Mar 14, 2013 | Centro internazionale, Chiesa, Spiritualità
«Insieme a tutta la Chiesa sono veramente felice di questo momento, che fa vedere sia la vitalità della Chiesa che la freschezza dello Spirito Santo che trova sempre il modo di sorprendere. Oltre alla sorpresa, perché certamente non era uno dei cardinali di cui si parlava, c’è la gioia di pensare che anche questo è un segno di novità, per la Chiesa di oggi, che mi pare stia vivendo un momento speciale, cominciato con la rinuncia al ministero di vescovo di Roma da parte di Benedetto XVI e seguito da questo nuovo papa, che ha saputo suscitare un’eco straordinaria in tutto il mondo. Molto significativa la scelta del nome Francesco, perché mi sembra esprimere il desiderio di un ritorno alla radicalità del Vangelo, ad una vita sobria, ad una grande attenzione all’umanità e anche a tutte le religioni. E inoltre mi sembra particolarmente degno di nota che sia un gesuita a scegliere il nome di Francesco: mi pare significhi apertura ai carismi, a tutti i carismi, riconoscere quanto c’è di buono in ognuno di essi e valorizzarlo. Sono stata poi particolarmente colpita dal suo stile semplice, familiare nella prima uscita sulla loggia: mi è parso che sapesse toccare il cuore degli uomini, delle donne, dei bambini presenti. Ritengo che in questo momento in cui si riscontrano gravi sofferenze nell’umanità, c’è bisogno di qualcuno capace di arrivare ai cuori e di far sentire a ciascuno la gioia di avere un padre e un fratello che ci vuole bene». Maria Voce, presidente del Movimento dei Focolari Su Città Nuova online leggi anche: Il Papa che viene “quasi dalla fine del mondo” – di Alberto Barlocci Fratellanza da vivere – di Piero Coda Il mondo accoglie il nuovo Papa – di Amanda Cima Jorge Mario Bergoglio è Papa Francesco – di Sara Fornaro, Maddalena Maltese (altro…)
Mar 9, 2013 | Centro internazionale, Chiesa, Dialogo Interreligioso, Spiritualità
La decisione di papa Ratzinger dello scorso 11 febbraio mi sembra ci abbia offerto un distillato della sua riflessione teologica e spirituale. Anzitutto l’evidenziare il primato di Dio, il senso che la storia è guidata da Lui. E ancora, l’indirizzarci a cogliere i segni dei tempi e a rispondervi con il coraggio di scelte sofferte, ma innovative. Con una chiara nota di speranza per “la certezza che la Chiesa è di Cristo”. Ma a quale Chiesa Benedetto XVI guardava? Per amore di quale Chiesa ha fatto un passo di simile portata? Penso di non sbagliare additando la “Chiesa-comunione”, frutto del Vaticano II ma anche prospettiva, “sempre più espressione dell’essenza della Chiesa”, come ha sottolineato papa Ratzinger anche alla fine del suo pontificato. Un “sempre più”, per dire che ancora non ci siamo appieno. Quale allora la direzione? La Chiesa, si sa, è per il mondo. Per questo, di fronte alle esigenze di riforma ad intra, mi sembra debba privilegiare il guardare fuori di sé, intensificare il dialogo con la società. Tale contatto vitale le permetterebbe di far sentire la sua voce chiara nella fedeltà al Vangelo e nel contempo ascoltare le istanze degli uomini e delle donne di questo tempo. Col risultato di trovare nuove risorse e insospettata vitalità anche al suo interno. Occorrerà insistere certamente sul dialogo ecumenico, sul grande tema dell’unione visibile tra le Chiese, cercando di arrivare a definizioni della fede e della prassi ecclesiale accettabili da tutti i cristiani. Auspicherei poi una Chiesa più sobria, sia in rapporto al possesso di beni che nelle espressioni liturgiche e nelle sue manifestazioni; proporrei una comunicazione più fluida e diretta con la società contemporanea, che consenta alla gente di rapportarsi con essa con più facilità, e un atteggiamento di maggiore accoglienza anche nei confronti di chi la pensa diversamente. Universalità e apertura ai dialoghi saranno perciò due note che dovranno essere raccolte dal nuovo Papa. Affinché possa rispondere a queste enormi sfide, lo immaginiamo