Movimento dei Focolari

“Una misura piena, pigiata, traboccante” (cf Lc 6,38)

Mi costava tantissimo dare l’unica zappa che avevo ad un povero, perché era la sola che possedevo e la sentivo utile e necessaria. Ma mi dicevo: “Se sei chiamato a dare la vita per gli altri, cosa vuoi che sia una zappa!” L’ho data e a Gesù ho detto: “Adesso pensaci tu”.

Via radio sento che c’è in arrivo una partita di zappe. Chiedo ad una ONG se potevo beneficiare e ne ricevo 200! insieme ad accette e sacchi di sementi! Immediatamente distribuisco i sacchi di sementi per i villaggi, e ne ricevo ancora 700! Altra gente del posto, protestante, mi chiede aiuto… Mi trovo così con il pastore a caricare 200 sacchi destinati a loro. Vengono poi a chiedere i membri di una setta di kimbangisti, che non compaiono nemmeno alla Settimana dell’unità dei cristiani per pregare insieme. 400 sacchi di sementi appena giunti sono per loro! Perfino uno stregone, nemico tradizionale dei cristiani, mi invita a casa e, davanti a 5 litri di vino di palma, mi ringrazia per quanto ho fatto per la sua gente. E tutto per un semplice atto d’amore! Quant’è vero che Lui ci ricambia con: “…una buona misura, pigiata, scossa e traboccante…” (Lc 6,38).

Presentazione dell’ Economia di comunione e del Polo Lionello di Loppiano

Il progetto dell’ Economia di Comunione nasce durante un viaggio che Chiara ha fatto nel 1991 in Brasile.

