Movimento dei Focolari
È arrivata “Primavera”

È arrivata “Primavera”

«La nostra storia è stata, e lo è ancora, un cammino lungo e a volte accidentato, ma crediamo che i nostri figli e la nostra famiglia siano il regalo più bello che c’è stato donato. Il nome della nostra bambina più piccola è già una promessa; in vietnamita significa “Primavera”. Quando eravamo sposati da poco abbiamo incontrato una bimba splendida di circa un anno, affidata ad un centro per bambini gravemente disabili dove mia moglie, nell’ambito di un progetto internazionale in Asia, faceva volontariato. Dopo un periodo di affido, ci viene prospettata l’idea di adottarla. Vivendo con lei, abbiamo sperimentato come la maternità e la paternità siano un legame “di anime”, che va oltre gli aspetti biologici. Purtroppo la burocrazia ci ha costretto a rinunciare al nostro progetto. La tristezza è stata grande, ma la gioia è tornata con la nascita, sempre in Asia, del nostro primo figlio. Questa lunga esperienza è stata il primo incontro con la cultura diversa e affascinante dell’Oriente, dove abbiamo vissuto due anni e con cui abbiamo mantenuto un legame forte. Rientrati in Italia, nel 1999 nasce il nostro secondogenito e poco dopo ritorna anche l’idea dell’adozione. Nel 2002 decidiamo di rivolgerci ad Azione per Famiglie Nuove – onlus (AFN)  del Movimento dei Focolari   La strada percorsa è stata bella ma anche faticosa. Il primo agosto 2005 ci chiamano per dirci che dobbiamo prepararci a partire per il Vietnam il prima possibile. Vi restiamo un mese: un’avventura bellissima. Il nostro primogenito di nove anni ci ha detto: «È stato come partorire tutti insieme». Visitiamo Saigon e conosciamo le origini di nostra figlia. Se ripensiamo a quel periodo, ci si affollano nella mente tante istantanee: forse la più emozionante è il primo incontro, quando mia moglie la prese in braccio per la prima volta e poi tutti noi: in quei frangenti abbiamo avuto la sensazione di tenere tra le braccia un pulcino smarrito. Dopo qualche giorno si affaccia qualche sorriso; il primo lo ha rivolto ai suoi fratelli, come se avesse sempre saputo quale importante ruolo avrebbero giocato nella sua vita e per tutta la nostra famiglia. Hanno saputo “farle spazio” come quando il secondogenito, che aveva sei anni e amava stare in braccio a papà, di fronte alle proteste della sorellina si è offerto di cederle il suo posto. La “rete” di famiglie che frequentiamo da quando siamo rientrati in Italia è una parte importante dell’esperienza che stiamo vivendo. È come un’unica grande famiglia allargata fatta di famiglie adottive dal Vietnam e da altri Paesi. Si affrontano anche lunghi viaggi per potersi incontrare e far crescere questi figli nella consapevolezza che l’adozione è un’esperienza naturale che tante famiglie vivono. È una grande opportunità per sperimentare che l’amore è possibile tra persone di origini diverse. La nostra piccola ora ha quasi nove anni, sta crescendo ed è una splendida bambina, ben inserita, sia a scuola che nella famiglia allargata. Con i suoi fratelli ama naturalmente giocare a giochi “da maschio”, ma ha mantenuto delicatezza e una dolcezza incantevoli. Ha diversi interessi e ama molto la musica e il ballo. Così le abbiamo proposto di frequentare con la mamma delle lezioni di arpa celtica che, per il momento, è contentissima di seguire. Oggi viviamo una fase diversa, i figli più grandi stanno entrando nel periodo dell’adolescenza. È una nuova sfida che si presenta, con gli alti e i bassi che la caratterizzano. Gli ultimi anni, così belli ma anche così intensi, ci hanno portato a focalizzarci molto sui bisogni e sull’inserimento della bimba più piccola ed ora dobbiamo forse recuperare qualche passaggio con gli altri due, ma la ventata di “primavera” che ci è stata donata otto anni fa, con la sua voglia di vita spumeggiante e la sua dolcezza forte così tipica del suo Paese d’origine, ci aiuta a superare anche le giornate più difficili e burrascose. a cura di Marzia Rigliani Fonte: Spazio Famiglia, Bollettino mensile di AFNonlus, marzo 2013, pag. 12-13 (altro…)