uomo di profonda spiritualità, unito a Dio per cogliere dallo Spirito Santo le soluzioni ai problemi, nell’esercizio costante della collegialità, coinvolgendo altresì i laici, uomini e donne, nel pensare e nell’agire della Chiesa. A noi quindi spetta lavorare con nuovo senso di responsabilità. Si tratta di suscitare stimoli creativi su diversi livelli. Penso all’economia, che uscirà dalla crisi solo se si porrà al servizio dell’uomo; alla politica, che deve ritrovare credibilità tornando ad essere “vita comune nella polis”; alla comunicazione, che ha da essere fattore di unità nel corpo sociale; penso anche alla giustizia, nell’apertura verso chi sbaglia, chi patisce le piaghe dello sfruttamento, verso chi ha sofferto per gli errori di altri uomini e altre donne anche di Chiesa. Penso a coloro che si sentono esclusi dalla comunione ecclesiale, come le “nuove unioni”. Anche questo è Chiesa, perché il Cristo che l’ha fondata è morto sulla croce per sanare ogni divisione. Si tratta di far brillare il suo vero volto. Per questo ho invitato quanti aderiscono allo spirito del Movimento in tutto il mondo a un nuovo “patto” che accresca ovunque l’ascolto, la fiducia, l’amore reciproco in questo tempo d’attesa, affinché nell’unità e nella collegialità la Chiesa possa scegliere quel papa di cui anche l’umanità ha bisogno». Fonte: Zenit Altri articoli: Radio Vaticana Comunicati stampa del Servizio Informazione Focolari (altro…)
Feb 13, 2013 | Centro internazionale, Spiritualità
Al cristiano non è consentita la disperazione; non è consentito abbattersi. Possono crollare le sue case, disperdersi le sue ricchezze: egli si rileva, e riprende a lottare: a lottare contro ogni avversità. Gli spiriti pigri, accovacciati nelle consuetudini facili e comode, si spaventano all’idea della lotta. Ma il cristianesimo ci sarà finché resiste la fede nella resurrezione. La resurrezione di Cristo, che in sé c’inserisce e della sua vita ci fa partecipi, ci obbliga a non disperare mai. Ci da il segreto per rilevarci da ogni crollo. La quaresima è – e deve essere – anche un esame di coscienza, attraverso cui potessimo contemplare quel che di spento brulica al fondo della nostra anima e della nostra società, dove si aggancia la miseria d’un cristianesimo fattosi in molti di noi ordinaria amministrazione, senza palpiti e senza impeti, come vela senza vento. Deve essere, la resurrezione di Cristo, motivo di rinascita della nostra fede, speranza e carità: vittoria delle nostre opere sulle tendenze negative.La Pasqua a noi insegna a sconfiggere le passioni funerarie per rinascere. Rinascere ciascuno, in unità di affetti, col vicino, e ogni popolo, in concordia di opere, per stabilirci nel regno di Dio. Questo si traduce in una costituzione sociale, mediante un ordinamento che con un’autorità, leggi e sanzioni, agisce per il bene degli uomini e arriva al cielo, ma attraverso la terra. E si modella sull’ordine divino. La sua legge è il Vangelo, e comporta l’unità, la solidarietà, l’eguaglianza, la paternità, il servizio sociale, la giustizia, la razionalità, la verità, con la lotta alla sopraffazione, alle inimicizie, all’errore, alla stupidità… Cercare il regno di Dio è quindi cercare le condizioni più felici per l’espressione della vita individuale e sociale. E si capisce: dove regna Dio, l’uomo sta come un figlio di Dio, un essere d’infinito valore, e tratta gli altri uomini ed è trattato da loro come fratello, e fa agli altri quel che vorrebbe che gli altri facessero a lui. E i beni della terra sono fraternamente messi in comune, e circola l’amore col perdono, e non valgono barriere, che non hanno senso nell’universalità dell’amore. Mettere per fine primo il regno di Dio, dunque, significa innalzare la meta della vita umana. Chi persegue per prima cosa il regno dell’uomo persegue un bene soggetto a rivalità e contestazioni. Invece l’obiettivo divino trae gli uomini più su del piano delle loro risse e li unifica nell’amore. Poi, in quella unificazione, in quella visione superiore delle cose della terra, anche la faccenda del mangiare, vestire e godere riprende le sue proporzioni, si colora d’un senso nuovo e si semplifica nell’amore, e si ha la vita piena. In questo senso anche per noi, Cristo ha vinto il mondo. Igino Giordani, Le Feste, Società Editrice Internazionale (S.E.I.), Torino, 1954. (altro…)
