Mar 24, 2016 | Spiritualità
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«Se guardiamo il mondo con le mille ferite che lo colpiscono, l’unità e la pace possono apparire solo utopia.
Che la forza del Risorto, che ha sconfitto per sempre la morte, e quindi ogni morte, rafforzi in noi l’audacia di credere, sperare e agire perché nel mondo la fraternità sia la regola della convivenza tra popoli e culture diverse.
Auguri a tutti di Buona Pasqua, con Gesù risorto in mezzo a noi!».
Maria Voce (Emmaus)
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Nov 22, 2015 | Cultura, Focolari nel Mondo, Spiritualità
“Ritengo infatti che le sofferenze del tempo presente non siano paragonabili alla gloria futura che sarà rivelata in noi. L’ardente aspettativa della creazione, infatti, è protesa verso la rivelazione dei figli di Dio” (San Paolo, Lettera ai Romani, 8) Molte sono le guerre che si combattono sul nostro pianeta, nelle nostre città, nei nostri quartieri. Le armi sono tante e diverse, ma tutte producono soltanto morti, feriti, distruzione. Passano i millenni, ma il fratello continua ancora a ripetere all’altro fratello “andiamo ai campi”. Ma tutte le volte che ricomponiamo la pace dopo i conflitti, rivive Abele, l’Adam passeggia di nuovo con Elohim nel giardino della terra, riusciamo a guardarci “occhi negli occhi” nella piena reciprocità e con gratuità assoluta. Tutte le volte che costruiamo e ricostruiamo la pace, la nostra azione si estende anche alla creazione, alla natura, alla terra. E quando smettiamo di essere custodi e neghiamo la pace, anche la terra, gli animali, le piante, vengono feriti, uccisi, umiliati, trascinati innocenti nel vortice della nostra violenza. Lo vediamo, sempre più chiaramente, ogni giorno. La pace, lo Shalom, è una grande parola biblica. È tra le più ricorrenti, forti, esigenti. La prima alleanza di Elohim con gli uomini arriva per ristabilire una pace-felicità originaria negata, per rigenerare lo Shalom primordiale tradito dal peccato di Caino e da quelli altrettanto atroci dei suoi figli. Ci volle un primo costruttore di pace, Noè, per far splendere di nuovo l’arcobaleno sulla terra, per rendere ancora possibile una ricreazione del mondo e degli uomini. I costruttori di pace sono sempre costruttori di arche per salvare un’umanità guastata. Sono dei giusti che sentono una chiamata a lasciare la loro terra per salvare la terra di tutti. Se il mondo vive ancora nonostante tutto il male che generiamo, è perché Noè non ha mai smesso di costruire arche. I profeti e i tanti “beati” della storia hanno tenuto vivo l’arcobaleno nel cielo non smettendo mai di costruire la pace su una terra sempre bagnata dal sangue dei fratelli. La mano di Noè e dei costruttori di arche di pace è stata finora più forte e creativa delle mani di Caino e degli armatori di navi da guerra. Ai costruttori di pace non è promessa la terra, né la visione di Dio, neanche la misericordia. A loro è promesso soltanto un nome: “Saranno chiamati figli di Dio”. Un nome però immenso, il più grande di tutti, e usato solo per loro. I costruttori di pace sono i pacificatori, coloro che ricompongono rapporti spezzati, che spendono la vita per risolvere i conflitti generati dagli altri. Lasciano la loro vita tranquilla per rendere più pacifiche le vite altrui. Costruttori di pace, edificatori di questo Shalom biblico, si diventa solo per vocazione. Non è una faccenda di sola generosità né di altruismo. Si può mettere in discussione la propria vita per lo Shalom degli altri e di tutti solo se una voce forte e più profonda ci chiama dentro. La costruzione della pace non è mai solo un mestiere, anche quando la costruzione e la ricostruzione di pace fa parte del nostro mestiere. A queste voci, a queste chiamate interiori, non si riesce a resistere: sono efficaci. E non si resiste neanche quando non sappiamo da chi e da dove provenga la voce che ci chiama: per essere costruttori di pace è sufficiente sentirla e rispondere (leggi tutto). Luigino Bruni Pubblicato su Avvenire il 18/10/2015 (altro…)
