Movimento dei Focolari

Siamo entrati come Chiese diverse. Dovremmo uscire come unico popolo cristiano

Al centro di Berlino – come in un’isola – si trova la Chiesa luterana “della memoria”, della quale è rimasta la vecchia torre, dopo i bombardamenti della seconda guerra mondiale. Accanto, la nuova chiesa moderna, a forma di ottagono, senza finestre ma con i muri quasi interamente di vetro di colore azzurro/indaco. All’interno un’atmosfera di profonda pace e raccoglimento. La zona dell’altare è dominata da un grandioso Cristo Risorto colore oro con le braccia aperte che danno alla figura la forma del crocifisso. Quando inizia la cerimonia la chiesa è gremita da oltre 1.000 persone, appartenenti a 26 chiese. Nell’indirizzo di benvenuto il Cardinale Sterzinsky sin dalle prime battute parla della missione di Chiara e del Movimento in cui vede l’aspetto carismatico della Chiesa, aspetto però – aggiunge – che “si è sempre sottomesso al ministero ecclesiale per essere verificato e approvato”. Poi mette in rilievo quanto lo spirito del Movimento sia genuinamente evangelico. Esprime la sua speranza in questa spiritualità ecumenica, speranza che è stata il motivo dell’invito a Chiara da parte dell’intero Consiglio Ecumenico della città. Dopo la preghiera della Sig.ra Sylvia von Kekulé, pastore della chiesa, la lettura di parte della I lettera di Giovanni. Poi prende la parola Martin Kruse, vescovo evangelico emerito di Berlino, da anni amico dei Focolari. Parla del suo primo incontro col Movimento attraverso Klaus Hemmerle, già vescovo di Aquisgrana, dell’impressione per l’ immediatezza con cui si accoglie la Parola di Dio, la si mette in vita e se ne sperimentano i frutti. E continua: “Oggi, tutte le Chiese hanno bisogno di riimparare l’alfabeto del Vangelo.” Poi parla Chiara, sotto il grande Crocifisso-Risorto. Dipinge con alcuni tocchi il quadro della nostra società: materialista, edonista, sempre più priva di valori. E mentre aumenta la necessità di un dialogo con persone di altre religioni, spesso ormai nostre concittadine, sembra ancora lontana la piena comunione tra i cristiani. Il rimedio? C’è. Chiara non lascia nessun dubbio: i cristiani, sia come singoli che come Chiese, devono riscoprire Dio come Amore e mettere Lui al primo posto. Come ad Aachen e a Muenster, anche a Berlino Chiara parla dell’”arte di amare“. Con forza e convinzione si rivolge ad ognuno personalmente. Ma, a differenza delle altre volte, qui si rivolge anche alle Chiese. Anche per intere comunità vale l’amare tutti, l’amare per primi, vedere in Gesù, che sulla croce per noi sperimenta persino l’abbandono del Padre, la misura dell’amore. Più volte incoraggia i presenti: “Provatelo! Provatelo subito, adesso, qui!” Non si accontenta di un discorso, vuole suscitare una risposta che coinvolge la vita. Parla del dialogo del popolo, di un unico popolo di Dio, dell’esperienza vissuta a Londra nel novembre ’96: la presenza del Risorto tra cattolici, anglicani e membri della altre chiese uniti dall’amore scambievole, le aveva dato l’impressione che niente e nessuno potrà mai dividerci se Lui è in mezzo a noi. Poi mette da parte le carte e fa una domanda a tutti: “Perché non anche qui e adesso?”. “Stasera – continua – siamo entrati come Chiese diverse. Dovremmo uscire come un unico popolo cristiano”. E’ questo il momento culmine, che tocca i cuori, che commuove, che fa scoppiare l’applauso. In una grande sala accanto segue un ricevimento. Chiara parla della sua predilezione per la Germania segnata da una doppia croce: la divisione politica e quella religiosa, di cui quella politica ormai è abbastanza risolta. Poi comunica un desiderio: “Quando verrò la prossima volta in Germania vorrei vedere anche un bel passo in avanti per quanto riguarda la seconda croce, la divisione tra le Chiese”. Un epilogo che sembrava superare il discorso tenuto in chiesa. Segue però un’altra finale, perché prima di accomiatarsi Chiara torna al microfono: “Perché non chiediamo ai due vescovi presenti (Sterzinsky e Kruse) di mostrare qui, adesso, davanti a tutti questo impegno?” La risposta è un fragoroso applauso. Con una stretta di mano viene espresso l’impegno di costruire quest’unico popolo di Dio. Ad essi si aggiunge anche il pastore battista Dietmar Luetz. Una nuova pagina si apre. (altro…)