Feb 11, 2013 | Centro internazionale, Chiara Lubich, Dialogo Interreligioso, Focolare Worldwide, Focolari nel Mondo, Sociale, Spiritualità
«Una storia straordinaria, divina, che conoscete bene. Tantissimi anni di fedeltà e d’impegno da parte di molti di voi, che hanno fatto germogliare quel seme – piantato all’inizio in Camerun – da cui sono fioriti brani di umanità rinnovata dall’amore che tendono alla realizzazione del piano di Dio per tutto il grande continente africano e oltre». Sono alcuni stralci del messaggio che Maria Voce (Emmaus), presidente dei Focolari, ha inviato ai membri del movimento in Africa, che quest’anno festeggiano il 50° anniversario dell’arrivo del “carisma dell’unità” nel loro continente. Sono 2000 le persone radunate lo scorso 9 febbraio a Shisong, nella Regione di Bamenda (Nord-ovest del Camerun); lì dove i primi focolarini sono arrivati, il 12 febbraio del 1963. Sono tutti quelli che si riconoscono come “figli di Chiara”, che nel gennaio del 2009 avevano celebrato il Cry Die, (la fine del lutto) per la fondatrice dei Focolari, evento con il quale Chiara Lubich è stata solennemente annoverata tra gli antenati e quindi degna di essere ricordata e invocata, perché “il suo ideale di solidarietà, spiritualità, condivisione, amore, non può morire”. Ci sono anche quanti, nel corso degli anni sono stati coinvolti nell’azione della “Nuova Evangelizzazione”, un piano organico messo a punto nel 2000 tra Chiara e il Fon (re) di Fontem (nel Sud-ovest del Paese) che per primo si è impegnato davanti al suo popolo a vivere lo spirito di amore e di unità del Vangelo. È lo stesso Fon che in seguito ha coinvolto i capitribù e i notabili. L’appuntamento di Shisong è iniziato con il Time Out per la pace, ed è proseguito con la ‘preghiera per la celebrazione del Giubileo’, nella quale si chiede a Dio di accrescere la fede in Lui, con lo sguardo rivolto ai ‘pionieri’ di questa avventura (Chiara Lubich, il vescovo Julius Peeters e il Fon Defang); di saper ricominciare con umiltà ad amare ogni prossimo, di camminare verso la fraternità universale; di aumentare la fiamma della carità in ogni comunità, in modo da essere apostoli del testamento di Gesù “Che tutti siano uno” (Gv, 17.21).

Bruna Tomasi e Lucio dal Soglio con
un gruppo di focolarini in Nigeria
Presenti in modo speciale, attraverso un messaggio, anche due tra i primi focolarini, che tanto si sono spesi in Africa: Bruna Tomasi e Lucio Dal Soglio. La lettura delle loro parole, e di quelle di altri tra i protagonisti degli inizi (Rosa Calò, Rita Azarian) introduce al documentario: “Focolari, 50 anni in Africa”, che ripercorre le tappe di questa storia, che passa anche dall’esperienza di Piero Pasolini e Marilen Holzhauser. Anche il numero speciale di New City, edizione africana di Città Nuova, è interamente dedicato al tema. Fin dagli inizi la Parola di Dio non è rimasta oggetto di contemplazione, ma si è tradotta in scelte concrete nella vita quotidiana. Con la nascita delle varie comunità si è sperimentato quello spirito di famiglia in cui mettere in comune anche le necessità, e inoltre sono nate molte iniziative nel continente, compresi programmi sociali, scuole e centri sanitari: dal College a Fontem, ad asili, scuole primarie e programmi di doposcuola in Camerun, Nigeria, Tanzania, Burkina Faso, Costa d’Avorio, Kenya. Un ospedale a Fontem, centri medici in Uganda, R.D. del Congo e Costa d’Avorio. Attività per combattere la malnutrizione; laboratori di falegnameria per i giovani in Sud Africa, Camerun, Costa d’Avorio e Kenya; un progetto agricolo in Nigeria.