Ago 30, 2015 | Chiara Lubich, Spiritualità
«Se osservo ciò che lo Spirito Santo ha fatto con noi e con tante altre “imprese” spirituali e sociali oggi operanti nella Chiesa, non posso non sperare che Egli agirà ancora e sempre con tale generosità e magnanimità. E ciò non solo per opere che nasceranno ex-novo dal suo amore, ma per lo sviluppo di quelle già esistenti come la nostra. E intanto per la nostra Chiesa sogno un clima più aderente al suo essere Sposa di Cristo; una Chiesa che si mostri al mondo più bella, più santa, più carismatica, più famigliare, più intima, più configurata a Cristo suo Sposo. La sogno faro dell’umanità. E sogno in essa una santità di popolo, mai vista. Sogno che quel sorgere – che oggi si costata – nella coscienza di milioni di persone d’una fraternità vissuta, sempre più ampia sulla Terra, diventi domani, con gli anni del 2000, una realtà generale, universale. Sogno con ciò un retrocedere delle guerre, delle lotte, della fame, dei mille mali del mondo. Sogno un dialogo d’amore sempre più intenso fra le Chiese così da far vedere ormai vicina la composizione dell’unica Chiesa. Sogno l’approfondirsi d’un dialogo vivo e attivo fra le persone delle più varie religioni legate fra loro dall’amore, “regola d’oro” presente in tutti i libri sacri. Sogno un avvicinamento e arricchimento reciproco fra le varie culture nel mondo, sicché diano origine a una cultura mondiale che porti in primo piano quei valori che sono sempre stati la vera ricchezza dei singoli popoli e che questi s’impongano come saggezza globale. Sogno che lo Spirito Santo continui a inondare le Chiese e potenzi i “semi del Verbo” al di là di esse, cosicché il mondo sia invaso dalle continue novità di luce, di vita, di opere che solo Lui sa suscitare. Affinché uomini e donne sempre più numerosi s’avviino verso strade rette, convergano al loro Creatore, dispongano anima e corpo al suo servizio. Sogno rapporti evangelici non solo fra singoli, ma fra gruppi, movimenti, associazioni religiose e laiche; fra i popoli, fra gli Stati, sicché si trovi logico amare la patria altrui come la propria. È logico il tendere a una comunione di beni universale: almeno come punto d’arrivo. (…) Sogno perciò già un anticipo di cieli nuovi e terre nuove come è possibile qui in terra. Sogno molto, ma abbiamo un millennio per vederlo realizzato». Chiara Lubich Da: Attualità. Leggere il proprio tempo, Città Nuova, Roma 2013, pp. 102-103 (altro…)
Ago 23, 2015 | Centro internazionale, Chiesa, Focolari nel Mondo, Spiritualità
«Fuori dell’azione centrifuga dell’amore, l’uomo a nulla tiene tanto quanto alla differenziazione. Trova mille ragioni nella stessa religiosità per separarsi, annullando, nel fatto, quella libertà di circolazione, ripristinata da Gesù, quando abbatté la parete divisoria, e fece che non ci fosse più né greco né giudeo, né servo né padrone, né maschio né femmina, ma fosse tutto e in tutti Dio. […] Ecco lo scopo dell’amore: ecco lo scopo dell’esistenza: far di tutti uno. Far di tutti, l’Uno, che è Dio. Per l’impulso della carità divina tutta l’esistenza, tutta la storia diviene una marcia di ritorno verso l’unità. Da Dio tutti si viene; a Dio tutti si torna. Farsi uno col fratello, è scomparire in lui, sì che tra Dio, me e il fratello, si stabilisca, mediante la mia soppressione, un passaggio diretto, una discesa senza ostacoli, – dall’Uno all’altro: ed ecco che io nel fratello trovo Dio. Il fratello mi serve di tempio per accendervi la luce di Dio. Così, Dio, io lo trovo nel sacramento dell’altare e nella persona del fratello, per effetto dell’amore. Il fratello rompe le barriere, e nella breccia fa passar la vita: la vita, che è Dio. Il fratello fa da “ianua caeli”, da porta al Paradiso. Ci sono cristiani, i quali vanno a servire gli umili, negli strati sociali più bassi, non tanto per convertire, quanto per