Movimento dei Focolari
Europa: è tempo di dialogo

Europa: è tempo di dialogo

Europe time to dialogue è un’iniziativa del Movimento dei Focolari, concepita per contribuire al dibattito in vista delle prossime elezioni del Parlamento Europeo. L’appuntamento è su Facebook. La scelta di un Social Network come Facebook è decisiva: gli ultimi grandi appuntamenti elettorali – ci dicono gli esperti – sono stati influenzati dalle incursioni nelle reti sociali di gruppi interessati ai risultati, spesso sollecitati da visioni incompatibili con le ragioni della democrazia. I Social, dunque, sono un territorio nel quale si deve essere presenti, se si vogliono offrire i temi del bene comune, della partecipazione e della solidarietà. WhatsApp Image 2019 02 05 at 19.27.13Con la campagna Europe time to dialogue si offriranno le ragioni di un Europa più fraterna e più coesa in tempi in cui, da molte parti, sembrano sorgere, invece, le nubi dei nuovi egoismi sociali, dei neo-sovranismi, dei nazionalismi. La cultura dell’unità che scaturisce dal carisma vissuto dai membri del Movimento dei Focolari è al servizio di una politica nella quale le spinte alla collaborazione, alla condivisione e all’aggregazione, sono favorite e incoraggiate. D’altronde, fra i grandi testimoni dell’Europa unita vi sono anche Chiara Lubich e Igino Giordani, i quali hanno sempre avuto chiaro che l’Europa unita doveva farsi promotrice della pace mondiale e della condivisione planetaria. “Gli Stati Uniti d’Europa per gli Stati Uniti del Mondo”: in questo modo, Giordani fin dagli anni Venti del secolo scorso, e Chiara Lubich nelle numerose circostanze nelle quali ha parlato ai politici di tutto il mondo, hanno intravisto con lucidità il destino del Vecchio Continente. Ecco perché la comunicazione di Europe time to dialogue si presenta con un duplice volto: un messaggio proveniente dal passato, cioè la citazione di qualcuno dei passaggi sull’Europa unita e la sua missione universale di figure come Chiara Lubich, Igino Giordani, Pasquale Foresi, Alcide De Gasperi, Konrad Adenauer, Robert Schuman, Paul-Henri Spaak, Jean Monnet…, e un commento d’attualità, sulla visione che scaturisce dal messaggio di questi grandi testimoni nella lettura dell’oggi. Per seguirci, basta collegarsi a Europe time to dialogue su Facebook, e contribuire con un commento, una riflessione, e condividere i post con tutti i propri amici.

Alberto Lo Presti

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Terra Santa: Storie di dialogo

Anna Maria, Jessica e Talat: una testimonianza di amicizia tra fedeli delle tre religioni monoteistiche. Quando crollano i muri di diffidenza e pregiudizi, si sperimenta la possibilità di guardare al futuro con coraggio e speranza. https://vimeo.com/319174337 (altro…)

Mons. Vincenzo Zani: nuove alleanze per nuove sfide educative

Mons. Vincenzo Zani: nuove alleanze per nuove sfide educative

Intervista al segretario per la Congregazione per l’Educazione Cattolica presente al convegno EduxEdu: “Occorre ricostruire il patto tra educando ed educatore”. Ci sono questioni che non trovano soluzioni definitive in un mondo in continua evoluzione. Bisogna sempre tenere il passo, correggere, reinterpretare e soprattutto trovare il modo di uscire dalle tante solitudini che attanagliano chi si occupa oggi di educazione. Da sempre, ma in particolare in questi ultimi anni, la Chiesa ha richiamato con accenti forti l’attenzione sull’emergenza educativa vista come una delle sfide antropologiche più coraggiose da attraversare nel nostro tempo. E su questa sfida Papa Francesco continua a insistere perché sta proprio qui il vulnus, il punto più fragile, la causa delle crescenti diseguaglianze sociali, è una sfida che viene molto spesso sottovalutata dalla politica e quindi scartata e isolata nella totale indifferenza. Mons. Vincenzo Zani, Segretario della Congregazione per l’Educazione Cattolica, ne ha parlato alla tavola rotonda  dal titolo ”La vitalità dei sogni: dare un’anima all’educazione”,  al convegno internazionale che si è da poco concluso a Castel Gandolfo, “Edu x Edu”,  “Educarsi per educare – crescere insieme nella relazione educativa”. Il progetto è nato nel 2016 eha visto la partecipazione di circa 400 educatori, giovani, insegnanti dei focolari provenienti da diversi Paesi. Un cartello di promotori, oltre ilMovimento dei Focolari, ha sostenuto quest’anno l’iniziativa, come l’Università LUMSA, l’Istituto Universitario Sophia, AMU (Azione Mondo Unito onlus), EdU (Educazione e Unità) e AFN (Azione Famiglie Nuove onlus). 53695255 2094043104010432 1517733862065569792 nL’intervento di Mons. Zani ha puntato ad analizzare soprattutto la frattura tra le generazioni, una frattura fra culture, valori, ideali provocata anche dalla rivoluzione digitale, un potenziale straordinario ma che spesso disorienta. L’avvento dell’era dell’infosfera,  gli sviluppi nel campo delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione stanno modificando le risposte a domande fondamentali. Di fronte a tale scenario qual è la proposta di Papa Francesco? Se torniamo per un momento al passato, scopriamo che l’educazione era un compito comunitario, una condivisione relazionale. Fare rete, aprire un dialogo a 365 gradi fra tutte le agenzie educative è la chiave che può vincere questa sfida. Educare non è infatti rimanere fissi nelle proprie sicurezze e nemmeno abbandonarsi solo alle sfide, ma tenere insieme i valori, le proprie visioni e mettersi a confronto con le altre realtà e una di queste dimensioni è quella della trascendenza, del rapporto con Dio, ha sottolineato Mons. Zani. L’invito è quello di metterci in rapporto e in servizio con gli altri, proporre un sapere non di tipo selettivo ma relazionale, che tende a includere, ristabilire a tutti gli effetti le fondamenta per un “patto educativo” che lasci spazio alla responsabilità educativa sociale per ricostruire armonicamente la relazione tra famiglia, scuola, istituzioni educative e civili e cultura. Occorre quindi rifondare questa alleanza per essere all’altezza delle sfide che il Papa ci ha lanciato.53164950 2094043034010439 1956683256338317312 n Ed è proprio per rilanciare l’impegno di ricostruire il patto educativo che Papa Francesco ha incaricato la Congregazione per l’Educazione Cattolica di promuovere un evento mondiale che si terrà il 4 ottobre prossimo a Roma. “Occorre, infatti, – ha affermato Mons. Zani -,  accompagnare gli uomini e le donne del terzo millennio, ma soprattutto i giovani, a scoprire il principio di fraternità che soggiace all’intera realtà: principio reso sempre più evidente dall’interdipendenza planetaria e dal comune destino di tutte le creature. Il Papa proporrà una “Magna charta” di principi ed obiettivi che verrà sottoscritta da lui stesso e da una rappresentanza di persone autorevoli, espressione dei vari mondi vitali e istituzionali del mondo, affinché diventi un impegno da assumersi a tutti i livelli attraverso progetti concreti in ambito educativo. Ricostruire il patto educativo a livello globale, educando alla fraternità universale, significa ricomporre la trama delle relazioni sociali sofferenti, danneggiate dagli egoismi individuali e dalle avidità collettive, puntando invece sul rispetto e sull’amore verso l’altro per trasformare e migliorare la vita personale e sociale. Se vogliamo cambiare il mondo – ripete Papa Francesco – occorre cambiare l’educazione”.

Patrizia Mazzola

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Pathways: donare per condividere

In famiglia o nei luoghi di lavoro la condivisione di quanto abbiamo e di quello che siamo può contribuire a creare nuove relazioni. Un cambio di regalo Si avvicinava il nostro anniversario di matrimonio e, a nostra insaputa, i figli ci stavano preparando una sorpresa. Sono sposata da 46 anni ed ho cinque ragazzi. Due giorni prima che festeggiassimo l’anniversario con mio marito ci siamo visti donare i biglietti per un viaggio: era una vacanza in albergo pagata da loro. Eravamo raggianti. Pochi minuti dopo, però, a casa nostra ha squillato il telefono: era una signora che conosco che, molto addolorata, ci informava che una persona gravemente malata aveva bisogno di un’operazione urgente, ma non aveva le possibilità finanziarie per pagarla. L’importo necessario per l’intervento era proprio quello dei biglietti del viaggio. Non ci abbiamo pensato due volte: abbiamo rinunciato alla vacanza per aiutare questa persona. L’intervento chirurgico è avvenuto proprio il giorno del nostro anniversario. L’operazione è andate bene, adesso questa persona sta meglio. (A. – Angola) Salvare l’azienda  Lavoro nell’amministrazione di una struttura sanitaria nella quale, negli ultimi anni, il bilancio è stato chiuso in perdita. Tra i soci amministratori, fino a poco tempo fa, c’erano grosse difficoltà di dialogo e, nonostante i miei segnali di allarme, nessuno prendeva in considerazione la possibilità di rivedere la gestione dei conti aziendali. Un giorno ho sentito che non potevo più tacere davanti alla cattiva gestione e alle esose parcelle dei vari professionisti che lavorano per noi. Mi sono accordata con una delle socie con la quale c’è un bel rapporto di fiducia e abbiamo chiesto di fare analizzare costi e ricavi da un serio professionista. Un’azione che ha portato a fare piccoli passi di miglioramento e, dalla primitiva decisione di chiudere l’attività, il mio capo ha concesso un altro anno di prova. Fin dal primo esame dei conti è emerso un esubero di personale, perciò è stato deciso di licenziare una persona e di ridurre a part-time un’altra. Ho proposto una riduzione di ore per tutti, piuttosto che la perdita del lavoro per una persona. La proposta è stata accettata. I problemi sono ancora tanti, ma cerco di essere disponibile anche da casa per ascoltare tutti, accogliere incertezze e timori dei colleghi, soprattutto la paura di perdere il posto di lavoro. (R. G. – Italia) Ho iniziato dal mio palazzo “Un sabato pomeriggio sono sceso nell’androne del mio palazzo ed ho ordinato con cura in un piccolo tavolo tutto quanto avevo raccolto nella mia cameretta” racconta G. di 7 anni. Nei giorni precedenti infatti G. aveva scelto con cura fumetti, giornalini e la sua collezione di conchiglie per allestire un piccolo mercatino per i suoi vicini di casa. “Ho anche scritto un annuncio – continua – invitando le famiglie che abitano nel mio stabile a visitare la mia bancarella e fare acquisti, regalandomi qualche minuto del loro prezioso tempo. Per circa due ore ho accolto le persone e spiegato loro che il ricavato della vendita sarebbe andato per aiutare alcuni miei coetanei più poveri”. Molti hanno comprato vari oggetti ed alla fine il ricavato era una bella cifra, divenuta contributo per un progetto di solidarietà. (G.- Italia) (altro…)

Mozambico: Prepararsi alla ricostruzione

Colpite anche alcune comunità dei Focolari dall’alluvione in Africa sudorientale Nei giorni scorsi una violenta alluvione ha colpito l’Africa sudorientale, in particolare la parte centrale del Mozambico. Siamo in contatto con membri del Movimento dei Focolari nelle zone di Beira e di Chimoio. Alcuni di loro gestiscono una missione di circa 500 persone che ospita un centro di recupero (Fazenda da Esperança), una scuola, due college ed un ospedale. In questo momento tutta la missione è sommersa dall’acqua ed isolata, senza acqua potabile, luce e cibo. Fortunatamente non ci sono stati morti, ma nei dintorni ci sono state parecchie vittime. La Caritas e le autorità stanno lavorando per raggiungere le zone isolate per portare cibo e generi di prima necessità. Ma la sfida più grande arriverà quando l’acqua sarà scesa e quando – come afferma Mons. Dalla Zuanna, vescovo di Beira, “si dovrà iniziare la ricostruzione e le luci dell’emergenza si saranno spente.” Per questo il Coordinamento Emergenze del Movimento dei Focolari si è attivato per raccogliere contributi ed impiegarli per assistere la popolazione sul posto.   Chi volesse può contribuire con le seguenti modalità: Azione per un Mondo Unito ONLUS (AMU) IBAN: IT58 S050 1803 2000 0001 1204 344 Banca Popolare Etica BIC: CCRTIT2T Emergenza Mozambico   Oppure: Azione per Famiglie Nuove ONLUS (AFN) IBAN: IT55 K033 5901 6001 0000 0001 060 presso Banca Prossima Codice SWIFT/BIC: BCITITMX Emergenza Mozambico (altro…)

Crescere con i propri figli

Crescere con i propri figli

Scoprire che il proprio figlio ha un disturbo mentale può essere uno choc che può paralizzare la mente e l’agire dei genitori. Oppure può prevalere il desiderio di ascoltare, accompagnare, perseverare, donarsi. Vivere la disabilità crescendo insieme. È la strada che hanno scelto Natalija e Damijan Obadic, sloveni, sposati da 14 anni, genitori di quattro figli. Il più piccolo, Lovro, oggi ha sei anni e tre anni fa gli è stato diagnosticato un deficit di attenzione. Sembrava non ci fossero alternative ai farmaci e ai trattamenti standardizzati. Invece la coppia ha sperimentato che anche la relazione è cura. E potenzia il trattamento. Talvolta individua soluzioni originali. Ma nessun risultato è acquisito definitivamente, anzi il percorso è ogni giorno sfidante. L’unione della famiglia e l’unione con Dio sostengono il cammino. Natalija, come avete reagito alla notizia che vostro figlio soffre di un deficit di attenzione? Ho rivisto davanti a me i bambini con questo handicap che ho incontrato nel mio lavoro di educatrice e i loro enormi problemi. Quel giorno io e Damijan abbiamo capito che l’atto d’amore più grande che potevamo fare per Lovro e per tutti noi era che uno di noi due lasciasse il lavoro. Avevamo un mutuo e stipendi modesti, ma sapevamo che per aiutare Lovro nel modo giusto avremmo dovuto dargli tanto amore, tempo ed energie. È stato molto doloroso, e sentivamo una grande incertezza, ma eravamo sicuri che l’amore di Dio per noi ci avrebbe sostenuto. 738de167 4239 49ae 8658 dc83e81017ecCosa vi insegna l’esperienza con Lovro? Abbiamo imparato ad ascoltarlo fino in fondo. Quando gli dai delle istruzioni devi controllare se le ha colte, seguirlo in ogni azione e farlo ritornare continuamente a quello che deve fare, altrimenti si mette a giocare. Per lui portare a termine un’azione è come scalare la cima di una montagna irraggiungibile e quindi si ribella per non farlo. A volte va in crisi, con un pianto sfrenato, butta via tutto ciò che vede, dà calci e pugni. Allora, con calma e gentilezza, devi trovare il modo per reindirizzarlo a fare quello che doveva fare. Abbiamo imparato che con il nostro amore reciproco è possibile aiutarlo e che l’amore per Lovro ci guida nel capire cosa fare per lui. Come affrontate le difficoltà quotidiane? Ogni giorno preghiamo con lui perché riesca a far fronte alle sue difficoltà. Lui è consapevole di avere un disturbo e questo lo aiuta ad affrontarle. Con il nostro amore reciproco, da soli, riusciamo a seguire le indicazioni degli specialisti. Abbiamo capito che Lovro deve sentire il nostro amore incondizionato sempre. Parlando con lui cerchiamo di trovare il modo per migliorare ogni giorno. Anche gli altri figli sono coinvolti in questa “cura speciale” per Lovro. Che rapporto c’è tra loro? Con gli altri figli abbiamo parlato di cosa fare per lui, cosa pretendere e come perseverare per poterlo aiutare. Siccome la cosa è molto impegnativa abbiamo deciso di dividerci i giorni della settimana. Abbiamo spiegato ai figli che non devono impietosirsi quando chiedono a Lovro di completare un compito, perché così lo aiuteranno a imparare che ha dei doveri e deve portare a termine gli incarichi. Ci hanno aiutato molto e dopo tre mesi abbiamo visto i primi risultati. Una sera abbiamo detto a Lovro di mettersi il pigiama e venire a tavola. Per la prima volta lo ha fatto da solo senza distrarsi. Abbiamo festeggiato!

