Movimento dei Focolari
Maria Voce: “Spazio, non rivincita”

Maria Voce: “Spazio, non rivincita”

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© Osservatore Romano

“Le donne, il futuro della Chiesa?” titola l’articolo-intervista di Alberto Chiara, a doppia pagina, corredato di ampie foto, nello speciale di fine anno della rivista edita dalla San Paolo. Ma nel corso dell’intervista il tema si allarga, passando dal ruolo della donna nella Chiesa alle sfide aperte dal pontificato di Francesco per andare incontro ai poveri e agli emarginati, fino all’impegno di dialogo con le nuove generazioni, cui in ottobre sarà dedicato un Sinodo dei vescovi, preceduto da una serie di eventi presinodali di grande rilievo. Le donne salveranno la Chiesa? «L’ha già salvata Gesù Cristo» risponde sinteticamente Maria Voce. «Conta ciò che fanno, insieme, gli uomini e le donne delle varie comunità». Il giornalista incalza, ricordando le recenti nomine di Papa Francesco, in due Dicasteri chiave – quello per i laici e quello per la famiglia e la vita – di due donne, entrambe sposate e con figli, Linda Ghisoni e Gabriella Gambino (docente universitaria e Giudice istruttore del Tribunale per le cause di nullità di matrimonio nel Lazio la prima, professore di Bioetica e Filosofia del Diritto all’Università romana di Tor Vergata e di Scienze del Matrimonio e della Famiglia al Pontificio Istituto Teologico Giovanni Paolo II la seconda). «Mi sembra che in papa Francesco ci sia l’intenzione di affermare un rapporto autentico, vero, di complementarietà fra la donna e l’uomo» replica Maria Voce. «Naturalmente questo rapporto è sempre esistito. All’inizio “Dio creò l’uomo maschio e femmina”. Creò due esseri differenziati i quali, insieme, costituiscono l’umanità». Dopo tanto maschilismo è tempo di rivincita per le donne? «Papa Francesco vuole che la donna abbia, come l’uomo, la possibilità di dire la sua all’interno della Chiesa, assumendo anche ruoli di responsabilità crescente, ma senza schiacciare l’uomo, semmai evidenziando le proprie doti, quella particolare capacità generativa e di maternità. Nessuna rivincita, dunque, anche se le donne fin qui non hanno avuto adeguato spazio. Nella Chiesa come nella società». Sullo stato di salute della Chiesa in questo tempo, Maria Voce commenta: «Sono molto felice di vivere in questo tempo, con questa Chiesa». «Non potremmo avere momento migliore». E aggiunge: il tratto caratteristico che più mi convince è la «la serenità di fondo che segna il rapporto fra il Pontefice e il popolo di Dio. Francesco è un Papa sempre generoso nell’accogliere, pronto ad aprire, attento a comprendere le difficoltà dell’umanità». Non nasconde le difficoltà del momento, anche interne alla Chiesa, ma «ogni tempo ha le sue difficoltà. I nostri giorni non si sottraggono alla regola. Tante volte penso a quanto deve soffrire papa Bergoglio per non sentirsi compreso, lapidato con giudizi severi per parole riportate fuori contesto…». Dovendo scegliere prima una, poi due parole che definiscano l’attuale pontefice, la presidente dei Focolari indica “carità” e “verità”, ma specifica: «L’una non esclude l’altra. Bergoglio sa che alcune cose che lui dice o che lui fa possono dare fastidio, possono non essere capite fino in fondo da tutti. Ma procede, mosso da amore, per migliorare, correggendole, certe situazioni». Sui settori di predilezione dell’attuale Pontefice, Emmaus osserva: «L’attenzione insistita del Papa verso i poveri, i malati, gli emarginati, la sua capacità di chinarsi su chi sbaglia, non gli fa dimenticare altre categorie». Davanti ad una Chiesa sempre più aperta al dialogo alla pari con tutti, Maria Voce esprime un sogno: «Che il Papa promuova una giornata di preghiera comune e inviti i capi delle altre Chiese, ortodossi, anglicani, luterani, metodisti, battisti… a pregare insieme una volta l’anno, durante la Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani o in altro momento. Credo che se i credenti vedessero i loro capi pregare insieme con consuetudine scoprirebbero possibile l’unità nella diversità». La conclusione dell’intervista è dedicata, con una battuta, ai giovani, cui la Chiesa intende dedicarsi quest’anno con particolare attenzione: «Noi adulti dovremmo ascoltarli». Leggi il testo integrale (altro…)