Preghiera ecumenica di inizio Avvento nella chiesa evangelico-luterana di S. Anna di Augsburg

“Abbiamo sperimentato uno spostamento d’accento nella nostra visione dell’ecumenismo”. Così l’Oberkirchenrat emerito Johannes Merz, evangelico luterano, ha espresso in estrema sintesi le intense giornate vissute a fine novembre nella cittadella ecumenica di Ottmaring da 34 vescovi amici del Movimento dei Focolari di 7 Chiese, ortodossa, siro-ortodossa, anglicana, evangelico-luterana, vetero-cattolica, cattolica e Chiesa del Sud-India, provenienti da 12 Paesi. Tema-guida del Convegno è stato ‘L’amore cristiano come stile di vita ecumenico’. Con lo sguardo rivolto non a ciò che ci divide, ma alla grande ricchezza che i cristiani possono condividere e vivere insieme sin d’ora, si è aperto il convegno di quest’anno, il 17°, anche perché l’incontro era immerso nella vita pulsante della cittadella, in cui da più di 30 anni vivono sia cattolici del Movimento dei Focolari che la fraternità evangelico-luterana della Bruderschaft vom gemeinsamen Leben (Comunità di vita comune). Un “dialogo di popolo” quello che si è respirato sin dal primo momento, quando il convegno si è aperto con i vespri evangelici nella cappella gremita del Centro di incontri, e ogni volta che i vescovi si ritrovavano con gli abitanti della cittadella per assistere insieme alla liturgia di una delle Chiese presenti: momenti di profonda preghiera che hanno fatto assaporare le ricchezze delle Chiese d’Oriente e di quelle d’Occidente. Lo si è avvertito fortemente pure quando, in apertura di ogni giornata, dopo una meditazione biblica sul tema dell’amore cristiano proposta di giorno in giorno da un vescovo di una Chiesa diversa, giovani e famiglie di varie Chiese hanno raccontato esperienze di Vangelo vissuto e si è potuta cogliere in tutti una stessa vita ed una profonda comunione: la realtà di un unico popolo, quello di Cristo. E ancora quando si sono approfonditi gli effetti della spiritualità dell’unità nella Chiesa evangelico-luterana, anglicana e nelle Chiese d’Oriente: presentazioni incisive che hanno messo in luce come questa spiritualità non cancelli affatto i tesori che custodiscono le diverse tradizioni cristiane, ma anzi li illumini e li metta in rilievo. Ma il momento culmine è stato segnato dalla Preghiera ecumenica di inizio d’Avvento nella chiesa evangelico-luterana di Sant’Anna ad Augsburg. Nell’attiguo convento carmelitano Lutero aveva soggiornato nel 1518 durante i suoi colloqui con il cardinale Cajetano, ritenuti determinanti per i rapporti fra Lutero e Roma. In quel luogo carico di storia 900 persone sono convenute con i vescovi. Pezzi eseguiti con gli Ottoni e inni dei due cori della chiesa, il Madrigalchor ed il Posaunenchor, ben esprimevano la tradizione evangelica. Dopo alcune parole introduttive del decano dott. Rudolf Freudenberger e la lettura della preghiera di Gesù per l’unità – “Che siano uno, Padre, come io e te” – è intervenuta Chiara Lubich. In questo momento in cui persistono ostacoli sul cammino ecumenico, le sue parole sono scese in profondità. Non ha taciuto le difficoltà, ma ha dato loro un volto e un nome, quello di Gesù che sulla croce giunge a gridare l’abbandono del Padre “per riportare così gli uomini in seno al Padre e nel reciproco abbraccio”. “Non sarà difficile – ha detto – vedere proprio in Gesù abbandonato la stella più luminosa che deve illuminare il cammino ecumenico. In Lui la luce e la forza per non fermarsi nel trauma, nello spacco della divisione, ma per andare sempre al di là e trovarvi rimedio, tutto il rimedio possibile”. “L’amore reciproco con questa misura – ha ancora spiegato – porta ad attuare l’unità. Ed effetto dell’unità è la presenza viva di Gesù fra più persone nella comunità, come da lui promesso a due o più uniti nel suo nome. Gesù fra un cattolico e un evangelico che si amano, fra anglicani e ortodossi, fra un’armena e una riformata… Quanta pace sin d’ora, quanta luce per un retto cammino ecumenico. Avvertiremo di formare sin d’ora in certo modo, un solo popolo cristiano che potrà essere un lievito per la piena comunione tra le Chiese”. Parole che non solo hanno suscitato immediata adesione tra i presenti, ma che in quella chiesa erano un’esperienza viva, visibile. Piena la sintonia con il messaggio del card. Cassidy, Presidente del Pontifico Consiglio per l’unità dei cristiani, il quale, nella sua lettera ai vescovi, ha definito il Convegno “realtà e simbolo di koinonia (comunione)” ed ha invitato tutti a non dimenticare mai, tra le luci e ombre del cammino ecumenico “l’aiuto potente dello Spirito e la sua saggezza che ci infonde coraggio, determinazione, speranza”. E significativa la coincidenza con quanto il Patriarca ecumenico di Costantinopoli Bartolomeo I aveva espresso nel messaggio inviato ai vescovi, sottolineando l’urgenza di mostrare al mondo “in un modo tangibile e significativo che apparteniamo ad un’unica famiglia nella quale tutti i membri sono tra loro profondamente legati”. Se rimaniamo lontani gli uni dagli altri – aveva ribadito -“rafforziamo il senso di alienazione che investe la società umana contemporanea”. Il dialogo di popolo dunque, come via che apre nuove speranze, sigillata dal patto di amore vicendevole che i vescovi hanno stretto nella cappella del Centro di Ottmaring, rinnovando insieme le loro promesse battesimali. Ben esprimono l’esperienza e la speranza vissuta in quei giorni le parole del Patriarca Athenagoras citate dal metropolita rumeno-ortodosso Serafim nel suo intervento al Convegno: “Se uno si disarma, se si espropria, se si apre al Dio Uomo che fa nuove tutte le cose, allora, Lui cancella il passato e ci dona un tempo nuovo in cui tutto è possibile”. (altro…)

