Mag 13, 2022 | Focolari nel Mondo, Nuove Generazioni, Testimonianze di Vita
Partecipare ad un concorso cinematografico e utilizzare il premio per aiutare il prossimo. A pochi giorni dalla chiusura della Settimana Mondo Unito (SMU) 2022, condividiamo un’esperienza che arriva direttamente dalla Giordania. Una vera azione di ecologia integrale portata avanti dai ragazzi dei focolari sulla scia della campagna #DARETOCARE. “Vorrei invitarvi a intraprendere, insieme, un viaggio. Un viaggio di trasformazione e di azione. Fatto non tanto di parole, ma soprattutto di azioni concrete e improcrastinabili. (…) L’ecologia integrale è un invito a una visione ‘integrale della vita’, a partire dalla convinzione che tutto nel mondo è connesso (…).” Con queste parole Papa Francesco, attraverso un videomessaggio si rivolge ai partecipanti del “Countdown”, evento digitale di TED sul cambiamento climatico, svoltosi nell’ottobre del 2020. Un invito a “fare” concretamente, per il bene del pianeta e di tutti noi: aver cura della casa comune e andare incontro ai bisogni dei suoi abitanti. Basta partire da piccole azioni, come hanno fatto questi Gen 3 della Giordania, i quali, con uno sguardo attento sul #DARETOCARE, sono riusciti davvero a creare un circolo “virtuoso” presentando il loro cortometraggio sull’ecologia “Nature Karma” al Middle Eastern Film Festival (Festival del Cinema del Medio Oriente). Raccontare l’importanza della cura per l’ambiente e vincere un premio è stato solo il primo passo per decidere, con convinzione, di voler dare una mano agli altri.
A cura di Maria Grazia Berretta
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Mag 10, 2022 | Testimonianze di Vita
Comprendere la preziosità di un amore immenso, ricevuto senza merito, e rimetterlo in circolo. È questo il significato del comandamento nuovo: fare spazio alla forza dell’amore senza limiti di Gesù in noi e lasciare che il suono meraviglioso di questa visita si propaghi, come una eco, verso chiunque. Una ricetta vincente Sposati da neanche quattordici anni senza una vera crisi, entrambi con una formazione cristiana, siamo consapevoli della fragilità dell’amore coniugale. La sfida più grande è l’educazione dei bambini: di qui certi disaccordi. Per esempio, quando si tratta di dare loro una punizione, sarei più indulgente di Pavel. Talvolta li difendo irrazionalmente. Qui mi aiuta pensare che anche mio marito vuole il loro bene e cerco di rispettare ciò che sente come dovere di padre (tra l’altro, tante volte mi rendo conto che lui ha ragione). Prego quando non so cosa fare. Cerchiamo anche di attuare le parole consigliate da papa Francesco: «Per favore, grazie, mi dispiace», oppure «che il sole non tramonti sulla tua ira». Per esperienza personale, ritengo importante rispettare il tempo che l’altro impiega per affrontare una situazione difficile. In tali momenti cerco di esprimere il mio amore con un bacio, una carezza. Il matrimonio educa veramente all’alterità. Abbiamo visto che funziona la ricetta di elogiare l’altro anche per cose minime. Pavel ne è un maestro. (K.S. – Repubblica Ceca) L’ospite Fin dall’inizio della pandemia, la comunità di cui facciamo parte si era impegnata a mantenere i contatti con i membri del gruppo per assicurarsi che tutti stessero bene, dando la priorità alle persone sole. Quando una di queste, normalmente molto attiva, si è fratturata il braccio destro in seguito a una caduta, mio marito ed io le abbiamo offerto ospitalità per qualche tempo da noi. Ha accettato. Intanto, in vista delle festività di fine anno, venivano imposte nuove norme sanitarie più restrittive e, siccome la nostra ospite si sarebbe ritrovata isolata per Natale e Capodanno, le abbiamo proposto di prolungare il soggiorno da noi. Colpita dallo spirito di vera famiglia della nostra comunità, lei l’ha attribuito all’attuazione del precetto di Gesù «Ciò che avete fatto a uno dei miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me». E quando, ormai