Una marcia lunga e fatta di notte

Questi tre sapienti orientali, i Magi, messisi in moto al di là del deserto per ricercare un bambino prefigurano la marcia del cristianesimo per ritrovare l’innocenza. Quel bambino era un re, ma un re senza alloggio; e quelli vennero lo stesso, camminando sotto il lume delle costellazioni, avendo per guida una stella. Questo è il miracolo del Cristo. Che schioda la gente dai posti fissi, sconficca i cuori dagli interessi che pietrificano, spinge oltre il sacro recinto, per rimettere in circolazione uomini e cose nella ricerca dell’unità e sotto la spinta dell’universalità: e così alla sua culla approdano da ogni plaga profeti, ebrei e filosofi greci, arte e letteratura, speculazione e costumi, spogliandosi lungo il tragitto di quel che avevano di particolarmente idolatrico e cioè di erroneo, di antirazionale, e disumano. E tutto si va a raccogliere intorno a Cristo, che è la ragione totale. I Magi portavano dai recessi dell’Arabia e della Mesopotamia tesori e profumi: affetti ed effetti. L’amore li tirava fuori della lontananza per avvicinarli al Cristo, che era il gran povero ed è sempre presente nei poveri. Questa marcia dei Magi simboleggia così lo sforzo per avvicinarsi da tutte le lontananze, per salire da tutte le bassure, per arrivare con l’offerta dei cuori e quella dei beni materiali, attraverso i deserti dell’egoismo, all’unità con Dio: “ché Dio si fece uomo affinché l’uomo si facesse Dio” come ebbe a dire S. Agostino: l’uno discese perché l’altro ascendesse. Ma è una marcia lunga, e fatta di notte, tra insidie e triboli. La verità non si acquista senza fatica; Dio è un premio donato a chi faticosamente cerca: ma chi cerca trova. Igino Giordani, I Re magi, «La Via» n.97, 6 gennaio 1951, p.4 (altro…)

Vangelo vissuto: “Potente è la tua mano!”

Le rughe del disincanto «Dopo anni di matrimonio mi sono resa conto che l’uomo che mi viveva accanto non era più quello che mi aveva fatto perdere la testa. Ma ora c’erano i figli e la vita era andata avanti. Un giorno una mia amica mi ha detto: «Ti vedo invecchiare male. Invece di crescere nell’amore, stanno aumentando le rughe del disincanto». Era vero, al posto dell’amore e della donazione avevo messo dei principi di giustizia. Ho cercato di cambiare atteggiamento verso mio marito e ho scoperto che aveva più che mai bisogno di me e del mio sostegno. Ora le cose sono cambiate. In famiglia circola tra tutti un amore più grande». (M.F. – Polonia) La farmacia «I dipendenti della farmacia dove lavoravo prima erano stati licenziati. Tutti, tranne me. I nuovi gestori, però, erano mossi più dall’interesse che dal bene dei clienti. Anche l’atmosfera era rapidamente cambiata. Per alcuni mesi mi sono adoperata per migliorare i rapporti tra i dipendenti e con i clienti. Un tempo prezioso, durante il quale ho imparato ad essere più misericordiosa. Poi anche per me si è prospettato il licenziamento. Malgrado ciò, confidavo nella Provvidenza, che non mi ha delusa: inaspettatamente un’altra farmacia mi ha offerto il posto di un dipendente che era andato in pensione». (C.T. – Ungheria) I miei pazienti “difficili” «Da diversi anni lavoro come medico in un istituto specializzato per pazienti in stato vegetativo, in genere traumatizzati in seguito ad un incidente. Il percorso di recupero dal coma è molto complesso e non è nemmeno scontato che avvenga. Ai famigliari che mi chiedono se il loro congiunto si risveglierà, rispondo, in genere, che non possiamo prevedere cosa potrà succedere, e che solo Dio conosce il loro futuro. Noi operatori siamo solo strumenti nelle sue mani. È impossibile rimanere indifferenti davanti a tali tragedie. Talvolta, la mia fede come cristiano ha vacillato. Però penso che questi pazienti “difficili” abbiano una funzione sociale importante: per parenti e amici diventano un centro di aggregazione della famiglia e suscitano in loro la capacità di donazione». (Elio – Italia) Resurrezione «Droga, prostituzione … Da due anni seguivo il mio amico Mario nel suo calvario. Lui si era allontanato da Dio, ma rispettava il mio modo di vivere la fede. Quando finì in ospedale, lo andavo a trovare assiduamente. Mi chiedeva: «Perché lo fai? Vengo da un mondo completamente diverso dal tuo!». Durante la degenza ebbe modo di riflettere, e un giorno mi disse: «Cercavo di convincermi che Dio non esistesse, perché questo mi avrebbe costretto a cambiare vita. Ora però non posso più andare avanti così. Sei l’unica persona veramente felice che io abbia mai incontrato. Vorrei tanto vivere come te». Gli proposi di cercare di mettere in pratica una Parola del Vangelo alla volta. Anche io provavo a farlo, e funzionava! Poiché si fidava di me, accettò di provare. Soprattutto gli risultava difficile cambiare il senso della parola “amare”, che per lui aveva voluto dire prostituirsi per soldi. Fu un cammino difficile, tra cadute e nuovi inizi. Un giorno si accostò al sacramento della confessione. Dopo era raggiante. Poi l’incidente, nel quale perse la vita. Dio lo attendeva lì. Ma ormai era preparato». (S.V. – Svizzera) (altro…)

