Movimento dei Focolari

Dilexi te: l’amore ai poveri, fondamento della Rivelazione

Ott 13, 2025

Pubblicata la prima Esortazione apostolica di Papa Leone XIV. Un lavoro cominciato da Bergoglio che mette al centro l’amore e il servizio ai poveri. Eredità preziosa, immagine di continuità e unità del Magistero della Chiesa. Ecco alcune riflessioni del Prof. Luigino Bruni.

Dilexi te, “ti ho amato” (Ap 3,9) è la dichiarazione d’amore che il Signore fa a una comunità cristiana che, a differenza di altre, non aveva alcuna risorsa, particolarmente disprezzata e esposta alla violenza ed è, al contempo, la citazione che dà il titolo alla prima Esortazione apostolica di Papa Leone XIV, firmata il 4 ottobre, festa del Santo d’Assisi. Il documento rimanda al tema approfondito da Papa Francesco nell’Enciclica Dilexit nos sull’amore divino e umano del Cuore di Cristo ed è un progetto che  l’attuale Pontefice ha fatto suo, condividendo con il Predecessore il desiderio di far comprendere e conoscere il vincolo tra quella che è la nostra fede e il servizio ai vulnerabili; il legame indissolubile tra l’amore di Cristo e la sua chiamata a farci vicini ai poveri.

Alla conferenza stampa di presentazione della “Dilexi te” sono intervenuti (da sinistra): Fr. Frédéric-Marie Le Méhauté, Provinciale dei Frati Minori di Francia/Belgio, dottore in teologia; Em.mo Card. Konrad Krajewski, Prefetto del Dicastero per il Servizio della Carità; Em.mo Card. Michael Czerny S.J., Prefetto del Dicastero per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale; p.s. Clémence, Piccola Sorella di Gesù della Fraternità delle Tre Fontane di Roma (Italia).

121 i punti in cui il “fare esperienza” di povertà va ben oltre la filantropia. “Non siamo nell’orizzonte della beneficenza- afferma il Papa agostiniano- ma della Rivelazione: il contatto con chi non ha potere e grandezza è un modo fondamentale di incontro con il Signore della storia. Nei poveri Egli ha ancora qualcosa da dirci” (5).

Leone XIV invita a riflettere sui vari volti della povertà: quella di “chi non ha mezzi di sostentamento materiale”, di “chi è emarginato socialmente”; la povertà “morale”, “spirituale”, “culturale”; la povertà “di chi non ha diritti, non ha spazio, non ha libertà” (9).   Ma nessun povero – continua- è “lì per caso né per un destino cieco e amaro” (14).  “I poveri sono una garanzia evangelica di una Chiesa fedele al cuore di Dio” (103).

“Diciamo subito che non è facile per la Chiesa, e per i papi, parlare di povertà. Perché, in primo luogo, il modo e la sostanza della povertà della Chiesa non sono quelli dell’ONU né degli Stati. La parola povertà – ci spiega il Prof. Ligino Bruni, economista e storico del pensiero economico, Professore Ordinario di Economia Politica alla Lumsa (Roma) e direttore scientifico di Economy of Francesco– ha nel cristianesimo uno spettro molto ampio, che va dalla povertà cattiva perché non scelta e subita fino alla povertà evangelica, a quei poveri che Gesù ha chiamato ‘beati’. La Chiesa dovrebbe muoversi all’interno di questo spettro ampio perché, se lascia fuori una delle due forme di povertà si esce dal Vangelo”. 

Il documento denuncia in particolar modo la mancanza di equità definendola radice dei mali sociali (94), così come  l’agire di sistemi politico-economico ingiusti. La dignità di ogni persona umana dev’essere rispettata adesso, non domani (92) e, non a caso, durante la conferenza stampa di presentazione, svoltasi in Vaticano il 9 ottobre 2025, il Card. Michael Czerny S.J., Prefetto del Dicastero per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale, con riferimenti specifici al testo, ha riflettuto molto su quelle che vengono definite di ‘strutture del peccato’: “l’egoismo e l’indifferenza si consolidano nei sistemi economici e culturali. L’economia che uccide (3) misura il valore umano in termini di produttività, consumo e profitto. Questa ‘mentalità dominante’ rende accettabile lo scarto dei deboli e degli improduttivi, e merita quindi l’etichetta di ‘peccato sociale’”.