Attraversando la città di San Paolo, avverte la tragicità del problema sociale in quella terra, constata che la stessa comunione dei beni, che sin dall’inizio si attuava nel Movimento, non è più sufficiente ad aiutare i poveri. Propone allora la nascita di aziende, rette da persone che mettano in comune liberamente gli utili aziendali per tre finalità: aiutare quelli che sono nel bisogno, formare alla cultura del “dare” e sostenere l’azienda. Questo progetto assume il nome di “Economia di Comunione”. A riguardo delle aziende diceva: “A differenza dell’economia consumista, basata su una cultura dell’avere, l’Economia di Comunione è l’economia del dare. Ciò può sembrare difficile, arduo, eroico. Ma non lo è perché l’uomo fatto ad immagine di Dio che è Amore, trova la propria realizzazione proprio nell’amare, nel dare. …dare non significa soltanto dare gli utili o dare qualcosa. Non è quello. E’ quel dare che noi abbiamo imparato dal Vangelo che significa amare tutti. Quindi la cultura dell’amare: Amare anche i dipendenti, amare anche i concorrenti, amare anche i clienti, amare anche i fornitori, amare tutti. Lo stile di vita aziendale deve essere tutto cambiato, tutto deve essere evangelico, altrimenti non abbiamo economia di comunione”. Il ‘sogno’ di allora sta diventando realtà: molte aziende sono nate e non solo in Brasile, ma in molti Paesi del mondo, imprese già esistenti hanno fatto proprio il progetto, modificando lo stile di gestione aziendale e la destinazione degli utili. A tutt’oggi sono 761 le aziende che vi aderiscono nel mondo, 250 in Italia. Quando è stato lanciato questo progetto anche noi vi abbiamo aderito subito con radicalità. E’ stato come una vera bomba che ha cambiato la nostra vita, una luce che ha illuminato e dato più senso al nostro lavoro, alla nostra economia. Ci siamo scoperti imprenditori, non per noi ma per un disegno molto più grande e abbiamo capito che potevamo allargare il nostro orizzonte all’umanità intera. Ha assunto un nuovo significato l’assumere in azienda persone in difficoltà, come una famiglia di profughi composta dai genitori e sei bambini. Abbiamo capito il perché della nostra cura nel produrre rispettando la natura e l’ambiente ed anche il nuovo rapporto con i dipendenti interessandoci di più delle loro problematiche e necessità. Un’altra conseguenza della nostra adesione è stato l’esaminarci e confrontarci su come vivere il dare. Il dare non è stato facile. Eravamo soliti pensare di reinvestire quasi tutto l’utile nell’azienda. Ma, pur tenendo conto di questa necessità, abbiamo superato questi pensieri pensando ai tanti poveri che potevamo aiutare . Ed anche quando, per difficoltà subentrate, gli utili non ci sono più stati, il dispiacere di non poterlo più fare è servito per scoprire tutti i valori, anche più profondi del vivere questa economia nuova: i rapporti con le persone, la correttezza professionale e verso le istituzioni, l’armonia nell’azienda. Poli Industriali Nella cittadella del Movimento in Brasile, quest’invito a concretizzare il progetto dell’EDC, è stato accolto subito con slancio e generosità ed è nato a pochi chilometri di distanza dall’abitato, un polo imprenditoriale: il polo Spartaco. Alla società per azioni che si è costituita per amministrarlo aderiscono oggi più di 3600 persone che , con radicalità, hanno messo a disposizione i loro risparmi, spesso di modesta entità, dando vita così ad un azionariato diffuso. Lanciando il Polo Spartaco in Brasile, Chiara Lubich aveva esclamato: “siamo poveri, ma tanti”, suggerendo di ripartire il capitale in azioni dal valore nominale modesto, a cui molti potessero accedere. Il Polo in Brasile oggi è una realtà, con già sei aziende funzionanti, esempio e modello di una nuova economia. Sono nati, in questi ultimi anni, Poli imprenditoriali anche in Argentina e si stanno costituendo negli USA, in Francia ed in Belgio. Nell’aprile 2001 a Castelgandolfo, a dieci anni dal lancio del progetto, si è tenuto un seminario per operatori dell’economia di comunione e Chiara ha lanciato una nuova sfida: far