Ago 2, 2015 | Chiara Lubich, Chiesa, Cultura, Focolare Worldwide, Focolari nel Mondo, Nuove Generazioni, Senza categoria
In vista del Convegno Nazionale della Chiesa in Italia (Firenze, 9-13 novembre 2015), la Rivista «gen’s» del Gruppo editoriale Città Nuova dedica l’ultimo numero a questo evento. Articoli e testimonianze mettono a fuoco nodi tematici, ma anche esempi di un’azione in sinergia per servire la persona e rinnovare la società. Sono molteplici gli approcci con cui la rivista si accosta alla sfida espressa dal motto dell’evento di Firenze «In Gesù Cristo il nuovo umanesimo». Un umanesimo che – secondo la Traccia preparatoria – non dovrà essere un progetto astratto, ma “in ascolto”, “concreto”, “plurale e integrale”, oltre che ancorato all’interiorità e alla trascendenza. E perciò da ricavare dal vissuto, con l’apporto di tutti, in un lavoro “collegiale” che mira – così la Presentazione della Traccia – a un “coinvolgimento diffuso”. Se l’Editoriale a firma dell’esperto di catechesi e di dottrina sociale Enrique Cambón esplora una delle chiavi di lettura del documento di lavoro – «la persona vive sempre in relazione» –, il docente di filosofia Claudio Guerrieri, membro del Comitato preparatorio, rilegge la “Traccia” e il cammino verso il Convegno dalla prospettiva di una “Chiesa in uscita” lanciata da Papa Francesco nella Evangelii gaudium. Vengono riportate poi riflessioni di fondo che risalgono agli incontri preparatori nel mese di maggio a Perugia e a Roma. Il teologo Piero Coda, in un’intervista, si sofferma sulla domanda di scottante attualità del rapporto fra il Dio Unico e la Pace, mentre l’economista Luigino Bruni riflette su “La forza del dono vulnerabile” e il coraggio di rischiare come presupposti di un rinnovamento. Maria Voce, presidente del Movimento dei Focolari, osserva che il cammino verso Firenze richiede una conversione e scelte forti e in questa luce rivisita le cinque “vie” evidenziate dalla Traccia preparatoria: uscire, annunciare, abitare, educare, trasfigurare. Patrizia Bertoncello, membro del direttivo della Consulta Nazionale per le Aggregazioni Laicali (CNAL), ha intervistato vari leader di aggregazioni sull’importanza del Convegno di Firenze e sul modo in cui si preparano a questo evento le realtà che essi rappresentano. Rispondono Mario Landi del Rinnovamento nello Spirito, Matteo Trufelli dell’Azione Cattolica, Roberto Fontolan di Comunione e Liberazione e Paola Dal Toso dell’Agesci. Due testimonianze, una raccolta al Nord e l’altra al Sud del Paese, portano esempi di feconde sinergie per mettere in moto un reale cambiamento: l’originale “Lettera alla Città” con cui le sette parrocchie del decanato di Cinisello Balsamo si rivolgono annualmente alla cittadinanza e alle istituzioni, e il “Festival dei diritti dei ragazzi” a Nola che a ritmo annuale vede convergere una ventina di scuole e altrettante realtà aggregative per una settimana di iniziative per riflettere sulla situazione delle nuove generazioni e riconvertire il territorio in comunità educante. Una raccolta di testimonianze e riflessioni, dunque, che guarda a questo momento di bilancio e di progettazione della Chiesa in Italia a metà decennio, ma è pervasa anche da un respiro universale. In questo senso, una terza esperienza presenta l’iniziativa Living Peace che, partita da un liceo del Cairo, ha raggiunto 103 Paesi del mondo, con il coinvolgimento di oltre 50 mila bambini, ragazzi ed adulti, portando a cambiamenti positivi nei diversi ambienti. Prospettiva universale che, del resto, si avverte sin dalle prime pagine del numero, con il testo di Chiara Lubich «Ho un sogno», quasi un manifesto per il nuovo millennio che l’autrice aveva scritto alla vigilia del 2000. Per accedere agli articoli: http://www.cittanuova.it/FILE/PDF_NUMERO_ALTRI/GENS_3_2015NUMERO.pdf Per l’acquisto di «gen’s» (5 euro cad.) e abbonamenti: abbonamenti@cittanuova.it
