30 Mar 2018 | Chiesa, Focolari nel Mondo, Nuove Generazioni
“Pace, amore, fiducia, equità, libertà e giustizia”. Ma anche sicurezza, ascolto, considerazione e partecipazione. È ciò che desiderano i giovani di tutto il mondo, a tutte le latitudini, di tutte le fedi e convinzioni, di qualunque condizione sociale, economica e culturale. Giovani che anche laddove “non si riconoscono più nelle religioni tradizionali e non si definirebbero come religiosi”, tuttavia “sono aperti alla spiritualità”, desiderosi di spendersi per gli altri e per il bene comune, e in cerca di guide che li aiutino a scoprire la propria vocazione e a dare senso alla propria vita. Lo hanno raccontato loro stessi in occasione dell’incontro che si è svolto a Roma dal 19 al 24 marzo, inteso come momento preparatorio al XV Sinodo ordinario dei Vescovi voluto da Papa Francesco sul tema “I giovani, la fede e il discernimento vocazionale” che si terrà in ottobre. Oltre 300 fisicamente presenti e altri 15mila collegati via web, hanno raccontato alla Chiesa – che per la prima volta li ha accolti per ascoltarli in un incontro del genere – dei loro sogni e delle loro sfide, e hanno detto cosa si aspettano dai ministri di Dio e cosa chiedono alla società più ampia, hanno offerto le loro testimonianze e le loro proposte perché l’annuncio del Vangelo raggiunga un numero crescente di giovani con un linguaggio adatto e un atteggiamento umile e dialogante. Seguendo l’indicazione di Papa Francesco, che ha chiesto loro di parlare liberamente, avendo la “faccia tosta” di dire anche cose scomode, i ragazzi hanno detto con forza di volere “modelli attraenti, coerenti e autentici”, “testimoni vivi, in grado di evangelizzare attraverso le loro vite”, “uomini e donne in grado di esprimere con passione la loro fede e la loro relazione con Gesù, e nello stesso tempo di incoraggiare altri ad avvicinarsi”. Alla Chiesa chiedono di essere accogliente e misericordiosa, umile e umana, inclusiva, coerente e credibile, capace “di entrare in empatia con tutti i giovani del mondo” e di esprimere “tenerezza” anche verso coloro “che non seguono quelli che crediamo essere gli standard”. E si aspettano “spiegazioni razionali e critiche a questioni complesse”, come i temi della sessualità, “le dipendenze, i matrimoni falliti, le famiglie disgregate”, e “i grandi problemi sociali, come la criminalità organizzata e la tratta di esseri umani, la violenza, la corruzione, lo sfruttamento, il femminicidio, ogni forma di persecuzione e il degrado dell’ambiente naturale”. Ammettono di non avere una visione unitaria su temi complessi come l’accoglienza dei migranti e dei rifugiati, pur riconoscendo “il dovere universale alla cura per la dignità di ogni persona umana”, e affermano che “c’è spesso grande disaccordo tra i giovani, sia nella Chiesa che nel mondo, riguardo a quegli insegnamenti che oggi sono particolarmente dibattuti”, fra cui “contraccezione, aborto, omosessualità, convivenza, matrimonio e anche come viene percepito il sacerdozio”. Nonostante questo, anche coloro che non condividono pienamente gli insegnamenti ufficiali “desiderano comunque essere parte della Chiesa”. E ancora, sono spaventati dall’“instabilità sociale, politica ed economica” e alla Chiesa chiedono che sia “solidale e protesa verso coloro che lottano nelle periferie”. Vogliono una guida sicura, perché “le risposte semplicistiche non sono sufficienti”. E si aspettano che la Chiesa riconosca i propri errori, le mancanze e le piaghe più dolorose: solo così potrà essere credibile e affidabile. I giovani chiedono di essere coinvolti maggiormente negli organismi ecclesiali, di poter partecipare anche con ruoli di responsabilità e di leadership nei contesti più ampi come nei piccoli gruppi parrocchiali, e sottolineano l’esigenza di dare più spazio alle donne, ai loro talenti e alla loro sensibilità. Vogliono essere cercati, e trovati, dalla Chiesa nei luoghi che frequentano, reali e virtuali, dai bar alle palestre, ai social network. E vogliono saperne di più sui Sacramenti e partecipare ad eventi su larga scala come le GMG ma anche a piccoli gruppi diocesani o di parrocchia. Cercano inclusione: “anche piccoli gruppi locali dove possiamo esprimere i nostri interrogativi e condividere la fraternità cristiana sono di primaria importanza nel conservare la fede”. Sono giovani in ricerca, dunque, della propria vocazione nel mondo e di un senso più profondo da dare alla vita, custodiscono e coltivano una propria spiritualità e riconoscono – quasi sempre – nella Chiesa un interlocutore importante. Adesso la parola passa proprio alla Chiesa, che nel suo annuncio, d’ora in poi, non potrà non tener conto della loro voce. L’appuntamento è per l’Assemblea sinodale di ottobre, ma intanto il Papa ha assicurato “sarete presi sul serio”. Claudia Di Lorenzi Leggi il documento finale (altro…)