È arrivata “Primavera”

Ubuntu: “Io sono perché noi siamo”

I Giovani per un Mondo Unito hanno lanciato il progetto Sharing with Africa, che vuol contribuire a far conoscere il dono che questo continente, con le sue specificità e tradizioni, può essere per il mondo intero. Già nel dicembre 2011 circa 200 giovani provenienti da vari paesi africani si erano incontrati con lo scopo di approfondire un progetto di fraternità realizzata, che va avanti fin dagli anni ’60 del secolo scorso a Fontem, in Camerun, per vedere come contribuire anche loro alla fraternità universale. Da quel momento è nato Sharing with Africa per concorrere alla formazione di una cultura aperta alla realizzazione di un mondo unito, promuovendo i valori che hanno edificato e formato la società del Continente africano. Il progetto vuole essere uno spazio di comunione tra i giovani, non soltanto del Continente africano ma del mondo intero e favorire lo scambio di culture, di talenti, di esperienze di vita, di sfide, corredato da attività concrete. Il primo passo del progetto prevede di partecipare il prossimo maggio a Nairobi, in Kenya, alla Scuola di Inculturazione che avrà come tema: “La persona – Ubuntu – Io sono perché noi siamo”. L’“Ubuntu” è una visione unificante del mondo, espressa nel proverbio zulu: “Umuntu Ngumuntu Ngabantu” (“Una persona è persona tramite e attraverso le altre persone”). Questo concetto è una concezione della vita che si trova alla base delle società africane e che contiene in sé il rispetto, la condivisione, la fiducia, l’altruismo e la collaborazione. È un concetto comunionale dell’uomo, che definisce la persona in rapporto alle sue relazioni con gli altri. Una persona con Ubuntu è aperta, disponibile agli altri, solidale, sa di appartenere a un tutto più grande. Quando si parla di Ubuntu si intende un senso più forte di unità nei rapporti sociali, per essere disponibili a incontrare le differenze dell’umanità dell’altro e arricchire la nostra: “Io sono perché noi siamo”. Il progetto Sharing with Africa prevede per i partecipanti alla scuola di inculturazione, oltre ad approfondire l’Ubuntu, anche la possibilità di svolgere diverse attività sociali insieme ai Giovani per un Mondo Unito del Kenya. Conoscere ed interagire con la tribù Samburu, ma anche lavorare per i bambini di uno slum, cioè un quartiere povero e degradato, di Nairobi e per quelli di un centro di alimentazione, sempre nella periferia di questa immensa città. (altro…)

È arrivata “Primavera”

Argentina: arte e luce per camminare

“Nella visione cosmica andina, il passato si trova davanti: è luce per avanzare. Questi giorni mi hanno dato tanta luce per il cammino! Un grande abbraccio a ciascuno e buon viaggio”, così il saluto di Dami Adanto de Rueda, Direttrice della Scuola Aurora della cittadella argentina di Santa Maria, che ha ospitato l’appuntamento, ai 50 partecipanti al 6° Incontro Latinoamericano di Artisti. Organizzato da Clarté – gruppo di artisti che si ispira alla spiritualità dell’unità – ha riunito nell’ultima settimana di gennaio artisti da tutta l’Argentina, dalla Colombia, dalla Spagna e con la presenza di Michel Pochet, artista belga che vive a Roma, tra gli animatori di Clarté. Santa Maria di Catamarca è una città di 20.000 abitanti nel Nordest del’Argentina, e sorge sulla riva del fiume che porta lo stesso nome. È stata centro di culture millenarie ed è stata parte dell’Impero Inca. Un luogo affascinante, ricco di resti archeologici, con l’incantevole paesaggio dei primi contrafforti della Cordigliera delle Ande. “Le difficoltà per arrivare e le lunghe distanze percorse sono state una ragione in più per godere dell’incontro fra le nostre anime, senza pregiudizi, senza maschere”, spiega Claudio Villareal. E Cristina Críscola aggiunge: “Abbiamo condiviso momenti per conoscerci fra noi, per avvicinarci alla cultura andina, per lavorare insieme in laboratori di produzione. Tutte occasioni di festa, anche per coloro che stavano attraversando dolori profondi”. Il tema era “Nella diversità: l’unità”. Parole che si facevano realtà giorno dopo giorno.

