Movimento dei Focolari
Libano: Centro Mariapoli “La Sorgente”, porte aperte agli sfollati.

Libano: Centro Mariapoli “La Sorgente”, porte aperte agli sfollati.

Il Centro Mariapoli “La Sorgente” si trova ad Ain Aar, in un luogo di montagna, a 20 chilometri a Nord di Beirut. Come fu nel 2006, l’anno del conflitto militare durato 34 giorni tra Israele e Hezbollah, anche in questi giorni le persone in fuga dalle bombe che stanno devastando il Sud del Paese, arrivano qui, in questa regione a maggioranza cristiana, e chiedono ospitalità. “E’ normale bussare alla porta del Centro Mariapoli e trovare le porte spalancate”, racconta R. della comunità libanese dei Focolari. “Potevamo non accoglierli? Cosa ne sarebbe stato dell’ideale di fratellanza del quale ci nutriamo e che dovrebbe essere la nostra caratteristica?”. Un’esperienza simile era stata vissuta nel 2006. Anche allora, il Libano fu attraversato da grandi spostamenti di famiglie e anche allora, il Focolare aveva accolto nel suo Centro Mariapoli, più di un centinaio di amici, famiglie con marito e moglie, nonni, giovani e bambini. “Ci siamo conosciuti così, e tra noi è nato un rapporto da fratelli che ci faceva condividere gioie e dolori, speranze e difficoltà, bisogni e preghiera. In un rapporto semplice e schietto, tessuto nella quotidianità è nata e cresciuta una vera esperienza di fratellanza, senza filtri o pregiudizi”.

Nessuno si aspettava che la situazione precipitasse così, da un momento all’altro. “I libanesi si stavano preparando al rientro a scuola con uno sguardo di speranza verso questo nuovo anno”, racconta R. “Eppure una burrasca inaspettata si è scatenata, implacabile, minacciosa, micidiale”, con “conseguenze terribili su una popolazione in sete di pace, di giustizia, di strade di dialogo”. In pochi giorni, anzi ore, azioni belliche hanno colpito quartieri popolari e il popolo è sprofondato in “un vero incubo”. L’Unicef fa sapere che secondo il Ministero della Salute Pubblica, al 25 settembre, quasi 600 persone sono state uccise in Libano, tra cui più di 50 bambini e 94 donne, e circa 1.700 altre sono rimaste ferite dal 23 settembre. Gli sfollamenti di massa continuano, raggiungendo circa 201.000 sfollati interni (IDP), secondo i dati dell’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (Oim).

Da domenica anche il Centro Mariapoli “La Sorgente” si è gremito di ospiti “arrivati con le loro paure, il trauma vissuto nei loro villaggi o quartieri presi di mira”. Hanno percorso in macchina 120 chilometri, impiegando dalle 5 alle 8 ore. Le strade sono affollate di auto in fuga dal Sud. Lasciano i villaggi prima di raggiungere le grandi città di Tiro e Sidone. Attorno a loro, vedono la distruzione dei recenti bombardamenti. Attualmente sono 128 le persone ospiti al Centro Mariapoli di Ain Aar. Alcuni provengono dal Sud, altri dalle periferie popolari di Beirut colpite dagli ultimi attentati. Non è facile: “La loro presenza solleva interrogativi nella comunità cristiana della regione”, raccontano i focolarini. “Ci si chiede: tra loro ci sono membri di Hezbollah che potrebbero minacciare la pace nella regione? Ma il senso di solidarietà è più forte del sospetto”. R. aggiunge: “Dove potevano chiedere asilo anche questa volta? Dove potevano andare, sapendo di essere accolti senza riserve?”. Per la comunità dei focolari, inizia una nuova avventura. L’accoglienza viene fatta in coordinamento con le autorità locali, religiosi e civili.

Scatta – come d’altronde in queste ore in tutto il Paese – una “gara” di solidarietà. Dal parroco, ai fedeli della parrocchia, ai volontari. C’è chi si prende cura dei ragazzi organizzando per loro attività e partite di calcio. Chi si occupa degli aiuti necessari per l’accoglienza. “Le persone arrivano scioccate, preoccupate per il loro futuro, con negli occhi lo spettacolo apocalittico delle case distrutte, dei campi bruciati, ma anche di notizie di conoscenti, parenti, vicini, amici o allievi che sono stati uccisi negli attacchi e non rivedranno mai più. Insieme ci stringiamo calandoci a vivere nell’attimo presente, con la fede che ci ha permesso durante secoli di attraversare le avversità”.