Ago 1, 2015 | Focolare Worldwide, Focolari nel Mondo, Nuove Generazioni, Sociale, Spiritualità
N
el 2012, mentre ero ospite della famiglia di un amico, sono entrati in casa tre uomini armati. Dopo averci malmenati e costretti a terra, puntandoci le pistole continuavano ad urlare: “dove sono i soldi?” Il padrone di casa, rivolto ad uno di loro ha provato a dirgli che lo perdonava, ma che quello non era il modo di fare le cose. A queste parole egli si è arrabbiato ancora di più e tutti noi avevamo paura che facesse qualcosa di terribile. Invece, sorprendentemente, il rapinatore si è messo a piangere e a chiedere scusa. Gli altri due, che nel frattempo avevano messo insieme il bottino, sono usciti per scappare con l’automobile di famiglia. L’uomo – che sembrava essere il capo del gruppo – prima di raggiungerli ha chiesto se fra quanto avevano preso ci fosse stato qualcosa di importante perché, nel caso, l’avrebbe riportato. Il papà ha detto di tenere pure tutto, che andava bene così, ma che aveva bisogno della macchina per lavorare. Al che il ladro ha promesso che l’avrebbero presto restituita. Prima di scappare ha chiesto perdono ad ognuno. Mezz’ora dopo la macchina è apparsa intatta riportata dalla polizia. Personalmente, anche se quell’uomo aveva chiesto scusa, avevo una certa difficoltà a perdonare. Non mi andava di accettare che al mondo ci fossero delle persone che possono decidere della mia vita o di quella di gente a me cara. Probabilmente avevo bisogno di tempo. Contemporaneamente però sentivo di dover fare qualcosa, quantomeno cercare di capire la radice di tanta violenza. Con alcuni amici dei Giovani per un mondo unito (GMU) ho cominciato a frequentare un asilo di uomini senza tetto. Forse il condividere il dolore e le difficoltà di chi si trova nelle periferie del mondo poteva aiutarmi a ‘capire’. A questo asilo ci stiamo andando tutti i sabati: facciamo dei giochi, suoniamo la chitarra, guardiamo una partita di calcio (la Coppa del Mondo è stata incredibile!) a volte ceniamo insieme. Così conosciamo le loro storie, alcune veramente allucinanti. Sono persone che hanno bisogno di tanta forza, sia per perdonare chi ha fatto loro del male sia per perdonare loro stesse. Ma più di tutto sono persone che hanno bisogno di ricominciare. Un gruppo di specialisti le aiuta nel processo di recupero mentre il nostro ruolo è di crescere con loro, senza smettere mai di far loro sentire l’affetto. Che ormai, lo sperimentiamo, è diventato reciproco. Stando con loro mi sono resa conto che per tanti di essi, rubare è l’ultima risorsa, da sempre trattati come persone che non esistono. Io stessa mi sono domandata: «Cosa farei io al loro posto, se – come accade a loro – nessuno ti guarda, nessuno ti risponde, nessuno ti considera?». Ed è stato così che ho sentito di perdonare i tre rapinatori di quella sera. E mi sono accorta che questo mio riconciliarmi con loro, metteva un mattone per la costruzione della pace del mio paese. A dicembre 2013, a causa di uno sciopero della Polizia, tante persone hanno approfittato per saccheggiare aziende e negozi. Hanno rubato perfino in una ONG che raccoglie e distribuisce cibo per i poveri. È