Dic 13, 2016 | Ecumenismo, Focolari nel Mondo, Spiritualità
«Santità, la comunità del Movimento dei Focolari di Bari La saluta con grande affetto! Siamo contenti della Sua visita nella nostra città, ponte tra Oriente e Occidente, che ha una particolare vocazione ecumenica. La Sua presenza ci incoraggia ad impegnarci di più a servizio della piena e visibile unità fra i cristiani e della custodia del creato. Il carisma dell’unità, che Lei tanto ama, ci spinge ad operare nei nostri ambienti come apostoli del dialogo, consapevoli che solo l’unità, l’amore e la fratellanza potranno rispondere alle sfide dell’oggi dell’umanità». Con questo messaggio la comunità locale dei Focolari ha accolto il Patriarca ecumenico Bartolomeo I, in visita alla città di Bari il 5 e 6 dicembre, in occasione della festa di san Nicola. Si è trattato di «un evento di grande significato ecumenico – riferiscono dalla diocesi – che segna la Chiesa di Bari-Bitonto e che contribuisce al dialogo tra la Chiesa cattolica e la Chiesa ortodossa». Il 5 dicembre nella Basilica di San Nicola, il Patriarca ha tenuto la prolusione per l’inaugurazione dell’anno accademico 2016-2017 della Facoltà Teologica pugliese, ricevendo il premio “San Nicola” da parte dell’Istituto ecumenico. Un riconoscimento al suo impegno ecumenico perseguito da 25 anni come “artigiano paziente e coraggioso della cultura della comunione”, come si legge nella motivazione del premio. Papa Francesco si è fatto presente con un messaggio di congratulazioni letto durante la premiazione, in cui ha lodato l’impegno del Patriarca per “la promozione di una sempre maggiore comunione tra tutti i credenti in Cristo”. Nella lectio magistralis intitolata «Adriatico e Ionio, mari di Comunione», Bartolomeo I ha riflettuto sul concetto della comunione, a partire dal suo significato teologico di koinonia quale «comune partecipazione di grazia, amore e comunione alla vita di Dio, che diviene esperienza stessa dell’”essere in relazione”». Ha ricordato, inoltre, il Grande Concilio di Creta, nel giugno scorso, quando «la nostra Santa Chiesa Ortodossa, ha manifestato la sua “comunione” [indicendolo] per decisione unanime di tutti i Primati delle Chiese ortodosse autocefale». Ed ha sottolineato la necessità di un’economia solidale, affermando che «ci vuole una economia di comunione che sappia accogliere, senza creare il malcontento sociale nei Paesi ospitanti». Il 6 dicembre, al termine della solenne celebrazione eucaristica presieduta dall’arcivescovo, mons. Francesco Cacucci nella stessa Basilica, Bartolomeo I ha tenuto un secondo intervento: «Siamo giunti anche noi come pellegrini presso la tomba di questo grande Santo – ha detto –, per invocare la sua intercessione, la sua preghiera e il suo sostegno nel nostro servizio patriarcale, per ringraziare Dio con lui, per i nostri già 25 anni di servizio all’unità della Chiesa sul Trono di Sant’Andrea, ma anche per essere forti testimoni della necessità dell’incontro dei discepoli di Cristo, affinché il mondo creda, e noi possiamo in un giorno non lontano spezzare insieme il Pane di Vita e bere al Calice della Salvezza».