A cura di Claudia Di Lorenzi

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Vangelo vissuto: “Siate misericordiosi come il Padre vostro”

Siamo figli di Dio e possiamo somigliargli in quello che lo caratterizza: l’amore, l’accoglienza, il saper aspettare i tempi dell’altro. In banca Lavoro presso una banca, e ho sempre cercato di essere un elemento di unione tra i colleghi, per cui mi ha fatto molto male scoprire, un giorno, che uno di loro si serviva di me per mettere in cattiva luce il suo responsabile. Quella sera, in chiesa, mi sono ripromesso di allontanare da me ogni pensiero negativo verso quel collega e di accoglierlo come sempre. In seguito, avendo trovato un altro lavoro, lui ha annunciato le sue dimissioni e mi ha salutato ringraziandomi per essere stato sempre per lui un amico. Non me l’aspettavo, ma ero felice di sapere che il mio sforzo non era stato vano. (F.S. – Svizzera) Una fede matura Giorno dopo giorno mio marito perde memoria e abilità e io stessa non riesco più a piegarmi per prendere qualcosa…ma è questa la vita? Ascoltando Papa Francesco parlare ai giovani degli anziani, mi è tornata la speranza e una nuova forza per affrontare le difficoltà della vecchiaia e delle malattie. Avevo sempre rifiutato la fede come panacea di ogni male, ci è voluta tutta una vita per arrivare ad una fede più matura. (F.Z. – Polonia) Due ore preziose Oggi era il mio turno di volontariato in ospedale, ma pioveva ed ero stanca: in fondo ho 62 anni e soffro di artrosi. Ma pensando a quei malati sono andata ugualmente. Giunta in ospedale, ho trovato un paziente depresso, nudo, paralizzato e nessuno che lo accudisse. Ho trascorso due ore con lui, cercando di dargli tutto quello di cui ero capace. E pensare che ieri sera, facendo il bilancio della giornata, mi ero sentita inutile! (M. – Italia) Da sola Quando è morto mio marito, dopo solo quattro anni di matrimonio, mi sono chiesta: come potrò crescere da sola le mie bambine? Ho trovato la risposta nella Parola di Dio, che è Padre di tutti. Bastava che io riuscissi a metterla in pratica. L’ho sperimentato tante volte, soprattutto quando i problemi sono diventati più complessi con la crescita: la scelta del tipo di scuola, le amicizie, gli svaghi… Talvolta provo la stessa desolazione di tante persone, sole come me nel portare avanti una famiglia: è allora che, continuando a credere all’amore di Dio, trovo l’equilibrio, la possibilità di rilanciare un dialogo con le mie figlie, anche sulle questioni più delicate. (I.C. – Italia)

(tratto da Il Vangelo del Giorno, Città Nuova, anno V, n.2, marzo-aprile 2019)

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L’educatore, mestiere e vocazione

Storia di Marco Bertolini, educatore sociosanitario nella provincia di Roma (Italia): “Anche gli educatori hanno da imparare dagli educandi ed è possibile trasformare le difficoltà in opportunità”. Diagnosticata quando aveva pochi anni, la poliomielite non è stata per Marco una prigione da cui gridare la sua rabbia al mondo, ma un’occasione per cogliere la ricchezza della sua vita e il potenziale che la sua “condizione” nascondeva. Per poi aiutare da adulto tanti ragazzi “difficili” a scoprire la propria bellezza e la dignità dell’essere persona. Decisivo per lui l’incontro con i giovani del Movimento dei Focolari. A 59 anni, oggi Marco Bertolini – sposato e padre di due figli – lavora come educatore sociosanitario in una borgata della periferia di Roma. Lo abbiamo raggiunto al recente convegno sull’educazione “EduxEdu”, tenutosi al Centro Mariapoli di Castelgandolfo (Italia): Marco, la tua storia racconta di una difficoltà iniziale trasformata in opportunità. Cosa l’ha portata a questa maturazione? Fin da bambino ho avuto la chiara percezione della mia diversità fisica. Mentre le mie sorelle e i miei amici vivevano in famiglia io ero in collegio. Questo ha fatto crescere in me rabbia verso chi ritenevo più fortunato. E così cercavo lo scontro, mettevo alla prova i miei per vedere se mi volevano bene. Poi a vent’anni la svolta. Ero alla ricerca di un senso da dare alla mia vita quando incontrai i giovani dei Focolari che vivevano il Vangelo, erano uniti e si rispettavano. Io nella mia borgata, alla periferia di Roma, ne combinavo di tutti i colori e non avevo una buona fama, ma loro mi accettavano così com’ero. Mi facevano sentire una persona e non guardavano i miei difetti. Mi spiegavano che cercavano di voler bene al prossimo, come dice il Vangelo. Io ero incredulo, pensavo che il Vangelo è una bella cosa ma che nella vita bisogna sgomitare. E invece pian piano mi hanno mostrato che vivere il Vangelo è possibile e può cambiare la vita. Come sei diventato educatore? All’inizio studiai teologia. Scoprivo il rapporto con Dio e mi chiesi se la mia vocazione era il sacerdozio. Così entrai in seminario impegnandomi in vari servizi. A Roma collaboravo con la Caritas e nel centro di ascolto mi occupavo soprattutto dei clochard: lì capii che la mia strada era l’impegno nel sociale. Le persone che più avevo a cuore erano i ragazzi. Volevo condividere con loro il dono che avevo ricevuto incontrando i giovani del Movimento, perché anche loro potessero scoprire il valore profondo della vita. Sono uscito quindi dal seminario e ho iniziato a studiare come operatore sociale e educatore. Quando ci si approccia ai “ragazzi difficili” si pensa per lo più a “contenerli”. Ma cogliere la “ferita” che portano dentro è una sfida difficile: come la affronti? I ragazzi non vanno contenuti ma ascoltati e compresi. L’approccio che uso è quello che Dio ha avuto con me: mi ha accettato così come ero. E allora prima di tutto li accolgo così come sono, con il loro linguaggio, senza voler cambiare nulla, ma facendo capire che c’è l’opportunità che qualcuno gli voglia bene. Parto dalla mia esperienza con Dio e dalle loro emozioni. I ragazzi vanno aiutati facendo loro delle proposte di vita diverse. In qualche modo è un po’ come instaurare con loro un “patto educativo”. Ci racconti un’esperienza al riguardo? Da anni faccio parte di un’equipe che organizza un campo di lavoro, chiamato “stop’n’go”, dove a ragazzi adolescenti viene data un’opportunità formativa alla luce dell’ideale dell’unità. Ricordo una ragazza madre di 19 anni, con una storia dolorosa, che alternava atteggiamenti adulti e infantili. Ci chiedevamo se il suo inserimento sarebbe stato proficuo per lei e per gli altri. Decidemmo di fare un patto con lei: poteva uscire a turno con uno di noi adulti in cambio del rispetto delle regole del campo e della partecipazione alle attività. Lei accettò e fu una gara d’amore dell’equipe per farla sentire accolta e mai giudicata. Io sperimentai che anche gli educatori hanno da imparare dagli educandi, e che è possibile trasformare una difficoltà in opportunità.

Claudia Di Lorenzi

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Pathways: percorsi per un mondo unito

Pathways: percorsi per un mondo unito

Sei tematiche per sei anni, un cammino di approfondimento che parte dall’ambito dell’economia, della comunione del lavoro. Il mondo unito, una meta impegnativa ma non utopica, che si può raggiungere se si agisce su tanti diversi fronti. Lo sanno bene le nuove generazioni dei Focolari alle quali Chiara Lubich aveva suggerito di incamminarsi sulle tante “vie” che conducono ad un mondo unito, di conoscerle e approfondirle per raggiungere questo obiettivo. Per questo, proprio dai giovani, è partita l’idea di un percorso mondiale in sei anni che hanno chiamato “Pathways for a united world”, percorsi per un mondo unito. Un cammino con azioni e approfondimenti su sei grandi tematiche. Nei prossimi mesi vi proporremo testimonianze ed esperienze di vita vissuta sulla prima di esse: economia, comunione e lavoro. FOTO pathwaysrossoundercatDonare quanto abbiamo in più – Da quando ci siamo sposati, ogni anno sentiamo di dover condividere con gli altri quanto abbiamo in più. L’esperienza è iniziata durante i preparativi per il matrimonio, quando abbiamo ricevuto tantissimo, in affetto e aiuti economici. Abbiamo scelto di fare una donazione ad una associazione di Timor Est che aiuta concretamente i bambini in difficoltà, gestita dal sacerdote che ci ha sposati. È stato incredibile ricevere, poco dopo la donazione, esattamente dieci volte tanto. Ogni anno, poi, abbiamo fissato di donare una parte dei nostri guadagni per alimentare la comunione dei beni che si vive nel Movimento dei Focolari. Proprio questa mattina avevo fatto un bonifico per questo, quando ho ricevuto in dono un cappotto. Bello, alla moda e…proprio della mia taglia. (S. e C – Italia) I risparmi del salvadanaio – Ho cinque anni e vivo ad Aleppo (Siria). Qualche tempo fa avevo saputo che i giovani del Movimento dei Focolari avevano deciso di trascorrere una serata in un monastero di suore che si occupano di persone anziane e portare loro la cena. Anche io volevo partecipare. Il giorno prima dell’appuntamento, però, non sono stato bene e sono dovuto andare dalla pediatra. Mentre mi visitava ho approfittato per raccontargli dell’iniziativa. “Dottoressa, domani con la mia famiglia volevamo andare a trovare alcuni anziani. Io per contribuire ho anche svuotato il mio salvadanaio. Ma io domani ci posso andare?”. E lei: “Sì, puoi andare perché stai bene di salute. Ma ti restituisco i soldi con i quali hai pagato la visita, perché anche io vorrei partecipare alla vostra iniziativa”. (G. – Siria) Coinvolgere la città – Conosco molte persone che non possiedono neppure l’indispensabile per vivere. Che fare? Parlandone con i colleghi, è nata una condivisione spontanea. Ricevevo molte cose che poi distribuivo a famiglie in difficoltà. L’idea si è diffusa e le cose ricevute aumentavano, avevo bisogno di più spazio e di qualche aiuto. Una coppia di amici ha messo a disposizione un negozio, un collega, con il quale siamo molto diversi per idee e cultura,  e due giovani professionisti hanno messo a disposizione del tempo per questa iniziativa. Dopo un mese abbiamo inaugurato il nostro “Bazar comunitario”, presenti l’Assessore ai Servizi Sociali ed alcuni Consiglieri Comunali. Lavorando abbiamo iniziato a “fare rete” con le istituzioni sociali della città ed abbiamo elaborato una mailing-list per mettere in contatto chi ha qualcosa da donare con chi è in necessità. Riceviamo collaborazioni e oggetti di ogni tipo, da singoli e da aziende. Il Bazar è divenuto punto di riferimento anche per persone sole che hanno modo di rendersi utili. Un giorno, per aiutare una lavanderia sociale ad acquistare una macchina adeguata, ho chiesto ad un collega di accompagnarmi: “È la prima volta che termino un anno facendo qualche cosa per gli altri – mi ha detto al ritorno. – Sono felice. Grazie per avermi parlato di questa iniziativa!”. ( M.D.A.R. – Portogallo) (altro…)

Lo sciopero del clima

Lo sciopero del clima

I ragazzi per l’unità del Movimento dei Focolari e Prophetic Economy aderiscono a «FridaysForFuture», l’iniziativa mondiale per la salvaguardia dell’ambiente promossa da Greta Thunberg  IMG 0086Questa mattina nel giardino della sede internazionale del Movimento dei Focolari a Rocca di Papa (Italia), la Presidente dei Focolari Maria Voce e il co presidente Jesús Morán hanno piantato un albero (diretta Facebook dell’evento) a sostegno all’iniziativa internazionale #FridaysForFuturepromossa da Greta Thunberg, la sedicenne svedese che in poco tempo è diventata un simbolo dell’ambientalismo. Il mondo ha iniziato ad accorgersi di lei quando, a inizio anno scolastico, lo scorso autunno, Greta ha deciso di scioperare da scuola ogni venerdì mattina per fare sit-in davanti al Parlamento di Stoccolma. Il suo obiettivo era quello di protestare per una mancata presa di posizione da parte dei leader politici di fronte a quanto sta accadendo all’ambiente. Poi a fine gennaio, a Davos in Svizzera, è finita nel mirino dei media mondiali quando ha parlato davanti ai big della terra al World Economic Forum: “State distruggendo il mio futuro non voglio che speriate, vi voglio vedere nel panico”. Anche i Ragazzi per l’Unità del Movimento dei Focolari, insieme a Prophetic Economy, hanno deciso di aderire all’iniziativa internazionale prevista per oggi, venerdì 15 marzo, per chiedere con forza che siano rispettate le convenzioni internazionali per salvaguardare il pianeta, che si smetta di parlare e si agisca con decisione. “Le prese di posizione di molti politici dimostrano che l’approccio top-down non è sufficiente – spiega Luca Fiorani, coordinatore di EcoOne, la rete internazionale dei Focolari degli operatori nell’ambito dell’ecologia e della sostenibilità. Le grandi conferenze internazionali sul clima dell’Onu dimostrano che è difficile prendere delle decisioni condivise per combattere il riscaldamento globale. E così entrano in gioco gli approcci bottom-up, cioè quelli in cui la popolazione spinge sui potenti per far prendere delle decisioni efficaci per evitare il cambiamento climatico. E allora l’iniziativa di questi ragazzi è importantissima, perché sono quelli che un domani pagheranno di più gli effetti del cambiamento climatico. È quindi importante che i ragazzi si muovano a livello globale e che muovano le coscienze di tutti. Se non agiamo ora, nel giro di 20 o 30 anni potrebbe essere troppo tardi. Anche Papa Francesco lo ricorda spesso. Basta andare a leggersi la sua lettera sulla Quaresima, tutta incentrata sulla conversione ecologica: pregare, digiunare, fare elemosina, ma con – nello sfondo – la cura della creazione”. E l’impegno dei ragazzi dei Focolari per raggiungere l’obiettivo “Fame Zero”, va proprio nella direzione dell’iniziativa di Greta Thunberg.

Lorenzo Russo

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Card. Ryłko: Chiara Lubich e la dimensione profetica del suo carisma

Card. Ryłko: Chiara Lubich e la dimensione profetica del suo carisma

A undici anni dalla morte della fondatrice dei Focolari sono molti gli eventi che la ricordano nel mondo. A Roma, il Card. Ryłko ha celebrato una S. Messa alla presenza di Maria Voce e Jesús Morán. Oltre a un folto gruppo del “popolo” di Chiara, molte le autorità civili, religiose e gli amici dei Focolari intervenuti. La celebrazione è stata animata dal complesso internazionale Gen Verde. Iniziatrice di strade nuove di vita cristiana, donna affidata totalmente a Dio e dalla profonda identità “mariana”. Proprio per questo Dio ha depositato in lei un dono per la Chiesa e il mondo: il carisma dell’unità. Questi, in sintesi, i cardini della vita di Chiara e dei Focolari ripercorsi dal Card. Stanisław Ryłko, già Segretario e poi Presidente del Pontificio Consiglio per i Laici, durante la S. Messa celebrata il 14 marzo a Roma nel più antico santuario mariano, la basilica di Santa Maria Maggiore, in occasione dell’undicesimo anniversario della morte di Chiara Lubich. EmmausPresenti, oltre alla Presidente dei Focolari Maria Voce, al Copresidente Jesús Morán e a un folto gruppo del “popolo di Chiara”, anche rappresentanti civili, religiosi, del mondo diplomatico e di diversi movimenti cristiani: un’assemblea variegata, che sembrava restituire a Chiara quell’abbraccio da lei rivolto all’umanità.  “Quante volte avete sentito Chiara pronunciare queste parole – ha ricordato il Card. Ryłko: «È l’amore che conta. È l’amore che fa camminare il mondo, giacché se uno ha anche una missione da svolgere essa è tanto più feconda quanto più è intrisa d’amore». “Oggi le sfide che personalmente e come popoli viviamo non sono da meno da quelle che Chiara ha dovuto affrontare quando ha cominciato – confida una ragazza che da poco ha conosciuto i Focolari. Nulla di più attuale del suo messaggio di unità oggi; della sua visione di un mondo che, nella sua diversità e contraddizione, può avanzare unito anche in mezzo a polarizzazioni  che sembrano lacerare le nostre relazioni”. Si coglieva, nelle parole del Card. Ryłko, l’amicizia fraterna di lunghi anni con la fondatrice dei Focolari – “Abbiamo percorso un IMG 8750lungo tratto di strada insieme” – e la profonda conoscenza del dono che Dio le ha fatto. “Nella vita di un Movimento è molto importante la memoria delle origini – ha sottolineato –, come alla fonte l’acqua è sempre più limpida, così alle origini un carisma si presenta in tutta la sua affascinante bellezza e novità. E il Movimento scopre meglio la sua identità. La vostra identità più profonda è racchiusa nel nome stesso del vostro Movimento: Opera di Maria. Una particolare presenza di Maria vi accompagna fin dalla vostra nascita. Questa dimensionemariana caratterizza tutto il vostro impegno missionario nel mondo. Papa Francesco parla spesso di uno “stile mariano di evangelizzazione” come quello più adatto ai nostri tempi”. Ha poi definito il popolo dei Focolari una “generazione nuova” di uomini e donne, di giovani, di famiglie nuove, tutti innamorati dell’amore di Dio e dell’ideale dell’unità. Alla fine della celebrazione, ringraziando tutti i presenti, Maria Voce ha comunicato l’apertura, il 7 dicembre prossimo dell’anno dedicato al centenario della nascita di Chiara Lubich. Il 2020 sarà infatti costellato di numerose iniziative ed eventi di varia natura volti a “celebrare per incontrare” Chiara, come recita il motto del centenario stesso. print 2“Vorremmo celebrare questa corrente di vita nuova e universale che il Carisma dell’unità ha immesso nelle nostre storie personali e in quella di numerosi popoli e culture” – ha annunciato la presidente dei Focolari. “Lo vogliamo fare dando la possibilità a tanti nel mondo di incontrare Chiara oggi: di conoscerla come persona e riscoprire l’attualità del suo Carisma e la sua visione di un mondo visto come famiglia di popoli fratelli. Una visione controcorrente in quest’epoca di particolarismi e sovranismi risorgenti. Sono certa che l’incontro personale e collettivo con Chiara continuerà ad ispirare persone, idee e progetti animati dallo spirito dell’unità”. Le celebrazioni avranno inizio a Trento, la sua città natale, il 7 dicembre prossimo, con l’inaugurazione di una grande mostra multimediale dedicata a Chiara, che sarà anche riproposta in varie capitali del mondo. Per tutto l’anno si avvicenderanno a Trento gruppi di pellegrini che potranno conoscere meglio la sua persona e la sua eredità spirituale. Anche a Roma e dintorni, nel corso dell’anno, ci saranno vari eventi che permetteranno di scoprire dal di dentro la vita e l’opera di Chiara nel quotidiano, dalla casa dove ha abitato alla cappella dove ora riposa, presso il Centro del Movimento.

Stefania Tanesini

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Chiara, la sposa di “Gesù abbandonato”

Chiara, la sposa di “Gesù abbandonato”

Dobbiamo ammetterlo: a undici anni dalla sua morte e alla vigilia del centenario con il quale nel 2020 ricorderemo la sua nascita, Chiara Lubich è ancora tutta da scoprire. Il modo migliore per avvicinarci al più intimo della sua anima e capire la sovrabbondanza di luce, di gioia e di frutti che contraddistingue la sua vita è guardarla così come voleva essere ricordata e cioè come “la sposa di Gesù abbandonato”, cioè di Gesù che sulla croce si sente abbandonato anche da Dio. L’ha detto lei stessa in una di quelle conferenze telefoniche dove ogni mese raccoglieva in un’unica famiglia mondiale le numerose comunità dei Focolari: “Vorrei essere ricordata unicamente come la sposa di Gesù abbandonato”[1]. E commentava: “Questa possibile (Dio mi aiuti!) definizione della mia vita, mi è sembrata meravigliosa, anche se altissima, anche se ancora mio «dover essere». Eppure l’ho avvertita come la mia vocazione”. La storia e la Chiesa diranno se aveva visto giusto e se questo traguardo l’ha raggiunto, ma molti indizi ci dicono che questo suo “sposalizio con Gesù abbandonato” è il filo d’oro che passa nella trama della sua vita e ne spiega il perché.

