’appuntamento di Shisong è iniziato con il Time Out per la pace, ed è proseguito con la ‘preghiera per la celebrazione del Giubileo’, nella quale si chiede a Dio di accrescere la fede in Lui, con lo sguardo rivolto ai ‘pionieri’ di questa avventura (Chiara Lubich, il vescovo Julius Peeters e il Fon Defang); di saper ricominciare con umiltà ad amare ogni prossimo, di camminare verso la fraternità universale; di aumentare la fiamma della carità in ogni comunità, in modo da essere apostoli del testamento di Gesù “Che tutti siano uno” (Gv, 17.21).

Bruna Tomasi e Lucio dal Soglio con
un gruppo di focolarini in Nigeria
Presenti in modo speciale, attraverso un messaggio, anche due tra i primi focolarini, che tanto si sono spesi in Africa: Bruna Tomasi e Lucio Dal Soglio. La lettura delle loro parole, e di quelle di altri tra i protagonisti degli inizi (Rosa Calò, Rita Azarian) introduce al documentario: “Focolari, 50 anni in Africa”, che ripercorre le tappe di questa storia, che passa anche dall’esperienza di Piero Pasolini e Marilen Holzhauser. Anche il numero speciale di New City, edizione africana di Città Nuova, è interamente dedicato al tema. Fin dagli inizi la Parola di Dio non è rimasta oggetto di contemplazione, ma si è tradotta in scelte concrete nella vita quotidiana. Con la nascita delle varie comunità si è sperimentato quello spirito di famiglia in cui mettere in comune anche le necessità, e inoltre sono nate molte iniziative nel continente, compresi programmi sociali, scuole e centri sanitari: dal College a Fontem, ad asili, scuole primarie e programmi di doposcuola in Camerun, Nigeria, Tanzania, Burkina Faso, Costa d’Avorio, Kenya. Un ospedale a Fontem, centri medici in Uganda, R.D. del Congo e Costa d’Avorio. Attività per combattere la malnutrizione; laboratori di falegnameria per i giovani in Sud Africa, Camerun, Costa d’Avorio e Kenya; un progetto agricolo in Nigeria.
Dai primi anni ’70 inoltre parecchi giovani africani scoprono la “strada di Chiara” e, con essa, un nuovo stile di vita. Come lei, Anne Nyimi Pemba (Congo) e Venant Mbonimpaye (Burundi) hanno lasciato ogni cosa per seguire Gesù, imbarcandosi in questa nuova strada per la vita consacrata in Africa. Loro sono stati tra i primi, come Teresina Tumhiriwe, Uganda, Benedict Menjo e Dominic Nyuyilim del Camerun, quest’ultimo presente nella celebrazione di Shisong, testimoniando la propria esperienza. Dopo di loro ne sono seguiti molti altri. Alla festa di Shisong c’era anche la Mafua Christina, regina dei bangwa, e il prof. Martin Nkafu, originario di Fontem e docente di Filosofia e culture tradizionali alla Pontificia Università Lateranense. Oltre alle loro personali esperienze, è seguita una carrellata offerta dalle nuove generazioni – bambini, ragazzi e giovani – che segnano la continuità di oggi con l’Ideale di fraternità che ha messo radici 50 anni fa. «Un popolo nato dal Vangelo, capace di testimoniare l’essere famiglia al di là dell’appartenenza a tribù, etnie e popoli diversi» ha scritto ancora nel suo messaggio Maria Voce, con l’augurio di ripartire insieme da questa tappa importante – che durerà tutto l’anno, con una celebrazione in Kenya alla Mariapoli Piero, il 19 maggio, durante il congresso panafricano dei Volontari di Dio, e altri appuntamenti in vari Paesi africani. (altro…)
10 Feb 2013 | Chiara Lubich, Dialogo Interreligioso, Focolari nel Mondo, Spiritualità

La cittadella di Fontem
«Merita oggi dire qualcosa [della storia] di Fontem in Camerun. Il suo titolo potrebbe proprio essere: “L’hai fatto a me”. È una storia che sembra una favola. In una foresta del Camerun vi era un popolo una volta molto numeroso. Era quasi tutto pagano, ma molto dignitoso, moralmente sano e ricco di valori umani. Un popolo naturalmente cristiano, si direbbe. Si chiamava Bangwa, ma ora era decimato dalle malattie. Il 98% dei bambini infatti, morivano nel primo anno di vita. Non sapendo che fare, quegli africani, con pochi cristiani che erano fra loro, si sono chiesti: “Perché Dio ci ha abbandonato?” E hanno convenuto: “Perché non preghiamo”. Allora, tutti d’accordo, hanno deciso: “Preghiamo per un anno; chissà che Dio non si ricordi di noi!” Hanno pregato, giorno per giorno, avendo in mente quest’unico pensiero: “Chiedete e vi sarà dato; bussate e vi sarà aperto”(Mt 7,7). E hanno pregato tutto l’anno. Alla fine vedono però che non è successo niente. 