Il Centro “La Sorgente” punta ad essere, insieme a tanti luoghi disseminati nel Paese, vere “oasi di pace”. “La speranza, l’augurio più profondo è che presto si possa tornare a casa. Tanto sangue versato deve far fiorire il deserto dei cuori. Speriamo che questo calvario che stiamo vivendo, apra una breccia nella coscienza dei potenti e di tutti sull’evidenza che la guerra è una sconfitta per tutti, come ripete Papa Francesco. Ma soprattutto crediamo e speriamo che da questo crogiolo di dolore possa emergere dal Libano un messaggio di fratellanza possibile per l’intera Regione”.

Maria Chiara Biagioni
Fonte: AgenSir
Foto: Focolari Libano

Congo: esperienze di sinodalità   

Congo: esperienze di sinodalità   

Sono arrivati in moto, a due a due, perché questo è il mezzo più comune per raggiungere la località di Manono, nella  provincia del Katanga, nel sud-est della Repubblica Democratica del Congo. Erano 92  i sacerdoti che si sono dati appuntamento in questa città provenienti da 8 diocesi della provincia ecclesiastica di Lubumbashi per uno dei periodici ritiri organizzati dal Movimento dei Focolari. L’invito a farlo lì era stato fatto dal Vescovo di Manono, Mons. Vincent de Paul Kwanga Njubu, colpito della testimonianza dei suoi sacerdoti che in passato avevano partecipato a questo genere di ritiri a Lubumbashi.

Anche il Vescovo di Kongolo, Mons. Oscar Ngoy wa Mpanga, una diocesi a 300 Km da Manono, colpito dallo stesso fatto – giovani sacerdoti che avevano partecipato a ritiri simili organizzati per seminaristi  – ha chiesto a tutti i sacerdoti della sua diocesi di unirsi a questo ritiro.  Sono arrivati in 43. La stampa locale ha definito il ritiro “indimenticabile”. A conclusione, il Vescovo ha voluto offrire a tutti un pranzo che poi i partecipanti hanno condiviso con l’ospedale della città, con grande gioia dei malati.

I membri della comunità dei Focolari di Lubumbashi hanno pensato a tutta la parte organizzativa (trasportando anche le pentole per cucinare) ed il programma era affidato ad alcuni membri del Centro internazionale del Movimento.

La città di Manono si trova a 800 km da Lubumbashi, è la terza città del Congo e rappresenta una risorsa mineraria di importanza globale per la presenza di litio e di altri minerali. Purtroppo però la popolazione non beneficia di queste risorse. Intere famiglie trascorrono le giornate nella ricerca di minerali, i bambini lasciano la scuola per dedicarsi a questo lavoro. C’è un grande sfruttamento e i materiali vengono comprati a bassissimo prezzo. C’è persino un villaggio nel quale stanno cadendo le case, perché si cercano minerali anche sotto di esse. La situazione nella regione è critica: devastata nel passato da un conflitto che ha distrutto infrastrutture civili e religiose, ha strutture sanitarie e scuole in rovina, con un tasso di frequenza scolastica inferiore al 30%. La malnutrizione e l’insicurezza alimentare colpiscono gravemente i bambini, con un 15% di loro affetti da malnutrizione. Il Vescovo di Manono ha voluto questo ritiro proprio in questo luogo: è la prima volta che anche sacerdoti di altre diocesi vi arrivano. Anche per questo, la presenza di un così grande numero di presuli è stata salutata in un’aria di festa. Durante la Messa domenicale il parroco della cattedrale ha chiesto a tutti i parrocchiani di portare acqua, che qui è un bene raro e prezioso, ai partecipanti al ritiro come segno di amore e di accoglienza. Poi sono iniziati i giorni di incontro vero e proprio: temi spirituali, meditazioni sui consigli evangelici e approfondimenti sulla sinodalità. Divisi in piccoli gruppi, molti sono stati i momenti di comunione di vita, di scambio di testimonianze, di conoscenza, di condivisione, di fratellanza.

La spiritualità di comunione, la scoperta di Dio Amore, un nuovo stile di pastorale “sinodale” che “libera da schemi preconfezionati e ci apre all’amore reciproco” come qualcuno diceva, sono stati tra i punti che più hanno colpito tutti.