fisicamente più autonoma, è tornata a casa sua, consapevole che il Vangelo può diventare fondamento di vita, si è messa subito ad aiutare chi poteva aver bisogno. (Constance – Canada) “Quel” violino Quando avevo dodici anni, il matrimonio dei miei genitori si è sfasciato, ma per altri dieci anni abbiamo continuato a vivere nello stesso appartamento: mia madre ed io in una stanza, mio padre nell’altra. Il resto dei locali era di uso comune. Le scenate per il divorzio mi avevano resa insicura e timorosa. Schierata dalla parte di mia madre, avevo dovuto restituire a mio padre perfino il violino sul quale mi esercitavo. Una volta cresciuta, avrei voluto presentargli il mio fidanzato, ma lui non ha voluto incontrarlo, non è venuto al matrimonio e non ha desiderato neppure conoscere i due nipotini che sono nati. Noi però non ci siamo arresi e per vivere coerentemente la nostra fede cristiana, dimenticando le vecchie ferite, abbiamo continuato a scrivergli e ad invitarlo da noi. Finalmente un giorno è venuto a conoscere genero e nipoti. Sentendosi voluto bene, pian piano ha cominciato a rimanere sempre più a lungo e a portare regali ai bambini. Quando è venuto a sapere che uno di loro stava imparando a suonare il violino, ha riportato “quel” violino. (S. – Ungheria)
A cura di Maria Grazia Berretta
(tratto da Il Vangelo del Giorno, Città Nuova, anno VIII, n.2, maggio-giugno 2022) (altro…)
Apr 21, 2022 | Testimonianze di Vita
Il Vangelo parla dell’amore di Dio. Seminare, portare questo annuncio e scegliere di viverlo è espressione di una libertà bella e fruttuosa che ci viene concessa. Riunione di condominio Quando arrivò l’avviso della riunione di condominio, il mio primo pensiero fu: trovare la scusa di un altro inderogabile impegno. Il figlio più piccolo, sentendomi lamentare per queste riunioni che ritenevo non servissero a niente, obiettò: “Ma papà, è un’occasione per far diventare famiglia tutto il condominio!”. Già, non ci avevo pensato. Ma come riuscire a trasformare quell’incontro in qualcosa di bello e in una novità? Col contributo di tutti in casa inventammo un gioco a premi, tipo indovinello, riguardante i nomi degli inquilini, il numero di figli, il tipo di lavoro… Poi un programma per combinare visite e cene, poi un elenco di compleanni e altre ricorrenze. Più nascevano idee e più aspettavo la riunione. E fu una vera festa. Mia moglie aveva preparato dei dolci, i figli i cartoncini per combinare le visite; nostra figlia, brava a disegnare, i diplomi-premio per i vincitori. Insomma, mai come quella sera la riunione condominiale ci sembrò breve. Iniziava a circolare un’altra aria nel palazzo. R.M. – Italia Bamboline Dopo la morte di papà, pensando alla mamma che non poteva più vivere da sola, fra noi figli circolava la domanda: “Saremo costretti a collocare mamma in una casa di riposo?”. La mia famiglia, infatti, occupa un appartamento troppo piccolo per ospitarla. Al che, io e mia moglie abbiamo deciso di fidarci della provvidenza di Dio e con questo animo abbiamo preso in affitto per la mamma l’appartamento accanto al nostro, che nel frattempo si era liberato. Sembrava un azzardo invece l’arrivo della nonna ha arricchito la vita dei nostri figli e la nostra. Bravissima a confezionare bamboline di stoffa, ha cominciato a regalarle a chi aveva bambini. È intervenuta poi una persona della parrocchia che le ha apprezzate, mettendo in piedi un mercatino dove venderle insieme ad altri oggetti di cucito. Oggi l’alloggio di mamma è diventato un piccolo centro artigianale e una scuola per chi ha tempo libero. Siamo felici di vederla gioiosa e quasi ringiovanita nel sentirsi utile. J.H. – Francia Il portafogli Ero andato a trovare mia madre nel paesino dove vive. Non so perché, ma prima di passare da lei, ho sentito la spinta a prendere un cappuccino al bar. Lì, avendo scorto un portafogli sul piano davanti la cassa, ho chiesto alla cassiera di chi fosse. Lei ha interpellato i clienti presenti, ma il portafogli non