Fontem, 19 gennaio 1969. Chiara durante la messa dell’inaugurazione dell’ospedale “Maria Salute dell’Africa”
Senza sgomentarsi i pochi cristiani dicono al popolo: “Dio non ci ha esauditi perché non abbiamo pregato abbastanza. Preghiamo un altro anno intero!” Pregano, quindi, un altro anno, tutto l’anno. Passa il secondo anno e non succede nulla. Allora si radunano e si chiedono: “Perché Dio ci ha abbandonati? Perché le nostre preghiere non valgono davanti a Dio. Noi siamo troppo cattivi. Facciamo una colletta, una raccolta di soldi, mandiamoli al Vescovo, che faccia pregare una tribù più degna, affinché Dio abbia pietà di noi”. Il Vescovo si commuove, comincia a interessarsi e va da loro e promette un ospedale, però passano tre anni e l’ospedale non c’è. A un dato punto arrivano dei focolarini medici. E il popolo dei Bangwa vi vede la risposta di Dio. I focolarini vengono chiamati ‘gli uomini di Dio’. Essi capiscono che in questo luogo non vale parlare. Non si può dire in quelle circostanze: “Andatevene in pace, riscaldatevi e saziatevi” (Gc 2,16). Occorre rimboccarsi le maniche e operare. E iniziano un dispensario fra disagi inenarrabili. Mi ci sono recata anch’io tre anni dopo. Quella grande massa di persone radunate in una vasta spianata davanti all’abitazione del loro re, il Fon, mi è apparsa talmente unita, e talmente ansiosa di elevazione, che mi è sembrato un popolo preparato già da tempo da Maria per il cristianesimo nella sua forma più integrale e genuina. A quell’epoca il villaggio era già irriconoscibile. Non solo per le strade e le case che erano sorte, ma anche per la gente. Già l’opera precedente dei missionari, che solo raramente potevano visitare la zona, aveva posto delle basi ben solide. Già piccoli nuclei di cristiani erano nati qua e là, come un seme in attesa di svilupparsi. Ma ora il movimento verso il cristianesimo aveva assunto le proporzioni di una valanga. Ogni mese centinaia erano i battesimi di adulti che i nostri sacerdoti, pur rigorosi nella selezione, dovevano amministrare. Un ispettore governativo, che aveva fatto un giro nella regione per visitare le scuole elementari, alla fine ha voluto dichiarare: “Tutto il popolo è fortemente orientato al cristianesimo perché ha visto come lo vivono concretamente i focolarini”. E occorre dire che l’opera di evangelizzazione svolta dai focolarini in quei tre anni era stata quasi solamente un fatto di testimonianza. C’era stato tanto da lavorare, anzi quasi solo da lavorare, e nelle condizioni più difficili: per mancanza di mezzi adeguati, di capacità delle maestranze locali, e per difficoltà di strade e di rifornimenti. Niente riunioni quindi, niente grandi giornate, niente discorsi pubblici. Solo qualche colloquio personale in incontri occasionali. Eppure, ogni domenica il capannone-chiesa si era andato sempre più riempiendo di gente. Assieme al gruppo dei già cristiani, ogni volta cresceva il numero degli animisti che volevano avvicinarsi al cristianesimo. La chiesa straripava ed era più la folla che assisteva dal di fuori che quella stipatissima all’interno. Migliaia di persone ascoltavano la Messa, molte centinaia facevano la Comunione. 
1974 – L’inaugurazione della Chiesa con la presenza
del Fon di Fontem
Quella di Fontem per noi è stata una esperienza unica. Ci è sembrato di rivivere lo sviluppo della Chiesa nei primi tempi, quando il cristianesimo veniva accettato da tutti nella sua integralità, senza limitazioni e compromessi. E l’esperienza di Fontem già incominciava ad interessare altre comunità africane, come quelle della Guinea, del Ruanda, dell’Uganda e di Kinshasa nello Zaire[1]. Cosicché Fontem sempre più acquistava la sua funzione di centro pilota per l’onda di un’evangelizzazione caratteristica. Ora Fontem è un paese già grande, con tutto quanto di essenziale esso comporta. Ed è anche parrocchia. I focolarini sono stati creduti, perché hanno fatto a Gesù ciò che hanno fatto ai Bangwa, donando anzitutto la testimonianza dell’amore tra di loro e poi verso tutto il popolo».
Chiara Lubich
Stralcio di una conversazione al congresso del Movimento dei religiosi – Castel Gandolfo, 19 aprile 1995
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[1] Attuale Repubblica Democratica del Congo. (altro…)