stata una piccola guerra tra la gente, con disordini e caos. Il giorno dopo, attraverso le reti sociali, con i GMU abbiamo mobilitato gli amici per pulire la città e anche per raccogliere cibo per la ONG. Da 15 che eravamo all’inizio siamo diventati più di 100 persone (oltre a quelle che hanno portato cibo). La sera i media TV, che erano venuti a riprendere l’iniziativa, hanno detto che c’è anche un’altra faccia della cronaca e che non solo era stato tutto ripulito, ma che anche i bambini di un quartiere molto povero avevano potuto mangiare. https://www.youtube.com/watch?v=9WX_TbWHvVw&feature=youtu.be Da allora, mentre noi continuiamo ad andare all’asilo di uomini di strada, un altro gruppo di GMU ha fatto amicizia con l’asilo ‘Angolo di luce’ cui erano andati gli alimenti che avevamo raccolto. Per cominciare, data l’imminenza del Natale, i GMU hanno procurato regalini per tutti i bimbi e organizzato un presepe vivente. Poi c’era da pensare al miglioramento dell’infrastruttura, precaria e insufficiente. Così hanno promosso una raccolta fondi presso amici, colleghi di università, la propria famiglia e organizzato varie attività e vendite di torte. Alcuni dei giovani stanno aiutando anche nei workshop di igiene orale e di ortocultura, mentre il progetto continua con la costruzione dei bagni e il rifacimento dell’impianto elettrico. I GMU si stanno davvero dando da fare. Ma anche l’asilo sta facendo la sua parte, almeno così affermano loro stessi: «L’asilo ci ha dato la possibilità di sognare grandi cose e di credere che attorno a noi ci sono tutte le mani di cui abbiamo bisogno per portare avanti le cose. Basta fare il primo passo». Fonte: United World Project (altro…)
Lug 25, 2015 | Focolare Worldwide, Focolari nel Mondo, Nuove Generazioni, Spiritualità
«Jean Paul frequenta l’ultimo anno della facoltà di ingegneria civile, e già da alcuni anni ha conosciuto la spiritualità dell’unità. Il Burundi, come è noto a tanti, attraversa ora una difficile situazione politica a causa delle prossime elezioni. L’impasse politica ha provocato non poche controversie che danno luogo a manifestazioni e scontri. Qualcuno ha perso la vita. Ed è in questo contesto di grande instabilità e sofferenza che Jean Paul, insieme ad un amico, tornando a casa a piedi per non aver trovato un mezzo di trasporto pubblico, si trovano davanti ad un nuovo ed inaspettato volto di Gesù Abbandonato». A scrivere così è Marcellus, insieme a tutta la comunità dei Focolari del Burundi e del Rwanda. «Era la sera del 2 maggio quando i due giovani sono stati assaliti da un gruppo di malfattori. Li hanno picchiati brutalmente fino a far perdere loro conoscenza. Aiutati da alcuni poliziotti che li hanno trovati gettati in un tombino, vengono portati all’ospedale. L’amico ha delle leggere lesioni, ma la situazione di Jean Paul è grave: una frattura alla colonna vertebrale con paralisi degli arti inferiori. Nonostante la gravità del suo stato Jean Paul sorride sempre e spera di guarire. Si fida di Dio e di Chiara [Lubich]. “Se sono ancora vivo è già un miracolo suo” afferma. In poco tempo la notizia di quanto accaduto a Jean Paul arriva a tutta la comunità che, oltre a pregare per lui, si dà da fare per trovare il denaro necessario ed anche un’ambulanza per portarlo in Rwanda, dove potrebbe ricevere le cure adeguate. Assieme ad un infermiere e Séverin, un giovane del suo stesso gruppo Gen, parte il 12 maggio per Kigali/Rwanda. La catena d’amore e di preghiere per Jean Paul s’allarga, coinvolgendo la famiglia del Movimento dei