convertirsi: dando amore sotto forma di servizi (a malati, disoccupati, vecchi, tutti i rifiuti sociali, come dicono), trovano Cristo; e così molto più di quanto donano, ricevono. Donano un pane, trovano il Padre. Si convertono gli assistenti e si convertono anche gli assistiti. Santificano sé e santificano i prossimi. Cioè, si sale a Dio scendendo sotto ogni livello umano, per servire, da laggiù, tutti gli uomini, in qualunque ripiano collocati. Così il samaritano trovò Dio scendendo da cavallo e raccogliendo il fratello dissanguato sulla terra riarsa; mentre il sacerdote ebreo, che non guardava il disgraziato in terra perché guardava Dio in cielo non trovò né Dio né fratello: non trovò Dio perché non si volse al fratello. È questo un modo di procedere del Padre, che proclama la sua gloria nel più alto dei cieli mandando il Figlio a nascere nel più obbrobrioso dei ricoveri: una stalla. Ciò stabilisce una linea diretta tra stelle e stalle, per il filo divinizzante dell’amore. Così, gli ultimi saranno i primi. È un capovolgimento. Ovvero è il modo di calcolare di Dio, il quale conta cominciando dal basso, mentre noi contiamo cominciando dall’alto: e quel che è primo per noi diventa ultimo per lui, e viceversa; onde, ricchezza, potenza, gloria, che per noi stanno in testa, per lui stanno in coda: sono lo zero. Con questo metro si misurano esattamente uomini e cose». (tratto da Igino Giordani,Il fratello, Città Nuova, Roma 2011, pp.78-80) (altro…)
Ago 9, 2015 | Centro internazionale, Spiritualità
«Stare ai campi, attendere alla vita delle piante, partecipare, dentro gli ampi silenzi, segnati dai cicli solari e lunari, all’opera di creazione della vita naturale, è compito, anch’esso, quasi sacerdotale, che vuole raccoglimento e sacrificio: vuole il coraggio di sapersi sentire a tu per tu con la propria anima, dentro l’aspettazione dell’universo e, nei contatti con la natura, che è un miracoloso vivaio, sapersi sentire, senza stramazzare, alla presenza di Dio». (FIDES, luglio 1938) «Ci volle una bellezza e una purezza superiore all’ideale umano perché l’uomo salisse sino a contemplare Maria. Fu lei che lo tirò su: e in quella contemplazione sbocciarono le aspirazioni più belle dell’anima, che cercarono di fermarsi in espressioni d’arte, le più alte mai raggiunte. La maternità, la tenerezza muliebre, la rassegnazione e la pietà trovarono in Maria un modello, e un alimento: e l’umanità ne nutre la sua passione più bella, nei momenti che più si solleva oltre la brutalità, per un impeto di divinizzazione». (FIDES, marzo 1938) «La rivoluzione cristiana non fece complotti, non sovvertì istituti, non uccise tiranni: ma immise nell’organizzazione fatiscente del mondo antico, nella famiglia logora, negli istituti giuridici affetti da decrepitezza, nei rapporti sociali intossicati dalla cupidigia, un fermento nuovo: il fermento dell’amore, che li rigenerò: quello per cui, di colpo, davanti al padrone venne a trasfigurarsi la natura dello schiavo, davanti all’uomo assunse un valore nuovo la donna, davanti al greco e al romano s’avvicinò dalle sue distanze abissali il barbaro e l’operaio». (FIDES, febbraio 1943) «II cristiano cosciente – il santo – è uno che utilizza il tempo con una cura d’ogni attimo, sommando quante più opere nello spazio breve, per l’onore del Capo di casa, per il buon nome comune, per la salute dei fratelli. Questa attività, questo apporto, si chiama nel linguaggio corrente apostolato. Un cristiano che non ne fa, nei modi e nel tempo consentitigli, è un cristiano che ignora il suo posto nella Chiesa: che ignora la Chiesa. La Chiesa nell’atto che vive, agisce: fa azione. Noi diciamo fa azione cattolica. E questa si fa in mille modi: c’è posto per tutti. La può fare un poeta e la può fare un deficiente; un anacoreta e un cenobita, un capo di famiglia e un caposezione, il metropolitano in istrada e il ciabattino in bottega». (FIDES, ottobre 1938) Fonte: Centro Igino Giordani (altro…)