nascere anche in Italia, nei pressi della cittadella di Loppiano un polo industriale, a cui potranno collegarsi le aziende italiane che aderiscono al progetto. La proposta è stata accolta con grandissimo entusiasmo e un piccolo gruppo di esperti ha iniziato subito a studiarne la realizzazione. E’ stata suggerita la costituzione di una società per azioni che miri a coinvolgere quante più persone possibili per realizzare anche qui in Italia un’azionariato diffuso e per questo il valore nominale di ciascuna azione è stato fissato a 50 €. Il complesso nascente è stato chiamato: “Polo Lionello”, per ricordare il focolarino Lionello Bonfanti, uno degli artefici della costruzione della cittadella di Loppiano ed in ottobre si è costituita l’EdiC S.p.A., un nome che sentiamo come una responsabilità perché carico di una grande idealità: rendere visibile l’EdC. Nel suo statuto se ne precisano i fini: l’acquisto, il progetto e la costruzione di immobili, che saranno dati in locazione alle aziende che vorranno insediarsi; lo studio , la realizzazione e l’organizzazione di impianti industriali, commerciali e di servizi e corsi di formazione. L’art. 32 evidenzia la novità del progetto EdC: infatti per essere pienamente coerenti ai principi ispiratori si è voluto stabilire che il 30% degli utili venga destinato ad un fondo per indigenti. Immediati e sorprendenti sono stati gli echi di risposta all’iniziativa: La regione toscana ha approvato una mozione di sostegno al polo imprenditoriale di Loppiano. Nel testo si chiede alla giunta regionale di aderire al progetto perché “laboratorio di una nuova economia” e di inserirlo nei programmi di sviluppo della regione quale modello da proporre per l’attuazione di una nuova politica di cooperazione allo sviluppo. Anche l’amministrazione comunale ha dimostrato grande interesse dando tutto l’appoggio affinché il cuore del progetto abbia sede nel comune di Incisa in Valdarno. La risposta degli imprenditori italiani è stata subito pronta e generosa, mostrando come il Polo sia già, ancora prima di essere realizzato, centro di attrazione e riferimento, un faro di luce, per tutte le aziende di EdC ed anche per il mondo economico. Ad un convegno, tenutosi a Loppiano nel febbraio scorso, hanno partecipato più di 550 fra imprenditori, operatori economici e studenti, una ventina di aziende hanno manifestato il desiderio di potersi insediare nel Polo e più di un centinaio di esperti, professionisti e dirigenti d’azienda hanno offerto la disponibilità a collaborare alla realizzazione di questo progetto. Le aziende individuate e disposte a trasferirsi nel Polo, o ad aprirvi una propria filiale, condividono l’Economia di Comunione; sono imprenditori pieni di ardore e con uno slancio da veri pionieri. Anche tantissime persone che sono venute a conoscenza di questa iniziativa, vi hanno aderito prontamente, dichiarando, che appena sarà possibile iniziare la raccolta, vi contribuiranno per sentirsi pienamente artefici ed attori pur non essendo imprenditori; sono persone di ogni tipo: giovani e ragazzi, lavoratori, pensionati, casalinghe ed anche imprenditori che, pur condividendo il progetto e volendolo sostenere, non possono trasferire la propria attività. Sappiamo che tutto questo è un grande impegno, un grande sforzo ma ci aiuta il pensare che non è tanto un “buon investimento” quello a cui stiamo lavorando, ma è la realizzazione di un’ Opera di Dio. Per sovvenire alle necessità di molti, l’intento è quello di produrre utili, ma vorremmo sottolineare la peculiarità di altri beni che la società intende generare : un complesso di beni meno visibili, difficilmente quantificabili, espressi dalla qualità e stile di vita, dai rapporti di amore all’interno delle aziende, fra le aziende e fuori di esse, beni che presuppongono un grande ideale. Per questo, l’inserimento nella cittadella di Loppiano, è un aiuto , un sostegno, è la fonte che genera quel “supplemento d’anima” necessario. Siamo ancora agli inizi, ma siamo sicuri che questo progetto, per l’adesione di tanti, si realizzerà. (altro…)