Focolari in Rwanda e nel mondo, soprattutto i Gen. A Kigali/Rwanda, Jean Paul e Séverin danno una testimonianza dell’amore reciproco in maniera forte. In ospedale la gente si stupisce che le visite a questo ragazzo siano più numerose che a tutti gli altri ammalati. Ancora di più si meravigliano del fatto che Jean Paul e Séverin non sono fratelli, non vengono dello stesso villaggio e non sono neppure della stessa etnia. Loro spiegano a tutti che il motore del loro agire è un’altro: la spiritualità dell’unità basata sull’ amore reciproco, richiesto da Gesù. Dopo diversi accertamenti medici, Jean Paul viene operato alla schiena e al torace, il 10 giugno, all’ospedale “Roi Fayçal”. Il costo in questo ospedale è molto alto, ma l’intervento di Dio con la sua Provvidenza non è mancato. Jean Paul, che non si è mai scoraggiato, vede in questa esperienza un vero miracolo. L’intervento chirurgico è andato bene e questo è proprio un incoraggiamento per tutti. Jean Paul ora è stato trasferito in un’altra struttura dove ha iniziato la fisioterapia, seguito da vicino dal medico e dalla squadra che l’ha operato. La sua salute dà segni di ristabilimento incredibili. Ricomincia a sentire la fame, i bisogni fisiologici, il dolore, la sensibilità ai piedi. Ora può lasciare il suo letto e girare l’ospedale in una sedia a rotelle. Afferma che se non fosse per l’amore di questa famiglia allargata non sarebbe più in vita. Jean Paul è molto grato alla comunità dei Focolari in Rwanda, a tutti i Gen sparsi nel mondo, ai Centri Gen internazionali, e tutti coloro che hanno fatto arrivare il loro sostegno in denaro e in preghiera. Ora ci sgorga dal cuore un immenso grazie a Dio per averci dato la possibilità di vivere questa forte esperienza che ha suscitato un’attenzione, una comunione, un amore vero tra i suoi figli, una forte testimonianza dell’amore che vince tutto». (altro…)
Lug 6, 2015 | Focolare Worldwide, Focolari nel Mondo, Nuove Generazioni, Spiritualità
Era nell’aria. Troppe volte João aveva sentito i suoi genitori litigare e il fatto che con sua madre e i suoi fratelli abbiano dovuto lasciare casa perché il padre aveva una figlia con un’altra donna, non lo ha sorpreso più di tanto. Allora aveva 16 anni, frequentava la parrocchia, aveva amici. Interiormente però si sentiva deluso e insoddisfatto, con una forte esigenza di libertà, di essere sé stesso. Un’inquietudine che lo ha portato persino ad interrompere gli studi. Per poi riprenderli anni dopo, quando cioè ha trovato la vera ragione per cui vivere.
«A vent’anni – racconta João – con il gruppo giovani della mia parrocchia partecipo ad un’attività dei Focolari. In quei giorni mi rendo conto che il Vangelo non è tanto da commentare o riflettere, quanto da mettere subito in pratica. Mi colpiscono particolarmente quei brani su come comportarci con il prossimo: il samaritano, la regola d’oro. Ero andato per pura curiosità, invece è stato l’evento che mi cambia la vita.
A Sao José do Rio Preto (Stato di Sao Paulo), la mia città, c’è tanta gente che vive per strada. Una sera, tornando a casa con la mia bicicletta, incrocio un uomo che cammina scalzo. I suoi piedi sono sporchi e feriti. A quella vista non riesco più a pedalare. «Quell’uomo è il mio prossimo, devo tornare da lui». E prima di raggiungerlo mi tolgo le scarpe per dargliele. Lui mi guarda sorpreso. Vedo che indossa la maglietta della mia squadra di calcio e per toglierlo d’imbarazzo gli dico: «Sei allora Santista? Anch’io lo sono! Come ti chiami?». Prende le scarpe e diventiamo amici.