Alcuni pittori sono passati dal: “Non riesco a lavorare. Non sono abituato con gente intorno. Non è il mio stile”, allo scegliere spazi comunitari, condividendo il mate, la tipica bevanda argentina, e le chiacchiere nei momenti di riposo, arricchendosi anche nel contatto con altri artisti. Gli scrittori, il penultimo giorno, in un’esperienza nuova e spontanea, hanno realizzato un “assalto poetico”, regalando una esperienza poetico-teatrale nella quale tutti (musicisti, pittori, attori) hanno partecipato in piccoli gruppi, con una profonda condivisione che partiva dall’anima. L’ultimo giorno, una mostra con i lavori realizzati: pittura, musica, teatro e composizioni letterarie, alla quale hanno partecipato anche alcune persone della comunità di Santa Maria. “Santa María di Catamarca ci hai cambiato la vita – ha detto José, uno dei partecipanti -. Congresso d’arte indimenticabile, con gente proveniente da ogni dove: argentini, latinoamericani, europei. Io ti sento, Santa Maria, come il centro del paese, il suo essere più profondo, con la tua saggia e millenaria cultura, la tua dignità infinita. Le tue donne dolci e valorose. Tienici stretti nella tua mano, altrimenti naufraghiamo nelle stupidaggini e nella banalità. Grazie per averci offerto un nido per nascere di nuovo”.

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È arrivata “Primavera”

Il prezzo della coerenza

«Sono un ingegnere idraulico, da vari anni mi occupo della gestione degli impianti di depurazione delle acque in una regione del Sud Italia. Alla fine degli anni ’90 cominciai a lavorare per una multinazionale che si occupava della gestione di cinquanta depuratori  in tutto il territorio della regione. Subito dopo la mia assunzione, mi resi conto che probabilmente ero l’unico arrivato lì in virtù dei miei studi e del mio curriculum, e non per raccomandazione. Tuttavia, cominciammo il nostro lavoro con grande impegno e, al contrario di quanto era avvenuto negli anni precedenti, dopo i classici 30-40 giorni di avviamento, i depuratori avevano cominciato a funzionare benissimo. Segnale preoccupante, perché indicava chiaramente che prima non erano stati degli intoppi tecnici a renderli inattivi, bensì interessi economici contrari. In seguito mi sono trovato a lavorare per altre ditte. Ovunque mi rendevo conto che la gestione rigorosa delle acque pubbliche, la salute dei cittadini, il futuro dei nostri figli, il bene di una città erano valori di secondo ordine rispetto al profitto e agli interessi privati. Mi fu chiesto esplicitamente di dimenticarmi dei primi per servire i secondi. Per creare profitto, in uno dei comuni, venivano scaricati i fanghi di depurazione nel torrente limitrofo che sfociava, dopo pochi chilometri, in mare. Oggi, a più di dieci anni da quei fatti, ci sono stati i primi arresti. Tutto ciò cozzava contro i miei principi. Non volevo essere il cristiano della domenica. Con mia moglie e tanti amici cercavamo di vivere il Vangelo in tutte le circostanze della vita. La mia coscienza, la mia educazione, i miei ideali, mi richiedevano di andare contro queste pratiche, anche a costo di un grande sacrificio. Mi licenziai. Meglio essere povero, ma onesto. Non è stato facile per un lungo periodo, e tuttora non lo è. Io andavo in giro con un’utilitaria comprata a rate, mentre i miei ex colleghi guidavano auto di lusso. Io però ero ricco dei miei ideali e della mia coerenza. Anche in seguito, per lo stesso motivo, mi sono dovuto dimettere da altri incarichi. Tuttavia abbiamo fatto anche esperienze positive nella gestione degli impianti di depurazione. Una di queste con la cooperativa sociale di un paese sul litorale. Eravamo in tre: io come ingegnere, un elettricista e un operario con un passato di tossicodipendente, che grazie a questa opportunità ha potuto reinserirsi nel mondo del lavoro. I risultati sono stati straordinari, tanto che un tecnico di laboratorio ci disse che non era possibile avere un’acqua così pura: certamente era stata manomessa! Attualmente gestisco un depuratore comunale e altre piccole realtà private. Quello stesso tecnico di laboratorio che non credeva alla nostra acqua così pura, oggi porta le scolaresche – i futuri tecnici di laboratorio – a visitare gli impianti che abbiamo in gestione. Il prezzo della coerenza è alto. La situazione economica della mia famiglia è sempre precaria, arrivare alla fine del mese è un’impresa. Ma per lasciare spazio all’opera di Dio bisogna credere al suo amore, anche se questo vuole dire fare scelte che vanno controcorrente. Questa mattina sono andato a camminare sulla spiaggia. Davanti allo spettacolo del mare e dei riflessi del sole sull’acqua, ho sentito la presenza di Dio che mi rassicurava: sono sulla strada giusta».  (Roberto, Italia) *Tratto da Una Buona notizia. Gente che crede gente che muove, Ed. Città Nuova, Roma 2012. (altro…)