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Acquerello di Annemarie Baumgarten

Ancora giovinetta, confidava a sua madre la preghiera che spesso ripeteva a Gesù nel segreto del suo cuore: “Dammi di provare qualcosa dei tuoi dolori, specialmente un po’ del tuo terribile abbandono, perché ti stia più accanto e sia più simile a Te che nell’infinità del Tuo Amore mi hai scelta e mi hai presa con Te”[2]. Quando, nell’estate 1949, Igino Giordani le chiede di poterle fare voto d’obbedienza, lei trasforma questo suo desiderio in una richiesta a Gesù eucaristia di stabilire, cioè, fra loro quel rapporto che Egli vuole, e dice a Giordani: “Tu conosci la mia vita: io sono niente. Voglio vivere, infatti, come Gesù Abbandonato che si è completamente annullato”[3].  Quel patto sigillato poi in Gesù eucaristia segna l’inizio di un periodo ricolmo di una tale abbondanza di luce al quale Chiara darà il nome di Paradiso ’49 e, quando alla fine di esso, Giordani la convince a lasciare quel Cielo per tornare in città dove l’umanità l’attendeva, esce dal suo cuore la sua più ardente dichiarazione d’amore:“Ho un solo sposo sulla terra: Gesù abbandonato…”[4]. Nel 1980, quando il pensiero della morte la preoccupava, ha chiesto a Gesù di darle una spinta decisiva per concludere bene la sua vita ed egli le ha ricordato come l’aveva cominciata: non vedendo e non amando che Lui abbandonato. Le sembrava che egli le dicesse: “Guarda che ho aspettato venti secoli per svelarmi a te in questo modo; se non mi ami tu, chi mi amerà?”[5]. E quando nel 2000 ha scritto un libro riassuntivo di tutta la sua storia, vi ha messo come epigrafe: “Come una lettera d’amore a Gesù abbandonato”e ha spiegato: “Non riuscirò logicamente ad esprimere quanto sento, o dovrei sentire, verso Colui per il cui amore più volte ho affermato che la mia vita ha un secondo nome: Grazie”[6]. Per decenni ha ravvisato il volto di questo suo Sposo nelle sue  sofferenze personali e nelle porzioni d’umanità più colpite dal male e ha cercato di  consolarlo. Infine, nei tre ultimi anni della sua vita, è stata del tutto unita a Lui, in una notte oscura così profonda che l’ha chiamata “notte di Dio”: “Dio è andato lontano, anche Lui va verso «l’orizzonte del mare», fin lì l’avevamo seguito, ma al di là del mare, dopo l’orizzonte, cade giù e non si vede più. Così si pensa. Per cui, mentre si credeva che le notti dello spirito terminassero con l’abbracciare Gesù abbandonato, ci si accorge che qui si entra in Gesù abbandonato”[7].  

                                   Michel Vandeleene

  [1]Anima-sposa. Pensiero del 11.11.1999, in C. Lubich, Costruendo il “castello esteriore”, Città Nuova, Roma 2002, p. 88. [2]C. Lubich, Lettera di dicembre 1944, in Lettere dei primi tempi, Roma 2010, p. 69. [3]C. Lubich, Paradiso ’49,in AA.VV., Il Patto del ’49 nell’esperienza di Chiara Lubich, Città Nuova, Roma 2012, p. 17. [4]C. Lubich, La dottrina spirituale, Mondadori, Milano 2001, p. 138; Città Nuova, Roma 2006, p. 152. [5]C. Lubich, Conversazione con i focolarini della Svizzera, Baar, 13.11.1980, p. 3. [6]C. Lubich, Il Grido, Città Nuova, Roma 2000, p. 11. [7]C. Lubich, Gesù Abbandonato (a cura di H. Blaumeiser), Città Nuova, Roma 2016, pp. 152-153. (altro…)

Adottati dalla città

Adottati dalla città

Una mamma viene uccisa dal marito e la comunità cittadina, insieme al Sindaco, risponde a questo dolore mobilitandosi per prendersi cura dei figli e inventando una “adozione di cittadinanza”. Un gesto che fa vincere alla città italiana il Premio Chiara Lubich per la Fraternità 2019. Alghero è una piccola comunità della Sardegna (Italia) con radici catalane. Qui la tragica notizia dell’omicidio di Michela Fiori, mamma quarantenne di due bambini, uccisa dal marito, ha messo in moto la generosità e la solidarietà di un’intera comunità e del suo Sindaco, Mario Bruno. Nei giorni della scomparsa il telefono del primo cittadino non cessava di squillare. Ognuno voleva fare qualcosa per i figli di Michela: dall’autista dello scuolabus che si impegnava ad accompagnarli a scuola al gestore di un locale che si offriva di organizzare i loro compleanni. “Ho visto la città stringersi intorno ai bambini – ha spiegato il Sindaco – il giorno di Natale quattromila persone hanno sfilato in corteo fino alla casa di Michela. Lì ho sentito di dover fare una promessa: ‘mi prenderò cura dei tuoi figli’. Che poi è diventato: ‘ci prenderemo cura dei tuoi figli’”.E dalla generosità di tanti, è nata un’idea che il Sindaco ha concretizzato avviando una “adozione di cittadinanza”, un atto amministrativo che, oltre ad esprimere una concreta solidarietà, mette sotto la luce dei riflettori il tragico fenomeno del femminicidio. “Adozione di cittadinanza” significa che i 44.000 abitanti della città si prenderanno cura dei due bimbi attraverso un fondo di sostegno. Le donazioni sono aperte fino a quando i piccoli avranno venti anni e, se decideranno di fare l’Università, fino a quando ne avranno ventisei. La prima donazione è stata del Comune, ne sono seguite oltre 300 da parte dei cittadini. I piccoli che adesso, per decisione del Tribunale dei Minorenni, vivono in un’altra città, Genova, con la nonna, hanno apprezzato il bel gesto. E hanno ringraziato il Sindaco con la dolcezza e la semplicità che solo i bambini possono avere: preso un foglio vi hanno disegnato un cuore con il nome del Sindaco ed una scritta che ha commosso la comunità: “Grazie di tutto”. 1902168162Una storia così non poteva passare inosservata alla Giuria del Premio Chiara Lubich per la Fraternità che offre un riconoscimento ai Comuni dove si sono sviluppati progetti o iniziative comunitarie di fraternità efficace e concreta. Per questo Alghero ha vinto la decima edizione. Ma…la storia continua. Il 7 aprile 2019 il Sindaco di Alghero sarà a Torino, nel nord Italia, per tenere fede ad un impegno. “Mamma mi aveva promesso che per il mio compleanno, il 7 aprile, saremmo andati allo stadio – aveva detto il più grande dei bambini al Sindaco qualche giorno dopo la tragedia –. Ora che non c’è più, chi mi porterà?”. “Io” era stata la risposta pronta di Mario Bruno. E così sarà. Giovanni Malagò, presidente del Comitato olimpico nazionale italiano, ha infatti telefonato al Sindaco assicurando che avrebbe fornito i biglietti per assistere alla partita di calcio Juventus-Milan. I bambini potranno vedere anche il loro beniamino, il calciatore Ronaldo, che si è dichiarato disponibile ad incontrarli. In tutto questo, per loro, il Sindaco è solo il loro amico Mario. E quando una cassiera per un pagamento gli ha chiesto i documenti loro, meravigliati, hanno esclamato: “Ma lei non lo sa che sei il Sindaco”?

Paolo De Maina

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Vangelo vissuto: una vera libertà

La misericordia è un amore che riempie il cuore e poi si riversa sugli altri, sui vicini di casa come sugli estranei, sulla società intorno. Il compagno di viaggio Per 19 mesi sono stato in carcere, colpevole di aver adulterato i vini che commerciavo. Lì dentro, però, con l’aiuto di un sacerdote e di alcune persone che venivano a fare volontariato, ho avuto modo di riflettere e di scoprire un Dio diverso da quello che mi era stato insegnato. Ho affrontato questa prova con animo rinnovato, iniziando a sperimentare la vera libertà, che è quella interiore e viene dall’amare il nostro prossimo. Il rapporto con mia moglie è cambiato e mi sono riconciliato anche con i miei suoceri. Non solo: ho sentito di voler perdonare il mio socio, responsabile con me della frode. Ora che ho scontato la mia pena, anche se il futuro si profila pieno di incertezze, so che Dio Padre è il mio compagno di viaggio. (Javier – Argentina) Parole di luce Tra me e mia moglie si alternavano momenti di sfogo e silenzi interminabili, con grande sofferenza di entrambi e dei nostri bambini. Malgrado l’aiuto di alcuni amici, ognuno restava fermo nella sua posizione, sembrava la fine del matrimonio. Accecato dall’ira, ero arrivato al punto di pensare che fosse meglio andare via da casa o farla finita. Per fortuna, in quell’inferno, mi sono tornate alla mente anche altre parole che in passato mi erano state di luce: parole di perdono, di amore. Come cristiano ero davvero fuori strada! Nel bel mezzo di una notte insonne passata a ricacciare indietro il mio orgoglio, ho svegliato mia moglie per chiederle di aiutarmi a ricordare con umiltà i momenti felici vissuti insieme. Ci siamo abbracciati e ci siamo chiesti reciprocamente perdono. (uno sposo africano)  Pioggia Una sera mi sentivo molto stanca e avrei voluto dire ai bambini di andare nella loro stanza e di dire le preghiere da soli perché desideravo subito andare a letto. Ma John, il nostro figlio maggiore, mi ha proposto di recitare il rosario per chiedere la pioggia: non pioveva da tempo e la nostra piantagione di mais e patate dolci era a rischio. Così abbiamo pregato insieme. Con mia sorpresa, quella notte stessa ha cominciato a piovere e ha continuato fino al pomeriggio del giorno dopo. (B.M. – Uganda) In ospedale Una donna poverissima, madre di famiglia, ricoverata da molti mesi, aveva bisogno di aiuto per mangiare, ma il personale non poteva fare anche questo lavoro. Abbiamo avvertito tutti gli amici della parrocchia, e uno dopo l’altro siamo andati ad assisterla. Nonostante la situazione fosse senza via d’uscita, è migliorata un po’, rispondeva alle cure e sorrideva. Quando la sua vicina di letto è morta, nel suo testamento ha lasciato una piccola somma per aiutare la famiglia di questa donna. L’amore è contagioso…. (C.C. – Spagna)

(tratto da Il Vangelo del Giorno, Città Nuova, anno V, n.2, marzo-aprile 2019)

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Nasce il “Centro per l’unità e la pace”

Si trova al confine tra la parte ebraica e quella araba di Gerusalemme. Sarà un luogo di spiritualità, studio, dialogo e formazione per la Città Santa e per il mondo intero. Uno storico francese scrive che Gerusalemme non è di Gerusalemme, ma è una città-mondo, una città in cui il mondo intero si dà appuntamento, periodicamente, per affrontarsi, confrontarsi, misurarsi. È un laboratorio della convivenza o della guerra, dell’appartenenza comune o dell’odio per l’altro. È facile, infatti, cedere alla tentazione di vedere solo ciò che la cronaca ci consegna quasi quotidianamente sulla città santa: le violenze tra ebrei e palestinesi, la faticosa resistenza dei cristiani nei luoghi santi, ma è solo questa Gerusalemme? C’è ancora spazio per la speranza e la profezia che questa città rappresenta per tutto il mondo? Chiara Lubich ne è sempre stata convinta. È andata in Terra Santa per la prima volta nel 1956 e tra i luoghi santi visitati, uno in particolare l’ha toccata: la “Scaletta”, cioè l’antica scala romana in pietra bianca, appena fuori le mura della città vecchia, accanto alla chiesa di San Pietro in Gallicantu. Una tradizione vuole che da lì sia passato Gesù, la sera dopo l’ultima cena, andando verso l’orto del Getsemani e che proprio su quelle pietre abbia pronunciato la preghiera per l’unità: “Padre che tutti siano una cosa sola”. Ecco come Chiara descrisse in una pagina di diario la forte impressione riportata in quel luogo: “Qui il Maestro, ormai vicino a morire, col cuore pieno di tenerezza verso i suoi discepoli, scelti dal Cielo sì, ma ancor fragili e incapaci di comprendere, alzò al Padre la sua preghiera a nome suo e di tutti quelli per i quali era venuto ed era pronto a morire: “Padre santo, custodisci nel tuo nome coloro che mi hai dato, perché siano una cosa sola come noi”. Lì Gesù aveva invocato il Padre di affiliarci, anche se lontani per colpa nostra, e di affratellarci tra noi, nella più salda, perché divina, unità”[1]. Fu già allora che Chiara desiderò che, proprio in questo fazzoletto di terra, nascesse un centro per il dialogo e l’unità. Una svolta importante c’è stata a partire dagli anni ’80: si è potuto acquistare un terreno adiacente la scala romana e mettere a punto il progetto, che è stato approvato nel 2016. Ultimamente sono stati effettuati gli scavi preparatori ai lavori. Il futuro “Centro per l’Unità e la Pace” aveva ricevuto da Chiara un mandato preciso: dovrà essere un luogo di spiritualità, studio, dialogo e formazione. Un luogo aperto a persone di diverse età, culture, credo e provenienze; orientato a stimolare l’incontro, la conoscenza dell’altro, a favorire relazioni autentiche. Altra tappa decisiva è stata quella del febbraio scorso quando Maria Voce, presidente dei Focolari, ha compiuto un gesto importante, ponendo nel terreno una piccola medaglietta della Madonna, come segno iniziale per la costruzione di questo centro. Il progetto presenta una struttura polifunzionale, adatta a ospitare eventi e iniziative di varia natura a livello internazionale e locale. E’ possibile contribuire in vario modo per sostenere la costruzione del centro; qui sono disponibili tutte le informazioni necessarie.

Stefania Tanesini

  [1] Chiara Lubich, Scritti Spirituali/1: L’attrattiva del tempo moderno, Citta Nuova Editrice, p.172-179

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Una donazione fino alla fine

“Un mistero” e “uno choc” è stata definita la morte di Pierre André Blanc, focolarino svizzero, portato via da una forte depressione. In chi lo ha conosciuto resta comunque la convinzione che abbia trovato la pace in quel Dio-Amore di cui è stato per tanti un testimone convincente. “La tua partenza, Pierre-André, per noi è stata troppo brusca. Ma la tua Parola di Vita, tratta dal libro di Isaia (43,1) “Ti ho chiamato per nome: tu mi appartieni” ci fa intuire lo sguardo d’amore con cui, pensiamo, Dio ti ha accolto in Paradiso“. È questa l’ultima frase del discorso che Denise Roth e Markus Näf, responsabili della cittadella dei Focolari a Montet (Svizzera), hanno tenuto durante il funerale di Pierre-André Blanc. Con essa riassumono i sentimenti contrastanti di tanti dei presenti: da un lato un’ineffabile perplessità per questa morte e, dall’altro, la fiducia, anzi la certezza che lui abbia trovato la vera vita. Quinto di sei figli, Pierre-André era nato il 2 aprile del 1962 a Sion (Svizzera) e cresciuto ad Ayent, un paesino del Vallese in un bel clima di amore familiare. Ha seguito una formazione per educatori specializzati e più tardi ha compiuto studi di teologia. Nel 1980 a Roma in occasione del Genfest, manifestazione internazionale dei giovani dei Focolari, viene in contatto con la spiritualità del Movimento. Rimane colpito “dalla qualità dei rapporti fra le persone e dalla gioia che si leggeva nei loro volti” come scriverà più tardi. Ritornato a casa, si impegna a vivere anche lui questo stile di vita evangelica. Abituato ad “incontrare” Dio sugli sci in occasione di ritiri in montagna, scopre ora nell’amore concreto verso chi gli è accanto, un nuovo modo di rapportarsi con Lui. Durante un workshop sui problemi sociali si trova improvvisamente ed in modo inaspettato a confronto con una persona che parla della propria donazione totale a Dio. In Pierre-André sorge una domanda: e se Dio mi chiamasse a vivere come questa persona? “Le mie paure di seguire Dio in modo totalitario – scriverà a proposito di quel periodo – non hanno resistito ai Suoi interventi. Avevo semplicemente cercato di vivere il Vangelo in modo coerente e Dio aveva fatto il resto. Ho capito quanto volesse la mia felicità e, soprattutto, che io avevo un enorme valore ai suoi occhi. Mi è sembrato ovvio dire di sì a Gesù, seguirLo là dove mi sentivo chiamato: nel focolare”. Nel 1989 incomincia la sua formazione e preparazione alla vita di donazione a Dio in un focolare. Chi lo ha conosciuto in questo periodo lo descrive sensibile a tutto quanto “parla” di Dio, uno che sapeva cogliere l’essenziale nelle circostanze e nei prossimi. Conclusa la scuola di formazione per focolarini, Pierre-André si inserisce nel focolare di Ginevra (Svizzera) e dal 2006 è nella cittadella di Montet. Ha dato per tanti anni un contributo prezioso e vigile alla vita della comunità dei Focolari  nella Cittadella mettendosi a disposizione degli altri con generosità, concretezza e discrezione. Nel campo professionale, lavorando come educatore, dapprima con ragazzi disabili e poi con giovani con difficoltà di apprendimento, ha dato prova di profonda capacità di vicinanza alle sofferenze altrui. Scherzoso e dotato di un fine senso dell’umorismo, Pierre-André si donava senza riserve. A fine maggio 2018 si mostrano in lui i primi sintomi di una depressione. È immediatamente seguito da un medico. Dopo un mese si rende necessario il ricovero in una clinica. Ad un certo punto può tornare durante i fine-settimana a Montet e, nell’ottobre 2018, può lasciare la clinica e tornare in focolare, sempre seguito da un medico specialista. In questo periodo è accompagnato con grande attenzione e dedizione dagli altri focolarini che lo vedono continuamente in donazione agli altri. Sembra che le sue condizioni inizino a migliorare, ma alla fine la malattia è più forte e il 28 novembre lo trascina via in un modo davvero brusco. Il funerale di Pierre-André è stato, pur nello sgomento, un momento di grande gratitudine di tutti per la sua vita e per l’amore delicato che ha dimostrato fino alla fine.

Joachim Schwind

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Cile, favorire l’inclusione sociale

Cile, favorire l’inclusione sociale

Una Summer School offre un contributo dal mondo accademico con ricercatori e docenti di nove Paesi delle Americhe e dell’Europa. L’uguaglianza è riconosciuta fondamento delle società democratiche. Eppure le  discriminazioni  persistono in tanti Paesi del mondo. Ne parliamo con Paula Luengo Kanacri, psicologa e docente presso l’Università Cattolica del Cile, studiosa del Centro di Ricerca sul Conflitto e la Coesione Sociale. Da anni si occupa di esclusione sociale. Cosa l’ha spinta verso queste tematiche? Direi la storia del mio popolo e la mia personale. Il Cile é un Paese dai forti contrasti: una crescita economica forte e una notevole disuguaglianza. Inoltre mia madre veniva da una famiglia ricca e mio padre da una povera. Ho provato il dolore dell’inequità. Ho studiato psicologia e, a contatto con i giovani dei Focolari, ho abbracciato l’idea di un altro mondo possibile. Dopo la laurea é iniziato il mio interesse per i comportamenti prosociali (che vanno in favore dell’altro) e l’empatia, che possono favorire l’inclusione sociale. Un’esperienza che mi ha segnato é stata quella fatta a Roma tra persone senza fissa dimora. Ho “toccato” il dolore di tanti che restano ai margini, non solo invisibili, ma invisibilizzati. Per comprendere i meccanismi che possono favorire o negare l’inclusione bisogna pensarla da diverse prospettive, discipline, saperi. È quello che abbiamo cercato di proporre attraverso la Summer School “Sviluppo umano per tutti e tutte: scienze sociali in dialogo per una societá inclusiva” tenutasi recentemente in Cile. Come nasce l’idea della Summer School? I movimenti studenteschi cileni, attivi dal 2011, hanno ottenuto una riforma storica che oggi offre educazione universitaria gratuita ai più svantaggiati. Ma occorre una forza creativa anche da parte del mondo accademico. La Summer School é nata in seno alla mia appartenenza a reti internazionali di ricercatori e studiosi del campo della psicologia e la sociología, ispirate da Chiara Lubich: “Psicologia&Comunione” e “Social-One”. Un sostegno ci è venuto dal Centro di Ricerca sul Conflitto e la Coesione Sociale (COES) e dall’Università Cattolica del Cile. Chi ha partecipato? Come si è svolta? La scuola ha riunito 67 giovani e 21 professori di 8 diverse discipline sociali provenienti da 9 Paesi delle Americhe e dell’Europa. Hanno partecipato anche 4 organizzazioni della societá civile cilena. Quattro le linee di ricerca: inclusione ed equitá di genere; inclusione e migrazioni; inclusione e disuguaglianza; inclusione e violazione dei diritti. Abbiamo proposto 8 workshops su tecniche d’indagine per lo studio dell’inclusione da una prospettiva unitaria. Importante anche lo spazio dedicato al dialogo con la società civile. Piú della metá dei giovani ha presentato progetti di ricerca. La stessa Summer School è stata intesa come una esperienza di inclusione sociale, capace di avviare un dialogo di qualitá scientifica e andare oltre le polarizzazioni. Vi hanno partecipato persone con idee e orientamenti, anche politici, diversi. Abbiamo cercato di fare in modo che i diversi argomenti non fossero trattati in maniera polemica o polarizzata, ma nel comune percorso verso l’inclusione sociale e, dunque, nell’ottica del contrasto delle discriminazioni e segregazioni di genere, razza, etnia e classe. Per una società inclusiva sono necessarie risposte che integrano il livello individuale con il livello micro, meso e macro sociale. La prossima Summer School vorremmo farla considerando la questione ambientale nella riflessione sull’inclusione. 