Tornando a Lubumbashi, alcuni membri dei Focolari hanno potuto salutare alcuni Vescovi delle varie diocesi, presenti lì per un incontro della Conferenza Episcopale, i quali hanno ringraziato calorosamente per il contributo che questi ritiri danno alla vita delle loro diocesi. In particolare il Vescovo di Manono ha ringraziato per “l’apporto dato alla vita spirituale  dei sacerdoti e dei laici, e ad una comunione tra preti che trabocca sulla vita dei laici e permette di vivere l’amore reciproco e di mettere in pratica la parola di Dio”. L’Arcivescovo di Lubumbashi, Mons. Fulgence Muteba Mugalu, appena nominato Presidente della Conferenza Episcopale, ha ringraziato anche lui calorosamente per questi ritiri che si fanno da diversi anni auspicando che si continui questa formazione che porta tanti frutti.

Dopo il ritiro, alcuni dei membri del Centro internazionale si sono recati a  Goma, nel Nord-est del Congo, dove i focolarini hanno organizzato due scuole di formazione a cui hanno partecipato 12 giovani seminaristi e 12 sacerdoti, è stato presente per una celebrazione liturgica anche il Vescovo di Goma, Mons. Willy Ngumbi Ngengele.  Diversi degli invitati non hanno potuto partecipare, per l’intensificarsi degli scontri vicino alla città. In Congo ci sono 7 milioni di rifugiati, tra cui 1,7 milioni nella provincia di Kivu nord dove si trova Goma. Nell’incontro si è approfondita la conoscenza della spiritualità dell’unità  e della sinodalità. Nel programma, la visita ad una parrocchia circondata da migliaia di rifugiati dove il parroco dà una testimonianza di Vangelo vissuto molto forte. Anche la visita al “Centre Père Quintard”, tenuto dal Movimento e situato in mezzo a 2 grandi campi di rifugiati, dove si fa un servizio di promozione, educazione e sviluppo sociale, è stata una forte testimonianza per tutti i presenti. Diversi lo hanno visto come un faro di speranza ed hanno chiesto che simili attività venissero fatte anche nelle loro parrocchie.

Anna Lisa Innocenti

Tempo del Creato

Tempo del Creato

La famiglia ecumenica di tutto il mondo si unisce per ascoltare e prendersi cura della nostra casa comune. Come di consueto il 1° settembre inizia il Tempo del Creato, un periodo di preghiera e riflessione associato ad azioni concrete per la cura del Pianeta Terra. Evento che si concluderà il 4 ottobre con la festa di San Francesco d’Assisi, patrono dell’ecologia amato da molte confessioni cristiane. Il Movimento dei Focolari aderisce all’iniziativa. Dalla Settimana di preghiera per l’unità dei Cristiani di gennaio scorso ad oggi abbiamo vissuto la fase di “Preparazione” per il Tempo del Creato, fondamentale per creare legami e relazioni, rinnovando la gioia di incontrarsi e coltivando i doni della comunione e della pace come Popolo di Dio insieme alla nostra casa comune.

Tema del 2024

Il tema di quest’anno è Sperare e agire con la Creazione. Dove nasce questo tema? Nella lettera dell’apostolo Paolo ai Romani, l’immagine biblica raffigura la Terra come una Madre, che geme come durante il parto (Rm 8:22). San Francesco d’Assisi lo aveva capito quando nel suo Cantico delle Creature si riferiva alla Terra come a nostra sorella e nostra madre.

Purtroppo i tempi in cui viviamo dimostrano che non ci rapportiamo alla Terra come a un dono del nostro Creatore, piuttosto come una risorsa da utilizzare.

Può esserci ancora una speranza?

Certo, deve esserci, insieme ad un’aspettativa per un futuro migliore. Sperare nel contesto biblico non significa restare fermi e silenziosi, ma piuttosto gemere, piangere e lottare attivamente per una nuova vita in mezzo alle difficoltà. Proprio come durante il parto – riprendendo la raffigurazione dell’apostolo Paolo -, attraversiamo un periodo di dolore intenso ma sta nascendo una nuova vita.

La speranza è un dono di Dio. Solo attraverso la speranza possiamo realizzare in pienezza il dono della libertà, che insieme alla responsabilità ci consentono di rendere il mondo un posto migliore. Solo quando collaboriamo con il Creato possono nascere le primizie della speranza.