Dal 1° al 4 dicembre, il Patriarca aveva visitato Lecce, dove era stato accolto anche con molto calore dalla comunità locale dei Focolari e dove ha ricevuto una laurea h.c. in Archeologia. «In questi giorni – scrivono Fausta Giardina e Roberto Lago, responsabili dei Focolari in Puglia – si respira una bellissima “aria ecumenica” in città. La visita del Patriarca, con le varie celebrazioni, è un evento molto sentito da tutti». L’amicizia dei Focolari con il Patriarca è di vecchia data. Lo scorso 26 ottobre, l’Istituto Universitario Sophia (Loppiano) gli conferì il primo dottorato h.c. in Cultura dell’Unità. E in quell’occasione egli disse: «Uno degli ideali del Movimento dei Focolari è l’unità della Chiesa. Chiara [Lubich] e i suoi collaboratori hanno lavorato molto. Lei ha visitato 23 volte Athenagoras a Costantinopoli. Poi ha incontrato Dimitrios e poi me. Nel 2008, ho visitato Chiara nell’ospedale Gemelli pochi giorni prima della sua morte. Sono sicuro che stasera lei è con noi, con la sua presenza spirituale e con la sua preghiera. Si rallegra con noi e prega per l’unità delle nostre Chiese». Gustavo Clariá (altro…)
Nov 3, 2016 | Chiara Lubich, Cultura, Ecumenismo, Focolari nel Mondo, Spiritualità
Era il 22 ottobre del 1991 quando il Santo Sinodo della Chiesa Ortodossa, lo scelse all’unanimità a divenire Arcivescovo di Costantinopoli-Nuova Roma e Patriarca Ecumenico. L’intronizzazione del metropolita appena cinquantunenne avvenne il 2 novembre successivo. A quel momento il neoeletto Patriarca aveva già avuto contatti col Movimento dei Focolari, conoscendo Chiara Lubich negli anni in cui da diacono studiava a Roma e nei ripetuti viaggi di Chiara ad Istanbul per visitare il Patriarca Athenagoras e successivamente il Patriarca Demetrio. Era stato presente a diversi di quegli incontri e, soprattutto dal carisma profetico di Athenagoras, aveva ereditato, come lui stesso afferma, quella passione per l’unità della Chiesa che anche in Chiara vibrava con un vigore particolare, frutto di un altro dono dello Spirito Santo. E si sentiva chiamato a darne seguito. In questi anni la stima, l’amicizia spirituale, la ricerca della comunione non hanno fatto che crescere. Il Patriarca Bartolomeo ha fatto visita a Chiara nell’Ospedale Gemelli a Roma, qualche giorno prima della sua dipartita, portandole la sua benedizione patriarcale… Si può citare ancora la visita dell’ottobre 2015 a Loppiano, dove è stato insignito dall’Istituto Universitario Sophia del primo dottorato honoris causa in Cultura dell’unità. Un mese dopo era lui ad accogliere nella Scuola teologica di Halki (Istanbul) il 34° incontro ecumenico dei vescovi amici del Movimento.

Maria Voce e Bartolomeo I – Istanbul, 27 dicembre 2010
Questo anniversario viene quindi vissuto con partecipazione e gioia grande da tutto il Movimento. Difficile fare un bilancio esaustivo di questi 25 anni di operosità paziente e tenace, mite e generosa. “25 anni benedetti” così li definisce Maria Voce, in un breve videomessaggio che fa giungere al Patriarca Bartolomeo in questa felice occasione. La Presidente dei focolari esprime sentimenti di “gratitudine a Dio per i doni che Egli gli ha concesso”, per essere ”guida illuminata, per la Sua Chiesa” ma anche nel “coinvolgere molti nel pensiero e nell’azione concreta (…) in favore della vita, del creato, del dialogo, della pace e della costruzione della fraternità universale”. “Le giungano gli auguri di tutti i focolarini del mondo intero che le vogliono bene e che le sono vicini con tanto affetto”. La mattina di sabato scorso, 22 ottobre, un caldo sole autunnale fa da cornice all’aria di grande festa che si vive nella Chiesa di S. Giorgio, Sede del Patriarcato Ecumenico, nel quartiere del Fener dell’odierna Istanbul. E’ qui che ha luogo la Divina Liturgia, momento culmine delle celebrazioni di festeggiamento di questo Giubileo. In greco moderno “efcharistó” è la parola per dire “grazie”. E sembra che niente può esprimere meglio il rendere grazie a Dio per il dono che Egli ha fatto alla Chiesa e al mondo attraverso quest’uomo, quanto questa solenne celebrazione eucaristica secondo il rito di S. Giovanni Crisostomo, anch’egli lontano predecessore del Patriarca. Alla presenza di numerosi metropoliti provenienti da diversi Paesi e legati al Patriarcato ecumenico, del vicario apostolico Rubén Tierrablanca di Istanbul e di un Mufti Dede Bektaşi dell’Albania, il patriarca tenta di fare un resoconto di questi anni, come servo umile e grato. 
