Movimento dei Focolari
Klaus Hemmerle: nella mente e nel cuore il mondo

Klaus Hemmerle: nella mente e nel cuore il mondo

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Il vescovo Klaus Hemmerle

«Il mondo si avvicina sempre più, sempre più diventa un mondo unico. Ma non basta che si avvicini dal punto di vista economico, tecnico, politico: ciò di cui abbiamo bisogno è uno spirito comune, in cui davvero tutti gli uomini possano costruire insieme l’unico destino del mondo. Uno spirito che superi l’isolamento, ma anche il pericolo di un collettivismo di massa, senz’anima. Questo spirito è ciò che il vangelo offre. Dio stesso si è fatto nostro fratello, e ci ha fatto fratelli gli uni degli altri. Il ritmo esistenziale di questo mondo che si fa uno dev’essere il comandamento nuovo: amatevi anche voi gli uni gli altri come io vi ho amato». (da un’intervista del dicembre 1977) «Interesse primario del cristiano deve essere il portare avanti, non solo con coloro che condividono i suoi ideali, ma con tutti coloro che hanno responsabilità nel mondo, l’edificazione di un mondo umano». (da una conferenza del 17.11.1978) «Se la tua nazione è per me importante quanto la mia, se la tua cultura è per me preziosa quanto la mia, sto spianando la strada su cui Gesù potrà essere determinante nel mezzo di questo mondo. Non saremo livellati e confusi in un’anonima uniformità, ma avremo in mente, nelle intenzioni e nel cuore, l’altro: avremo nella mente e nel cuore il mondo. E così i nostri mondi saranno parte di un’unica realtà, senza annegare in un mondo neutrale, banale. Il mondo stesso diverrà così al tempo stesso più unificato e più variegato». (dal volume Der Himmel ist zwischen uns, pp. 93 s.) «Gli spazi in cui viviamo non devono diventare le celle bene attrezzate di un gigantesco carcere travestito da albergo, ma devono essere spazi d’incontro, in cui l’uomo può attendere e ricevere altri essere umani, e, più ancora, in cui l’uomo può attendere e ricevere Dio». (da un articolo del dicembre 1973) Klaus Hemmerle,La luce dentro le cose”, Ed. Città Nuova (1998 – pp. 286, 287, 300, 282) (altro…)

Colombia: dopo la visita di Francesco

Colombia: dopo la visita di Francesco

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Foto: Jose-MIguel-Gomez – Conferenza Episcopale Colombiana

Gli occhi del mondo, credenti e non, nei giorni scorsi sono stati puntati sulla Colombia. Anche la comunità dei Focolari ha partecipato attivamente, attraverso le parrocchie, alla preparazione e allo svolgimento della visita del Papa. Susan Nuin, focolarina, membro dell’equipe di Antropologia Trinitaria  del Celam (Consejo Episcopal Latinoamericano), organismo della chiesa cattolica che raggruppa i Vescovi dell’America latina e dei Caraibi, spiega: «Alcuni elementi sono emersi in maniera molto forte. Il primo, la presenza dello Stato, nella persona del presidente e di tutti i rappresentanti del governo. In passato, il Governo, molto debole e fagocitato dal narcotraffico e dalla guerriglia, ora è impegnato in prima linea nel processo di riconciliazione. Il secondo, il tema della riconciliazione popolare, legato a quello della giustizia sociale: la Colombia è infatti il Paese con la maggiore percentuale di disuguaglianza sociale». Sole Rubiano, responsabile dell’editrice Ciudad Nueva, spiega in un’intervista all’AGI: «In teoria tutti sono a favore della pace, ma non tutti capiscono che c’è bisogno dell’inclusione e dell’equità». In Colombia si è reso possibile un fatto che altrove non ha precedenti: «: Vittime e Carnefici – spiega Susanna Nuin – hanno pregato, si sono perdonati, riconciliati insieme e si sono abbracciati. Nemmeno in Sudafrica e nelle dittature latinoamericane vittime e carnefici si erano messi sullo stesso piano,nello stesso scenario,alla pari. Non bastano le leggi e gli accordi istituzionali perché si risolvano i conflitti, ci vuole l’incontro personale tra le parti. Papa Francesco ha creato una coscienza popolare che prima non c’era». A Villavicencio (500.000 abitanti, a sud est di Bogotà), il Papa ha incontrato 3 mila rappresentanti delle vittime di violenza (150 mila solo in città), militari, agenti di polizia ed ex guerriglieri. È il momento centrale della visita, l’incontro di preghiera per la riconciliazione nazionale nel Parque Las Malocas. Al centro della scena, sull’altare, il Crocifisso spezzato e amputato di Bojayá (che il 2 maggio 2002 assistette e patì il massacro di decine di persone rifugiate nella chiesa) esprime il dramma delle vittime. Si susseguono testimonianze dei membri delle ormai ex Farc (Fuerzas armadas revolucionarias de Colombia), di paramilitari, di una donna che ha subito soprusi di ogni tipo. Nello stesso giorno (8 settembre), in una lettera, il leader delle Farc aveva scritto al Papa, chiedendo perdono per “ogni dolore provocato al popolo della Colombia”. Una giovane, Nayibe, scrive: «Mi hanno molto colpito le parole di Papa Francesco di fronte al Cristo di Bojayá: “per noi il Cristo amputato è ancora più Cristo, perché ci dimostra che è venuto a soffrire per il suo popolo”». Una giornata definita da molti storica, in cui sono emersi il coraggio e la capacità di soffrire e di ricominciare del popolo colombiano. Cartagena de Indias, nel Nord della Colombia, affacciata sul Mar dei Caraibi, ospita il Santuario di San Pietro Claver (1581–1654, proclamato santo nel 1888), il gesuita spagnolo che si è dedicato alle vittime della tratta degli schiavi. Su proposta dei gesuiti, dopo l’accordo di pace tra il governo e le Farc, che ha messo fine a un conflitto durato più di 50 anni, con 200 mila morti e decine di migliaia di dispersi, è la naturale capitale dei diritti umani. Qui il Papa ha visitato i quartieri più poveri, recandosi anche a casa di una donna, Lorenza Perez, che a 77 anni cucina e distribuisce i pasti per chi ne ha bisogno. «Sono la più povera dei poveri – è lei stessa a parlare – ma il Papa ha scelto proprio casa mia per dire al mondo di amare di più chi è scartato». Spiega Susanna Nuin: «I discorsi del Papa hanno avuto due dimensioni: una concettuale, con chiarimenti precisi e forti con testimonianze; e una gestuale, per esprimere vicinanza a un popolo che ha molto sofferto. La sua partenza ha lasciato in noi una forte nostalgia, ma anche un senso di pienezza. La sua visita ha istillato nel cuore del popolo colombiano un nuovo modo di vivere, non in posizione passiva, attendendo una pace che non arriverà mai, soccombendo a una polarizzazione che rende impossibile una convivenza pacifica». Fondamentale il ruolo dei giovani, che si sentono investiti del compito loro affidato. Yolima Martínez ricorda l’appello del Papa: “Voi giovani avete una sensibilità particolare per riconoscere la sofferenza degli altri”. E Laura Isaza: «La pace è un percorso che coinvolge tutte le generazioni, ma la nostra in modo particolare». Le fa eco Manuel: «La visita del Papa ha chiarito ai colombiani che la pace non è un contenuto politico, ma una cultura da costruire. Come membri dei Focolari ci sentiamo ancora più impegnati ad ascoltare Papa Francesco quando parla di cultura dell’incontro, che dobbiamo continuare a promuovere e costruire». (altro…)