Sperare e agire

La speranza è fiducia che la nostra azione abbia un senso, anche se i risultati di questa azione non si vedono immediatamente. Sappiamo quanto sia urgente un’azione coraggiosa per contenere la crisi climatica ed ecologica, e sappiamo anche che la conversione ecologica è un processo lento poiché gli esseri umani sono ostinati a cambiare le loro menti, i loro cuori e il loro modo di vivere. A volte non sappiamo come dovrebbero essere le nostre azioni. C’è molto che possiamo imparare da altre culture e paesi su come sperare e agire insieme al Creato.

Quest’anno il 1° settembre è una domenica, siamo tutti invitati a celebrare l’inizio del Tempo del Creato nei nostri rispettivi Paesi e comunità.

Lorenzo Russo

Trieste e l’accoglienza ai migranti

Trieste e l’accoglienza ai migranti

Trieste è una città situata nel nord-est Italia, al confine con la Slovenia. Storicamente rappresenta un crocevia di culture, lingue, religioni. E oggi è uno dei primi punti d’approdo in Europa per i migranti che transitano per la rotta balcanica. Persone con un bagaglio di sofferenze, guerre, persecuzioni.

A Trieste la comunità del Movimento dei Focolari, in sinergia con altre istituzioni, si adopera per dare una prima accoglienza ai migranti.

“Il problema più grande è la percezione del problema stesso – racconta Claudia, della comunità locale -. Non si tratta infatti di un’emergenza, un’invasione ingestibile come spesso viene raccontata ma di un fenomeno strutturale che è la realtà di questo nostro presente storico. Un flusso continuo di persone in arrivo che, se opportunamente accolte e ridistribuite, possono persino diventare risorsa per la nostra città e per il nostro Paese. Se il fenomeno migratorio non viene capito e affrontato con gli strumenti opportuni, è destinato a generare diffidenza, paura, insofferenza, rifiuto”.  

Nell’autunno dello scorso anno, in previsione dell’emergenza freddo, il Vescovo di Trieste Mons. Enrico Trevisi ha espresso la volontà di aprire un dormitorio come risposta concreta per l’accoglienza ai migranti. Un gruppetto di persone dei Focolari hanno risposto all’appello del Vescovo offrendosi come volontari assieme ad altre associazioni cattoliche e a singoli cittadini. “Per noi non si tratta solo di un mero servizio caritatevole – spiega Claudia -, ma l’occasione di incontrare in ogni prossimo un fratello, una sorella da amare anche nelle piccole cose: un sorriso nell’offrire il pasto, lo scambio di qualche parola. Spesso questi fratelli ci raccontano pezzi della loro storia, i loro dolori, le loro speranze, ci mostrano le foto dei figli, ma anche si scherza e si condivide il tempo in serenità. Alcuni di noi, inoltre, hanno seguito più da vicino alcuni migranti sia nel caso di un ricovero ospedaliero sia nell’affiancamento per la redazione del curriculum mirato alla ricerca di un lavoro”.

Sandra della comunità dei Focolari aggiunge: “Troviamo il tempo per conoscere i migranti, le loro storie, i loro bisogni. Stanno nascendo piccole e grandi esperienze che ci hanno visto coinvolti nell’aiutare anche fuori dal turno del dormitorio, e queste ci stimolano tantissimo a continuare. I turni ci hanno permesso di donarci con gli altri volontari e scoprire che tanti di loro pur non frequentando associazioni o parrocchie hanno risposto all’appello del Vescovo”.

“Pian piano crescono i rapporti, un segno di unità anche per la Chiesa locale – aggiunge Claudia -. Questa esperienza, unita alla recente Settimana Sociale dei Cattolici Italiani, alla presenza di Papa Francesco, porterà grande linfa a questa nostra città di frontiera”.