Foto: Nikos Manghina
Mgr Nicholas Wyrwoll, che aveva studiato assieme a Bartolomeo a Roma, ci aiuta a capire la portata dell’azione e delle novità che ha visto questo quarto di secolo sotto la sua guida. “Tantissime cose sono cambiate in questi 25 anni. Tanto è dovuto anche ai mutamenti politici in Turchia. Bartolomeo ora è riconosciuto come Patriarca Ecumenico, titolo che all’inizio non si poteva nominare nemmeno nella liturgia. Un cambiamento notevole è stato quello del Santo Sinodo, che è l’organo di governo più importante della Chiesa Bizantina. Prima i membri provenivano tutti dalla Turchia, ora vengono invitati dal mondo intero e si alternano con una periodicità di sei mesi. Un’altra opera enorme che dobbiamo al Patriarca Bartolomeo è di aver saputo coinvolgere l’esigua comunità greca rimasta in Turchia e le stesse autorità turche per il restauro e il ripristino di tantissime chiese e monasteri. Questo consente di conservare e valorizzare l’enorme patrimonio cristiano di questo Paese, altrimenti destinato al deterioramento e al disfacimento completo. E non solo le chiese greche, ma anche le chiese armene, le sinagoghe… Ora le autorità locali invitano il clero ad utilizzare anche per il culto questi luoghi che sono normalmente adibiti a musei. Poi l’interesse per l’ecologia, per la salvaguardia della creazione. Ha collaborato con tutte le religioni e su questo tema è un leader ascoltato a livello mondiale. Nella sua omelia conclusiva il Patriarca ha sottolineato ancora una volta l’importanza del dialogo, ribadendo la necessità di cercare la comunione: possiamo rimanere diversi, siamo di diversa cultura, di diversa storia, di diverse esperienze, la comune espressione della nostra fede non va ricercata con parole, ma nella preghiera comune. Si è quindi rivolto al Mufti dell’Albania venuto a rendere omaggio…”. Ha sottolineato ancora il Sinodo Panortodosso tenutosi a Creta… “Possiamo dire che con lui la ricerca dell’unità nella Chiesa e in particolare con la Chiesa Cattolica ha subito un’accelerazione fenomenale, basti pensare ai numerosissimi incontri con i Papi, a Istanbul, a Gerusalemme, a Roma, a Mytilene, ad Assisi e altrove, le dichiarazioni comuni… Ed è molto importante che anche il Patriarca Kirill di Mosca abbia poi avuto un contatto diretto con papa Francesco a Cuba, lo scorso febbraio”. (altro…)
Dic 2, 2015 | Chiara Lubich, Chiesa, Ecumenismo, Focolare Worldwide, Focolari nel Mondo, Senza categoria, Spiritualità

Il Patriarca ecumenico di Costantinopoli Bartolomeo I e il card. Kurt Koch – (C) CSC Audiovisivi
Le ultime due giornate dell’incontro ecumenico dei vescovi amici dei Focolari hanno avuto come centro il Patriarcato greco-ortodosso, sede del Patriarca Bartolomeo I, per partecipare alla festa di sant’Andrea. Siamo nel quartiere Fanar, in greco, Fener, in turco, che si affaccia sul Corno d’oro. La parola Fanar risale all’epoca bizantina e deriva dalla parola greca “lanterna”, uno strumento utile per la navigazione. Da 1700 anni il Patriarcato è punto di riferimento per gli ortodossi che oggi sono circa 300 milioni di persone in tutto il mondo. Il termine ortodosso è stato adottato agli inizi del IV secolo dopo Cristo per distinguere i veri cristiani, con una retta dottrina, dagli eretici che seguivano il monofisismo, varie dottrine teologiche che negano la duplice natura, divina e umana, del Cristo. Lo scisma si consumò nel 1054, ma, in realtà è una storia molto più complessa e la separazione non avvenne in un unico momento ma in un lungo asse temporale che ebbe il suo culmine nel 1204 al tempo della IV Crociata quando la Costantinopoli cristiana fu saccheggiata dai propri fratelli nella fede diretti in Terra Santa. È domenica 29 novembre pomeriggio, la gente arriva alla spicciolata, alcune donne con il velo colorato, un foulard, per coprire il capo. Non sono solo ortodossi di Istanbul ma anche greci, russi. La mattina era stata uggiosa e con una leggera