Ecumenismo di popolo per accelerare il cammino verso la piena unità delle Chiese

Si sono aperte nuove speranze per l’ecumenismo: la tappa più significativa è stata segnata durante la preghiera ecumenica di inizio d’Avvento ad Augsburg nella chiesa evangelico-luterana di sant’Anna, luogo dolorosamente carico di storia. Nel 1518 avviene l’incontro tra Lutero e il legato del Papa, cardinale Cajetano, ritenuto determinante per la rottura con la Chiesa di Roma. E proprio in questa chiesa si sono mostrati nuovi segni di unità. Sono presenti 34 vescovi, evangelico-luterani, ortodossi, anglicani, siro-ortodossi, cattolici, vecchio-cattolici, provenienti da 12 paesi, dall’India al Brasile, dalla Siria alla Germania, Gran Bretagna, Italia. Sono i vescovi amici dei Focolari che in quei giorni erano riuniti per il loro convegno annuale, il 17°, nella cittadella ecumenica dei Focolari ad Ottmaring nei pressi di Augsburg. La chiesa è gremita da evangelico-luterani, cattolici, e appartenenti alle Chiese libere. E’ un’esperienza viva, visibile, del dialogo della vita, di una vita sostanziata dall’amore del Vangelo, capace così di fare di molti cristiani un unico popolo costituito dall’unico battesimo, dal comune patrimonio delle Scritture, dai padri della Chiesa, dai primi Concilî , e dalla spiritualità ecumenica. Ed è questo ecumenismo di popolo – che non si contrappone a quello dei vertici, anzi lo sostiene – che Chiara Lubich rilancia in Germania: “Potrà essere lievito – ha detto – per la piena comunione visibile tra le Chiese”. Lo aveva detto anche a Berlino, nella chiesa evangelico-luterana della Memoria, invitata dal Consiglio Ecumenico di 26 Chiese, presieduto dal card. Sterzinsky, arcivescovo della città. Chiara parla del dialogo del popolo, di un unico popolo di Dio, dell’esperienza vissuta a Londra nel novembre ’96, quando la presenza del Risorto tra cattolici, anglicani e membri delle altre chiese uniti dall’amore scambievole, le aveva dato l’impressione che niente e nessuno potrà mai dividerci se Lui è in mezzo a noi. “Perché non anche qui e adesso?”. “Stasera – continua – siamo entrati come chiese diverse. Dovremmo uscire come un unico popolo cristiano”. Tra le altre tappe dell’intenso viaggio di Chiara Lubich in Germania: Aquisgrana, dove Chiara interviene, su invito del vescovo H. Mussinghoff, nel duomo di Carlo Magno sulla sua esperienza del dialogo tra le religioni, di estrema attualità in un’Europa dove musulmani e buddisti sono nostri concittadini. “Stiamo lavorando con la Chiesa – ha detto – affinché il pluralismo religioso dell’umanità non sia più causa di divisioni e di violenza, ma acquisti il sapore di una sfida: quella di ricomporre l’unità della famiglia umana al di là delle differenze”. E ancora Münster dove, nel duomo gremito dai giovani, su invito del vescovo Lettman, Chiara parla loro della sua vocazione, ma anche della chiamata, rivolta a ciascuno, a mettere Dio al primo posto: “Puntate in alto – chiede ai giovani – abbiamo una vita sola. Conviene spenderla bene”. (altro…)