Claudia Di Lorenzi

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Dialogo e rapporti

“Una vita per l’unità”: porta questo titolo la notizia con la quale il Movimento di Schönstatt annuncia la scomparsa del padre Michael Johannes Marmann, già presidente del suo Direttivo internazionale, deceduto la sera del 26 febbraio 2019. Con padre Marmann questo Movimento apostolico nato nel 1914 in Germania perde una sua figura centrale. E’ nato nel 1937 a Berlino ed era il maggiore di tre fratelli. Dopo gli studi di Filosofia e Teologia è ordinato sacerdote nel 1963 a Colonia e prosegue con ulteriori studi  a Tubinga e Ratisbona. Nel 1973 completa un dottorato sotto la guida dell’allora prof. Josef Ratzinger. Un rapporto, quello di papa Benedetto con i suoi ex alunni, che, anche per padre Marmann, è durato tutta la vita. Si incontravano, infatti, ogni anno – ultimamente spesso al Centro Mariapoli di Castelgandolfo – per approfondire temi teologici di attualità. Nel contesto della sua ordinazione sacerdotale, padre Marmann viene a conoscenza del Movimento di Schönstatt e  del suo fondatore, padre Josef Kentenich, che all’epoca si trovava ancora in esilio a  Milwaukee (USA) per ordine delle autorità ecclesiastiche. Dopo un incontro personale con lui, padre Marmann decide di entrare nell’istituto secolare dei Padri di Schönstatt e diventa padre spirituale della diramazione delle ragazze. In seguito è impegnato nel lavoro pastorale per sacerdoti, famiglie e madri e dal 1983 al 1991 diventa responsabile del Movimento in Germania. Nel 1990 i Padri di Schönstatt lo eleggono superiore generale, un compito al quale è legata anche la funzione della presidenza del presidio generale. Padre Marmann svolge questi servizi con grande apertura al dialogo e attenzione ai rapporti sia all’interno del Movimento che fuori. Il suo impegno per l’unità della grande e diversificata opera di Kentenich si allarga poi in modo naturale alla comunione con altri Movimenti: prima nella Chiesa in Germania e poi soprattutto nella rete di “Insieme per l’Europa”. Nascono rapporti di profonda amicizia e unità spirituale con rappresentanti di altri movimenti tra cui Helmut Niklas del YMCA di Monaco, Andrea Riccardi della Comunità di Sant’Egidio e Chiara Lubich. Nel suo messaggio di condoglianze, Maria Voce, Presidente del Movimento dei Focolari, ricorda le tante “tappe rilevanti di questo cammino”, come nel 1999 l’Alleanza d’amore espressa da Chiara Lubich, Andrea Riccardi e P. Marmann al Santuario di Schönstatt sulla tomba di P. Kentenich ed esprime la certezza, che “Maria, Madre Tre volte Ammirabile, lo avrà accompagnato all’incontro gioioso con Cristo nel Suo Regno di pace”.

Joachim Schwind

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Vangelo vissuto: perdonare e riconciliarsi

Nella vita personale e sociale respiriamo un’atmosfera di crescente ostilità e competizione. Come cristiani possiamo dare una testimonianza controcorrente cominciando a ricostruire legami incrinati o spezzati. Separazione Dopo due anni di matrimonio, nostra figlia e suo marito hanno deciso di separarsi. L’abbiamo accolta di nuovo nella nostra casa e nei momenti di tensione abbiamo cercato di mantenerci calmi, con il perdono e la comprensione nel cuore, conservando un rapporto di apertura verso di lei e verso suo marito, soprattutto cercando di non avere giudizi verso nessuno. Dopo tre mesi di continuo ascolto, di aiuto discreto e di tante preghiere, sono tornati insieme con nuova consapevolezza, fiducia e speranza. (M.L. – Malta) In segno di perdono Pensavo di aver sempre fatto il mio dovere di cristiano, come Sindaco della mia cittadina e come padre. Quando però il mio primogenito, di 33 anni, sposato e padre di due bambini piccoli, è stato ucciso durante una rapina, mi sono ribellato contro Dio: perché era successo tutto questo? In seguito ho iniziato una cammino di vera conversione, durante il quale ho capito che Dio stesso aveva dato suo Figlio per amore nostro. Cinque anni dopo si è aperto il processo. In aula ho evitato di guardare verso gli imputati, ma quando ho incrociato lo sguardo del più giovane degli assassini, mi sono avvicinato a lui e ho allungato la mia mano per stringere la sua, in segno di perdono. (C.S. – Italia) Nuova atmosfera in reparto Sono responsabile di un reparto di un’azienda e a fine anno devo redigere le note di qualifica dei miei dipendenti. Una dipendente non aveva offerto molti elementi per essere valutata, per cui le ho chiesto un colloquio, grazie al quale ho scoperto di non conoscere tante cose di lei. Questo incontro mi ha aperto gli occhi e mi ha spinto a cambiare le cose, promuovendo varie iniziative per valorizzare i dipendenti, festeggiare i loro compleanni, organizzare feste con le loro famiglie. Non solo è migliorata l’atmosfera, ma è aumentato anche il rendimento. (M.T. – Ungheria) La palla Abbiamo due bambini molto vivaci. Una mattina ho visto Nathan piangere e Claire con la sua palla in mano. Subito gliel’ho presa per restituirla a lui: Nathan ha smesso di piangere, ma ha cominciato a piangere lei. Allora l’ho presa da parte per spiegarle che Gesù ci ha insegnato ad amare a condividere. Anche se è ancora una bambina, ha capito e ha dato la palla al fratellino. Ci sono state tante situazioni in cui stavo per punirla, ma sono riuscita a trovare in me amore e pazienza. Ora è lei sempre pronta ad aiutarmi. (J.N.J. – Filippine)

(tratto da Il Vangelo del Giorno, Città Nuova, anno V, n.2, marzo-aprile 2019)

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Brasile, al di là della polarizzazione politico-ideologica/2

Brasile, al di là della polarizzazione politico-ideologica/2

L’immagine di un paese impregnato di dispute politiche e ideologiche, ampiamente diffuse dai media brasiliani in generale, tende a nascondere la realtà di coloro che agiscono per il bene comune, affrontando le divergenze di opinione attraverso il dialogo e con azioni concrete di solidarietà. Pur essendo segnato da una forte polarizzazione politico-ideologica, il Brasile coltiva, per lo più nel silenzio, i germi di una società rinnovata aperta al dialogo, solidale, protesa verso la costruzione di rapporti di fraternità. Nello spazio politico e in quello socio-culturale più ampio. Dopo aver raccontato delle iniziative messe in campo dai più vari organismi, ecclesiali e non, per promuovere una riflessione politica fondata sul dialogo – intesa come risposta alla domanda crescente di una nuova cultura democratica e partecipativa – vogliamo ora mettere in luce l’impegno di molti nel campo della solidarietà e del volontariato. Spesso, infatti, l’azione politica è guidata da un senso di solidarietà con coloro che soffrono. Dal 2016, quando il governo dello Stato di Rio de Janeiro ha iniziato a ritardare il pagamento degli stipendi dei dipendenti pubblici, oltre alla lotta nei tribunali e ai numerosi atti politici di protesta contro questo provvedimento, è emersa una rete di solidarietà a favore dei lavoratori e delle loro famiglie che hanno sofferto di più a causa di questa situazione. I gesti si sono moltiplicati in tutto lo Stato, sia da parte di singoli che di collettività. Per aiutare le famiglie in difficoltà una serie di organizzazioni si sono mobilitate per raccogliere risorse e allestire cestini alimentari di base, per acquistare medicinali e soddisfare altri bisogni primari. L’Arcidiocesi e le altre diocesi cattoliche di Rio de Janeiro, così come altre chiese e unioni cristiane, hanno operato in collaborazione con il cosiddetto Movimento Unificato dei Funzionari Pubblici di Stato (Muspe). Una situazione simile ha visto circa 40 entità brasiliane, tra religiose e civili, lavorare insieme per accogliere rifugiati provenienti soprattutto dal Venezuela. Alcuni di questi enti svolgono azioni di emergenza (offerta di cibo e medicinali, cure mediche e psicologiche), mentre altri aiutano ad ottenere la residenza in Brasile attraverso l’accesso alla documentazione necessaria, corsi di lingua portoghese, alloggio e lavoro. Queste entità sono state particolarmente attive nella regione di confine tra i due paesi, ma anche in altre regioni in cui sono state inviate famiglie di rifugiati nel tentativo di offrire loro migliori opportunità di lavoro e di alloggio. Iniziative di questo tipo riflettono il desiderio di molti brasiliani di “raggiungere” continuamente coloro che hanno più bisogno di aiuto. È forse questa spinta che giustifica i dati dell’indagine “Other Forms of Work”, condotta nel 2017 e recentemente pubblicata dall’Istituto Brasiliano di Geografia e Statistica (IBGE). Secondo questa ricerca, 7,4 milioni di persone hanno fatto volontariato in quell’anno, l’equivalente del 4,4% della popolazione di 14 anni o più. Per volontariato i ricercatori intendono il lavoro non obbligatorio, svolto almeno un’ora alla settimana, senza ricevere una retribuzione o benefici in cambio, da persone che non vivono nella stessa famiglia del volontario e non sono la loro famiglia. Sempre secondo la ricerca, il profilo dei volontari in Brasile descrive principalmente donne che insieme alle attività di volontariato si occupano di lavoro professionale e domestico. Un altro esempio che viene dal Movimento dei Focolari è Milonga, un programma che mette in contatto le organizzazioni non governative a carattere sociale di sette Paesi con giovani che vogliono integrare la loro formazione umana con il volontariato, donando il loro tempo e il loro lavoro. Nell’ottobre 2018, 75 volontari del progetto hanno lavorato in 19 organizzazioni in Brasile, Argentina, Bolivia, Messico, Messico, Paraguay, Venezuela, Uruguay, Kenya e Giordania. “Ho imparato che l’essenza della vita non è avere, ma essere. A volte siamo pieni di tante cose, ma ciò che conta davvero sono quelle che rimangono nell’eternità del momento presente”, ha detto Rarison Gomes, 30 anni, originario di Manaus.  L’esperienza del volontariato coincide con un certo protagonismo giovanile in crescita tra i ragazzi brasiliani che desiderano passare dalla riflessione politica all’azione. Un esempio significativo è l’esperienza del Coletivo Juventude Campo Cidade, nato più di dieci anni fa da una conversazione tra amici nella cittadina di Poço Redondo, all’interno dello Stato di Sergipe, nel nord-est del Brasile. Alcuni di questi giovani erano già attivi in movimenti sociali nell’Alto Sertão Sergipano, come viene chiamata quella regione. Motivati dal processo elettorale del 2008, questi ragazzi hanno deciso di dar vita ad un programma di formazione politica per i giovani della regione. Pur senza risorse e con scarso sostegno, il gruppo ha organizzato un corso in 11 tappe della durata di un anno e mezzo. All’origine del progetto una chiara presa di coscienza: era necessario formarsi, conoscere la realtà, per assumere il protagonismo sociale nella regione. “C’era la sensazione di voler trasformare la società e questo è maturato in ogni fase del corso”, dice Damião Rodrigues Souza, uno degli ideatori dell’iniziativa. Al termine del primo corso, i giovani hanno concluso che l’esperienza iniziata lì avrebbe dovuto proseguire basandosi su tre pilastri: formazione, organizzazione e lotta. L’ultimo di questi pilastri si è concretizzato in una serie di iniziative che hanno prodotto risultati efficaci: l’installazione di un campus di un’università pubblica federale nella regione; la costruzione di un teatro popolare con una capacità di 200 persone nella città di Poço Redondo (costruito dagli stessi giovani); la concessione da parte del governo federale di un pezzo di terra, fino ad allora inattivo, da destinare alla coltivazione di prodotti biologici da parte di giovani. Anche se isolati e dispersi lungo gli oltre otto milioni di chilometri quadrati del Brasile, questi e molti altri esempi di dialogo e partecipazione politica, così come di azione concreta per la costruzione di una società giusta e fraterna, testimoniano un quadro molto più sano di quello della semplice polarizzazione politica in cui gran parte della società brasiliana è stata condotta. Per i protagonisti di queste azioni, la speranza sta nella convinzione che gli esempi e i frutti concreti siano in grado di catturare “seguaci” e di potenziare questo protagonismo, fondamentale per unire le persone a favore del bene comune e al di là delle differenze politico-ideologiche.

Luís Henrique Marques

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Brasile, al di là della polarizzazione politico-ideologica/1

Brasile, al di là della polarizzazione politico-ideologica/1

Un Brasile impregnato di dispute politiche e ideologiche è l’immagine che rischia di prevalere oggi nel mondo, grazie anche alla lettura mediatica.  Luís Henrique Marques, redattore capo di Cidade Nova ci accompagna in un viaggio nella società brasiliana, alla scoperta della realtà, spesso sconosciuta, dei tanti che agiscono per il bene comune. A giudicare da ciò che i media commerciali divulgano quotidianamente, il Brasile sembra immerso nella polarizzazione politico-ideologica, come del resto accade in altre regioni del globo.   Ma ciò che i media mainstream non mostrano è che la realtà brasiliana non è fatta solo di dispute politiche e ideologiche. La performance silenziosa di molti “pionieri” di questa democrazia ancora giovane e inesperta rivela che c’è un potenziale capace di rendere le relazioni politiche uno spazio di dialogo e un luogo per la costruzione della cittadinanza. La rivista Cidade Nova è uno dei veicoli impegnati a svelare quest’altra faccia della realtà brasiliana, ancora piuttosto timida, limitata a fatti isolati, ma che, nel complesso, mostra un Brasile al di là della polarizzazione politico-ideologica. Spazi per il dialogo Per cominciare dobbiamo riconoscere che nonostante la crisi creata dalle posizioni polarizzate nel dibattito politico-ideologico, molti analisti tendono a guardare con ottimismo e speranza all’attuale scenario brasiliano. Il motivo principale è che molti cittadini brasiliani si sono interessati a comprendere e discutere di questioni politiche e relative alla pubblica amministrazione, convinti della necessità di assumere il proprio ruolo di cittadini, consapevoli e partecipativi nei confronti della “cosa pubblica”. Si sono moltiplicati e intensificati i cosiddetti gruppi di dialogo, promossi da parrocchie o gruppi pastorali della Chiesa cattolica, gruppi di altre Chiese cristiane e altre religioni (comprese iniziative ecumeniche e interreligiose), organizzazioni non governative, collettivi e altre entità della società civile. L’obiettivo è promuovere la riflessione politica attraverso il dialogo e lo scambio di esperienze, intensificatosi soprattutto nella seconda metà del 2018 a seguito del periodo elettorale. Sono piccole “isole”, ma riflettono il potenziale di partecipazione democratica dei cittadini brasiliani. È il caso dei gruppi del Movimento dei Focolari sparsi in diverse regioni del Brasile. Motivati da un tema specifico, giovani e adulti di diverse convinzioni religiose e politiche e di diverse condizioni sociali hanno iniziato un processo di confronto sullo scenario politico attuale, i suoi ostacoli e le sue possibilità. Molte di questi incontri sono andati oltre la discussione sul processo elettorale e si sono aperti ad azioni concrete per la promozione di politiche pubbliche che favoriscano la comunità locale. La “Scuola della Cittadinanza”, promossa sempre dai Focolari, è un corso online i cui temi rispondono alla domanda diffusa di una nuova cultura democratica e partecipativa. Il primo blocco di lezioni è stato proprio sul tema del dialogo. (www.focolares.org.br/escoladecidadania). Un’altra iniziativa è stata frutto dell’azione congiunta di diverse organizzazioni della società civile brasiliana, tra cui il Movimento Politico per l’Unità (MPpU): il “Patto per la democrazia”. L’iniziativa nasce con l’obiettivo di affermare il pluralismo, la tolleranza e la convivenza con la diversità nello spazio pubblico, e opera in tre direzioni: riaffermare il dialogo per uno confronto virtuoso delle idee; difendere elezioni pulite che possano rappresentare efficacemente la cittadinanza e restituire le basi di fiducia e legittimità al contesto politico; realizzare un’ampia riforma politica al termine del processo elettorale. Infine, la tradizionale Campagna di Fraternità, promossa annualmente dalla Conferenza episcopale dei Vescovi del Brasile (CNBBB) durante la Quaresima, si configura anche come spazio di dialogo e promozione di azioni concrete nelle comunità parrocchiali su questioni religiose, culturali, sociali, economiche e politiche della società brasiliana. Per quest’anno, la Campagna propone che i fedeli riflettano sul tema “Politiche pubbliche e fraternità”. (continua)

Luís Henrique Marques

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Ragazzi uniti per dire no al bullismo

Ragazzi uniti per dire no al bullismo

Il progetto “Why fai il bullo?” forma gli adolescenti perché aiutino i loro coetanei ad affrontare questo fenomeno con azioni e prevenzione partendo dalle cause che lo generano. Una sistematica prevaricazione, con offese e soprusi messi in atto dai ragazzi nei confronti dei loro coetanei. Questo è il bullismo, un fenomeno dilagante tra gli adolescenti, sia a livello personale che attraverso il web. Esso coinvolge i ragazzi-bulli, chi ne è vittima e gruppi di amici che spesso assistono impauriti o compici. Che fare? Un progetto dell’associazione bNET, capofila della “Rete Progetto Pace”, una rete internazionale di scuole, enti ed associazioni che collaborano per promuovere una cultura di pace, punta sulla responsabilizzazione dei ragazzi: che siano loro stessi, opportunamente formati, ad aiutare i loro coetanei ad uscire dal bullismo. Ne parliamo con il Presidente dell’associazione Marco Provenzale. – Che cosa è il progetto “Why fai il bullo”? Ogni episodio di bullismo nasce da un conflitto. Noi crediamo che far capire ai ragazzi la sua origine e dare loro gli strumenti per capire i conflitti e risolverli aiutandosi tra pari sia la strada migliore per risolvere il fenomeno. Il cuore del progetto è la creazione in ogni scuola di un gruppo di studenti, il “Gruppo di Mediazione fra Pari”, nel quale i ragazzi acquisiscono competenze per la gestione e la risoluzione dei conflitti. I ragazzi, formati attraverso lezioni e giochi di ruolo, diventano capaci non solo di risolvere, ma anche di prevenire i conflitti, riconoscendo nella vita quotidiana della classe il verificarsi di potenziali situazioni di pericolo prima che degenerino in tensioni più gravi. Il Gruppo offre poi un servizio di mediazione attraverso uno “sportello” concordato con ogni scuola. I ragazzi con i quali lavoriamo vanno dagli 11 ai 15 anni. Si tratta di un progetto europeo, nato nel 2015 dopo la partecipazione di alcune associazioni al bando “Joining Forces to Combat Cyber Bullying in School”, ma che potrebbe essere attuato anche in altri Paesi.  – Il progetto prevede anche attività parallele? Sì, attraverso incontri formativi mensili ed eventi annuali tra i quali un viaggio interculturale e umanitario. Sono previsti momenti di formazione anche per docenti e genitori. Questa compartecipazione tra associazione, scuola e famiglie riteniamo sia uno dei valori aggiunti dell’iniziativa.  – Il progetto è promosso dall’associazione bNET, capofila della “Rete Progetto Pace”, quali gli obiettivi  di essa? La “Rete Progetto Pace” da quasi trent’anni porta avanti una formazione integrale per i ragazzi. Favorisce la collaborazione tra istituti scolastici e associazioni, a livello locale e internazionale; sviluppa la riflessione dei giovani su tematiche di attualità; promuove esperienze di volontariato; valorizza i talenti artistici ed espressivi, le capacità di leadership e le abilità tecnologiche anche nell’uso positivo dei media. Per maggiori informazioni: visitare il sito www.reteprogettopace.it o scrivere a direttivo@reteprogettopace.it.