pioggia, ora, si è alzato un po’ di vento ed è uscito il sole. Fa impressione vedere schierati 35 vescovi di 16 chiese diverse dentro la Chiesa di San Giorgio, dal 1600 elevata a chiesa cattedrale del patriarcato Ecumenico. È la prima volta che partecipo ad una liturgia ortodossa. Il coinvolgimento avviene con tutti i sensi. Gli occhi sono estasiati dai vivi colori delle icone, dagli interni dorati, dall’alternarsi di buio e di luce, dal fuoco delle candele. È un fiume di luce, riflessi, bagliori. L’udito è stimolato dalle cantilene in greco antico, dai canti, dall’eco del turibolo che conducono nel mistero della preghiera. L’olfatto è provocato dall’incenso che penetra nel profondo, inebria, profuma l’anima. Il gusto è provato dall’Eucaristia e dal pane “antidòro”, che vuol dire “al posto dell’Eucaristia”. È un pezzo di pane benedetto che viene distribuito alla fine della celebrazione. Il tatto si consuma nel bacio ripetuto alle icone, nel toccare con le dita le urne dei santi, nel saluto al Patriarca. Lo scopo sia dei vespri della domenica pomeriggio, sia della lunga liturgia, quattro ore, di lunedì 30 novembre, festa di sant’Andrea è non di recitare delle preghiere, ma di diventare preghiera, come diceva Origene: «Tutta la nostra vita dovrebbe essere una preghiera estesa e ininterrotta». Nel prendere la parola, il Patriarca Bartolomeo mette in parallelo Andrea, il fratello di Pietro, il “primo chiamato” e Chiara Lubich, la “prima chiamata” al carisma dell’unità. «Non abbiamo il diritto di scoraggiarci – ha concluso – di fronte al rumore di tanti orrori che vengono perpetrati lungo le vie del mondo, abbiamo invece il dovere di annunciare a tutti che solo il dialogo, la comprensione, l’atteggiamento positivo che proviene dalla nostra fede in Cristo può vincere. Il santo apostolo Andrea non ha avuto dubbi nell’incontrare il Maestro, e neppure Chiara ha avuto dubbi nell’affidarsi a Lui. Così anche noi, consci tutti delle nostre responsabilità, non abbiamo dubbi della via su cui siamo incamminati, nell’incontro tra le nostre Chiese, nell’incontro con le fedi, nell’incontro con la umanità che soffre, perché solo l’Amore può vincere, e le porte degli Inferi non prevarranno su di esso». È un riconoscimento pubblico del ruolo avuto da Chiara nel cammino ecumenico. Un carisma che ha stimolato anche Bartolomeo I molto attivo nel campo dell’ecumenismo con i suoi recenti viaggi in Italia, Inghilterra, Belgio, Bulgaria. Gli chiediamo il motivo del suo incessante lavoro per l’unità. «Perché è la volontà del Signore ‒ risponde Bartolomeo I ‒, Gesù stesso ha pregato il Padre per l’unità di tutti i credenti. La sua preghiera, la sua volontà è un comandamento per noi. Noi dobbiamo pregare e lavorare per la realizzazione di questa divina volontà. L’unità sarebbe così anche un contributo per la pace nel mondo, per la fratellanza tra le nazioni. E oggi il mondo ne ha bisogno più che mai”. Dall’inviato Aurelio Molè (altro…)
Dic 2, 2015 | Chiesa, Ecumenismo, Focolare Worldwide, Focolari nel Mondo, Spiritualità
Ecumenismo della carità, della verità, pratico, spirituale sono le quattro dimensioni del cammino ecumenico secondo papa Francesco. Il cardinale Kurt Koch, presidente del Pontificio Consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani, con un ampio, profondo, dettagliato intervento delinea l’obiettivo della piena unità delle chiese come prospettiva del dialogo ecumenico. Secondo papa Francesco, in linea con i suoi predecessori, “le divisioni sono uno scandalo, l’impegno ecumenico deve mirare infine alla celebrazione comune dell’Eucaristia e l’unità si realizza sempre nella diversità riconciliata”. L’unità è un processo avviato, è un cammino, la sua profonda convinzione ecumenica si basa sul fatto che: “L’unità non verrà come un miracolo alla fine: l’unità viene nel cammino, la fa lo Spirito Santo nel cammino”. Al primo posto il Papa non mette il dialogo teologico ma l’incontro fraterno nelle