24 Mar 2018 | Chiesa, Focolari nel Mondo, Spiritualità
«In te Signore ho posto la mia speranza; non sarò confuso in eterno (Sal 71, 1)». Così iniziò la sua ultima omelia nel Duomo di Aachen (Germania), il vescovo Klaus Hemmerle, già gravemente malato. Era la fine del 1993. «Dio, tu mi reggi forte così come sono. Dio, tu reggi il mondo così com’è. Dio, tu reggi forte questo prossimo così com’è. Essere sorretti da Lui che è sceso nella “kenosi”, che si è spogliato di tutto e ha preso la forma di servo: questa è l’unica via in cui si può riaprire per noi la porta della speranza. Accogliere Lui che ci ha accolti per primo. Farci portare da Lui. Credere che siamo sorretti da Lui. Questa è la cruna dell’ago attraverso cui riceviamo il filo della speranza che vi è infilato. Questo Dio può darci davvero la speranza. E qui la nostra Chiesa con tutti i suoi sbagli e le sue debolezze, con tutte le sue richieste e le sue sfide troppo grandi e troppo piccole, può essere una realtà straordinaria: una comunità di uomini che credono al fatto che sono stati accolti e sostenuti, una comunità di uomini che si sostengono reciprocamente, in cui ognuno regge l’altro». Da “Klaus Hemmerle, innamorato della Parola di Dio” – Città Nuova Ed. pp 290-91 (altro…)
23 Mar 2018 | Chiesa, Focolari nel Mondo, Nuove Generazioni
“Ho visto nel Papa l’entusiasmo dell’ascolto. Ci ha chiesto di parlare con coraggio, senza filtri, liberamente e noi lo facciamo. La Chiesa è a nostra disposizione, e siamo certi che il Sinodo di ottobre porterà molti frutti”. Stella Nishimwe viene dal Burundi, è membro del Movimento dei Focolari e alla riunione pre-sinodale rappresenta il suo Paese. “Sono stata colpita da quello che ha detto ieri Papa Francesco. È un Papa in gamba, che vive con il popolo di Dio e che veramente conosce la realtà del mondo e vuole cercare con il popolo le soluzioni, a partire dalla vita. Mi aspetto, dal Sinodo, un nuovo cammino della Chiesa con i giovani dove i giovani si sentano responsabili di portare la Chiesa insieme”. Nishimwe parla poi della condizione dei giovani nel suo Paese: “Vivono nella povertà, nella incertezza del futuro, con una disoccupazione molto alta. Con questo Sinodo vedo una Chiesa che ascolta, che cammina con noi, che condivide le difficoltà che i giovani vivono in diversi Paesi, in contesti di guerra, povertà, disoccupazione. Sono situazioni che difficilmente potranno cambiare, ma almeno possiamo provarci insieme e così facendo sperimentare di essere, come Chiesa, un’unica famiglia”. Fonte: SIR
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22 Mar 2018 | Chiesa, Cultura, Dialogo Interreligioso, Ecumenismo, Focolari nel Mondo, Nuove Generazioni, Spiritualità

Jonathan Michelon
Jonathan, come si svolgono i lavori? «Ci sono sessioni in plenaria e di gruppo. I gruppi sono una ventina, divisi per lingua: inglese, francese, spagnolo e italiano. Ogni gruppo ha un redattore e un facilitatore. I partecipanti devono rispondere insieme alle 15 domande proposte dal documento del Sinodo. Alla fine, sarà prodotto un documento che verrà poi consegnato ai Padri Sinodali». Di cosa trattano le domande? «La prima parte è dedicata alle sfide e alle opportunità delle giovani generazioni nel mondo di oggi. Quindi, la formazione della personalità, la relazione con gli altri popoli, le sfide interreligiose, le differenze viste come opportunità, i giovani e il futuro, i loro sogni, il rapporto con la tecnologia, la ricerca del significato della vita, la relazione tra vita quotidiano e il sacro». E la seconda parte delle domande? «Si è parlato della fede, della vocazione, il senso della specifica missione del giovane nel mondo, del discernimento e dell’accompagnamento vocazionale. Poi, il loro rapporto con Gesù, come è percepita dai giovani la figura di Gesù nel terzo millennio. Un’ultima parte era dedicata alle attività formative e pastorali della Chiesa, il rapporto dei giovani con la Chiesa e le loro esperienze».