A cura di Anna Lisa Innocenti

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Un maestro dell’ascolto

Era un uomo di grande equilibrio e di buon senso. Essendo quasi cieco, Klaus Purkott  realizzava la sua donazione a Dio offrendo a tanti il suo ascolto. Era quasi cieco ed era un uomo di poche parole, ma era dotato di una grande capacità di ascolto, di un ascolto profondo. Era così che Klaus Purkott creava rapporti, aiutava ed accompagnava le persone, insomma, viveva la sua donazione a Dio da focolarino. Lo faceva in modo particolare attraverso il lavoro che per oltre 20 anni ha svolto a Berlino come giurista in un ufficio statale presso la Corte Civile. Accoglieva persone, soprattutto povere, che non potevano permettersi un’assistenza legale ed era stimato ed amato dai clienti e dai colleghi, perché riusciva a risolvere anche casi difficili in modi inaspettati e non convenzionali. Aveva infatti un’attenzione speciale per chi si trovava in situazioni apparentemente senza via d’uscita. Questo amore preferenziale per chi si trovava nei guai, Klaus lo aveva ereditato dal suo passato comunista. Era nato il 31 dicembre 1936 nell’alta Slesia, terra a maggioranza tedesca, che, dopo la guerra, fu assegnata alla Polonia. Nonostante la sua cecità congenita (aveva una capacità visiva del 5 percento circa) è riuscito a superare la maturità e ha proseguito gli studi all’università, seguendo i corsi di filosofia marxista. Come suo padre, cestaio di professione e uno dei fondatori del Partito Comunista polacco, anche Klaus sperava di trovare nel Comunismo la vera vita. “Ma Dio – come ha raccontato una volta – attraverso la mia cecità, mi ha fatto presto capire l’inutilità di tutti questi miei sforzi e mi ha preparato all’incontro con Lui”. Pur nel buio della sua vita, Klaus ha trovato una luce nell’incontro con la figura di Gesù sulla croce, che, proprio nel massimo dell’oscurità, si affida al Padre. Questa scoperta, avvenuta attraverso l’incontro con la spiritualità dei Focolari, gli cambia la vita e lo porta ad un’altra scelta radicale: quella di vivere da focolarino consacrato con una vita spesa per gli altri. Oltre all’ambito lavorativo vive questa scelta anche in altri campi: nell’accompagnare le persone che facilmente si affidavano a lui, nell’offrire la sua profonda e sapienziale conoscenza della Bibbia attraverso temi e articoli, oppure nel raccontare semplici esperienze dalla sua vita. Era stimato per la sua vasta cultura, il suo linguaggio estremamente semplice, ma anche per un suo tipico umorismo con il quale riusciva facilmente a scogliere le tensioni. Nel 1999, ormai in pensione, Klaus è chiamato a Ottmaring nella Cittadella ecumenica dei Focolari in Germania. Anche lì godeva di un’autorità morale. “Era un fratello maggiore, – così lo definiscono i focolarini – costruiva rapporti spesso in modo discreto”. Altre sue caratteristiche erano l’equilibrio, il buon senso, la sincerità e un profondo rapporto con Dio. Nel 2008 Klaus torna a Berlino. Un po’ più di due anni fa rimane ferito in un grave incidente, tanto che si rende necessario il suo trasferimento in una casa di riposo. Anche lì continua la sua testimonianza di una vita vissuta secondo la Parola di Dio. Presto si forma intorno a lui un gruppo della “Parola di Vita”[1] e viene in luce il suo vivere bene il momento presente; uno stile di vita che gli ha aperto la strada per arrivare degnamente all’incontro col Padre il 18 gennaio 2019, inaspettatamente e senza clamore, durante il solito pisolino dopo pranzo.

Joachim Schwind

  [1] Si tratta di gruppi di persone che si incontrano periodicamente per leggere e condividere il commento mensile ad una frase del Vangelo. Inizialmente il commento era di Chiara Lubich, oggi si sono aggiunti contributi diversi.     (altro…)

Vangelo vissuto: piccoli passi verso la pace

Piccoli gesti possono trasformare la società in cui viviamo Condominio Nel mio condominio si era creata una forte tensione da quando un mio vicino, assente all’ultima riunione, aveva mandato a tutti una diffida per contestare dei lavori che erano stati effettuati nel palazzo, secondo lui in maniera illegale. Per chiarire la situazione, ho provato a convincere l’amministratore a convocare nuovamente l’assemblea. Finalmente, dopo non poche difficoltà, l’assemblea si è riunita e in quell’occasione la questione è stata risolta. Da allora la situazione è cambiata, il vicino saluta tutti e nel condominio si è creata una nuova intesa. (Alessandra – Italia) Il nonno Abbiamo accolto in casa il nonno, che ha un problema agli occhi e ogni mese necessita di un controllo. Un giorno, mentre siamo dal medico, apro la borsetta e mi accorgo di aver dimenticato il portafoglio a casa. Non sapendo come fare per pagare la visita, mi affido a Dio. Uscendo, il medico mi prende da parte e mi dice: “Questa volta non dovete pagare”, e mi offre anche delle medicine campione. Ho capito che se agisco per amore, Dio non mi abbandona. (Arze – Libano) Il pacco Nello studentato dove abitavo mi era arrivato un pacco contenente marmellate, conserve e vari capi di vestiario. I miei non avevano accennato ad un invio del genere. D’accordo con altri studenti, con cui condividiamo il desiderio di vivere il Vangelo, abbiamo deciso di destinare tutto a chi nello studentato ci sembrava più bisognoso. Giorni dopo, in portineria, ho sentito casualmente uno studente che chiedeva di un pacco a lui destinato. Ho capito l’errore, dovuto al fatto che abbiamo un cognome simile. Gli ho raccontato tutto e ne abbiamo riso insieme. Avendo raccontato l’episodio alla mia famiglia, mi hanno inviato un pacco ancora più grande per lui. Quel giorno è nata tra noi una vera amicizia. (C.d.F. – Repubblica Ceca) I carrelli Dopo aver fatto la spesa al supermercato, mentre ci accingevo a riporre il carrello, mi sono accorta che dentro altri carrelli erano rimasti guanti e sacchetti della verdura non utilizzati. Mi è venuto in mente che avrei potuto raccoglierli e buttarli nella spazzatura. Un piccolo gesto d’amore per i clienti successivi. (Annalisa – Svizzera)

Chiara Favotti

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Eliminare la povertà: una settimana di sensibilizzazione

Con l’azione “End Poverty Week” i Giovani per un Mondo Unito promuovono azioni concrete e una campagna Social per un mondo più equo. “La tendenza di oggi vede il rallentamento della riduzione della povertà estrema e l’aumento della concentrazione della ricchezza nelle mani di pochi. Pochi hanno troppo e troppi hanno poco. Molti non hanno cibo e vanno alla deriva, mentre pochi annegano nel superfluo. Questa perversa corrente di disuguaglianza è disastrosa per il futuro dell’umanità” Queste le parole che Papa Francesco ha indirizzato la settimana scorsa al Fondo Internazionale per lo sviluppo agricolo e che descrivono bene la situazione mondiale della lotta alla povertà. Infatti, le cifre dettate dal rapporto Onu 2018 sulla piaga della povertà sono impietose: 821 milioni di persone nel mondo sono state vittime della fame nel 2017, 6 milioni in più rispetto al 2016 e una persona su dieci vive in condizioni di povertà estrema, cioè con meno di 1,25 dollari al giorno. Ma la povertà si può sconfiggere se si operano delle azioni tempestive. Le cause? Conflitti, malattie siccità e disoccupazione. Dal 17 al 23 febbraio 2019, nell’ambito del percorso “Pathways of Economy, Work and Communion”, i Giovani per un Mondo Unito hanno indetto la “End Poverty Week”, una settimana di sensibilizzazione per l’eliminazione della povertà. Inserita all’interno di United World Project, essa prevede la promozione di azioni volte al superamento delle disuguaglianze a favore dei poveri di un territorio; momenti di sensibilizzazione ad una maggiore consapevolezza nel consumo; la promozione di una finanza etica. “Sogniamo un mondo in cui nessuno sia più nel bisogno e tutti abbiano la possibilità di sviluppare pienamente il proprio potenziale umano, spirituale, economico e lavorativo” – spiega Andres Piccinini, argentino, dei Giovani per un Mondo Unito. È in programma anche la formazione di persone che vogliono impegnarsi nel progetto. Al Polo Lionello Bonfanti (Loppiano, Italia) si svolgerà una serie di incontri dal titolo Economia, Lavoro e Comunione. La proposta punta a promuovere personalmente o collettivamente anche piccoli gesti quotidiani, azioni già in atto che localmente possano incidere sull’opinione pubblica. Il metodo: agire e poi condividere le azioni sui social, usando gli hashtag #Pathways4unitedworld, #pathway2018, #endpoverty, #unitedworldproject, scrivono i Giovani per un Mondo Unito sulla loro pagina Facebook e Instagram.

Patrizia Mazzola

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Germogli di speranza

Germogli di speranza

Due giornate di visite per il Consiglio Generale dei Focolari nei luoghi santi: dalla grotta della Natività di Betlemme al Cenacolo, dall’orto degli olivi al Calvario. Insieme ad incontri con personalità per approfondire questioni di grande attualità per la Terra Santa.

il rabbino Ron Kronish e il vescovo luterano emerito, Munib Younan

Il 14 e 15 febbraio è stata la volta di una full immersion nella situazione politica e religiosa della Terra Santa. Il Consiglio Generale si è messo in marcia, insieme alle migliaia di pellegrini che affollano quotidianamente Gerusalemme, per visitare alcuni dei luoghi santi. Ma non solo: queste giornate sono state dedicate anche ad approfondire la situazione politica e religiosa di questa terra. Ad accompagnare questo percorso, due personalità d’eccezione: il rabbino Ron Kronish e il vescovo luterano emerito, Munib Younan. “La guerra tra ebrei e cristiani ormai è finita” ha osservato il rabbino Kronish parlando del dialogo ebraico-cristiano. Sia lui che il vescovo Younan hanno focalizzato poi il loro intervento sulle condizioni politiche necessarie per una convivenza pacifica, non solo tra Israele e Palestina, ma per l’intero Medio Oriente: “Due popoli – due stati” è lo slogan che esprime, secondo l’opinione concorde di questi due uomini di dialogo, amici da tanti anni, la base indispensabile sulla quale costruire una pace vera. “Solo con due stati – dice Kronish –riusciremo a porre fine alla violenza”. E una volta terminata la guerra – è la convinzione espressa dal rabbino Kronish fondatore di tante iniziative di dialogo – ci saranno anche le risorse economiche necessarie per una politica di educazione e formazione alla convivenza pacifica. Munib Younan, nato in una famiglia di profughi palestinesi, aggiunge altri elementi necessari, a suo avviso, per una pace duratura: una Gerusalemme che appartenga ugualmente alle tre grandi religioni (ebrea, musulmana e cristiana) e ai due popoli (ebreo e palestinese) e una soluzione per i profughi palestinesi. Anche lui è d’accordo che, dopo le scelte politiche, occorra una strategia di formazione soprattutto per i giovani. “Iniziate un Movimento laico come il vostro tra i cristiani palestinesi – è l’invito che rivolge ai Focolari – ce n’è tanto bisogno”. Pierbattista Pizzaballa, Amministratore Apostolico in Terra Santa, ha ricevuto il Consiglio Generale giovedì scorso nella sede del Patriarcato Latino. Nel suo saluto ha messo l’accento sulla forza di ciò che è piccolo. “Noi cristiani in Terra Santa siamo pochi, deboli e fragili – ha spiegato – E proprio per questo possiamo fare la proposta provocatoria di una Gerusalemme non solo celeste, ma anche terrestre, che ha, come dice l’Apocalisse, tutte le porte aperte.” Il compito dei cristiani sarebbe quello di seminare, senza pretendere di vederne gli effetti. Gettare semi, anche piccoli, e lasciare alla Divina Provvidenza di farli crescere e fruttificare. Questo invito dell’Arcivescovo è sembrato realizzarsi poche ore dopo: accanto alla Chiesa San Pietro in Gallicantu, adiacente alla scaletta sulla quale Gesù, secondo la tradizione, avrebbe espresso la sua preghiera per l’unità, Maria Voce, Presidente dei Focolari, ha deposto nella terra una piccola medaglia. È il primo seme di un “Centro Internazionale per l’Unità e la Pace” a Gerusalemme che sta per nascere proprio qui, quale realizzazione di un sogno che Chiara Lubich, fondatrice dei Focolari aveva espresso già durante una sua visita in Terra Santa nel 1956. “Chiara – ha affermato Maria Voce – dal Cielo benedirà questo progetto e lo porterà avanti”. Un momento profondo, a cui erano presenti anche 170 membri delle comunità dei Focolari in Terra Santa. Testimoni, questi ultimi, che il piccolo seme gettato in questa terra lungo il corso gli anni, mostra già i primi germogli.

Joachim Schwind

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Portare il Risorto nel mondo

Portare il Risorto nel mondo

Al ritiro del Consiglio Generale in Terra Santa si sono conclusi i tre giorni di lavoro su comunione dei beni, nuove generazioni e Assemblea generale 2020.   “Quel Gesù che era sepolto qui ed è risorto, ora vuole vivere in mezzo a noi ed essere portato da noi in tutto il mondo”. Ha espresso così il Copresidente del Movimento dei Focolari Jesús Morán la sua emozione davanti al Santo Sepolcro dove ha celebrato l’Eucarestia insieme al Consiglio Generale. Una giornata intensa, ricca, quella del 13 febbraio iniziata con un risveglio all’alba per poter entrare in questo luogo straordinario che sembra avere molti punti in comune con la settimana di ritiro che il Consiglio Generale sta vivendo in Terra Santa. Al Santo Sepolcro ci si è trovati infatti davanti alla tomba lasciata vuota da Gesù Risorto. E, come essa provocò nei seguaci di Gesù tante domande sul futuro, così in questi giorni anche il Consiglio Generale si è lasciato interrogare facendo spazio alle domande sull’avvenire: dove il Risorto – anche attraverso i Focolari – vorrà arrivare oggi? Dove si dovrebbero, di conseguenza, concentrare le forze, le energie e le risorse? Domande che hanno pervaso i tre grandi argomenti affrontati in questi giorni a Gerusalemme. Riguardo all’aspetto “comunione dei beni, economia e lavoro”, il Consiglio Generale ha costatato in tutte le articolazioni del Movimento un grande desiderio di tornare alla radicalità dei primi tempi e di vivere con nuovo impegno e nuova coerenza la comunione dei beni. Ci si è interrogati su come dare concretezza a questo desiderio. La riflessione sulle nuove generazioni dei Focolari, secondo argomento trattato, è stata arricchita dalla retrospettiva sul Genfest a Manila e sulla recente GMG a Panama, due tappe che hanno evidenziato tutta la potenzialità di ragazzi e giovani. Lo dimostrano anche alcune iniziative che si stanno ampiamente diffondendo come il progetto “Pathways for a United World” oppure l’impegno verso “Fame Zero” per sconfiggere la fame entro il 2030. Tra gli argomenti di riflessione, come dare continuità alle singole iniziative in atto per aderire a questi impegni. E infine il terzo tema: la preparazione della prossima Assemblea Generale del 2020. Particolare attenzione del Consiglio è stata posta, da un lato, su come fare in modo che l’Assemblea rispecchi la varietà geografica, culturale e di vocazioni presente nel Movimento; dall’altra, ci si è chiesti come conciliare le esigenze di continuità e quelle di novità che caratterizzano il momento attuale del Movimento. A breve sarà costituita una commissione preparatoria che avvierà il lavoro partendo da queste due piste. Così descritto, però, potrebbe apparire un ritiro fatto di tante domande, ma senza risposte. Non è stato così. E’ venuto in luce un cammino già in atto, frutto della vita del Movimento presente in tutto il mondo. Porsi domande su questo cammino, lasciarsi interrogare dalle grandi questioni dell’umanità di oggi e cercare nuove risposte, attingere al percorso fatto per guardare al futuro, può produrre effetti inaspettati, può far incontrare il Risorto su strade inattese, proprio come è accaduto a quei due discepoli che, lasciata la tomba vuota, si erano incamminati verso Emmaus.