parole e nei gesti, nutrito di carità, fratellanza, amicizia, tramite l’incontro diretto di cristiani di diverse chiese perché “la verità è un incontro, un incontro tra persone. La verità non si fa in laboratorio, si fa nella vita, cercando Gesù per trovarlo”. Il dialogo teologico è importante ma lo intende come uno “scambio di doni”, che non è “un mero esercizio teorico”, ma permette “di conoscere a fondo le reciproche tradizioni per comprenderle e, talora, anche per apprendere da esse”. Soprattutto si può collaborare in modo pratico: pregare insieme, lavorare insieme, cercare la pace, custodire il creato, aiutare i poveri, difendere la libertà religiosa, il matrimonio e la famiglia. Ma l’unità non è frutto di uno sforzo comune, “è primariamente un dono di Dio per il quale dobbiamo incessantemente pregare”. Ecco allora l’ecumenismo spirituale e i cristiani devono pregare gli uni per gli altri. Sono molti oggi i cristiani perseguitati. Perché il Papa mette molto in evidenza l’importanza dell’ecumenismo del sangue? “Dobbiamo essere consapevoli che l’80 % degli uomini perseguitati nel nome della fede nel mondo sono cristiani. Ci sono più persecuzioni oggi che nei primi secoli del cristianesimo. È un fatto che deve provocare una grande solidarietà tra tutte le chiese perché i martiri non sono perseguitati perché cattolici, armeni, ortodossi, anglicani, pentecostali, luterani, ma perché sono cristiani. Il loro sangue non divide ma unisce. I martiri vivono già la prima comunione in cielo che noi dobbiamo ritrovare sulla terra. Loro ci aiuteranno per il cammino dell’unità”. Dopo 50 anni di preparazione, nel 2016 si svolgerà il Sinodo panortodosso. Che riflessi potrà avere sul movimento ecumenico? “Se le chiese ortodosse ritroveranno un po’ più di unità tra di loro questo sarà un grande aiuto anche per l’ecumenismo e aiuterà anche nel cammino per poter celebrare l’Eucaristia insieme tra cattolici e ortodossi. Sono convinto che il Patriarca Ecumenico Bartolomeo sta dando tutto il suo cuore per questo Sinodo Panortodosso. Come Chiesa cattolica vogliamo aiutare per quanto possiamo e preghiamo intensamente”. Si è concluso il 34° convegno ecumenico dei vescovi promosso dal Movimento dei Focolari. Che apporto possono dare all’unità tra le chiese questo tipo di incontri? “Il ministero del vescovo è un ministero di unità nella propria chiesa e l’unità tra le chiese è, allo stesso tempo, un grande obbligo per tutti i cristiani perché è la volontà del nostro Signore. E tutti i vescovi vogliono essere obbedienti alla volontà di Dio. Incontri come questo possono aiutare a ritrovare l’unità di cui abbiamo molti diversi concetti nelle varie chiese. Cercare un consenso, dialogare è l’impegno più importante in questa stagione dell’ecumenismo. E sono molto grato ai Focolari per questo impegno nell’ecumenismo”. Dall’inviato Aurelio Molè (altro…)
Nov 30, 2015 | Chiesa, Ecumenismo, Focolari nel Mondo, Spiritualità

© CSC Audiovisivi – R. Meier
La rotta del 34° convegno di Vescovi di varie chiese promosso dai Focolari vira verso la terra ferma. Una giornata uggiosa e piovosa accompagna lo spostamento da Halki verso la Calcedonia. Nell’isola sul Mar di Marmara non circolano macchine e lo spostamento dall’unico albergo e dal Monastero della SS. Trinità al porto avviene con i fayton, i caratteristici calessi trainati da due cavalli. Sulle strade circolano solo biciclette, passanti, cani e gatti che vagano liberi e indisturbati in ogni ambiente. Dopo un’ora di navigazione, tra conversazioni e un çay, il tè turco, si arriva a Kadikoy, l’antica Bitinia oggi un quartiere di Istanbul, dove si svolse il quarto Concilio ecumenico con 600 vescovi, dall’8 ottobre al primo novembre del 451. Nell’odierna Turchia si erano svolti i tre precedenti Concili: Nicea (325), Costantinopoli (381) ed Efeso (431). Il gruppo dei 35 vescovi di 16 chiese viene accolto nella chiesa di Cristo Re a cui compete un vasto territorio dove