Da dove provengono i giovani del tuo gruppo? «Dall’Europa (Slovenia, Germania, Grecia, Polonia) ma anche dai continenti, addirittura dalle isole Samoa americane, nell’oceano Pacifico. Un giovane sikh ha condiviso la sua esperienza di fede e il rapporto con i sacerdoti del loro tempio, che sono sempre pronti a dare a tutti una parola di pace. C’è anche una giovane anglicana dello Zimbabwe e che studia per diventare sacerdote. C’è molta saggezza, e il confronto è arricchente». Ci sono esperienze che ti hanno colpito? «Una, in particolare, è quella di un giovane medico polacco, legato al cammino neocatecumenale che, con la moglie, ha fondato un’associazione che si occupa della cura dei moribondi. Stimolato dalla meditazione del primo giorno, sul senso profondo del dolore, basata sull’esperienza di Chiara Luce Badano, ha raccontato quello che vivono. Con gli altri dell’associazione vanno dai malati, li assistono e li invitano ad offrire il loro dolore per tutti. Così, queste persone lasciano la terra “pieni di vita” perché, come lui dice, “la morte è il più bel periodo della vita, perché ci avviciniamo a Dio, a Chi amiamo di più”». Ai giovani dei Focolari è stata affidata l’animazione della messa e le meditazioni quotidiane… «Sì, alcuni giovani della Scuola Gen di Loppiano e dei Centri Gen a Roma hanno formato un coro, il quale sta ora diventando un gruppo inclusivo: invitano chi ha i talenti a partecipare all’animazione della messa. Ieri, si è unito un violinista. Davvero una bella esperienza». Quindi, i giovani sono felici di questa esperienza? «Ci stiamo rendendo conto che stiamo vivendo un momento storico nella Chiesa cattolica. È la prima volta, in 2000 anni, che si fa un sinodo per i giovani con i giovani! Ma per loro è naturale contribuire così alla Chiesa. La Chiesa è loro. Si comportano con il Cardinale e anche con Papa Francesco come con i loro migliori amici: danno loro la mano, li abbracciano… È molto bello». E per te? «Per me è un’esperienza unica, ti rendi conto della vastità della Chiesa e della sua incidenza nel mondo. Qui, hai il mondo, l’universalità della Chiesa». Fonte: Loppiano online
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21 Mar 2018 | Chiara Lubich, Chiesa, Focolare Worldwide, Focolari nel Mondo, Spiritualità

Andrea Riccardi
Incontriamo Andrea Riccardi a Castel Gandolfo, presso il Centro Mariapoli. Il clima è quello dei giorni di festa, centinaia di persone (saranno duemila in tutto, alla fine) stanno confluendo all’appuntamento in occasione del decimo anniversario della morte di Chiara Lubich. Fuori la porta del salottino dove lo incontriamo è tutto un vociare festoso. «Dieci anni dopo, ritornare su Chiara Lubich non è ritornare al passato, non è fare archeologia – afferma Andrea Riccardi – e non è nemmeno fare solo una memoria sentimentale, come si può avere per una persona che è stata importante nella Chiesa. Ma – confida – credo sia stata importante anche nella mia vita». Riferendosi agli anni cruciali in cui in Europa, dopo una parentesi lunga un secolo, rinasceva la democrazia, cadeva il muro e la “cortina di ferro” veniva smantellata, il Fondatore della Comunità di Sant’Egidio afferma: «Secondo me, il messaggio di Chiara ha più valore oggi che al tempo della Guerra fredda o con l’89. Oggi, in questo mondo globale, il messaggio di Chiara ci parla del destino comune di tutti gli uomini, dell’unità dei popoli e dell’unità della famiglia umana. Ma non è il messaggio di una sociologa, pur essendo un messaggio molto profondo, perché Chiara era una donna capace di sintesi e di profondità, capace di analisi e di comunicazione semplice». «Oggi c’è bisogno di un messaggio di unità perché questo mondo globale non si è unificato spiritualmente. Lo diceva il patriarca Atenaghoras [Patriarca ecumenico di Costantinopoli], il grande amico di Chiara: “C’è una unificazione del mondo, ma non c’è una unificazione spirituale”. E Chiara ci dice che questo mondo si può unificare, i poveri con i ricchi, i lontani con i vicini, gli stranieri con i nativi. Chiara ci dice anche – aggiunge – che io piccolo uomo, che tu piccola donna, che tu giovane, che tu anziano, tu puoi, tu puoi cambiare il mondo». «Chiara è stata l’amica dei grandi, apprezzata dai grandi. Penso alla sua amicizia con Giovanni aolo II, che diceva “la mia coetanea Chiara”. Però ha mostrato anche che il mondo si può cambiare con i piccoli che hanno fede. È Maria nel Magnificat».