Joachim Schwind

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Nuova Zelanda: quando le culture s’incontrano

Nuova Zelanda: quando le culture s’incontrano

Esther è Maori e Tom è di origini irlandesi e scozzesi. Una storia, la loro, che ribalta il principio dell’incomunicabilità tra culture molto diverse.  Figlio di madre irlandese e di padre scozzese, Tom ha 26 anni quando arriva in Nuova Zelanda, un arcipelago dove il popolo Maori è approdato per primo, seguito da numerose migrazioni, tanto da renderlo un Paese multiculturale. Ci è arrivato con uno dei voli low-cost che i governi britannico e neozelandese offrivano a giovani disposti a fermarsi almeno due anni nelle terre d’oltremare. Esther, invece, è Maori ed è la più grande di 13 fratelli. I due si sono conosciuti in discoteca ed è stato amore a prima vista. “Non ho mai notato che venivamo da due culture diverse”, esordisce Tom, “E io non ci ho proprio fatto caso che lui fosse bianco”, replica lei. “Quando l’ho vista mi sono semplicemente innamorato”, conclude lui. Le complicazioni sono arrivate dopo, quando hanno annunciato alle rispettive famiglie che volevano sposarsi. La madre di lui gli ricorda che non potrà portarla in Inghilterra perché non è bianca e anche la nonna di Esther non era per nulla convinta di Tom. Aveva già scelto un uomo per lei, come aveva fatto prima per sua figlia, la madre di Esther: le tradizioni nella comunità Maori sono forti e difficili da trasgredire. Tuttavia, dopo lo shock iniziale, i genitori di Tom imparano a voler bene alla nuora Maori e anche lui viene accolto dalla numerosa famiglia di Esther. Di comune accordo, i figli vengono battezzati ed educati nella Chiesa Cattolica della quale Esther fa parte e nella quale Tom sente il desiderio di inserirsi. Il primo contatto con i Focolari avviene nel 1982 attraverso padre Durning, il catechista di Tom, un sacerdote scozzese, missionario presso la comunità Maori.  Invitati a trascorrere un weekend con le focolarine, Esther e Tom partono con i figli e non poco batticuore. “Mi sforzavo di leggere la Bibbia – ricorda Tom –, ma non ne traevo beneficio. Mi ha colpito piuttosto una frase che una di loro ha detto: “Cerca di cogliere la presenza di Gesù in chi ti passa accanto”.  Le ho risposto che se lei avesse conosciuto il mio posto di lavoro, le ferrovie, avrebbe concordato con me che non era possibile. Era un ambiente difficile, ma lei ha insistito. Ci ho provato e la mia fede ha ripreso forza e ho trovato quello che cercavo: la possibilità di farla diventare vita”. Alla loro prima Mariapoli[1] Esther e Tom si ritrovano ad ascoltare persone che condividono esperienze e vicende personali “lette” alla luce del Vangelo e ne rimangono colpiti. “La nostra, però, non era una vicenda semplice da raccontare – spiega ancora Esther – perché Tom aveva iniziato a bere, un’abitudine presa sul lavoro”. “Una sera, mentre stavo per prendere una birra – continua Tom – Esther mi ha chiesto cosa stessi per fare.  Ho capito che non potevo continuare a vivere così; avevo una moglie e quattro figli. L’alcolismo stava distruggendo la nostra famiglia, così ho deciso di smettere”. Ma la vita di una famiglia come la loro non era mai monotona e succedeva che, superata una sfida, se ne presentava subito un’altra. Accade così che, in seguito ad un incidente, Tom è costretto a lasciare il lavoro e decidono quindi di scambiarsi i ruoli: “Esther andava a lavorare e io restavo a casa a badare ai bambini”, racconta Tom. “Ho dovuto imparare a fare tante cose e anche la difficile ‘arte’ di amare a casa propria. Per gli amici la nostra era una scelta totalmente contro corrente e non possiamo dire che sia sempre andato tutto liscio, ma pur tra alti e bassi, ci siamo sempre trovati uniti. Anche quando abbiamo punti di vista diversi, o quando mi impunto su un’idea, mi ricordo che Chiara Lubich ci ha insegnato ad amare sempre per primi, a chiedere scusa e a non perdere il coraggio di amare”. “Da 46 anni la spiritualità dell’unità è diventata il nostro stile di vita quotidiano” – conclude Esther. “Ho capito che Dio ci aveva dato una vita bella, mostrato una meta alta e donato la fedeltà per raggiungerla; a noi, ora, andare avanti”.

Gustavo E. Clariá

  [1] L’appuntamento storico dei Focolari: un incontro di più giorni per tutti, bambini, giovani, famiglie, per conoscere e fare esperienza della spiritualità dell’unità. (altro…)

Non potevo tirarmi indietro

A volte sono le relazioni più prossime quelle più difficili. È l’esperienza di Miso Kuleif e del suo papà. “Con mio padre ho sempre avuto un rapporto difficile, né io né il resto della famiglia siamo mai riusciti ad andare d’accordo con lui e ne abbiamo sofferto moltissimo. Eppure, in un preciso momento della mia vita, ho fatto una scoperta: lui mi voleva bene veramente e anche io gliene volevo”. Esordisce così, Miso Kuleif, 24 anni, nata in Giordania, che da oltre venti anni vive in Italia con la sua famiglia. Il padre di Miso per molto tempo ha avuto gravi problemi di salute, ma la svolta avviene circa tre anni fa quando apprende di dover fare con urgenza un trapianto di fegato. Poiché in Giordania, a differenza che in Italia, è possibile fare questo tipo di operazioni anche con un donatore vivente, il padre sceglie di operarsi nella sua terra d’origine. “Il problema – continua Miso – era trovare un donatore e quindi persone disposte a fare i controlli di compatibilità. Quando l’ho saputo, non ci ho pensato molto. Sono partita con lui per sottopormi agli esami”. “Dove ho attinto forza? Mi ha aiutato il vivere da alcuni anni la spiritualità dell’unità – spiega -. Ho conosciuto i Focolari nella mia città attraverso il Movimento Diocesano, che porta questa spiritualità in tante Diocesi e parrocchie, tra le quali la mia. Negli incontri molte volte ci proponevamo di amare come insegna il Vangelo, pronti anche a dare la vita gli uni per gli altri. Adesso non potevo tirarmi indietro. Se abbiamo la possibilità di salvare una vita, non possiamo non farlo”. Miso lascia quindi l’Italia e interrompe l’Università senza sapere quando sarebbe potuta tornare. Arrivata in Giordania, l’esperienza è dura. “Ero lì, sola, circondata da una famiglia alla quale mi sembrava di non appartenere. Se avessi subìto l’intervento, tutte le persone che avrei voluto vicine non sarebbero state con me”. Ma va avanti. Dagli esami risulta però che Miso non è compatibile. Poco tempo dopo si trova un donatore: è il fratello del padre, l’unico che dopo Miso ha accettato di fare i controlli. “Mi ci è voluto un po’ per metabolizzare questa esperienza. Anche grazie a tante persone del Movimento che mi sono state vicine, sono riuscita a sviluppare la consapevolezza del bene che voglio a mio padre, anche se mi è difficile ammetterlo. Odiare qualcuno è molto più facile, ma molto più deleterio. Il vero problema non era la situazione in sé, ma come io l’ho affrontata. Ho imparato che si può essere felici sempre, che dipende da noi. Nel Vangelo si legge: “Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date”. Ora mi rendo conto dell’importanza di queste parole. Se la mia vita fosse stata diversa, magari sarebbe stata solo più semplice, ma io non sarei quella che sono oggi”.

Anna Lisa Innocenti

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Calabria (Italia): cambiare si può

Calabria (Italia): cambiare si può

“Bisogna lavorare insieme e avere il coraggio di far funzionare bene le cose”. Ne è convinto Loris Rossetto che al recente convegno “Co-Governance, corresponsabilità nelle città oggi” ha raccontato dell’ostello “Bella Calabria”, ricavato da una struttura confiscata alla ‘ndrangheta. “Forse a volte una mentalità all’insegna del ‘tanto non cambierà nulla’ o ‘meglio non rischiare’ danneggia la nostra terra. Quando invece ci si rimbocca le maniche e si fa lavoro di squadra i risultati arrivano”. È l’esperienza di Loris Rossetto e di sua moglie, calabresi emigrati negli anni ’90 in Veneto e poi in Trentino che tornati nella loro terra, nel 2005, hanno avviato attività in strutture confiscate alla ‘ndrangheta (così si chiama la malavita organizzata in questa terra). Sperimentata l’efficienza del nord Europa, hanno pensato di coniugarla con il calore e le risorse naturali e culturali del sud, sviluppando un turismo del tutto particolare, quello dell’amicizia e dell’accoglienza calabrese”. Il loro obiettivo è promuovere la crescita economica del territorio, ma soprattutto di creare legami di amicizia con persone di altri Paesi e incoraggiare la popolazione locale a operare per il Bene comune, nella legalità, credendo nella possibilità di rinascita del territorio. Dati alla mano infatti, in Calabria attualmente sono 35 i Consigli Comunali sciolti per mafia, compreso il capoluogo, e attraverso la Regione passa la metà della droga che arriva in Italia. Ma la piaga della mafia – dimostra l’esperienza dei Rossetto – non ha l’ultima parola se si ha il coraggio di proporre un modello di relazioni diverso. Iniziamo fondando l’associazione ‘Amici del tedesco’ – racconta Loris – con l’idea di promuovere scambi tra la nostra città e i Paesi di lingua tedesca. La prima esperienza è la creazione di un centro di aggregazione. Poi decidiamo di aprire l’ostello ‘Bella Calabria’ in uno stabile confiscato a Cutro, in provincia di Crotone”. L’11 aprile del 2015 si inaugura la struttura. Ci inventiamo un programma per le classi – continua Loris – ‘48 ore all’ostello all’insegna del motto: Chi rispetta le regole è felice’. Sottotitolo: ‘Fai agli altri ciò che vorresti fosse fatto a te!’. Gli alunni interiorizzano l’idea che lavorare in squadra è bello. Apprendono le lingue straniere attraverso simulazioni e dialoghi in lingua”. Ma i primi passi di questa avventura sono in salita. E non solo perché i Rossetto non si intendono di economia né di turismo. In estate nella zona viene a mancare l’acqua. Si supplisce con una cisterna, ma non basta. La Provvidenza vuole che l’anno seguente venga eletto un Sindaco che si dà da fare per aiutarli. “È un segno del cielo” pensano i coniugi, incoraggiati ad andare avanti. E intanto il progetto cresce. Arrivano classi dal nord Italia e ospiti dall’Europa, la squadra di Hockey di Hamm, una classe di Dresda, la Croce Rossa tedesca. Tutti sperimentano il calore dell’accoglienza calabrese, e le persone del posto, prima diffidenti, si aprono all’iniziativa. La gente di Cutro risponde in modo stupendo – osserva Loris – Spesso capita che il turista, sorpreso, ci dica ‘sono andato al bar e mi hanno offerto il caffè’, o che un vicino d’estate porti frutta fresca. Gli ospiti rimangono così colpiti che si innamorano del paese e dell’ostello, così chi viene una volta spesso ritorna. Capiamo che siamo sulla strada giusta”. Seguirà un secondo ostello a Crotone e un progetto che coinvolge tre parchi: “A Cropani Marina, proponiamo con delle mini car educazione stradale, a Isola un percorso per mountain bike, a Cirò un percorso botanico. Anche qui i problemi non mancano, ma alla fine funziona”. A fare da comun denominatore una motivazione forte e un invito: “Non smettere mai di sognare stando con i piedi per terra, con lo sguardo rivolto al cielo, per amare e migliorare il proprio territorio”. 

Claudia Di Lorenzi

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Kenya: a scuola di leadership

Kenya: a scuola di leadership

Si chiama “Together fo a new Africa” la prima scuola di leadership per giovani leader del continente africano organizzata dai Focolari. Hanno partecipato in più di cento da 12 Paesi. “Trova la tua passione, qualunque essa sia, assumila e fa che essa diventi te e vedrai accadere grandi cose per te, a te e grazie a te”. Questa citazione di Allan T. Armstrong riassume bene il senso della scuola di leadership a cui hanno partecipato oltre 100 giovani leader provenienti da 12 paesi dell’Africa dell’Est e della Repubblica Democratica del Congo agli inizi di gennaio. Il corso si è svolto alla Mariapoli Piero, la cittadella dei Focolari in Kenya e si tratta della prima di una serie di Summer School dal nome promettente “Together for a new Africa”, insieme per un’Africa nuova. Melchior Nsavyimana, giovane politologo burundese e ora docente e coordinatore pressol’Institute for Regional Integration/Catholic University of Eastern Africa è uno dei pionieri del corso. Spiega che lo scopo di questo primo appuntamento è  “approfondire e sperimentare un’idea di leadership che, radicata nei valori del continente africano, risponda alle sfide di oggi. Una leadership che si esprima in modi comunitari e costruisca comunità, con gli strumenti e i linguaggi della fraternità universale: Se questa è la domanda che interroga il nostro futuro, questo dev’essere il nostro impegno oggi. Facendo tesoro dei fondamenti della cultura dell’unità”. Ad organizzare questo primo appuntamento, un vero e proprio network composto dall’Istituto Universitario Sophia, con il supporto del Movimento politico per l’unità, con l’Ong New Humanity e la cooperazione dell’Unesco, e il sostegno di Caritas e Missio. Tutto è cominciato alcuni anni fa per iniziativa di un gruppo di studenti africani dell’Istituto Universitario Sophia che hanno deciso di impegnarsi per un’Africa nuova, partendo dalla trasformazione e dal rinnovamento culturale della sua leadership. Venti docenti dell’Africa orientale, della Repubblica Democratica del Congo e di Sophia hanno dato il via al primo ciclo di una formazione triennale interdisciplinare e interculturale sui temi della cittadinanza responsabile, della leadership e di una cultura di fraternità, per affrontare con lucida consapevolezza le ferite del continente. “Il viaggio è appena agli inizi”, si legge sulla pagina Web della scuola, dove i giovani promotori spiegano l’intento del progetto: “L’Africa (in particolare quella orientale) è sottoposta a una serie di cambiamenti demografici, politici, sociali e culturali molto complessi. Uno degli effetti è il clima di incertezza che incalza. Ai giovani spesso mancano gli strumenti necessari per comprendere i cambiamenti in corso e restano passivi di fronte alle domande confuse di politici, gruppi armati, multinazionali, ecc. È per questo che noi giovani africani, diplomati dell’Istituto Universitario Sophia abbiamo capito che è nostra responsabilità, insieme ai giovani africani, decidere quale Africa vogliamo per il futuro, come proposto dall’Agenda dell’Unione Africana per il 2063. Vogliamo dare ai giovani africani una formazione integrale sulla leadership responsabile e creare una rete tra di loro per agire insieme per l’africa che vogliono”.

a cura di Stefania Tanesini

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Recuperare la radicalità di uno stile di vita evangelico

Recuperare la radicalità di uno stile di vita evangelico

Quest’anno il Consiglio Generale dei Focolari ha scelto per il suo ritiro annuale un luogo di grande valore simbolico: Gerusalemme e la Terra Santa. L’istituto ecumenico Tantur, situato al confine della Città Santa con Betlemme, vuole essere una oasi di ospitalità e comunione per chi desidera immergersi nella realtà assai complessa di Gerusalemme, con il suo intreccio di culture, popoli, religioni e confessioni. È per questo che si presenta adatto per il ritiro annuale del Consiglio Generale del Movimento dei Focolari, in corso, dal 10 al 17 febbraio. “Il programma di questi giorni comprende, in un certo senso, il passato, il presente e il futuro”, spiegano Friederike Koller ed Ángel Bartól, delegati centrali del Movimento e coordinatori di questo ritiro. “Un viaggio in Terra Santa è sempre un pellegrinaggio che invita a guardare il passato, e cioè i luoghi storici della fede cristiana e le sue radici nella religione ebraica. Il presente si toccherà nei momenti di lavoro su uno dei temi principali dell’anno 2019: l’aspetto ‘comunione dei beni, economia e lavoro’. L’intento è di recuperare nel Movimento una radicalità di vita evangelica rispetto alla comunione dei beni, anche materiale, e, a partire da uno stile di vita alternativo impregnato dal carisma dell’unità, trovare risposte alle sfide economiche di oggi. Volgeremo poi lo sguardo al futuro trattando due argomenti importanti: il lavoro per e con le nuove generazioni e la preparazione della prossima Assemblea Generale del 2020”.  Ángel Bartól sottolinea quanto sia esigente applicare il metodo di lavoro scelto, considerato il numero dei partecipanti (62 persone): “Sia che lavoriamo in plenaria o in piccoli gruppi, siamo in pellegrinaggio; ci sentiamo sempre in cammino con Gesù che vuole essere presente, vivo e attivo in mezzo a noi. Ciò è possibile quando ognuno di noi è pronto ad offrire il suo punto di vista senza esservi attaccato”. E Friederike Koller aggiunge: “In questo modo possiamo dare anche noi un piccolo contributo alla pace, alla quale ci invita la Parola di Vita di questo mese e di cui il mondo, e soprattutto questa città, hanno tanto bisogno”.