apparteneva a nessuno di loro. Esaminati i documenti, il nome del proprietario era un conoscente di mia madre, quindi attraverso di lei avrei potuto farglielo avere. La cassiera conosceva mia madre, pertanto mi ha affidato il portafogli. Non molto lontano dal bar vedo il proprietario. Lo saluto, scambiamo qualche parola e poi gli chiedo se ha con sé il portafogli. Quando si è reso conto di non averlo, gliel’ho mostrato. L’ho lasciato che non finiva di ringraziarmi. Più tardi, ripensando a quella improvvisa spinta a passare dal bar, mi sono reso conto che talvolta, inconsapevolmente, diventiamo strumenti per fare del bene. J.M. – Slovacchia
A cura di Maria Grazia Berretta
(tratto da Il Vangelo del Giorno, Città Nuova, anno VIII, n.2, marzo-aprile 2022) (altro…)
Apr 9, 2022 | Testimonianze di Vita
Proclamare la Parola, non è semplicemente parlare, piuttosto è un’azione concreta, che si manifesta nella vita, nella relazione con l’altro, con il creato. È una missione: quella di essere fratelli e sorelle, l’immagine del Regno di Dio nel nostro tempo. Artigiani di pace Il Burundi è un Paese molto bello, ma dopo la guerra civile migliaia di persone delle diverse etnie sono emigrate e ora siamo sparsi in tutto il mondo. I tutsi sono fuggiti dagli hutu e viceversa, senza contare il regionalismo che oppone gente del Sud a quella del Nord ed è molto forte soprattutto quando si tratta di spartizione del potere. E noi cristiani, cosa facciamo? Qui in Canada mio marito ed io abbiamo pensato di creare un piccolo mondo nuovo nell’ambito della comunità burundese: attraverso varie attività culturali e sportive, diamo modo non solo ai nostri compatrioti, ma anche ad altri africani e ai nostri amici e vicini del Québec di incontrarsi attorno a un pasto tradizionale, a un drink, a buona musica. Il nostro principale obiettivo è contribuire alla realizzazione del testamento di nostro Signore: “Che tutti siano uno”. Siamo convinti, infatti, che ogni cristiano debba contribuire, a suo modo, alla realizzazione di questo progetto. Ora, diversi burundesi sono in contatto permanente e si stringono la mano, cosa che prima non facevano. Florida K. – Canada Una decisione comune Un giorno, accorgendomi che qualcosa preoccupava una collega, la avvicinai e con delicatezza le chiesi di lei. Fu allora che prese a confidarmi che aveva deciso di ospitare a casa sua una sorella malata di cancro nella fase terminale. Nel raccontarmi che aveva bisogno di cibi speciali, tra cui un tipo di latte molto costoso, sentii di voler contribuire anch’io. Potevo attingere dal mio conto, certa che mio marito sarebbe stato d’accordo, ma stavolta volevo decidere assieme a lui. Non sempre l’avevo fatto in passato, specie per spese di poco conto. Ma da quando ci eravamo impegnati a vivere con più convinzione le Parole del Vangelo, eravamo diventati più sensibili al fatto che “è più bello insieme”. Così, dopo essere rincasati entrambi dal lavoro, gli ho parlato della collega e dell’aiuto che avrei voluto darle. Lui mi ha subito appoggiata. Non solo: ha suggerito di elargire una somma doppia di quella che avevo previsto. Il suo volto esprimeva una grande gioia. Questa attenzione al prossimo sofferente ci ha fatti sentire più uniti. Thanh – Vietnam Ottimizzare i rapporti Spesso ho la tentazione di “ottimizzare il tempo”, secondo un mio programma, rimanendo poi male quando l’ordine dato alle cose da fare viene sconvolto da un imprevisto: quell’imprevisto che tante volte veicola una volontà di Dio e dà un sapore diverso alla giornata. Sempre più, invece, mi sto rendendo conto che, nella trama del quotidiano, l’atteggiamento migliore è “ottimizzare i rapporti” con ogni prossimo che incontro. E qui la fretta è il grande nemico! Provo allora a fermarmi, ad esempio, con i pensionati sotto al palazzo, con la vicina di pianerottolo, da poco dimessa dall’ospedale. Fermarmi per dire un bel “buongiorno” al condomino agli arresti domiciliari, che tanti emarginano per paura e avvisarlo che oggi taglieranno l’acqua a tutto il quartiere a causa di lavori di manutenzione. Ciro – Italia