È arrivata “Primavera”

Il Paese in difficoltà era il mio

“Sempre alla ricerca di qualcosa che mi rendesse veramente felice, provavo di tutto. Qui, ho capito che la felicità che bramavo nelle cose, non l’avrei mai trovata. Un’altra felicità, vera e profonda era tutta da scoprire.” Quando Daniele De Patre arriva al Pag-asa Social center, fa un’esperienza che gli cambia la vita profondamente. I volti di quella gente e la povertà di quegli ambienti, spesso visti in tv, diventano qualcosa di tangibile. A Tagaytay (60 Km circa da Manila) nelle Filippine, le case sono costituite da una sola stanza, col pavimento in terra battuta e senza acqua corrente. Le famiglie non hanno accesso ai servizi socio-sanitari e non hanno opportunità lavorative. In questa zona rurale e povera, molti bambini sono abbandonati a se stessi e spesso non hanno un’identità legale, per cui rimangono esclusi dai  servizi sociali primari, quali l’educazione, la salute ed eventuali supporti economici. Restano in balia di lavori inumani e di attività criminose. Il Centro, attraverso il sostegno a distanza di Azione per Famiglie Nuove, svolge numerose attività in campo sanitario educativo e della formazione professionale, con un accompagnamento per 400 minori. L’ambulatorio medico tratta pazienti con disabilità permanenti. È qui che, come fisioterapista volontario, Daniele comprende la necessità di un diverso approccio terapeutico, impostato su una continua interazione e un rapporto di scambio reciproco con i pazienti. Traducendo le letterine che i bambini sostenuti a distanza scrivono ai donatori, Daniele si sente coinvolto nel loro mondo. Percepisce le gioie, le difficoltà le speranze di quei ragazzini, che poi durante le visite nei barrios osserva e incontra di persona. La vita a Teramo, città di provenienza di Daniele, adesso è lontana, così come i suoi 26 anni, trascorsi tra lavoro e uscite con amici. “Vedere situazioni di povertà molto profonde e radicate – commenta – è stato difficile da accettare. Ma pian piano, ho anche scoperto una solidarietà ed una generosità tra le persone che mi ha fatto pensare che il vero paese ad essere in difficoltà era forse il mio, con l’indifferenza, l’isolamento e la chiusura d’animo…”. “Una volta – racconta –  siamo giunti in un barrio così infangato che non era davvero possibile salire la collina con le infradito. Così io ed Heero abbiamo lasciato le ciabatte in fondo alla via. Di ritorno non c’erano più…, ma dopo due giorni le abbiamo ritrovate al Centro sociale”. “Non mi scorderò – continua – quel giorno in cui siamo andati a far visita ad un barrio, pioveva così tanto che ci eravamo praticamente persi, ma tre bambini ci hanno visto e raggiunto sotto la pioggia, e felicissimi ci hanno fatto da guida”. In quei mesi a Tagaytay Daniele ha trovato, in ogni atto di generosità, quello che cercava: “la vita è molto più di ciò che si può misurare”. Tutto ciò che nella sua vita agiata a Teramo era gratuito e scontato, qui andava sudato duramente: cibo, abiti, medicinali e qualsiasi altra cosa. “Voglio anch’io mettere un mattone – scrive – per la costruzione di un mondo in cui io e i miei fratelli possiamo mangiare allo stesso modo, avere entrambi la facoltà di studiare e istruirci, avere il modo di vestirci e di giocare senza elemosinare, avere un tetto ed un letto sul quale poggiare il capo la notte e sognare che, finalmente, un mondo più giusto non rimane soltanto un’utopia” . (altro…)