Joachim Schwind

Qui il saluto di Maria Voce, presidente dei Focolari, in partenza per Gerusalemme. (altro…)

Dio li ama in modo particolare

In occasione della “Giornata mondiale del malato” proponiamo una breve riflessione di Chiara Lubich sulla malattia e sulla comunità del Movimento nelle quali vivono persone ammalate. Voi sapete che tutta la nostra vita, perché cristiana, è una rivoluzione. È una rivoluzione del modo di pensare, è un andare controcorrente. Ora, se noi guardiamo come sono considerati gli ammalati nel mondo, osserviamo che, specie se la malattia si prolunga o è incurabile, essi sono in certo modo, considerati diversi dai sani, come una categoria a parte. La società di oggi infatti, non comprendendo il valore del dolore e volendolo dimenticare, così come si vuole fare con la morte, emargina gli ammalati. È una cosa anticristiana, gravissima, perché il primo emarginato dovrebbe allora essere Gesù Cristo in croce. Perciò queste comunità particolari in cui vivono persone ammalate, se sono senz’altro come le altre, sono anche speciali per il bene che fruttano e perché hanno la possibilità di testimoniare al mondo che cosa è il dolore per un cristiano. Il dolore è un dono che Dio fa ad una creatura. E questo non è soltanto un modo di dire per consolarci o per consolare gli ammalati. Tutti coloro che stanno poco bene sono veramente amati da Dio in modo speciale, perché più simili a suo Figlio. (Chiara Lubich, Perchè mi hai abbandonato?, 1997, pp.108-109) (altro…)

Un uomo evangelico

Mite ma deciso, con la convinzione che il Vangelo è una delle pagine più rivoluzionarie della storia, capace di cambiare il mondo. Per questo ha vissuto Marco Aquini. Ci ha lasciati un mese fa, il 4 gennaio scorso. L’incontro con Marco lasciava un segno: era una di quelle persone di rara schiettezza che con lo sguardo profondo si rivolgeva direttamente al tuo cuore, e con poche parole, senza divagare, rispondeva con gesti concreti alle tue necessità, ti dava un consiglio ma senza importi niente, anzi, suscitandoti la risposta dal di dentro. Nato nel 1958 è stato uno dei primi giovani della sua regione, il Friuli, ad aderire ai Focolari; una terra dove la gente è tutta d’un pezzo: seria, laboriosa, disciplinata. Conosce presto la crudezza che a volte ti consegna la vita quando gli viene tolto il padre in seguito a un grave incidente. Ma l’incontro con la spiritualità dei Focolari dà una svolta alla sua storia. Durante un campus con i Gen (i giovani dei Focolari) nel 1978, avverte la chiamata a donarsi a Dio come focolarino e aderisce all’invito di Chiara Lubich di sottoscrivere un impegno di fedeltà a Dio fino alla morte. Si tratta del “Patto del fino alla fine”, rimasto storico e scrive a Chiara in quell’occasione: “Prima di conoscere l’Ideale* ero chiuso nel mio mondo dorato. Vivendolo sto uscendo da me stesso. Torno conscio di avere la forza potenziale di cambiare il mondo in cui vivo”. Offre con passione il suo contributo prima in Germania, poi di nuovo in Italia, al centro del Movimento dei Focolari, specialmente nella fondazione di due organismi a servizio degli ultimi e della pace: l’AMU, “Associazione Mondo Unito”, e “New Humanity”, la ONG del Movimento accreditata presso l’ONU. Per anni opera anche in qualità di consigliere centrale per l’aspetto della “Comunione dei beni, Economia e Lavoro”; diventa corresponsabile del movimento Giovani per un Mondo Unito. Dall’anno 2000 è accanto a Chiara e a Eli Folonari nella conduzione del Collegamento CH, la video-conferenza che dal 1980 raccoglie periodicamente la famiglia dei Focolari nel mondo. Ma la vita gli riserva un’altra inaspettata esperienza, l’inspiegabile scomparsa della sorella Chiara, già fragile di salute. Soffre molto insieme alla mamma, mentre si susseguono le ricerche fino al ritrovamento del corpo. In questa tragedia Marco riesce a cogliere l’amore di Dio che gli dà la forza di sostenere la sua famiglia. Con la mamma Franca, Marco collabora poi alla nascita di una casa d’accoglienza intitolata alla sorella, per l’inserimento sociale dei disabili fisici e psichici e, seppur a distanza, mantiene sempre i rapporti con l’associazione. Si dedica anche all’insegnamento accademico presso la Pontificia Università di San Tommaso d’Aquino di Roma e sempre nell’ambito dell’economia all’interno dei Focolari assume la carica di membro dell’attuale Consiglio di amministrazione della rivista Città Nuova. Il suo amore verso gli ultimi lo impegna pure nell’offrire un’assistenza competente presso un gruppo di ascolto della Caritas. Nel novembre 2018 condivide con i tanti amici la scoperta di una grave malattia e affronta questa nuova tappa con una rinnovata scelta di Dio, che gli dà profonda gioia, nonostante le forti sofferenze fisiche. Maria Voce, nel telegramma inviato alle comunità dei Focolari nel mondo, mette in risalto la sua vocazione di focolarino, il suo stile sobrio, chiaro e diretto che si rispecchia nella parola del Vangelo che gli propone Chiara da vivere: “Sia il vostro parlare: «Sì, sì», «No, no»” (Mt 5,37), e di come abbia vissuto in maniera straordinaria la malattia. L’ultimo tratto di vita di Marco ha lasciato tutti senza parole, nell’apparente impossibilità di stare al passo con il rapido peggioramento della salute che in soli due mesi lo ha portato, la mattina del 4 gennaio, a raggiungere la meta del Cielo. Al suo funerale c’erano persone di ogni genere, tutti legati a lui e tutti, in qualche modo, “in cordata” con lui a scalare non più solo le sue amate montagne, ma le vette della vita, accompagnati dal suo esempio autentico e luminoso.

Patrizia Mazzola

*La spiritualità dei Focolari (altro…)

Tre città, un unico fine: il bene comune

Tre città, un unico fine: il bene comune

Cosa hanno in comune Medellin, Katowize e Kingersheim? Nonostante la distanza culturale, ciò che le accomuna è il progetto sociale e civile. Sono geograficamente situate in due continenti diversi e in tre aree culturali distanti. Si tratta di Medellin (Colombia), Katowize (Polonia) e Kingersheim (Francia). Sono città che hanno accolto la sfida di porre al centro il bene comune nel senso più autentico e non come somma di interessi privati. Amministrazioni e cittadinanza hanno lavorato per trovare una via per rompere egoismi, povertà, solitudini e riconoscersi fratelli. I protagonisti sul campo sono rispettivamente Federico Restrepo, Danuta Kaminska e Jo Spiegel che al Convegno “Co-Governance. Corresponsabilità nelle città oggi” hanno raccontato le loro tre storie, diverse ma con un unico leitmotiv. La prima storia è raccontata da Federico Restrepo, ingegnere e già direttore dell’EPM – Imprese Pubbliche di Medellin (Colombia) che, insieme ad altri amici, non si è arreso dinanzi all’ineluttabilità della situazione che sembrava più grande delle sue forze. Medellín – città che conta quasi tre milioni di abitanti –, come tante altre città sudamericane dimostra una forte tendenza di crescita delle aree urbane a scapito della popolazione rurale. In alcuni quartieri di Medellin si trovano popolazioni che cercano di costruire una loro città nella periferia della città”racconta Restrepo. Da alcuni anni è partita un’esperienza-pilota nei quartieri nati da migrazioni forzate per attuare progetti urbani integrali. L’immigrazione, in aumento in Colombia anche a causa della crisi venezuelana, non si risolve costruendo muri: “Abbiamo la responsabilità  – continua – di costruire relazioni tra le città per poter risolvere questo problema sociale che la nostra società sta attraversando”,. Ma non è soltanto una questione di urbanistica, altre sfide si presentano per riscoprire il cuore della città e farlo pulsare. L’esperienza che racconta Danuta Kaminska fa da tramite tra il continente americano e l’Europa. Amministratrice pubblica nel Consiglio della Slesia Superiore, in Polonia, lei presenta storie quotidiane, ma nello stesso tempo straordinarie, di accoglienza da parte dei cittadini di Katowize per favorire l’inserimento immigrati dei migranti, in maggioranza ucraini. Soltanto lo scorso anno essi hanno raggiunto il numero di 700.000. “Per attivare la co-governance nella nostra città abbiamo capito che occorre sostenere i cittadini. Si collabora con le comunità religiose e le organizzazioni non governative per l’integrazione, come ad esempio il sostegno alle comunità ebraica e musulmana”. Katowize, due milioni di abitanti, ha subìto in questi anni una profonda mutazione, trasformandosi da città industriale a sito UNESCO, ed è stata sede della La Conferenza delle Parti sul Clima del 2018 (COP24) . Se la città è uno spazio di trasformazione, se la democrazia deve essere fraterna, occorre coltivare la partecipazione e la spiritualità. Stiamo parlando di amministratori che diventano facilitatori dei processi decisionali e Jo Spiegel, sindaco di Kingersheim, cittadina francese di circa 13.000 abitanti, continua a spendersi con tutte le forze per restituire alla sua città un volto multiforme dove possano coesistere culture e generazioni diverse. “Venti anni fa – racconta il sindaco – abbiamo fondato un ecosistema democratico partecipato, dando vita alla “Casa della Cittadinanza, un luogo privilegiato dove di impara a vivere insieme, cittadini e politici”. Più di quaranta i progetti portati a termine come la revisione del piano urbanistico locale, la pianificazione del tempo del bambino, la creazione di un luogo di culto musulmano. “La fraternità non si delega, non si decreta. È dentro di noi, è tra noi. Si costruisce

Patrizia Mazzola

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Gen Verde in tour a Panama e in Centro America

Gen Verde in tour a Panama e in Centro America

Il complesso racconta l’esperienza in Gran Bretagna e Lussemburgo e poi in Panama per la GMG. Il loro viaggio continua Cuba, Guatemala ed El Salvador. Nel vostro ultimo album “From the inside outside” emerge uno sguardo positivo sulle persone: ognuno ha la possibilità di trovare in sé quella luce che può portare agli altri. È così? Adriana: Spesso sentiamo dire che oggi la società sta passando una notte culturale, dove c’è tanto “buio” e le divisioni vengono più in risalto. Vogliamo che il messaggio di questo album sia un invito a tirare fuori quella speranza che magari è nascosta sotto la cenere, riaccendendola. L’album nasce dall’esperienza fatta con migliaia di giovani durante i nostri tour. Grazie al progetto “Start Now”, un programma con laboratori artistici e un concerto conclusivo, abbiamo la possibilità di vivere a stretto contatto con le nuove generazioni. Ci rendiamo conto delle sfide che affrontano, ma anche delle loro bellezze. Spesso offriamo la nostra esperienza, ma mai dall’alto come qualcuno che ha già risolto tutto. Piuttosto insieme a loro guardiamo in faccia le sfide, cerchiamo di affrontarle e dare una risposta. Diversi ci hanno detto: “Quando torno a casa le circostanze esterne non saranno cambiate, ma sarà diverso come io le affronto”. Secondo voi la musica, il canto, la danza funzionano per entrare in contatto con i giovani? Sally: Le discipline artistiche hanno proprio queste caratteristiche: facilitano il dialogo, l’apertura e i risultati spesso sorprendono. Una volta in una scuola un’allieva era affetta da mutismo selettivo, aveva cioè deciso di non parlare più. Quando si è iscritta al gruppo di canto ci siamo chieste: che cosa farà? Il primo giorno non ha aperto bocca. Il secondo ha ringraziato, il terzo si è offerta lei stessa per cantare una seconda voce. Tornando a casa in lacrime ha confidato alla madre: “Ho ritrovato la mia voce”. Anche le insegnanti erano commosse: “È da non credere, stava sempre sola, adesso comincia a parlare con gli altri e raccontarsi…”. Questo è solo un esempio, ma come questo ce ne sarebbero tantissimi altri. Nella canzone “Not in my name” affrontate i rapporti tra cristiani e musulmani. Come è nata? Adriana: Abbiamo voluto esprimere solidarietà ai nostri amici musulmani e mettere in luce i valori che condividiamo, sapendo che tanti di loro soffrono, perché si sta diffondendo una rappresentazione sbagliata dei mussulmani e perché il cuore della loro religione non è quello che viene diffuso dai media. Inoltre la stessa esperienza di creare la canzone è stata all’insegna del dialogo: ci siamo anche ispirate alle parole del Dr. Mohammad Ali Shomali, Direttore dell’Istituto Internazionale per gli Studi Islamici di Qum (Iran) che abbiamo conosciuto a Loppiano. Egli afferma che siamo tutti gocce che riflettono il volto di Dio e insieme possiamo essere un oceano d’amore. Quando lui ha letto le parole della canzone ha detto di sentirsi espresso. Per l’arrangiamento del brano abbiamo coinvolto Rassim Bouabdallah, membro dei Focolari di religione musulmana, che nella registrazione ha suonato il violino. Adesso vi trovate in Centro America dove avete partecipato anche alla GMG, come sta andando il vostro viaggio? Alessandra: A Panama nelle città di Chitré e di Colón abbiamo realizzato il concerto con i giovani per migliaia di pellegrini in occasione della GMG: essere sul palco con loro è stato sentire e dire a tanti che si può sperare insieme. Forte anche l’esperienza nell’Istituto Penale femminile di Panama City. Le donne lì vivono veramente una vita difficile, ma c’era un ascolto incredibilmente profondo: quanti applausi spontanei, quante lacrime durante le canzoni…Alla fine tante ci hanno detto che sembrava avessimo vissuto le stesse esperienze e che insieme potevamo rialzarci e guardare al futuro, in un posto nel quale sembrerebbe impossibile. È stato sperimentare la misericordia di Dio che opera nelle nostre vite al di là di qualsiasi circostanza.

a cura di Anna Lisa Innocenti

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Vangelo vissuto: sperimentare la pace vera

Agire in prima persona e ridare vita a rapporti feriti nel tessuto della città.  Pestaggio Da quando in Messico è cominciata la lotta al narcotraffico si contano moltissime vittime, e non si tratta sempre di delinquenti. Tempo fa tornavo a casa da scuola, quando si è avvicinato un ragazzo per chiedermi una sigaretta. Proprio in quel momento sono sopraggiunti degli agenti di polizia e ci hanno perquisito. Poi hanno cominciato a picchiare il ragazzo e ad insultarlo, lasciandolo in mezzo alla strada ferito e sanguinante. Io avevo assistito impotente. Quindi l’ho aiutato ad alzarsi e gli ho dato i pochi spiccioli che tenevo in tasca. E lui, abbracciandomi, mi ha detto: “Con questi soldi oggi la mia famiglia mangerà”. (Abraham – Messico) Scambio di lettere Con i ragazzi ai quali faccio un percorso di  catechesi,  ho trattato le opere di misericordia. Per metterle in pratica abbiamo pensato di scrivere a delle donne detenute. Ho esposto il progetto al direttore del carcere, che subito si è detto contrario. In seguito, però, consultandosi con altri, si è convinto della bontà del progetto, che avrebbe potuto avere effetti positivi su quelle donne. Così lo scambio è stato approvato e da allora i ragazzi si sono messi all’opera, preparando disegni e letterine da consegnare alle detenute. (Prisca – Svizzera)  Bazaar I knew a few poor families and wanted to help them.  In the office, a colleague asked me if I was interested in some good quality clothing she no longer needed and toys that belonged to her children who were now grown up.  I told her about the families I wanted to help and she decided to get others involved.  Very soon we had collected a great many things that we kept in a garage. Some we gave away and the rest we sold at a bazaar.  With the proceeds we were able to help a lot of families in difficulties.  After this experience another colleague, who is often very grumpy, said we couldn’t stop there so we keep looking around to see who else we can help. (R.A.R. – Brasile)  

A cura di Chiara Favotti

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Siria, generazione di speranza

Siria, generazione di speranza

Molti progetti umanitari cercano di alleviare le difficoltà della popolazione. Dal 2012, anche il Movimento dei Focolari offre sostegno e assistenza attraverso il lavoro delle onlus AMU e AFN. Forte svalutazione della moneta, aumento inarrestabile del costo della vita a fronte di una costante contrazione dei servizi pubblici. Sono solo alcune delle voci che vanno a comporre il bilancio sociale e civile di sette anni di guerra in Siria. Tra la popolazione gli effetti sono sempre più pesanti. Chi ha perso il lavoro è stato costretto a spendere tutti i propri risparmi per sopravvivere e curarsi, in un Paese dove medici, insegnanti e molti professionisti sono dovuti emigrare all’estero. In questa situazione di estrema difficoltà, come scrivono i referenti dei progetti portati avanti in Siria dalla comunità dei Focolari, attraverso le onlus AMU e AFN  fioriscono “valori meravigliosi come la solidarietà, l’accoglienza, la generosità, la fraternità. Dio è all’opera portando ad ognuno sostegno e coraggio”. Grazie al progetto “Emergenza Siria”, più di 200 famiglie sfollate di Damasco, Homs, Aleppo, Kafarbo e del litorale, sono state visitate con regolarità da “squadre” di volontari che nei vari momenti, dalle nascite ai compleanni e alle varie fasi della vita scolastica, hanno fatto arrivare il loro sostegno, sempre nel rispetto della loro sensibilità e dignità. Con l’aiuto del progetto, hanno potuto pagare le spese scolastiche, acquistare degli elettrodomestici necessari, coperte, cibo. Ma soprattutto si sono sentite accompagnate in questa difficile fase della loro vita. Ai programmi nei campi dell’assistenza sanitaria, dell’istruzione e del sostegno al reddito famigliare, già attivi da oltre sei anni, altri si sono aggiunti più recentemente, specie nel settore della formazione professionale e dell’istruzione. “Questo impegno nasce, oltre che per venire incontro alle necessità materiali urgenti delle persone assistite, anche per offrire occasioni di lavoro a tante altre, specialmente giovani che, altrimenti, nell’attuale situazione del Paese sarebbero disoccupate”. A Dueilaa, durante lo scorso anno, oltre 90 bambini hanno frequentato il dopo scuola conseguendo ottimi risultati. Nei mesi estivi, il centro è rimasto aperto per accogliere fino a 115 bambini. “Alcune mamme ci dicono che i loro figli, anche se sono malati o hanno un altro programma famigliare, preferiscono venire qui”. A Homs un altro centro per bambini e ragazzi ha preso il nome “Generazione della speranza”. Gli studenti che lo frequentano hanno superato brillantemente gli esami nelle loro scuole di provenienza. Qui viene offerta anche la possibilità di un accompagnamento psicologico rivolto sia ai bambini che ai loro genitori. “Lavoriamo in particolare sui traumi subiti a causa della guerra. Questi momenti aiutano a far rinascere la fiducia e a trovare soluzioni a tanti problemi”. Sempre a Homs, ma anche a Kafarbo, da più di due anni un progetto di assistenza sanitaria ha consentito di avvicinare finora oltre un centinaio di persone con necessità di cure mediche specialistiche. “Cerchiamo di collaborare con altri organismi per poter aiutare i pazienti anche quando il costo delle cure o degli interventi chirurgici supera le nostre possibilità”.

Chiara Favotti

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Una Mariapoli europea

Una Mariapoli europea

A 70 anni dalla prima Mariapoli ritorna l’evento sulle Dolomiti in Italia, per tutto il continente europeo. Intervistiamo Peter Forst, delegato del Movimento dei Focolari per la zona dell’Europa centrale e uno degli organizzatori dell’evento L’Europa di oggi appare molto divisa (Brexit da un lato, muri contro l’accoglienza dall’altro). Che senso ha fare una Mariapoli europea? È stata proprio la costatazione di quanto sia divisa l’Europa che ha fatto nascere l’idea della Mariapoli Europea. Ci siamo resi conto che abbiamo opinioni molto diverse, in parte contrarie, sugli sviluppi in Europa, sulle migrazioni, sui valori, …e il primo scopo della Mariapoli è di rinsaldare i rapporti, creare spazi di comunione e di condivisione, incoraggiare l’umanità ad andare decisamente sulla strada della fraternità universale e dell’unità di uomini e popoli. Speriamo così di poter dare una testimonianza che è possibile rimanere uniti anche se le differenze sono tante. Dalla prima nel 1949 ad oggi: come sono cambiate le Mariapoli? Le prime Mariapoli erano molto spontanee. Forse oggi ci vuole un po’ più di organizzazione logistica e di preparazione del programma. Ma lo spirito della Mariapoli europea vuole essere lo stesso di quello di 60 o 70 anni fa: sperimentare e testimoniare che l’umanità è una famiglia. La via per arrivarci? Un amore incondizionato. Perché proprio sulle Dolomiti? L’idea di fare la Mariapoli nello stesso posto dov’è nata ha subito convinto tutti. Lì Chiara Lubich 70 anni fa, faceva le vacanze con le prime e i primi focolarini, ed è proprio lì dove con loro e con il parlamentare italiano Igino Giordani nell’estate del ’49 hanno vissuto un’esperienza di luce, di particolare unione con Dio e di profonda unità tra di loro che ha segnato la fondazione del Movimento nascente. Non è la nostalgia che ci ha spinti a scegliere le Dolomiti, ma la convinzione che proprio nel “dopo Chiara” è importante tornare alle radici per poter trovare i modi e le risposte per oggi. Chi vi parteciperà? Quale il programma? Cosa intendete con il titolo “Puntare in alto”? La Mariapoli è aperta a tutti. Ci sono 600 posti ogni settimana. L’iscrizione è possibile fino al 31 gennaio (www.mariapolieuropea.org). Nel programma ci saranno gite, sport, giochi, musica, spiritualità, preghiere, workshop creativi e forum tematici – tutto vuole essere un’occasione d’incontro vero. “Puntare in alto” ci sembrava un’immagine adatta per lo scopo di vivere rapporti di alta qualità spirituale ed umana. E poi: essendo in montagna automaticamente si punta in alto.