Il Movimento dell’unità e la fraternità politica

«Signor Sindaco, Signor Cardinale, onorevoli senatori e deputati, Autorità civili e religiose giunte da tutto il Piemonte e dalla Valle d’Aosta, Signore e signori, giovani presenti.

È con particolare gioia che accetto l’invito a parlare della fraternità alla luce dell’esperienza e della dottrina del “Movimento dell’unità”. Sì, con gioia e con passione, vorrei dire – e non può che essere così – se penso che la fraternità è addirittura, per chi è credente, come sono io, il piano di Dio sull’intera umanità chiamata ad essere una sola famiglia. Il messaggio evangelico, infatti, sottolinea, in modo del tutto particolare, la fraternità, elevandola nella sfera del divino, per la partecipazione di noi, uomini, alla stessa vita della Santissima Trinità dove Dio Trino, ma Uno, è il modello perfetto e supremo di fraternità. Ma, poiché la pratica dell’amore verso il prossimo è presente nei sacri libri di molte fra le grandi religioni del mondo ed è inscritto anche nel cuore di ogni uomo, pur senza un riferimento religioso, ecco che è possibile a tutti gli uomini – pur nella varietà delle loro culture e fedi – di amare ed essere amati e dar vita così alla fraternità. La fraternità è vocazione di tutti e non può, quindi, non esserlo per i politici. Anch’essi, come tutti, sono chiamati a metterla in pratica, a sentirsi fratelli fra loro. E’ il loro primo dovere prima ancora di dedicarsi con passione al proprio partito, prima delle scelte che distinguono le diverse opzioni. Prima. Ed è un bene ciò perché l’amore, se dona luce sempre, lo fa anche sulle decisioni da prendere sì da rendere più atti a raggiungere il fine della politica stessa: il bene comune. La fraternità! Così importante ma quanto praticata? Dei tre grandi principi che, con la Rivoluzione francese, hanno aperto l’epoca politica contemporanea, quello più misconosciuto e meno applicato è proprio la fraternità. Mentre la libertà e l’uguaglianza hanno conosciuto un notevole sviluppo dottrinale e hanno trovato parziale applicazione nelle Costituzioni e nelle leggi di molti Stati democratici, alla fraternità non è stata spesso riconosciuta la dignità che le è propria: quella di categoria politica fondamentale, senza la quale neppure le altre possono trovare piena espressione. Ripercorrendo l’evoluzione del pensiero delle diverse epoche, si potrebbe rintracciarne, forse, una sua qualche presenza alla base di fondamentali concezioni politiche, presenza a volte palese, altre volte più nascosta. Una fraternità vissuta spesso, ogniqualvolta, ad esempio, un popolo si è unito per conquistare la propria libertà, o quando gruppi sociali hanno lottato per difendere un soggetto debole, o in ogni occasione in cui persone di convinzioni diverse hanno superato ogni diffidenza per affermare un diritto umano. Ma lo si è fatto in maniera limitata a quel popolo, a quel gruppo. Nel “Movimento dell’unità”, invece, la fraternità è alla base della sua dottrina politica. Ed è questo il tema del mio presente intervento. Il “Movimento dell’unità” è nato a Napoli nel 1996, ed ora sta diffondendosi e organizzandosi in tutto il mondo. Vi fanno parte politici, amministratori, funzionari, studiosi e cittadini, appartenenti ai più diversi orientamenti politici. Non è un nuovo partito, ma il portatore di una cultura e di una prassi politiche nuove. Per comprenderlo esattamente, bisogna ritornare al ceppo dal quale è fiorito e di cui è una delle espressioni: il Movimento dei Focolari. Ma cos’è il Movimento dei Focolari? E’ una realtà ecclesiale, a finalità ecumenica, interreligiosa, interculturale, frutto non tanto di forze umane, ma, principalmente, di un carisma e cioè di un dono dello Spirito Santo che segue la storia e le offre, di epoca in epoca, aiuti particolari secondo i bisogni. Carisma che vuol concorrere con la Chiesa alla piena realizzazione, fra tutti i cristiani, del “sogno d’un Dio” come dicono i nostri giovani: l’unità; “Padre, che tutti siano uno” (cf Gv 17,21) ha pregato Gesù. Unità però aperta alla fratellanza universale, poiché proprio Lui, Gesù, è morto per tutti. Il Movimento dei Focolari realizza il suo fine attraverso la pratica dell’amore evangelico e di quello reciproco, cuore e sintesi del Vangelo, definito da Gesù: “nuovo” e “suo”. Amore che ha come misura il dare la vita (Gv 15,12-13). Amore che i primi cristiani vivevano così bene da far dire a chi li osservava: “Guarda come si amano e l’uno per l’altro è pronto a morire” . Non si tratta del semplice affetto umano, limitato spesso ai soli parenti od amici. E’ un amore che chiede d’essere rivolto a tutti senza distinzione, uomo e donna, giovane e anziano, bianco e nero, della tua e dell’altrui patria, amico e nemico, come insegna il Padre del Cielo che manda sole e pioggia sui buoni e sui cattivi. Amore che domanda di essere disposti a compiere il primo passo, cioè di avere noi l’iniziativa senza aspettare d’esser amati dagli altri. Amore che chiede di spostare le proprie preoccupazioni per far posto a quelle degli altri, onde comprenderli fino in fondo ed aiutarli opportunamente e concretamente. Amore sempre finalizzato alla reciprocità, all’amarsi a vicenda. E’ quest’amore con tali qualità, è questa fraternità, generata dall’amore degli uni verso gli altri, che il Movimento dei Focolari vuole vivere e irradiare dovunque. Il Movimento dei Focolari, pur essendo fondamentalmente religioso, ha avuto, sin