Sono alla stazione, di ritorno da un incontro tenutosi in un’altra città. A quell’ora – le due di notte – i trasporti pubblici non funzionano, così mi incammino a piedi verso casa, attraversando il centro. Guardando in giro vedo tante persone che, approfittando della chiusura notturna dei negozi, dormono davanti alle vetrine. Non ho paura, questa è la mia città. Ad un certo punto però mi si avvicina un uomo grande e grosso che mi chiede del denaro. Devo confessare che un po’ di paura comincio ad averla. Chi mi garantisce che non sia violento? Ma penso: «Anche lui è mio fratello, questo il Vangelo insegna». Con calma gli dico che non posso dargli nulla perché neppure io ho soldi. Comincia a raccontarmi la sua storia, poi mi fa infilare i suoi auricolari. Stava ascoltando la predica di un pastore protestante. Ascolto per un po’ anche io la trasmissione, così posso dirgli che quella persona sta dicendo cose belle e che è bene ogni tanto sentire buoni messaggi. Lui mi chiede: «Chi sei?».Non sapendo cosa rispondere gli chiedo il perché della domanda. Ed egli: «Perché nessuno ci tratta bene così». La cosa va avanti per 30/40 minuti. Penso al tragitto che ancora devo fare per arrivare a casa, al fatto che all’indomani mi dovrò alzare alle 6 per andare al lavoro. Ma sento che devo restare ancora un po’ per accogliere quel fratello che ha grande bisogno di ascolto, di compagnia. Alla fine, dopo avermi chiesto l’indirizzo per venire a fare una grigliata a casa mia, ci salutiamo, con la sensazione di aver trovato un fratello. Un giorno di pioggia, tornando a casa in moto, vedo un uomo che, fradicio, tenta di rialzarsi da una pozzanghera senza riuscirci. Lo riconosco: è un nostro vicino di casa che è sempre ubriaco. Nel bar accanto ci sono diversi uomini che si limitano a guardare la scena senza fare nulla. Cercando di non arrabbiarmi, mi fermo, lascio lì la moto e lo accompagno a casa, raccontando alla moglie cosa era successo. Infine torno sui miei passi per riprendere la moto. Strada facendo, in fondo al cuore riecheggia una frase: «L’hai fatto a me». Non sono più arrabbiato. Mi basta per sentirmi felice e per non inveire contro quegli uomini che stupiti continuano a guardarmi». (altro…)
Giu 27, 2015 | Chiara Lubich, Focolari nel Mondo, Nuove Generazioni, Spiritualità
«La rivista francese “Paris Match” ha riportato un lungo articolo su un documento importantissimo che può svelarci qualcosa di Colui che amiamo. Durante quest’anno – per desiderio dei gen – ho cercato di parlare di un solo argomento: Gesù crocifisso e abbandonato. Vogliamo conoscere quel mistero, vogliamo sviscerarlo. Vogliamo vedere e sapere e capire, per quanto possiamo, quello che può essere considerato il vertice della passione di Gesù. “Paris Match” riportava uno studio fatto sul lenzuolo – la Sindone – che avvolse il corpo di Gesù quando fu sepolto. Gli studi fatti su questo straordinario pezzo di tessuto fanno pensare che sia veramente autentico. Esso rivela qualcosa, anzi molto, di Cristo quando viveva la sua agonia alzato lassù fra terra e cielo. È di questo Gesù Uomo che oggi vorrei parlarvi. Mi interessa moltissimo, perché è in quelle carni che abitava quell’Anima che attraversò il terribile buio dell’abbandono. Il lenzuolo è esso stesso un reportage: porta infatti impressi molti segni del corpo santo di Cristo. Dice che Gesù era un uomo forte e lavoratore: la muscolatura della spalla e del braccio destro e le mani lo stanno a dimostrare. La muscolatura delle gambe dice che era un camminatore: e noi dal Vangelo ne sappiamo qualcosa. Terribile fu la sua flagellazione: più di cento colpi dati con un ordine