Dai primi anni ’70 inoltre parecchi giovani africani scoprono la “strada di Chiara” e, con essa, un nuovo stile di vita. Come lei, Anne Nyimi Pemba (Congo) e Venant Mbonimpaye (Burundi) hanno lasciato ogni cosa per seguire Gesù, imbarcandosi in questa nuova strada per la vita consacrata in Africa. Loro sono stati tra i primi, come Teresina Tumhiriwe, Uganda, Benedict Menjo e Dominic Nyuyilim del Camerun, quest’ultimo presente nella celebrazione di Shisong, testimoniando la propria esperienza. Dopo di loro ne sono seguiti molti altri. Alla festa di Shisong c’era anche la Mafua Christina, regina dei bangwa, e il prof. Martin Nkafu, originario di Fontem e docente di Filosofia e culture tradizionali alla Pontificia Università Lateranense. Oltre alle loro personali esperienze, è seguita una carrellata offerta dalle nuove generazioni – bambini, ragazzi e giovani – che segnano la continuità di oggi con l’Ideale di fraternità che ha messo radici 50 anni fa. «Un popolo nato dal Vangelo, capace di testimoniare l’essere famiglia al di là dell’appartenenza a tribù, etnie e popoli diversi» ha scritto ancora nel suo messaggio Maria Voce, con l’augurio di ripartire insieme da questa tappa importante – che durerà tutto l’anno, con una celebrazione in Kenya alla Mariapoli Piero, il 19 maggio, durante il congresso panafricano dei Volontari di Dio, e altri appuntamenti in vari Paesi africani. (altro…)
Feb 4, 2013 | Centro internazionale, Focolare Worldwide, Focolari nel Mondo
Difficile immaginare un luogo più vivibile di Wellington. È vero, qui siamo in estate, il sole splende e la temperatura è ideale. È vero, Eolo in queste ore non soffia troppo impetuoso, nella città considerata la più ventosa al mondo, dopo Chicago. È vero, in questo weekend si svolge la Seven’s Cup, la maggior competizione di rugby a sette del Paese: la gente usa mascherarsi per l’occasione, per la gioia dei fotografi. Ma Wellington in ogni caso è veramente incantevole. Al Saint Mary’s College della capitale, appena sopra le cattedrali cattolica e anglicana, nel weekend del 2 e 3 febbraio si riunisce la comunità neozelandese dei Focolari, più di 200 persone provenienti dalle due principali isole che costituiscono il Paese, appartenenti sia alla maggioranza non indigena che alla minoranza maori, la popolazione locale per cui la è “Aotearoa” (la terra della lunga nuvola bianca). A differenza dell’Australia, dove la convivenza tra gli aborigeni e i non-indigeni presenta ancora gravi difficoltà, qui in Nuova Zelanda le relazioni interetniche sono molto meno problematiche, grazie agli sforzi congiunti delle autorità civili, religiose e culturali. Il Paese pare ormai un vero esempio di convivenza pacifica.