Intervento di Chiara Lubich alla preghiera ecumenica di inizio Avvento

Un supplemento d’amore perché le Chiese siano ognuna dono per le altre

Come vediamo la situazione delle nostre Chiese ora, alle soglie del Terzo Millennio? Se noi cristiani diamo uno sguardo alla nostra storia di 2000 anni ed in particolare a quella del secondo millennio, non possiamo non rimanere ancora addolorati nel costatare come essa è stata spesso un susseguirsi di incomprensioni, di liti, di lotte. Colpa certamente di circostanze storiche, culturali, politiche, geografiche, sociali… Ma anche del venir meno fra i cristiani di quell’elemento unificatore loro tipico: l’amore. Proprio così. E allora, per poter tentare oggi di rimediare a così grave male, dobbiamo tener presente il principio della nostra comune fede: Dio. Egli, perché Amore, chiama pure noi ad amare. Non si può, infatti, pensare di poter amare gli altri se non ci si sente profondamente amati, se non è viva in tutti noi, cristiani, la certezza che Dio ci ama. In questi tempi mi sembra che è proprio Lui, Dio Amore, che, in certo modo, deve nuovamente tornare a rivelarsi non solo a noi singoli cristiani, ma anche alle Chiese che componiamo. Ed Egli ama la Chiesa per quanto si è comportata nella storia secondo il disegno che Dio aveva su di essa. Ma anche – e qui è la meraviglia della misericordia di Dio – la ama pure se non vi ha corrisposto, permettendo la divisione, solo nel caso però che ora ricerchi la piena comunione con le altre Chiese. E questa consolantissima convinzione emerge da un testo di Giovanni Paolo II, che ha fiducia in Colui che trae il bene dal male. Alla domanda: “Perché lo Spirito Santo ha permesso tutte queste divisioni?”, pur ammettendo che può essere stato per i nostri peccati, ha aggiunto: “Non potrebbe essere (…) che le divisioni siano state (…) una via che ha condotto e conduce la Chiesa a scoprire le molteplici ricchezze contenute nel Vangelo di Cristo e nella redenzione da Lui operata? Forse tali ricchezze non sarebbero potute venire alla luce diversamente…” (Giovanni Paolo II, Varcare la soglia della speranza, 1994, p.167) Dobbiamo dunque credere che Dio è Amore anche per le Chiese. Ma, se Dio ci ama, noi non possiamo certo rimanere inerti di fronte a tanta divina benevolenza. Da veri figli e figlie dobbiamo contraccambiare il suo amore anche come Chiesa. Ogni Chiesa nei secoli si è, in certo modo, pietrificata in se stessa per le ondate di indifferenza, di incomprensione, se non di odio reciproco. Occorre perciò in ognuna un supplemento d’amore. Amore verso le altre Chiese, dunque, e amore reciproco fra le Chiese, quell’amore che porta ad essere ognuna dono alle altre, poiché si può prevedere che nella Chiesa del futuro una ed una sola sarà la verità, ma espressa in varie maniere, osservata da varie angolazioni, abbellita da molte interpretazioni. Amore reciproco però che è veramente evangelico, e quindi valido, se praticato nella misura voluta da Gesù: amatevi gli uni gli altri – Egli ha detto -, come io vi ho amato. “Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici.” (Gv 15,13).