A cura di Maria Grazia Berretta
(tratto da Il Vangelo del Giorno, Città Nuova, anno VIII, n.2, marzo-aprile 2022) (altro…)
Mar 22, 2022 | Testimonianze di Vita
È possibile imitare il Padre mettendo in pratica un amore che arriva fino al perdono? È davvero complicato, ma la vera condizione che ci permette di fare un gesto così grande è aver ricevuto nella vita “la grazia della vergogna” come dice Papa Francesco, e la conseguente gioia di essere stati perdonati. Un sentiero misterioso sul quale la Quaresima ci chiede di camminare, per poter godere, alla fine, di meravigliosi paesaggi. Ferite risanate Un giorno, una persona lanciò alle mie spalle una frecciata di rimprovero che, secondo il mio orgoglio, non meritavo. Per qualche tempo quella mancanza nei miei riguardi mi bruciò dentro. Ero tentata di limitare quel rapporto, non volevo più avere a che fare con quella persona poco gradita, ma così non sarei stata coerente alla mia scelta di vivere il Vangelo. Come guarire la ferita? Mi rivolsi a Gesù e subito mi venne in mente: “Non fare agli altri quello che non vorresti fosse fatto a te”. Per giorni mi esercitai con quelli con i quali avevo a che fare, compreso chi mi aveva fatto del male, e al posto dei pensieri molesti avvertii che qualcosa mi si risanava dentro. Quel senso di sollievo che solo il perdono sa dare. (R. – Italia) Amore incondizionato Da qualche tempo i litigi fra me e mia moglie si erano intensificati. Chissà perché, bastava una piccola contrarietà, una parola fuori posto, un niente perché cominciassimo ad alzare il tono della voce, rivangando vecchie storie. Una sera di quelle, in cui l’atmosfera si era fatta elettrica, nostra figlia di nove anni, dalla scala che porta al piano di sopra, sembrava giocasse a lanciare aeroplanini di carta. Sorrideva e il fratellino pure sembrava divertirsi un mondo. Incuriosito, ne raccolsi alcuni e li mostrai a mia moglie. A ben vedere, ognuno di quegli aeroplanini era decorato con cuoricini e messaggi come: “Vi vogliamo tanto bene”, “Siete i genitori più belli del mondo”, “Vogliamo sentirvi cantare”. Mentre mia moglie li leggeva, le lacrime le inondavano il viso. Con vergogna ci siamo guardati, poi ci siamo abbracciati promettendo di ritrovare in quel “Sì” d’amore pronunciato anni addietro la nostra unità. (M. – Portogallo) Il primo passo A partire dall’adolescenza io e mio padre non riuscivamo a sopportarci. Mia madre ne soffriva, ma non intravedeva nessuna soluzione per la nostra famiglia. Durante una gita all’estero mi sono confidata con un amico, impegnato in un movimento cattolico, che nei casi difficili era solito porsi la domanda: “Se non sono io ad amare quella data persona, chi potrà farlo al mio posto?”. Sono tornata da quel viaggio custodendo queste forti parole e, cosa strana, mi sono venute in mente tante occasioni mancate in cui avrei potuto fare un gesto d’amore verso i miei. Per riparare, ho cominciato dalle piccole cose, da semplici servizi legati alla mia competenza, che prima cercavo di evitare… Insomma, qualcosa è cambiato dentro di me. Da allora sono passati decenni e adesso che ho una famiglia, dei figli, capisco l’importanza di fare il primo passo, come se la gioia dell’altro dipendesse soltanto da me. (R.T. – Ungheria)
A cura di Maria Grazia Berretta
(tratto da Il Vangelo del Giorno, Città Nuova, anno VIII, n.2, marzo-aprile 2022) (altro…)
Mar 1, 2022 | Focolari nel Mondo, Testimonianze di Vita