Per un Natale di gioia e di pace

Per un Natale di gioia e di pace

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“Rallegrati piena di grazia: il Signore è con te” (Lc 1, 28). Un annuncio di gioia scuote l’umanità: Dio si fa bambino nel grembo di Maria; Dio si fa uomo e sceglie di restare tra noi, per sempre! Entra nella storia e ci dona sua Madre, Maria, quale stella per il nostro cammino. Che mistero di amore infinito! La gioia di quella notte inondi i nostri cuori e ci renda portatori di questo grande messaggio di amore all’umanità. Buon Natale a tutti!

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Dio è vicino a chi soffre

Oggi il calore del Natale porta a sentirci tutti più famiglia, più uno fra noi, più fratelli: a condividere quindi ogni cosa: gioie e dolori. Dolori soprattutto con quelli che, per le più varie circostanze, trascorrono questo Natale a tu per tu con la sofferenza: una malattia, una disgrazia, una prova, una circostanza dolorosa … […] Se guardiamo con occhio umano la sofferenza, siamo tentati di cercarne la causa o in noi, o fuori di noi, nella cattiveria umana ad esempio, o nella natura, o in altro … Quell’incidente è colpa di Tizio; quella malattia è colpa mia; quella prova dolorosa risale a Caio … E tutto ciò può essere anche vero, ma, se pensiamo solo in tal modo, dimentichiamo il più. Ci scordiamo che dietro la trama della nostra vita sta Dio con il suo amore, che tutto vuole, o permette, per un motivo superiore, che è il nostro bene. […] Che dire allora, oggi, ai nostri che si dibattono nella sofferenza? Che augurio far loro? Come comportarci nei loro riguardi? Avviciniamoli anzitutto con sommo rispetto: anche se ancora forse non lo pensano, essi sono in questo momento visitati da Dio. Poi condividiamo, in tutto quanto è possibile, le loro croci. Assicuriamoli del nostro continuo ricordo e della nostra preghiera, perché sappiano prendere direttamente dalle mani di Dio quanto li angustia e li fa soffrire. Aiutiamoli poi ad avere sempre presente il valore della sofferenza. E ricordiamo loro quel meraviglioso principio cristiano per il quale un dolore amato come volto di Gesù crocifisso e abbandonato si può tramutare in gioia. […] Essendo a conoscenza che chi si mette a camminare nella via di Dio non può sottrarsi al patire, auguriamo a tutti di saper cogliere ogni piccolo o grande dolore che incontreranno con amore, con grande amore, per donarlo a Gesù Bambino, come i Magi hanno offerto i loro doni. Sarà il migliore incenso, il migliore oro, la migliore mirra che potremo deporre nel presepio. Chiara Lubich, 25 dicembre 1986 (altro…)