Gesù in croce nel culmine del dolore: chiave, luce e forza per ricomporre l’unità

E Lui l’ha data per noi, nella sua passione e morte, dove ha sofferto con l’agonia nell’orto, con la flagellazione, l’incoronazione di spine, la crocifissione, ma anche con quel culmine del suo dolore, che ha espresso nel grido: “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?” (Mt 27,46). Teologi e mistici affermano che questo patire fu la sua prova più alta, la sua tenebra più nera. Ora, sembra che, allo scopo di edificare pienamente la comunione nell’amore vicendevole, sia necessario oggi contemplare e riconoscersi particolarmente in quel dolore estremo. E si capisce. Se Gesù si era offerto a porre rimedio al peccato del mondo e quindi alla divisione degli uomini staccati da Dio e, di conseguenza, disuniti fra loro, non poteva compiere questa sua missione se non sperimentando in sé un’abissale separazione: quella di Lui, Dio, da Dio, sentendosi abbandonato dal Padre. Gesù però, riabbandonandosi al Padre (“Nelle tue mani consegno il mio spirito” – Lc 23,46), ha superato quell’infinito dolore e ha riportato così gli uomini in seno al Padre e nel reciproco abbraccio. Ma, se le cose stanno così, non sarà difficile vedere in Lui, proprio in Lui, Gesù abbandonato, la stella più luminosa che deve illuminare il cammino ecumenico. Sembra che un lavoro ecumenico sarà veramente fecondo in proporzione di quanto, chi vi si dedica, vedrà in Gesù crocifisso e abbandonato, che si riabbandona al Padre, la chiave per capire ogni disunità e per ricomporre l’unità. Questi trova in Lui la luce e la forza per non fermarsi nel trauma, nello spacco della divisione, ma per andare sempre al di là e trovarvi rimedio, tutto il rimedio possibile.

Effetto dell’unità vissuta: la presenza del Risorto nella comunità….

L’amore reciproco con questa misura porta così ad attuare l’unità. E l’unità vissuta ha un effetto, che è pure esso, per così dire, un pezzo forte per un ecumenismo vivo. Si tratta della presenza di Gesù fra più persone, nella comunità. “Dove due o tre – ha detto Gesù – sono uniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro.” (Mt 18,20). Gesù fra un cattolico ed un evangelico che si amano, fra anglicani e ortodossi, fra un’armena e una riformata… Quanta pace sin d’ora, quanta luce per un retto cammino ecumenico. Gesù in mezzo a noi è un dono, fra il resto, che rende meno penosa l’attesa del tempo in cui sarà condiviso da tutti noi sotto le specie eucaristiche. E necessita ancora un grande amore per lo Spirito Santo, Amore fatto Persona. Egli lega in unità le Persone della Santissima Trinità, ed è il vincolo fra le membra del Corpo di Cristo. Un solo popolo cristiano si compone, in certo modo, sin d’ora, lievito per la piena comunione tra le Chiese. So, anche per esperienza, che, se noi tutti vivremo così, ci saranno frutti eccezionali. Si avrà soprattutto un particolare effetto: vivendo assieme questi diversi aspetti del nostro cristianesimo, avvertiremo di formare, sin d’ora, in certo modo, un solo popolo cristiano che potrà essere un lievito per la piena comunione tra le Chiese. Sarà quasi l’attuarsi di un altro dialogo, dopo quello della carità, quello teologico e della preghiera: un dialogo della vita, il dialogo del popolo di Dio. Dialogo più che urgente ed opportuno se è vero, come la storia insegna, che vi è poco di garantito in campo ecumenico, quando non vi è coinvolto il popolo. Dialogo che farà scoprire con maggior evidenza e valorizzare tutto il grande patrimonio già comune fra noi cristiani, costituito dal battesimo, dalla Sacra Scrittura, dai primi Concili, dai Padri della Chiesa, eccetera. Attendiamo di vedere realizzarsi questo popolo, popolo che già qua e là sta apparendo. Sarà senz’altro utile, anche in questo momento, rinnovare l’impegno di vivere così come Gesù vuole. In verità niente è più urgente nel mondo di una potente corrente d’amore, se vogliamo sperare in quella civiltà dell’amore, che il Terzo Millennio sembra si aspetti da noi.   (altro…)