Donatella Rafanelli racconta a Maria Chiara Biagioni dell’agenzia SIR la vita della comunità del Focolare in Ucraina di questi ultimi giorni. Un viaggio di 29 ore da Kiev. “Ora il nostro sogno è tornare lì”. Un viaggio di 29 ore per uscire da Kiev e raggiungere una città ad ovest del Paese, Mukachevo. Il traffico per le strade, le lunghe file ai bancomat e dal benzinaio, i carro armati e la gente lungo la strada che chiedeva passaggi. A raccontare al Sir cosa succede in queste ore lungo la ‘via’ degli sfollati interni al Paese è un’ italiana di Pistoia, Donatella Rafanelli, focolarina, che dal 2019 vive a Kiev nella comunità del Movimento fondato da Chiara Lubich. ‘Eravamo a Kiev quando giovedì mattina molto presto ci hanno chiamato per dirci di fare velocemente le valige perché stavano sparando a 70 chilometri dalla capitale’, racconta Donatella. ‘Non sapevamo cosa fare anche perché per tutti era la prima volta che ci trovavamo in una situazione simile. Siamo andati allora a cercare il rifugio più vicino alla nostra casa e ci hanno indicato un parcheggio sotterraneo. Siamo tornate a casa e abbiamo chiamato l’ ambasciata italiana ad un numero verde di emergenza e loro ci hanno detto di rimanere a casa e di recarci nel rifugio solo se avessero dato l’ allarme’. Sembrava tutto normale. Era da giorni che la gente parlava della possibilità di un attacco a Kiev ‘ma quando è successo, la prima cosa che abbiamo fatto è stato guardarci negli occhi. Abbiamo detto: ci siamo, siamo in guerra. E abbiamo pregato. Abbiamo chiesto a Gesù di darci la forza e di dare la pace’. Da lì in poi è stata tutta una corsa contro il tempo. ‘Abbiamo messo insieme tre cose in un trolley. Ci siamo portate via pochissimo, giusto il necessario, e i documenti personali. Abbiamo subito cercato un biglietto di treno per poterci spostare a ovest ma erano esauriti. L’ aeroporto era chiuso. Abbiamo quindi scelto di muoverci in macchina’. Le strade in uscita da Kiev erano bloccate. ‘C’ erano file lunghissime davanti alla banca per ritirare i soldi e nei supermercati. Ci è voluto tanto tempo soprattutto per uscire dalla città. Ci siamo fermati due volte a fare benzina. Al primo benzinaio siamo stati in fila un’ ora. E proprio lì, mentre aspettavamo, abbiamo sentito i colpi che sparavano. È stato forte. Siamo rimasti immobili, in silenzio’. Ripreso il cammino, lungo la strada si vedevano i carro armati e gente che faceva l’ autostop per chiedere un passaggio. Sul tragitto, i telefoni inviavano e ricevano in continuazione messaggi e chiamate: con chi era partito, chi aveva deciso di rimanere. Per dare notizie e mettere in contatto le persone in fuga con le comunità dei focolari in Slovacchia e Polonia che hanno dato disponibilità ad accogliere. ‘Solo mentre viaggiavamo – confida Donatella -, ci siamo rese conto di quello che ci era successo. Non eravamo in macchina per andare ad un appuntamento o per fare un viaggio. Stavamo lasciando una città, la nostra casa. Non avremmo mai voluto andare via. Ma abbiamo capito che era impossibile rimanere’. A Mukachevo, Donatella e i suoi compagni di viaggio sono stati accolti da un sacerdote in una parrocchia e dalla comunità dei focolari di quella città. ‘Siamo qui in Ucraina. E questo per noi è importantissimo. Non siamo scappati. Noi vogliamo vivere e restare in questo Paese. Ci hanno offerto mille posti dove andare. Il fatto che siamo venuti via da Kiev è solo perché in questo momento è pericoloso. Non aveva nessun senso rimanere sotto i bombardamenti. Ora però il nostro sogno è tornare lì’. ‘La guerra? E’ una follia pura’, risponde senza esitazione Donatella. ‘Perché nessuno ha il diritto di togliere la vita a qualcun’ altro così come pure la possibilità di vivere una vita normale. Qui le persone hanno fatto tanti sacrifici per comprarsi una casa, mettere da parte dei risparmi. E adesso con la guerra, saltano i progetti di futuro, vanno in frantumi i sogni. Stiamo pregando perché questa follia finisca al più presto. Stiamo seguendo le notizie dei colloqui tra le delegazioni e degli sforzi che si stanno facendo a livello di diplomazia internazionale. Penso che l’ unica cosa che ci possa aiutare è un miracolo. E ci fanno un gran bene tutte le notizie che ci arrivano dalle persone che pregano per noi e manifestano in piazza per la pace. Ci vuole un miracolo’.
Maria Chiara Biagioni (SIR)
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