Non poteva essere che una karana, il popolare inno danzato maori, a salutare l’arrivo degli ospiti di Roma. Canti corali si alternano a potenti grida – di sfida e di accoglienza nello stesso tempo –, come in qualche modo abbiamo conosciuto dai massimi ambasciatori della Nuova Zelanda nel mondo, i favolosi All Blacks, la squadra di rugby più forte che esista sul pianeta. Un breve ma efficace percorso storico – fatto di immagini, suoni, danze e testimonianze – permette agli ospiti e ai locali di riprendere, valorizzare e capire meglio la vicenda di un popolo composito ma unito, che ha saputo, grazie anche e soprattutto alla presenza cristiana, avere una reale coesione sociale. Che ha permesso di vantarsi dell’invidiabile qualità di coloro che non hanno nemici e che sanno accogliere. Istruttivo, non c’è che dire. Soprattutto in un’epoca in cui l’immigrazione è all’ordine del giorno, anche qui, proveniente in primo luogo dai Paesi asiatici. Welcome home, benvenuti a casa canta la band che coniuga sonorità europee con ritmi e interpunzioni locali, in un mix suggestivo.
La ancor breve storia del “popolo nato dal Vangelo”, quello di Chiara Lubich, non poteva che cominciare con il Salmo: «Chiedilo, e ti darò in eredità tutte le nazioni, fino agli ultimi confini della Terra». Qui siamo esattamente agli antipodi di Trento, proprio agli ultimi confini… Una storia cominciata con un adulto olandese, Evert Tros, e con un giovane neozelandese, Terry Gunn, che avevano deciso di cominciare a vivere alla maniera evangelica, seguendo l’esempio della maestrina di Trento. Una storia proseguita più tardi con l’arrivo del focolare, accolto dall’arcivescovo Tom Williams, ora cardinale emerito di Wellington, che tra l’altro aveva conosciuto il carisma dell’unità a Roma, nel 1960, durante le Olimpiadi romane. Per raggiungere poi, in tempi diversi, tutte le principali città della nazione e anche tante zone rurali. È una comunità, quella dei Focolari locali, che appare uno spaccato fedele della società, sia per le diverse età presenti, sia per la composizione “sociologica”con maori e non-maori, ricchi e meno ricchi, immigrati recenti e meno recenti. Bill Murray è un elder, cioè un anziano della sua tribù, Ngati Apa. Con decisione afferma: «Dopo aver conosciuto il focolare ho cambiato non poco la mia vita e il mio modo di essere elder. L’amore di Gesù ormai è parte integrante del mio modo di fare. Ogni mio giudizio o decisione vengono sostenuti dall’amore che ho appreso da Chiara». Riconosce l’importanza dei Focolari per la Nuova Zelanda anche l’attuale arcivescovo di Wellington, mons. John Dew: «Nella secolarizzazione presente lo Spirito ha inviato alcuni carismi per rendere sempre nuovi i messaggi del Vangelo. Qui in Nuova Zelanda vedo che i Focolari hanno capito il popolo e le sue esigenze, e sanno operare con fantasia e coraggio». Alle comunità provenienti dalle città di tutta la Nuova Zelanda, praticamente dall’estremo Nord alle propaggini più meridionali del Paese, si rivolgono Maria Voce e Giancarlo Faletti. «I viaggi che ho fatto mi hanno permesso di conoscere le bellezze di tanti popoli. Figurarsi di voi, che vivete in un Paese così bello e ricco di umanità», ha esordito la presidente, suscitando l’applauso della sala. Anche qui emerge, come già era accaduto in Australia, la forte influenza della secolarizzazione e della multiculturalità. Sono domande esistenziali quelle che vengono poste dai giovani e giovanissimi, sull’esistenza di Dio, sulla salvezza portata da Gesù, sulla libertà che