“È questo un tema antico della dottrina sociale della Chiesa – aggiunge a tal proposito il Prof. Bruni- e, ancor prima, dei Padri e di molti carismi sociali, per non parlare dei francescani. In questi passaggi si sente la mano di Papa Francesco e lo spirito di San Francesco (64), ma anche dei carismi più recenti – fu Don Oreste Benzi a parlare per primo delle “strutture di peccato” -, fino all’Economia di comunione e all’Economy of Francesco. Importante è poi il riferimento – ancora in piena continuità con Papa Francesco – alla meritocrazia, definita una “falsa visione” (14). La meritocrazia è una falsa visione, perché prima attribuisce molte povertà ai demeriti dei poveri, e poi i poveri demeritevoli vengono definiti anche colpevoli. L’ideologia meritocratica è una delle principali “strutture di peccato” (nn. 90 ss.) che generano esclusione e poi provano a legittimarla eticamente. Le strutture di peccato sono materiali (istituzioni, leggi …) e immateriali come le idee e le ideologie”.

Il documento volge naturalmente uno sguardo al tema delle migrazioni- Robert Prevost fa suoi i famosi “quattro verbi” di Papa Francesco: accogliere, proteggere, promuovere e integrare- senza dimenticare le donne, tra le prime vittime di violenza ed esclusione; sottolinea l’importanza dell’educazione per la promozione dello sviluppo umano integrale, la testimonianza e il legame con la “povertà” di tanti santi, beati e ordini religiosi e propone un ritorno all’elemosina come via per poter davvero  “toccare la carne sofferente dei poveri” (119).

In Dilexi te Papa Leone ci “esorta” a cambiare rotta, pensare ai poveri non come un problema della società né, tantomeno, unicamente come “oggetto della nostra compassione” (79) ma attori reali a cui poter dare voce e “maestri del Vangelo”. È necessario che “tutti ci lasciamo evangelizzare dai poveri.  Essi- scrive il Papa- sono una questione familiare. Sono dei nostri”. Pertanto “il rapporto con loro non può essere ridotto a un’attività o a un ufficio della Chiesa” (104).

“Prendere sul serio la povertà evangelica significa- aggiunge Luigino Bruni- cambiare punto di vista, fare metanoia, dicevano i primi cristiani. E poi, oggi, provare a rispondere ad alcune domande radicali: come chiamare “beati” i poveri quando li vediamo vittime dalla miseria, abusati dai potenti, morire in mezzo al mare, cercare il cibo tra la nostra spazzatura? Quale beatitudine conoscono? Per questa ragione, molte volte i primi e più severi critici di questa prima beatitudine sono stati e sono proprio quelli che spendono la loro vita accanto ai poveri, seduti insieme a loro, per liberarli dalla loro miseria. I più grandi amici dei poveri finiscono, paradossalmente, per diventare i più grandi nemici della prima beatitudine. E noi dobbiamo capirli e ringraziarli per questo loro scandalizzarsi. E poi provare a spingere il discorso su terreni nuovi e arditi, sempre paradossali. E quanti “ricchi epuloni” hanno trovato nella beatitudine dei poveri un alibi per lasciare Lazzaro (rif. Luca 16,19-31) beato nella sua condizione di deprivazione e di miseria, e magari auto-definendosi “poveri di spirito” perché davano le briciole ai poveri!?  Ci deve essere qualcosa di stupendo in quel “beati i poveri”. Noi non lo capiamo più, ma cerchiamo almeno di non rimpicciolire la sua profezia paradossale e misteriosa. Papa Leone ha cercato di indicarci alcune dimensioni di questa bellezza paradossale della povertà, soprattutto nei lungi paragrafi dedicati alla fondazione biblica ed evangelica, ma c’è ancora molto da scoprire e da dire. Mi auguro che i futuri documenti pontifici includano anche il magistero laico sulla povertà, che da almeno 50 anni ci viene donato da personaggi come A. Sen, M. Yunus o Ester Duflo, insigniti del Premio Nobel per l’Economia. Questi studiosi con molti altri ci hanno insegnato che le povertà non sono mancanza di denaro o di redditi (flussi) ma mancanza di capitali (stock) – sanitari, educativi, sociali, famigliari, capabilities … – che poi si manifesta in una carenza di reddito; ma è solo lavorando sui capitali oggi che domani potremo fare uscire i poveri dalle trappole di povertà. Come ci ha spiegato Sen, la povertà è trovarsi nell’impossibilità oggettiva di “poter svolgere la vita che vorremmo vivere”, ed è quindi una mancanza di libertà. I carismi lo hanno sempre intuito, che nelle missioni e prima ancora in Europa e ovunque hanno riempito il mondo di scuole e di ospedali, per migliorare i ‘capitali’ dei poveri. Anche l’elemosina, di cui parla alla fine del documento Papa Leone (nn. 76 e ss), va orientata in ‘conto capitale’, e non dispersa in aiuti monetari che finiscono spesso per aumentare quelle povertà che vorrebbero ridurre. La Dilexi te è un punto di partenza, per un cammino ancora lungo dei cristiani nel terreno ancora in parte sconosciuto delle povertà – di quelle brutte da ridurre e di quelle belle del vangelo, da aumentare.

Maria Grazia Berretta

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