vivono 3 mila persone della locale comunità armena. Il parroco spiega a tutti i presenti perché il Concilio di Calcedonia si è tenuto non lontano da questa chiesa dove si ricorda il martirio di santa Eufemia avvenuto il 16 settembre del 303. Era in discussione un’altra questione fondamentale del cristianesimo. Un monaco, Eutiche, e i suoi molti seguaci sparsi nelle comunità anche più lontane, sostenevano un’unica natura del Cristo: quella divina. Gesù era un uomo solo in apparenza perché la natura divina trascendeva e cancellava quella umana. Si contrapponevano due interpretazioni opposte. La visione ortodossa sosteneva la natura umana e divina del Cristo in opposizione a quella monofisita di Eutiche. Dopo accese discussioni i padri conciliari non riuscivano a mettersi d’accordo e affidarono la risoluzione allo Spirito Santo che in Oriente la gente percepisce come femminile. Per questo si affidano a santa Eufemia, perché donna. I padri conciliari scrissero le loro confessioni di fede su rotoli separati e sigillati. Aprirono l’urna della santa e collocarono entrambi i rotoli sul suo petto. Poi, alla presenza dell’imperatore Marciano, i partecipanti al Concilio sigillarono la tomba, apponendo su di essa il sigillo imperiale, mettendo una sentinella di guardia per tre giorni, durante i quali entrambe le parti si imposero un rigoroso digiuno e intense preghiere. Dopo tre giorni aprirono la tomba con le sue reliquie: la pergamena con la confessione ortodossa era tenuta da sant’Eufemia nella mano destra, mentre il rotolo degli eretici giaceva ai suoi piedi. Decise, insomma, lo spirito Santo, non gli studi, i sofismi e la teologia. Questo luogo così significativo e storico è di ispirazione per comprendere che “il cammino verso l’unità nella diversità – ha detto il cardinal Francis Kriengsack – è a volte faticoso e doloroso, ma se siamo fedeli può generare frutti per i secoli”. 
© CSC Audiovisivi – R. Meier
Come da tradizione per il convegno di vescovi di varie chiese cristiane, è seguito un solenne patto di amore reciproco che ha coinvolto tutti i presenti con la promessa di “essere pronti a dare la vita gli uni per gli altri” secondo il comandamento di Gesù “che vi amiate gli uni gli altri come ho amato voi”. Ispirazione accompagnata dalla lettura delle parole del Patriarca Atenagora: “Se ci disarmiamo, se ci spogliamo, se ci apriamo al Dio-uomo che fa nuove tutte le cose, allora è lui a cancellare il passato cattivo e restituirci un tempo nuovo dove tutto è possibile”. La firma di ognuno dei presenti davanti ad un’icona mariana suggella l’impegno. “Il patto di amore reciproco tra vescovi di chiese diverse – spiega Brendan Leahy, vescovo cattolico di Limerck in Irlanda – è un richiamo costante ad aprirmi, a non chiudermi nella mia diocesi. Vuol dire evitare la superficialità per andare alla radice del nostro essere cristiani e vescovi”. Per Michael Grabow, vescovo luterano di Augsburg “è un impegno a vivere la radicalità dell’amore e a ricordarmi che, anche se siamo di chiese diverse siamo fratelli e sorelle”. Geoffrey Rowell, vescovo e teologo inglese e anglicano, ricorda che “siamo uniti dallo stesso patto anche con i vescovi ortodossi rapiti ad Aleppo, in Siria, di cui non sappiamo nulla. Mentre i media dimenticano, noi li vogliamo sempre ricordare perché siamo legati da una comune fratellanza”. “Nel nostro lavoro quotidiano di vescovi – commenta il metropolita indiano Theophilose Kuriakose della chiesa copta ortodossa siriana – ascoltiamo molta gente per risolvere i loro problemi, ma qualche volta ti senti solo perché non c’è nessuno ad ascoltare i nostri. Abbiamo bisogno di sentire l’unità, la fratellanza che ci fa sentire fratelli senza derogare, naturalmente, alla mia comunione con Dio e alla scelta di Gesù crocifisso e abbandonato. Questo patto mi resta sigillato nel cuore, mi dà forza e mi fa sentire responsabile nella comunione con gli altri”. Dall’inviato Aurelio Molè (altro…)