dal 1948, e poi via via durante gli anni, un’attenzione particolare al mondo politico, da quando l’on. Igino Giordani, personalità di vasta esperienza culturale, sociale e politica, combattente nelle stagioni difficili del primo dopoguerra, ne è divenuto confondatore. Egli ha portato nel nostro cuore l’umanità con i suoi problemi e le sue ansie: la ricostruzione del Paese e dell’Europa dopo la seconda guerra mondiale, la democrazia rinascente, la divisione Est-Ovest. Ben presto attorno a Giordani si è raccolto un discreto gruppo di deputati, che hanno cercato di portare il nostro spirito – per quanto allora si era precisato ed approfondito – in parlamento; gruppo che dal 1950 ad oggi ha visto cambiare i propri membri i quali, da un certo momento in poi, appartenevano anche a partiti diversi. Altra presenza politica notevole, sempre fra noi, è stata quella di Alcide De Gasperi, nel quale la nostra spiritualità ha rafforzato quella vocazione all’unità che, assieme ad Adenauer e a Schuman, lo ha fatto fondatore dell’Europa Unita. I nostri politici costituirono, nel 1959, il “Centro santa Caterina” che fu, per quasi dieci anni, il punto di convergenza delle loro ansie e preoccupazioni ed il punto di partenza delle loro attività, rinnovate nello spirito dell’unità. Intanto, sviluppandosi il Movimento dei Focolari dapprima in Italia, poi in Europa e, più tardi ancora, in tutto il mondo, si è andato formando un vero e proprio popolo, il popolo dell’unità, che conta oggi più di 7 milioni di persone: gente di ogni cultura, professione, Paese. E, se fin dai primi tempi si è sempre avuta la consapevolezza che il carisma dell’unità è portatore di una cultura propria, è stato il crescere di questo popolo che ha evidenziato la specificità di questa cultura, rendendone necessario l’approfondimento dottrinale: teologico, ma anche filosofico, politico, economico, psicologico, artistico, ecc. Come novità, poi, di questi ultimi tempi, ecco che l’incontro tra il popolo dell’unità e la sua dottrina sempre più esplicitata, ha provocato quelle che noi chiamiamo “inondazioni”, termine suggeritoci da san Giovanni Crisostomo: lo svilupparsi, cioè, di veri e propri nuovi movimenti, che vanno al di là dello stesso Movimento dei Focolari, aperti a tutti coloro che ne condividono gli ideali; essi agiscono, ad esempio, nel campo economico, con il progetto dell’Economia di Comunione, e in quello politico, con il “Movimento dell’unità”. Il “Movimento dell’unità” è portatore, dunque, di una nuova cultura politica. Cambia il metodo della politica. Pur rimanendo fedele alle proprie autentiche idealità, il politico dell’unità ama fraternamente non solo i propri, ma anche gli altri politici, vive in comunione con tutti. Fa questo nei parlamenti nazionali, nei consigli regionali e comunali, nei partiti, nei diversi gruppi di iniziativa civica e politica. E l’unità, così vissuta, è portata come fermento anche tra i partiti stessi, nelle istituzioni, in ogni ambito della vita pubblica, nei rapporti tra gli Stati. Lo scopo specifico, quindi, del “Movimento dell’Unità” è: aiutare ed aiutarsi a vivere sempre nella fraternità; in quella, credere nei valori profondi, eterni dell’uomo e, solo dopo, muoversi nell’azione politica. L’ideale della fraternità non si aggiunge dall’esterno alla riflessione e alla pratica politica, ma si può considerare come il frutto maturo del percorso plurimillenario della politica, l’anima con la quale affrontare i problemi di oggi. Ma come vivere la fraternità? E in quali modi essa aiuta la politica ad assolvere pienamente ai propri compiti? Per spiegarlo devo soffermarmi su alcuni aspetti dell’amore fraterno, appena accennato, e vedere come è vissuto in politica. Anzitutto, per il politico dell’unità, la scelta dell’impegno politico è un atto d’amore, con il quale egli risponde ad una autentica vocazione, cioè ad una chiamata personale. Egli risponde ad un bisogno sociale, ad un problema della sua città, o alle sofferenze del suo popolo, alle esigenze del suo tempo. Chi è credente avverte che è Dio a chiamarlo, attraverso le circostanze; il non credente risponde ad una domanda umana che trova eco nella sua coscienza: ma entrambi mettono nella loro azione l’amore, ed entrambi hanno la loro casa nel “Movimento dell’unità”. In secondo luogo, il politico dell’unità prende coscienza che, se la politica è, fin nella sua radice, amore, anche l’altro, l’avversario politico, può avere compiuto la propria scelta per amore: e questo esige di rispettarlo, di comprendere l’essenza del suo impegno, andando al di là dei modi, non sempre privi di animosità, con i quali lo vive, e che si possono correggere. Il politico dell’unità ha a cuore che anche il suo avversario realizzi il disegno buono di cui è portatore, perché, se risponde ad una chiamata, ad un bisogno vero, esso è parte integrante di quel bene comune che solo insieme si può costruire. Il politico dell’unità ama, dunque, non solo coloro che gli danno il voto, ma anche gli avversari; non solo il proprio partito, ma anche quello altrui; non solo la propria Patria, ma l’umanità intera. E amare tutti fa comprendere e vivere la dimensione universale della politica. Ancora, il politico dell’unità non può rimanere passivo davanti ai conflitti, spesso aspri, che scavano abissi tra i politici e tra i cittadini. Al contrario, deve essere lui a compiere il primo passo, anche solo con il saluto, per avvicinarsi all’altro, riprendere