l’uomo ha di peccare, sulla forza di cambiare sé stessi, su cosa si può fare per chi non ha una casa o un lavoro, sulle gravi piaghe innocenti della follia… Sono i figli delle famiglie cristiane che si pongono tali domande, ad evidenziare una nuova, vasta frontiera di evangelizzazione. Le riposte – «sono un cercare insieme, non affermazioni tutte fatte», precisa Maria Voce – indicano l’amore di Dio come risposta credibile e la via della condivisione, dell’unità, come metodo per riuscire a non fallire sotto al peso di tale domande. Altre domande vertono sulla non-credenza, sulle difficoltà nell’educazione alla fede. Maria Voce e Giancarlo Faletti cercano anche in questo caso di dar coraggio, di suggerire la forza dell’unità come risposta, come luogo dove trovare le risposte adeguate. E invitano tutti, anche chi non crede, a mettersi insieme per dare una testimonianza adeguata ai tempi e alle situazioni. Altra domanda impegnativa: «Dio è irrilevante nella vita della maggioranza della gente. Tendiamo perciò a non parlare di Dio. Sappiamo che per prima cosa bisogna amare i nostri prossimi, ma basta? Bisogna anche parlare?». Risponde Giancarlo Faletti: «Dobbiamo vedere Gesù in ognuno e quindi ognuno va amato come se parlassimo con Gesù. Questa è la base. Dopo che l’abbiamo fatto, sentiremo la necessità di parlare ad ognuno nel modo più adeguato per lui». Ma c’è di più: «Dobbiamo saper scegliere i comportamenti giusti, non facendo certe cose o addirittura lasciando certe situazioni. Poi bisogna in qualche modo spiegarsi. Dobbiamo vedere nella nostra vita un annuncio di Gesù e dell’amore di Dio». «Vedo nel Movimento, in qualche modo, la Chiesa così come dovrebbe essere. Come far sì, allora, che tutti sperimentino Gesù in mezzo (Mt 18,20)?», chiede un’aderente del Movimento. E Maria Voce: «Giovanni Paolo II ha detto qualcosa di simile: “Vedo in voi la Chiesa postconciliare”. Come far sì, allora, che tutta l’umanità esperimenti la presenza di Gesù in mezzo? Non sappiamo quando, ma accadrà, perché Gesù lo vuole avendo chiesto al Padre l’unità (Gv, 17,21). Ma ci chiede di aiutarlo a realizzare questo sogno. La nostra parte è quella di stabilire in mezzo all’umanità dei piccoli fuochi, di persone unite nel nome di Gesù. Magari solo due, ma insieme: in una scuola, in un ospedale, in un band, anche in un campo di cricket. Due persone sole, un piccolo fuoco. Ma tanti piccoli fuochi ad un certo punto si collegheranno con gli altri fuochi. E il fuoco diventerà sempre più grande, anche se non sappiamo molto spesso dove il fuoco ha già attaccato. È certo che Dio sta lavorando. E allora cooperiamo anche noi con lui, accendendo e tenendo accesi questi piccoli fuochi». Quest’oggi Wellington è il centro del “popolo nato dal Vangelo”, e non più l’ultimo confine della Terra. di Michele Zanzucchi, inviato (altro…)
Gen 31, 2013 | Centro internazionale, Chiesa, Focolare Worldwide, Focolari nel Mondo
Sono il 26 per cento della popolazione, i cattolici in Australia. Compongono comunque la Chiesa più diffusa del mondo cristiano, che raggruppa più o meno la metà della presenza umana nel Paese più multiculturale del mondo. La conferenza episcopale è composta da 42 vescovi, guidata oggi dall’arcivescovo di Melbourne, Denis James Hart.