«Chiara mi ha aiutato a capire cosa significa il valore del carisma, perché Chiara ha riconosciuto in me, ha riconosciuto nella comunità di Sant’Egidio un carisma. E lei aveva un senso profondo delle persone e delle esperienze di Chiesa». E conclude: «Per me Chiara è anche il ricordo molto caro di una amicizia profonda. Chiara è stata un’amica, un’amica nelle piccole cose, nell’attenzione con cui riceveva alla sua tavola, nelle telefonate, nella cura personale. Ma poi è una persona che ha visto giusto in grandi momenti della Chiesa. Io penso per esempio all’incontro di Giovanni Paolo II coi movimenti, quando Chiara disse: “Questa è una folgorazione del Papa, è un punto di arrivo e deve essere un nuovo punto di partenza”. Il mio affetto si accompagna oggi a una memoria orante con Chiara, per Chiara». Vedi l’intervista (altro…)
20 Mar 2018 | Chiara Lubich, Chiesa, Spiritualità

Foto: Pixabay
La gioia dei primi cristiani (come del resto quella dei cristiani di tutti i secoli, là dove il cristianesimo è compreso nella sua essenza e vissuto nella sua radicalità), la gioia dei primi cristiani era una gioia nuova, mai conosciuta fino allora. Non aveva niente a che fare con l’ilarità, con il buonumore, con l’allegria. Né era semplicemente “la gioia esaltante dell’esistenza e della vita” – come direbbe Paolo VI – né “la gioia pacificante della natura e del silenzio”, né la gioia o “la soddisfazione del lavoro compiuto”, né solamente “la gioia trasparente della purezza” o quella “dell’amore casto”… tutte gioie belle. Ma quella dei primi cristiani era diversa: era una gioia simile a quell’ebbrezza che aveva invaso i discepoli alla discesa dello Spirito Santo. Era la gioia di Gesù. Perché Gesù, come ha la sua pace, così ha la sua gioia. E la gioia dei primi cristiani, sgorgata spontanea dal fondo del loro essere, saziava completamente il loro animo. Essi avevano trovato veramente ciò di cui l’uomo di ieri, d’oggi, di sempre va in cerca: Dio che – come abbiamo visto – lo soddisfa pienamente. Avevano trovato la comunione con Dio, elemento essenziale alla loro piena realizzazione. Erano uomini. L’amore, infatti, la carità, di cui Cristo attraverso il battesimo e gli altri sacramenti arricchisce il cuore dei cristiani, si può raffigurare a una pianticella. Più essa affonda le radici nel terreno della carità fraterna (più cioè gli uomini amano i propri fratelli), più il fusto svetta verso il cielo: più cresce nel cuore l’amore verso Dio, la comunione con Lui, non creduta solo per fede, ma sperimentata. E questa è felicità: si ama e ci si sente amati. Questa era la felicità dei primi cristiani adulti e giovani, che si sprigionava in liturgie festose, traboccanti di inni di lode e di ringraziamento. Gioia, che cresceva nel cuore anche per il fatto che con l’amore e per l’amore avevano la luce. Essi “vedevano”, avevano una certa comprensione delle cose di Dio di per sé impenetrabili. I misteri, se erano accettati da loro per fede, non erano così oscuri come si può pensare. C’era in loro una qualche penetrazione di essi così saporosa, così luminosa d’aver impressione di comprenderli, di possederli. E ciò esaltava ancor più la loro gioia: s’aggiungeva, alla gioia dell’amore, quella della verità. Così, armati solamente di amore e di luce, e vestiti di gioia, s’erano diffusi in breve tempo nel mondo allora conosciuto: “Siamo di ieri – diceva Tertulliano – e abbiamo già invaso il mondo”. Essi godevano persino delle persecuzioni e cantavano nel martirio. Avevano infatti compreso un paradosso del cristianesimo: la gioia, la soprannaturale gioia di Cristo, si trova proprio dove la gioia non c’è: nel dolore. Ma nel dolore amato. Fonte: Centro Chiara Lubich (altro…)