la comunicazione interrotta. Creare la relazione personale dove essa non c’è, o dove ha subito una interruzione, può significare, a volte, riuscire a sbloccare lo stesso processo politico. Amare per primo, per il politico dell’unità, è un atto dovuto alla dignità della persona, ma si trasforma anche in una vera e propria iniziativa politica; aiuta a superare i pregiudizi e il gioco delle parti, che tanto spesso paralizzano i politici in contrapposizioni inutili. Un altro aspetto della fraternità in politica è la capacità di spostare se stessi per fare spazio all’altro, di tacere per ascoltare anche gli avversari. E’ un “perdere se stessi” che rinnova ogni giorno l’originaria scelta politica, con la quale si decise di occuparsi non di sé, ma degli altri. E in tal modo ci si “fa uno” con loro, ci si apre alla loro realtà. Farsi uno aiuta a superare i particolarismi, fa conoscere aspetti delle persone, della vita, della realtà, che ampliano anche l’orizzonte politico: il politico che impara a farsi uno con tutti diventa più capace di capire e di proporre. Il “farsi uno” è il vero realismo politico. Infine, la fraternità trova piena espressione nell’amore reciproco, di cui la democrazia, se rettamente intesa, ha una vera necessità: amore dei politici fra loro, e fra politici e cittadini. Il politico dell’unità non si accontenta di amare da solo, ma cerca di portare l’altro, alleato o avversario, all’amore, perché la politica è relazione, è progetto comune, non solo decisione individuale. Un amore reciproco che la politica richiede non solo nei rapporti personali, ma come esigenza istituzionale. Nel loro significato più profondo, le distinzioni dei compiti, che la democrazia assegna, hanno lo scopo di permettere l’amore reciproco: se l’azione d’amore del governo si esprime nella proposta e nella decisione, la risposta d’amore dell’opposizione si attua attraverso la controproposta e il controllo. Ma tutti questi aspetti dell’amore politico, che realizzano la fraternità, richiedono sacrificio. Quante volte l’attività politica fa conoscere la solitudine, il senso di abbandono, l’incomprensione da parte, anche, dei più vicini! Chi, tra coloro che fanno politica, non si è mai sentito amareggiato, o emarginato, o tradito, al punto di essere tentato di lasciare? Ebbene, tutto ciò è stato vissuto anche da Gesù che, arrivato al culmine della sua passione, ha gridato l’abissale lontananza che provava da Colui che, per tutta la sua vita, gli era stato il più vicino: “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?” (Mt 27,46). Con questo grido Gesù si è abbassato fino al fondo della condizione umana, ha raggiunto noi uomini fin nella nostra condizione di fallimento e di distacco da Dio. Noi tutti eravamo staccati dal Padre e divisi fra noi: era necessario che il Figlio si facesse come noi, per raccoglierci e per riportarci al Padre, per trasformarci in fratelli. Era necessario che non si sentisse più Figlio perché noi lo diventassimo. Ma, rivolgendosi ancora a Dio: “Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito” (Lc 23,46), Gesù ha superato il baratro, e ricomposto l’unità con Dio e fra noi. Gesù abbandonato-risorto è il modello di ogni uomo. E lo è particolarmente del politico, proprio perché il politico è colui che abbraccia le divisioni, le spaccature, le ferite della propria gente, per trovare le soluzioni, per ricomporle in unità. E’ questo il prezzo della fraternità che è richiesto al politico: prezzo altissimo, come è altissima la sua vocazione. Ma altissimo è anche il premio. Gesù infatti è l’uomo, l’uomo completo e perfetto; e tale può diventare il politico che vive fino in fondo l’ideale della fraternità. La sua fedeltà alla prova farà allora di lui un modello, punto di riferimento per i suoi concittadini, orgoglio della sua gente. Questi sono i politici che il “Movimento dell’unità” vuole generare, nutrire, sostenere. Non è utopia. Ce lo dicono alcuni che ci hanno preceduti in cielo: come Joseph Lux, già vice-primo ministro della Repubblica Ceca, che seppe conquistare l’ammirazione di colleghi e avversari; o Domenico Mangano, che visse la politica nell’amministrazione comunale di Viterbo, in costante servizio ai suoi concittadini; o Igino Giordani, il cui processo di canonizzazione, recentemente iniziato, sta mettendo in luce come egli abbia vissuto non solo le virtù religiose, ma anche quelle civili: segno, questo, che ci si può fare santi non “nonostante la politica”, ma “attraverso la politica”. Oggi poi nel nostro pianeta la fraternità è più che necessaria. Dopo l’11 settembre scorso, il terrorismo si è manifestato in tutta la sua virulenza. Ma sappiamo come più d’una ne siano le cause: basti pensare allo squilibrio che esiste, nel mondo, fra Paesi poveri e Paesi ricchi, squilibrio che genera odio e scatena orribili vendette. Occorre perciò – i tempi lo reclamano – una più equa distribuzione dei beni. Ma i beni non si muovono da sé se non si muovono i cuori. Di qui l’urgenza che l’ideale della fraternità pianti radici in tutti i popoli ed in modo speciale fra i politici anche di nazioni diverse. Un sogno? Per chi crede unicamente nelle proprie forze, sì. Ma, per chi crede in Colui che guida la storia, nessun sogno è impossibile. Ed è ciò che spera il “Movimento dell’unità”, forse piccolo Davide di fronte a Golia, assieme a quanti altri sono impegnati a fare la propria parte. Grazie, Signori, del loro ascolto». (altro…)