“A Trieste ho conosciuto i migliori volontari, quelli che non si limitano a distribuire cibo – racconta un’ospite del dormitorio diocesano -. Soddisfare la fame dei bisognosi e curare le ferite dei malati sono compiti nobili perché sono i più urgenti e necessari. Esistono però altri bisogni estremamente importanti per l’essere umano, la salute delle sue emozioni, sintomi dello stato della sua anima. Non è una questione individuale o minore, è ciò che fa la differenza tra le azioni che hanno un impatto momentaneo e quelle che persistono e permeano l’intera società”. “I migliori volontari – continua – lo fanno perché sono consapevoli che i bisognosi non sono depositari della carità, siamo persone con una storia che vale la pena ascoltare. Sanno che ogni migrante porta dentro di sé un lutto per le radici perdute, allo stesso tempo una speranza che colpisce contro i muri il sistema e una lotta incessante per la sopravvivenza”. “I migliori volontari  – conclude – si commuovono di fronte a questa umanità adolescente e sono incoraggiati ad ascoltare le nostre storie, senza fermarsi davanti alle barriere linguistiche: insegnano l’italiano, imparano lo spagnolo, usano la tecnologia, rinunciano al loro tempo personale, investono la loro energia nel bene comune, sognano una comunità in cui tutti possiamo offrire il meglio di noi stessi”.

Lorenzo Russo

Gen Rosso in Madagascar

Gen Rosso in Madagascar

Il complesso internazionale Gen Rosso ha fatto tappa in Madagascar. Otto date in sette città diverse. Tanti chilometri percorsi in questa splendida terra per portare un messaggio di pace e fraternità attraverso la musica e la danza.

Ci son voluti due giorni di viaggio per percorrere 950 km, dalla capitale Antananarivo alla città di Tolear, all’estremo sud dell’Isola.

“La comunità del Movimento dei Focolari di Tolear ci ha accolto in festa donandoci tipici copricapo e collane, manifestando la loro gioia con danze tradizionali e canzoni – racconta Valerio Gentile, booking Internazional del Gen Rosso -. E in un noto ristorante della città ci siamo esibiti insieme ad un gruppo locale, il Choeur des Jeunes de Saint Benjamin. Così si è aperta questa tappa nel sud del Madagascar”.

Il giorno dopo è la volta dei workshop alla scuola Don Bosco e a seguire il concerto nell’anfiteatro. “È stata la giornata più bella della mia vita” ha esordito una ragazza con le lacrime di commozione. E un giovane insegnante aggiunge: “Ci avete tirato fuori dei valori veri per cui vivere; sento che devo impostare la mia vita sugli obiettivi che abbiamo sentito nelle vostre canzoni e che abbiamo condiviso con voi dal palco durante i workshop”.

“Tra i vari laboratori di danza e canto, c’è stato quello delle percussioni, improntato in maniera del tutto originale – spiega Valerio -. Il materiale usato infatti era composto da bottiglie di plastica riciclata e dai bidoni gialli molto comuni in Africa, utilizzati perlopiù per l’approvvigionamento di acqua, olio e altro. Strumenti musicali improvvisati tenendo in considerazione soprattutto la salvaguardia del pianeta”.

Un’altra tappa significativa presso l’istituto scolastico École Père Barré, dove 300 allievi delle superiori hanno potuto condividere il palco con il Gen Rosso che, nell’input iniziale lancia il motto da vivere: “making space for love”, ovvero “fare spazio all’amore”.

“Non siamo qui per fare uno spettacolo per voi, ma con voi per tutta la città” esordisce Adelson del Gen Rosso.

Le ore volano e si arriva al concerto finale presso il Jardin de la Mer. Ad aprire l’evento le voci del Choeur des Jeunes de Saint Benjamin. Ma arriva un imprevisto: va via la corrente elettrica e si ferma l’evento. Dopo qualche minuto si riprende e arriva il momento del Gen Rosso. C’è un bel clima festoso in piazza, i giovani presenti rispondono con partecipazione viva.

Ma ritorna il blackout elettrico, proprio quando il tramonto ha lasciato spazio alla notte ed è buio totale.

“Che facciamo?” si chiedono. “Decidiamo di improvvisare con l’aiuto di alcune torce per fare un po’ di luce. Uno dopo l’altro si susseguono i vari gruppi di giovani che hanno partecipato ai workshop nei giorni precedenti. La creatività non manca, insieme alla gioia di stare insieme su quel palco. Lo spettacolo sono loro, i giovani di Tolear!”

“Grazie al Gen Rosso che ci ha fatto scoprire quanta resilienza abbiamo in noi” racconta un ragazzo. Gli fanno eco altre testimonianze sulla scoperta dei valori autentici della vita, sui propri talenti nascosti, sulla direzione giusta da percorrere nella vita.

“Parole che ci danno una forte carica per affrontare l’ultima tappa, ad Antananarivo, la Capitale – afferma Valerio -. Ci attendono alla scuola Fanovozantsoa. Poche ore sono sufficienti per arrivare ad un alto livello di preparazione sia in canto che attraverso la danza di hip-hop, latina o le percussioni. Così il concerto del 18 maggio va alla grande tra applausi, abbracci e selfie. Un momento indimenticabile che rimane inciso nel cuore di tutti”.