È indiscutibile come la Chiesa australiana stia attraversando un momento di grandi sfide: la crescente secolarizzazione («un vero challenge per la coscienza civile e religiosa del Paese», come dice il Vescovo Peter Elliott, ausiliare di Melbourne); il fenomeno migratorio che porta fedeli di altre religioni anche in Australia («la nostra Chiesa è più di ogni altra in cammino, perché è composta in massima parte da immigrati», dice il responsabile della pastorale per i migranti, padre Maurizio Pettena); le accuse rivolte alla Chiesa cattolica sugli abusi sessuali verso i minori («che ha tolto molta credibilità alla parola dei nostri pastori», come conferma Bob Dixon, responsabile del centro studi per la pastorale della Conferenza dei vescovi australiani); per l’insegnamento dell’etica sessuale che in particolare i giovani in gran parte non condividono («anche se c’è una forte sensibilità, anche nei non cattolici, per il pensiero cristiano sul corpo», spiega Matthew MacDonald, executive officer per l’ufficio dell’arcidiocesi di Melbourne per vita, matrimonio e famiglia)… In uno dei luoghi-simbolo della Chiesa locale, il Thomas Carr Center, accanto alla cattedrale neogotica di Melbourne, sono stati invitati alcuni vescovi amici del Movimento. Movimento assai apprezzato dai vescovi per la sua “marianità”, come mi spiega il vescovo di Sale, mons. Christofer Prowse, grazie alla conoscenza avuta nelle diocesi, ma anche nell’attuale meeting annuale dei vescovi australiani coi Movimenti ecclesiali. Mons. Prowse è colui che ha organizzato l’incontro. Racconta della sua conoscenza dei Focolari, ancora era seminarista, quando aveva apprezzato lo Spirito Santo che operava in Chiara Lubich: scherzosamente, ma non troppo, sostiene di essere stato colpito anche dalla «bellezza immacolata dei suoi capelli». Il fatto è che «qualcuno mi metteva la “Parola di Vita” sotto la porta… Poi ho conosciuto il Movimento e ho potuto apprezzarlo, anche per il carattere conciliare della sua presenza ecclesiale. I Focolari, senza mai imporre le loro intuizioni, mettono in atto una grande accoglienza, nel dialogo e dell’amicizia che conquistano i cuori». E conclude: «Ho fatto una straordinaria esperienza alla Mariapoli di Phillip Island, che mi ha molto aiutato e rafforzato nella fede. Lo Spirito Santo lavora dolcemente ma fermamente nel Movimento». In tutto sono presenti una dozzina di vescovi e sacerdoti, più alcune autorità del mondo cattolico, diversamente impegnati nelle diocesi, tra cui il vescovo anglicano Phillip Huggins, che dal 1990 conosce i Focolari, coi quali ha collaborato fattivamente per la Wcrp. L’arcivescovo di Bangkok, moderatore dei vescovi amici del Movimento, mons. Francesco Kriengsak, ha inviato un suo messaggio, sottolineando come «il carisma dell’unità sia un grande aiuto nel portare avanti la nuova evangelizzazione».
In un clima molto familiare, semplice come gli australiani sanno creare, il vescovo Prowse presenta Maria Voce con molto calore, in particolare per l’incontro avuto con lei all’ultimo sinodo di vescovi. La presidente che presenta quindi il pensiero del Movimento sulla nuova evangelizzazione a partire dalla recente esperienza come uditrice al Sinodo. Manifesta l’impegno a portare fuori dal Vaticano l’esperienza di Chiesa che è stata fatta al sinodo e che i documenti non possono certo raccontare pienamente. Un’esperienza in primo luogo di conversione: «La Chiesa ne è uscita più povera di gloria e di onori, dopo un periodo di umiliazioni, ma più ricca di Dio e quindi più potente. Il sinodo ha messo in luce in particolare le parole evangeliche che riguardano l’amore». E, a proposito del desiderio dei padri sinodali di portare il Vangelo fuori dalle chiese, ha detto: «Mi sembra che sia realizzato in tante parti del mondo anche dalle comunità del Movimento, soprattutto per la presenza di Gesù in mezzo ai suoi». Nel corso del dialogo, Mons. Elliott dice come la spiritualità dell’unità lo abbia molto aiutato, soprattutto all’inizio del suo ministero, e invita Maria Voce a parlare di Gesù abbandonato e di Gesù in mezzo. «Se non si sceglie Gesù abbandonato non si può avere Gesù in mezzo. Ma quando Gesù si rende presente, la gioia arriva e prende dimora tra i suoi amici», precisa la presidente. Un’altra domanda verte sull’esperienza della presidente ad Istanbul, «dove ho sperimentato l’accoglienza reciproca possibile coi musulmani». Poi si parla anche della diffusione attuale del Movimento, delle sue nuove frontiere dopo la morte della fondatrice. Infine, il copresidente Giancarlo Faletti, da parte sua, porta una riflessione sulla proposta che il Movimento offre ai sacerdoti e ai vescovi. di Michele Zanzucchi, inviato (altro…)