preciso. Inchiodato ai piedi, tutto il suo corpo privo di qualsiasi sostegno cadeva in avanti, sorretto soltanto dai chiodi alle mani. La corona di spine non fu come sempre la immaginiamo. La presenza di grossi buchi nel capo dice che gli conficcarono in testa un intero casco di spine. Il volto, con un occhio tumefatto, non sarebbe insanguinato come il resto del corpo, il che confermerebbe l’episodio della Veronica che conosciamo per tradizione. Un ginocchio è leso per una forte caduta. Sangue da ogni dove. Una spada ha raggiunto il suo cuore, passando dal basso del torace… Dolore, dolore, dolore inenarrabile, inconcepibile. Tre lunghe eterne ore così, senza sosta, senza perdere la conoscenza mai. Ho capito che nessuno al mondo può dire di aver mai sofferto come Lui; e che Lui può dire qualcosa di più, sempre, a chiunque nel mondo sia visitato da qualsiasi sofferenza. «Perché Gesù ha sofferto?», mi chiese un giovane coreano giorni fa. C’era una rottura da riaggiustare tra Dio e l’uomo. Solo un prezzo come il suo l’avrebbe riparata. Oggi sembra che i tempi in cui i cristiani meditano i dolori di Gesù e seguono passo passo la sua salita al Calvario siano pressoché tramontati. Sono senz’altro cadute in disuso alcune pratiche arrugginite dal tempo e svuotate di significato, perché non più espressione di amore vero. «Donne, perché piangete sopra di me? Non piangete su di me, ma su voi stesse» (Lc 23, 28), ha ripetuto oggi Gesù a certi cristiani che non comprendono se non la superficie delle cose e portano in sé una pietà pietrificata o quasi, solo sentimentale. Ci sono due cose che occorre capire prima di penetrare il misterioso dolore del nostro Amico crocifisso, il vivo fra i vivi, per tutti i secoli. Ed è che tutto Egli ha sopportato per amore. E che noi dobbiamo rispondere al suo col nostro amore. Come? Dobbiamo fare di ogni dolore fisico, piccolo o grande, che ci tocca, un dono a Lui per continuare anche in noi, venti secoli dopo, la sua Passione per la salvezza del mondo. Egli, infatti, ci ha avvertito: «Se qualcuno vuol venir dietro a me… prenda la sua croce e mi segua» (Mt 16, 24; Mc 8, 34; Lc 9, 23 )». Chiara Lubich, da “gen”, giugno 1970: editoriale Il nostro compito venti secoli dopo Fonte: Centro Chiara Lubich (altro…)
Giu 24, 2015 | Cultura, Nuove Generazioni
O livro
Na verdade, não é um livro sobre crianças, mas um livro de crianças. É uma coletânea de episódios protagonizados por meninas e meninos do mundo inteiro, provenientes de diferentes ambientes e culturas. Um jogo — o “Dado do Amor” — serve de estímulo para que a criança coloque em prática o amor cristão, revelando uma atitude de compromisso com outras crianças, de generosidade (em especial para com os pobres), de iniciativa, de perdão… Os relatos evidenciam a receptividade da criança ao amor cristão e a capacidade de elas, por sua vez, se tornarem “mestras” na sua transmissão. O livro não só revela como as crianças podem se comportar, mas efetivamente dá pistas de quem elas são. Na orelha da 4ª capa a criança pode recortar e montar o seu próprio dado e começar a jogá-lo. O livro é dirigido a crianças de 6 a 8 anos. Seu estilo é propício para que seja lidos a elas (ou por elas) pelos pais, avós ou um mediador de leitura com o intuito de buscar um diálogo, uma troca de experiência sobre os aspectos da vida.
Os Autores
Gerta Vanderbroek (belga) e Mauro Camozzi (italiano) atuam no Centro Internacional do Movimento dos Focolares que se dedica a seu setor infantil (gen 4). Eles recolheram os textos que, na verdade foram narrados em primeira pessoa pelas próprias crianças. Informações: Editora Cidade Nova 