La dottrina spirituale

La dottrina spirituale di Chiara Lubich viene presentata secondo tre grandi momenti:
il primo concentrato sul cuore del carisma;
il secondo sull’originale modalità di vivere e pensare la fede; il terzo sulla visione del mondo nei suoi aspetti più diversi, dalla politica all’economia, dalla filosofia alle scienze della comunicazione.

Come dimostrano i saggi teologici introduttivi, la figura di Chiara Lubich può essere collocata, senza timore di eccedere nella valutazione, accanto alle più grandi personalità della spiritualità cattolica di tutti i tempi.

Il suo insegnamento ha già mostrato lungo gli anni tutta la propria ricchezza, generando libri, discorsi, lettere, interventi. Di tale variegato e ricco messaggio però mancava un’organica articolazione che ne abbracciasse sia l’estensione cronologica di oltre mezzo secolo, sia l’ampiezza degli argomenti trattati.

Il presente volume, che della figura di Chiara Lubich offre la dottrina spirituale, intende colmare tale vuoto.
Gli scritti che lo compongono vanno dal 1943 (anno di fondazione del Movimento dei Focolari) ai nostri giorni, e racchiudono l’intera varietà dei generi letterari nei quali ha preso vita la spiritualità di Chiara Lubich: lettere personali e manifesti programmatici, pagine a stampa e parole sussurrate all’orecchio, magistrali lezioni accademiche e frasi stringate come aforismi, discorsi pubblici e colloqui intimi e personali. In queste pagine non manca nessuno dei numerosi registri utilizzati da Chiara Lubich per esprimere la sua originale interpretazione del cristianesimo.

Curato da un esperto studioso di Chiara Lubich, questo libro è stato rivisto dall’Autrice parola per parola, non senza nuove integrazioni e una significativa presenza di inediti. Al testo si affiancano due saggi sul valore teologico e spirituale, la bibliografia completa delle opere e una rassegna dei principali scritti sulla sua figura, due dettagliate schede sulla biografia e sul Movimento dei Focolari, un indice dei temi spirituali.
Frutto di una competenza e di un amore rari, questo libro è una vera piccola “summa” che consente di conoscere in profondità una delle più suggestive spiritualità del nostro tempo.

Chiara, il carisma del dialogo e dell’unità

Qual è il destino del cristianesimo nel terzo millennio? Quale ascolto riesce a ottenere il suo messaggio – cruciale – di amore, in un’epoca continuamente minata e smembrata dall’odio e dalla violenza? Quali vie deve percorrere la fede, e quale spazio può avere la provocazione evangelica o il modello ecclesiale mariano nel mondo globalizzato, dove vecchi e nuovi fanatismi si intrecciano a facili sincretismi acquisiti a basso costo nel supermarket del sacro? Il teologo Karl Rahner non aveva dubbi: per lui, il cristiano del futuro o sarà un mistico (vale a dire, uno che vive l’esperienza di Dio nel mondo) o, semplicemente, non sarà.

Chiara Lubich è la testimonianza vivente di questa convinzione. Sin da quando, ventenne, scriveva in una lettera degli anni ’40 dalle macerie della sua Trento bombardata: “Vedi, io sono un’anima che passa per questo mondo. Ho visto tante cose belle e buone e sono sempre stata attratta solo da quelle. Un giorno (indefinito giorno) ho visto una luce. Mi parve più bella delle altre cose belle e la seguii. Mi accorsi che era la Verità”. In queste poche, semplici parole è racchiuso il nocciolo di un carisma, di un’utopia incarnata nel movimento cattolico del Focolare, fondato il 7 dicembre del 1943 da Lubich: classe 1920, maestra elementare appassionata di filosofia che proprio dal crollo di ogni progetto e valore provocato dalla seconda guerra mondiale ha scoperto il Dio-amore, il suo ideale di unità e santità comunitaria.
A 81 anni, dopo 12 dottorati honoris causa, altrettante cittadinanze onorarie, ruoli di spicco che l’hanno resa familiare e amata in ogni angolo del pianeta e un mare di premi nazionali e internazionali, Chiara conserva lo stesso sorriso fresco e contagioso di allora, la stessa schiva ma autorevole mitezza e l’infaticabile operosità che ha fatto crescere il movimento da lei fondato e presieduto. Radicato, oggi, in 182 Paesi del mondo, con due milioni di aderenti e un’irradiazione di più di cinque milioni di persone.

Per approfondire la peculiare spiritualità contemplattiva di questa figura – non a torto considerata una delle più profetiche personalità cattoliche di tutti i tempi, maestra di dialogo, economia di comunione, ecumenismo interreligioso – giunge quanto mai opportuna la pubblicazione della sua dottrina spirituale. Si tratta di un florilegio di scritti dalle origini del percorso di Chiara Lubich ai giorni nostri, raccolto per la cura dello studioso Michel Vandeleene per Mondadori in un corposo volume (pagg. 446, lire 36mila) che si avvale, tra l’altro, di due saggi teologici di Piero Coda e Jesus Castellano.

Il volume (Chiara Lubich, la dottrina spirituale) verrà presentato oggi alle 18 a Roma, nel Teatro Quirino, in un incontro durante il quale il giornalista Sergio Zavoli (ammiratore della religiosità laica di Chiara, alla quale ha non a caso dedicato dei versi nella raccolta poetica In parole strette) dialogherà con l’autrice.