Si conclude il tour con la Santa Messa nel giorno di Pentecoste a Akamasoa, presso la Città dell’amicizia, un luogo nato e ideato 30 anni fa da Padre Pedro, missionario argentino che decise di aiutare i poveri migliorando le loro condizioni di vita attraverso un lavoro dignitoso, l’istruzione e i servizi sanitari.

“Abbiamo festeggiato insieme tra la ‘colorata’ Messa al mattino nella grande chiesa-palasport e un gioioso spettacolo al pomeriggio nell’anfiteatro all’aperto – racconta ancora Valerio -. Un concerto insieme a famiglie, giovani, anziani e bambini, con un messaggio di speranza per costruire una nuova società basata sull’Amore”.

“Grazie Madagascar – dice ancora Valerio a nome del Gen Rosso – milioni di cuori che battono ogni giorno al ritmo della solidarietà l’uno con l’altro, resilienza di fronte alle difficoltà, semplicità, serenità d’animo nell’affrontare le avversità, leggerezza di vita, umiltà, gioia e pace dell’anima. Da ora tu ‘viaggi’ con noi come regalo da portare al mondo!”

Lorenzo Russo

Vangelo Vissuto: un seme che germoglia e cresce

Vangelo Vissuto: un seme che germoglia e cresce

Al semaforo
Una volta alla settimana faccio un viaggio dalla mia città a una città più grande per trovarmi con degli amici con i quali condivido gli stessi ideali. Cerco di portare con me del denaro extra per aiutare le persone che chiedono l’elemosina ai semafori.  La settimana scorsa, sulla via del ritorno, mi sono fermato a un semaforo rosso e mi si avvicina un giovane uomo pronto a  pulire il parabrezza. Ho abbassato il finestrino e mentre cercavo i soldi da dargli gli ho detto di non pulirlo perché non ce l’avrebbe fatta prima che il semaforo diventasse verde.

Lui mi ha guardato e ha detto: “Mi può dare un po’ di più? Devo comprare del pollo per i miei figli”. Ho risposto di sì. In effetti quello che gli stavo dando non gli sarebbe servito a molto. Lui ha preso i soldi e ha detto: “Me li lasci guadagnare? Le prometto che lo farò in fretta”.

Quasi senza aspettare la mia risposta, ha iniziato a pulire il vetro terminando poco prima che il semaforo diventasse verde. Subito dopo si è avvicinato al finestrino dell’auto e, con una faccia felice, stringendomi la mano, mi ha ringraziato augurandomi ogni bene. Mentre tornavo a casa, ho pensato a quello che era successo e ho capito che i piccoli gesti a volte ci edificano e insegnano qualcosa più a noi stessi che alle persone per cui li facciamo. So che Dio è ovunque, ma non mi è mai venuto in mente che mi aspettasse a un semaforo.
(S. Z. – Argentina)

In carcere
Per spaccio di droga ero finito nel carcere minorile, dove però continuavo a ricevere le visite di Valerio, il mio insegnante di quando andavo a scuola. E questo non poteva lasciarmi indifferente. Se nella vita avevo avuto a che fare con gente cattiva che credevo essermi amica, con Valerio no: mi voleva bene senza nessun interesse. Inoltre mi raccontava storie di altri ragazzi, che avevano fatto una scelta diversa dalla mia, fatti di Vangelo. Un giorno nella mia cella arrivò un nuovo “ospite”: un ragazzo così sporco da puzzare. I compagni cominciarono a insultarlo, a sputargli addosso, intimandogli di andare a lavarsi. Poiché non aveva né sapone, né asciugamano, né vestiti di ricambio, sono intervenuto in sua difesa e gli ho dato i miei vestiti, sapone e asciugamano. Lui è andato a farsi una doccia e la calma è tornata. Questa esperienza è stata l’inizio di una svolta. Pensavo che per tutto quello che avevo combinato l’amore fosse scomparso dentro di me. Invece era come un seme che, più vivo che mai, cominciava a sbocciare.
(T. – Italia)

A cura di Maria Grazia Berretta

(tratto da Il Vangelo del Giorno, Città Nuova, anno X– n.1° maggio-giugno 2024)