(da Il Mattino On Line – di Donatella Trotta)

«Oltre l’odio, una speranza di fraternità»

Chissà. Se nel ’43 a Trento non fosse dovuta scappare nei rifugi antiaerei col Vangelo stretto sotto il cappotto, forse oggi il movimento dei Focolari non sarebbe una realtà in 182 Paesi. Sarà per questo che Chiara Lubich oggi invita a non disperare. Anche nella tragedia indicibile dell’11 settembre.
Anche con una guerra che atterrisce chi credeva e crede nel dialogo. «Ci sono due modi di vederla – dice Chiara Lubich con la disarmante semplicità delle grandi anime – uno umano: migliaia di morti, una giustizia che occorre fare ma stando attenti a che non provochi altra violenza… Poi c’è l’altro modo. Un ragazzo di New York mi ha scritto: da quel giorno qui i muri di indifferenza stanno crollando, in questa città è rinata la solidarietà. Ecco – spiega – san Paolo ci dice che tutto coopera al bene per chi ama Dio. Tutto, proprio tutto. Capi di Stato, che prima non si guardavano nemmeno, ora collaborano. Chissà che domani non guardino al mondo come a una fraternità, che domani non succeda qualcosa di bello. Se non ci fosse stata la Guerra mondiale, quando tutto crollava, forse non avremmo capito che tutto è vanità. Ed è nata questa rivoluzione cristiana. La guerra è stata un segno della Provvidenza».

Chiara Lubich spazia a 360 gradi dai ricordi dei suoi primi passi alla crisi internazionale, della fede al dialogo ecumenico e interreligioso. L’occasione è speciale. Al Teatro Quirino si presenta Chiara Lubich – La dottrina spirituale, appena edito da Mondadori. È la “summa teologica” della donna che ha fondato un movimento di 2 milioni e 200 mila persone. Cattolici e non solo. Cristiani e non solo, tenuto conto dei 30 mila ebrei, musulmani, buddisti, induisti, taoisti. E perfino agnostici dichiarati, che lei chiama «persone di buona volontà di convinzioni diverse». Scritti di tutto il suo cammino spirituale in un’organica rappresentazione della sua dottrina spirituale.

A stimolarla al racconto c’è un’intervistatore di professione qual è Sergio Zavoli.
ei fruga nei suoi tanti ricordi di ottantenne lucidissima. E parte dagli inizi: «Il Signore chiama persone deboli perché trionfi la sua potenza. Ma li prepara. Ero piccolina quando le suore mi portavano all’adorazione eucaristica. A quell’ostia chiedevo: dammi la tua luce. A 18 anni avevo una fame tremenda di conoscere Dio. Volevo andare all’Università Cattolica. Non potei. Poi, provvidenzialmente, sentii una voce: sarò io il tuo maestro». «Ha avuto il suo rettore…», chiosa ironico Zavoli. E gli chiede: «Ma perché non s’è fatta suora?». «Non ne avevo la vocazione – risponde disarmante – e perché c’era bisogno di un’altra strada». Una strada che si chiama unità: nella fede, tra gli uomini. Arduo parlarne in tempi di guerra.

«Quello che stiamo patendo è il Signore che ci frusta un pochino – dice la Lubich – noi cristiani siamo oltre un miliardo, ma siamo considerati atei e infedeli. Presentiamo i nostri riti, non il nostro distintivo di cristiano. Da questo riconosceranno che siamo cristiani, dall’amore. Con le nostre chiese dobbiamo darci sotto con l’ecumenismo, tra noi cattolici dobbiamo mettere la fraternità». Non mancano gli aneddoti. «Il patriarca Atenagora mi confidò il suo grande desiderio di celebrare tutti attorno all’unico calice».
Ma le divisioni teologiche? «Mi disse: prendiamo tutti questi teologi, e mettiamoli su un’isoletta. Senza mangiare, finché non avranno risolto tutto». Zavoli la provoca: «Non corre il rischio del sincretismo?». «No mai. Gli altri ci stimano per la fedeltà alla nostra Chiesa». E l’Islam? Con loro non c’è reciprocità: «Non bisogna aspettarla – confida – arriverà spontanea. Noi abbiamo le nostre chiese fatte da persone vive». Tutto così facile? «Sant’Agostino – ricorda Zavoli – diceva di guardarsi dalla disperazione come dalla speranza senza fondamento: «C’è il cristianesimo – chiude Chiara Lubich -. Più fondamento di questo!».