Lorenzo Russo

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Vangelo vissuto: “Cerca e persegui la pace”

La Parola di Vita di questo mese è un invito all’accoglienza e alla generosità verso tutti Ascoltare Ultimamente, a causa di una malattia, ho delle difficoltà nell’uso della parola, e per me comunicare è vitale! Non posso fare più di tanto ma, questo sì, posso accogliere e ascoltare profondamente chi viene a trovarmi. A volte le persone mi raccontano tanti dolori, ma andandosene sembrano sollevate. E allora ringrazio Dio di questa mia condizione. (Marisa – Italia) Pullover Mio marito si stava preparando a partire per un congresso e aveva bisogno di un paio di scarpe e di un pullover. Le scarpe siamo riusciti a comprarle, ma per il pullover non c’era stato il tempo, perché ci è sembrato più importante andare ad un incontro con un gruppo di famiglie, dove condividiamo le nostre esperienze di vangelo vissuto. Ebbene, proprio lì, nel gruppo, una signora ha portato due pullover per chi ne avesse bisogno. Provandoli, con nostra grande sorpresa, sono toccati entrambi a mio marito. (D. M. – Serbia) Preghiera Mio marito ed io stavamo cercando un alloggio per mio fratello che doveva sposarsi, ma prezzi e condizioni rendevano difficile la scelta. Il tempo passava e in me cresceva la preoccupazione. Come avrei voluto aiutarlo! Un giorno il nostro bambino più piccolo ci ha suggerito una cosa a cui non avevamo penato: chiedere a Dio ciò che ci stava tanto a cuore. Così abbiamo fatto. Poche ore dopo mio fratello mi ha chiamato tutto contento: aveva trovato l’appartamento giusto! (M. N. – Libano) (altro…)

In Nepal per creare legami

In Nepal per creare legami

Quello che li spinge a partire per dar vita ad un focolare temporaneo è il desiderio di condividere la scoperta che ha dato senso e gioia alla loro vita. Perché altri possano sperimentare che vivere per la fraternità universale è la più bella delle avventure. Sono giovani, adulti e famiglie, che in piccoli gruppi partono verso paesi lontani, dove li aspettano comunità e villaggi per percorrere insieme un pezzo di strada e fare l’esperienza dell’accoglienza e dello scambio fra culture diverse, del donarsi all’altro e “farsi uno” nelle gioie e nei dolori. Perché – ne sono certi – l’uomo realizza pienamente sé stesso amando il suo prossimo. E la fraternità è possibile anche fra persone di fedi e convinzioni differenti: “Fai all’altro ciò che vorresti fosse fatto a te” è la Regola d’oro che tutti gli uomini possono far propria. Questi piccoli gruppi sono i cosiddetti “focolari temporanei”, traduzione itinerante dei tradizionali focolari, centri nodali del Movimento sul territorio e cuore pulsante della vita al suo interno. Negli ultimi anni ne sono nati a decine. Nel solco dei “pionieri” del Movimento dei Focolari, che a partire dagli anni ’50 furono inviati da Chiara Lubich nei diversi continenti per portare il carisma dell’unità. Come moderni apostoli. In Nepal, punto di incontro tra le popolazioni mongole dell’Asia e quelle caucasiche delle pianure indiane, con una spiritualità profonda che al buddismo affianca il cristianesimo e l’induismo, un gruppo di focolarini ha compiuto il suo viaggio. Dal 20 ottobre al 7 novembre, dalla capitale Kathmandu a Dharan, nel sud, e poi più a nord fino a Pokhara. Soprattutto creando legami. Provenienti da India, Italia e Gran Bretagna, fin da subito i membri del focolare si sono immersi nella cultura nepalese. Al loro arrivo era in corso il Dashain Hindu festival, il più grande festival indù che coinvolge l’intero Paese, e hanno partecipato al rito della Tika, ricevendo la tradizionale benedizione. A Daharan il gruppo è stato accolto in alcune parrocchie, ha raccontato della storia del Movimento e dell’impegno per la fraternità universale. Grande l’entusiasmo delle persone incontrate come dei sacerdoti. Nella capitale, al gruppo si sono uniti due giovani nepalesi che hanno partecipato al Genfest 2018 di Manila, condividendo la loro esperienza con gli studenti di una scuola guidata da padri gesuiti. A Pokhara l’incontro con alcune famiglie indù, povere e senza mezzi: armonia e dignità riempivano quelle case. I focolarini hanno parlato dell’ideale dell’unità, prima di essere invitati a pranzare insieme ascoltando musiche tradizionali. Il gruppo ha poi fatto visita al Vescovo Paul Simick, Vicario apostolico del Nepal, che si è detto felice per la loro presenza nel Paese e li ha invitati ad incontrare i sacerdoti. Un viaggio di arricchimento reciproco, quello in Nepal, dove l’ideale dell’unità ha incontrato la cultura locale. Un detto buddista lo descrive efficacemente: Coloro che hanno pensieri “alti”, non sono felici di restare nello stesso posto, ma come i cigni lasciano la loro casa e volano verso una casa più alta.

Claudia Di Lorenzi

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Corea: un ospite di eccezione alla Sung Sim Dang

Corea: un ospite di eccezione alla Sung Sim Dang

Il 24 gennaio Moon Jae-in, Presidente della Repubblica di Corea, ha fatto visita alla Panetteria Sung Sim Dang che aderisce al progetto Economia di Comunione. Per un imprenditore la visita del Presidente della Repubblica nella propria azienda è un evento a dir poco eccezionale, ma se la visita avviene proprio nel giorno del suo compleanno, ancora di più!  È quello che è successo a Daejeon ad Amata Kim e Fedes Im, imprenditori dell’Economia di Comunione (Edc) coreani della nota Panetteria Sumg Sim Dang.   Moon Jae-in, presidente della Corea del Sud dal maggio 2017 noto in occidente per esser riuscito a dare il via al processo di pace con la Corea del Nord dopo quasi 70 anni di guerra fredda, ha festeggiato il suo compleanno alla Sung Sim Dang con una magnifica torta ed ha potuto conoscerne da vicino la storia e la realtà. Il suo post su Instagram ha raccolto in poche ore oltre 76.000 like. Interessante il suo commento alla foto: “Sono stato sorpreso oggi di festeggiare il mio compleanno al panificio Sung Sim Dang di Daejeon. Durante la guerra del 1950 mio padre e il fondatore della panetteria (padre di Fedes ndr) erano sulla stessa nave di evacuazione, la Victoria, per fuggire dal Nord Corea. È per noi oggi molto caro e prezioso ricordare questo momento di storia. Il giorno del mio compleanno è un giorno come un altro ma oggi mi ricarico di nuova forza per gli auguri di molti. Grazie!” L’evento ha avuto una grossa eco sui media, anche per il grande valore – riconosciuto universalmente – che l’ azienda Edc Sung Sim Dang rappresenta per l’intera città di Daejeon. Clicca qui per vedere le immagini video dei momenti salienti della visita. Fonte:   www.edc-online.org

Antonella Ferrucci

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Migranti: oltre l’assistenzialismo

Migranti: oltre l’assistenzialismo

A Trieste (Italia) storie di accoglienza nel quotidiano. Il racconto di chi la vive in prima persona. “Insieme a Caritas e al Consorzio Italiano di Solidarietà (ICS) ci occupiamo soprattutto di famiglie di migranti e profughi con i loro bambini, ospiti presso una struttura di prima accoglienza nella nostra città, Trieste, e in provincia. Da tre anni, ogni settimana, con continuità, abbiamo attivato delle azioni concrete: un gruppetto di noi insegna italiano alle mamme in modo da far loro completare i corsi di studio per aiutarle ad affrontare meglio la quotidianità; altri giocano con i bambini e li seguono nei compiti. Sono passate dal centro ormai tante famiglie e con quasi tutte è rimasto un rapporto, anche dopo il loro trasferimento in altre case. In collaborazione, poi, con AFN – Associazione Famiglie Nuove, abbiamo avviato un progetto, autofinanziato da alcune persone della comunità, per aiutare in particolare una famiglia di nazionalità curda in difficoltà che, dopo due anni di sostegno, ora ha raggiunto la sua autonomia, permettendo loro di abitare in un appartamento in affitto grazie al lavoro che ha finalmente adesso il padre. Con altri piccoli progetti stiamo sostenendo le esigenze di altre famiglie, facendo in modo che le mamme possano seguire dei corsi di specializzazione per un possibile lavoro e i bambini possano integrarsi nelle varie attività con i loro compagni, per esempio nelle attività sportive. Li seguiamo nelle visite e cure mediche, nella ricerca della casa, abbiamo trovato alcuni lavoretti per le mamme, abbiamo potuto iscrivere un papà alla scuola guida e oggi lavora guidando i camion presso una ditta del porto. Con l’aiuto di alcune famiglie abbiamo potuto far partecipare ad una “vacanza famiglie” anche una mamma vedova africana con due bambini, che ne aveva necessità. Cerchiamo di vivere con loro momenti di vita quotidiana come i compleanni, le gite ai parchi la domenica, una gita in barca, il capodanno, il carnevale ma anche momenti di preghiera come in occasione del Ramadam con chi è di religione musulmana. Domenica 25 novembre 2018 abbiamo voluto rispondere concretamente all’appello di Papa Francesco che ha indetto la giornata mondiale dei poveri: “Questo povero grida e il Signore lo ascolta” e invitava così ogni cristiano e le varie comunità ad ascoltare questo grido e a cercare di offrire risposte con gesti concreti. Aggiungeva: “Affinché questo grido non cada invano”. Abbiamo pensato di organizzare così un pranzo – denominato “Festa dell’Amicizia” – all’insegna della condivisione con persone in difficoltà: rifugiati, profughi, disoccupati, poveri della nostra città. Si è riusciti a coinvolgere anche la nostra comunità dei Focolari chiedendo un aiuto concreto sia per il pranzo che per l’aiuto in sala e anche agli amici stessi che sono stati invitati è stato richiesto, per chi poteva e disponeva di una cucina, di contribuire con un pugno di cibo tipico dei loro paesi di provenienza. Eravamo un’ottantina: dal Camerun, Nigeria, Egitto, Tunisia, Russia, Pakistan, Kurdistan, Kossovo. Con nostra sorpresa, per la Caritas stiamo diventando un punto di riferimento, un “progetto” che va oltre l’assistenzialismo. Ci chiamano per condividere programmi, progetti e, in alcune occasioni anche per cercare soluzioni. Ci sembra siano rimasti coinvolti da questo nostro modo di fare accoglienza che, conclusa la fase di emergenza, punta alla reciprocità. Sentiamo che, in mezzo a questo caos, dove ciascuno magari non trova un punto di riferimento valoriale, quale quello dell’accogliere gli ultimi, non possiamo fermarci ma dobbiamo continuare a dare speranza”.

Paola Torelli Mosca, a nome del gruppo accoglienza migranti Trieste

Fonte: www.focolaritalia.it (altro…)

Una giornata straordinaria

Una giornata straordinaria

Ricordare Alberta Levi Temin attraverso il racconto della sua storia, parlare della Shoah con i ragazzi di una scuola media e lanciare la Regola d’oro per costruire da subito un mondo più in pace, più unito.

Alberta Levi Temin

Il sole splendido ha fatto da cornice ad una giornata speciale ad Ischia – un’isola del golfo di Napoli (Italia) – dove il 23 gennaio scorso alcuni ragazzi della Scuola Media “Giovanni Scotti” hanno potuto conoscere la storia di Alberta Levi Temin, ammiratrice di Chiara Lubich e testimone diretta della tragedia dell’olocausto, attraverso la presentazione del libro “Finché avrò vita parlerò”(Ed. L’Isola dei Ragazzi). Alla presenza di un gruppo di amici dei Focolari tra docenti, alunni e genitori, ma anche dell’autore del libro Pasquale Lubrano Lavadera e della prof.ssa Diana Pezza Borrelli (legata ad Alberta da un rapporto fraterno, alimentato anche nell’Associazione “Amicizia Ebraico-Cristiana” di Napoli), i ragazzi hanno ascoltato il racconto emozionante della sua storia. “Alberta un giorno venne a parlare nella mia scuola, – dice Pasquale – lei, di religione ebraica, insieme alla sua carissima amica Diana, di fede cattolica. Era stata invitata a raccontare a tutti i ragazzi e a noi docenti l’orrore della Shoah, ma anche a testimoniare che il dialogo è possibile fra tutti gli uomini senza distinzione di razze, di fedi o di convinzioni. Mi colpì la sua frase: –La famiglia umana è una e siamo tutti fratelli.” Alberta è morta nel 2016, ma durante la sua vita ha sempre avuto un unico pensiero che l’ha sorretta e le ha dato sempre gioia: è la Regola d’oro “Fai agli altri ciò che vorresti fosse fatto a te, non fare agli altri ciò che non vorresti fosse fatto a te”. Si è sempre battuta per il dialogo nella società a tutti i livelli. “Oggi più che mai capisco che bisogna avere un amore più grande – sosteneva Alberta – e, come dice Chiara Lubich, bisogna Amare la patria altrui come la propria. Dobbiamo avere amore per tutta l’umanità, solo in questo humus può nascere il dialogo”. “Ogni scuola dovrebbe dedicare in ogni classe una o due ore a settimana per insegnare il bene relazionale, quel bene che può aiutare i ragazzi a stare tra loro con serenità e a studiare insieme in uno spirito di collaborazione e di ricerca comune. Puntare a fare dell’esperienza scolastica, che è la prima e fondamentale esperienza sociale dell’uomo, una vera esperienza di aiuto reciproco”. Di tutto questo Alberta era convinta. Al termine del racconto, ai ragazzi è stato proposto di vivere la Regola d’oro,  strumento di pace e di dialogo, comune a tutte le religioni. A sigillo della giornata, la Dirigente Scolastica, prof.ssa Lucia Monti, ha posto una targa all’ulivo della pace dedicato a lei, per dirle grazie e perché la sua testimonianza continui a parlare. “Grazie – ha detto anche Chiara, un’alunna della scuola – per il messaggio di fratellanza che ci avete trasmesso, mi ha colpito molto che i cattolici si incontrano con ebrei e persone di altre religioni per costruire il mondo unito.” “Sento di ringraziare Alberta per la sua vita, la sua sapienza – ha affermato Pasquale Lubrano – e vorrei che ciascuno di noi, leggendo la sua storia, ora che lei non è più tra noi, possa partecipare pienamente a quella ‘bellezza’ interiore che l’ha resa unica, per poterla poi donare a tanti.” E ha concluso: “Ho provato oggi una grande emozione nell’ascolto attento dei ragazzi, nella loro vivace reazione, nei loro sguardi indagatori, nell’avere intravisto in ogni studente l’esigenza di vivere l’Amore per ogni uomo nella consapevolezza che la famiglia umana è una sola.”

Lorenzo Russo

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La GMG nel Paese “ponte”

A Panama è in corso la XXXIV Giornata Mondiale della Gioventù. Intervista alla giornalista panamense Flor Ortega, della comunità dei Focololari.   Nel logo della XXIV Giornata Mondiale della Gioventù, incentrata sul tema “Ecco la serva del Signore; avvenga per me secondo la tua parola” (Lc 1,38), la sagoma “a ponte” rappresenta il  piccolo istmo di Panama e ne simboleggia lo spirito di accoglienza. Un sottile braccio di terra di appena 75 mila chilometri quadrati, bagnato da due oceani, l’Atlantico e il Pacifico, che mette in contatto non solo le due Americhe, ma tutti i continenti, attraverso il canale che può essere oltrepassato dalle navi in transito. Un Paese ospitale, dalle porte aperte, specie per i numerosi migranti che lo hanno sempre attraversato da Nord o da Sud. Come avete lavorato alla preparazione di questo evento? “Quando il 31 luglio 2016, nel ‘Campus Misericordiae’ di Cracovia, in Polonia, Papa Francesco ha annunciato che la XXXIV Giornata Mondiale della Gioventù 2019 si sarebbe svolta a Panama, immediatamente il Movimento dei Focolari della zona del Mesoamerica, di cui Panama fa parte, ha aderito con entusiasmo”. Flor Ortega, giornalista panamense, ha seguito da subito l’aspetto della comunicazione. “All’inizio non avevamo molte notizie e abbiamo formato delle commissioni per informare tempestivamente tutti sui vari aspetti della preparazione. Ora la presenza sui media e sui social è molto forte”. Il 17 maggio, a Panama City, durante una celebrazione eucaristica con migliaia di partecipanti, l’Arcivescovo José Domingo Ulloa ha proposto delle giornate di preghiera, il 22 di ogni mese, fino a dicembre, in preparazion alla GMG. Lo stesso Arcivescovo, alcuni giorni dopo, nel suo ufficio, ha chiesto ai giovani del Movimento dei Focolari di occuparsi della prima, il 22 giugno. Come hanno aderito i giovani a questa proposta? “Con entusiasmo e impegno. Carmen Cecilia, di Panama, ci ha poi detto che questo impegno le ha fatto rivalutare la preghiera, la partecipazione all’Eucaristia, la recita del Rosario ‘come occasioni per stare faccia a faccia con Gesù’”. Molti giovani dei Focolari, sia di Panama che di altri Paesi, stanno lavorando da mesi al progetto di un evento di due giorni, al termine della GMG, dal 29 al 31 gennaio, per circa 400 partecipanti. “Gli adulti li hanno supportati provvedendo all’organizzazione dei pasti e degli alloggi, con diverse iniziative per raccogliere risorse. I giovani, da parte loro, hanno creato un programma per la registrazione on line e aperto un servizio di consultazione e di ‘call center’, per raccogliere i contributi anche da altri Paesi. Il focolare femminile di Panama è diventato per tutti un punto di riferimento anche logistico. Keilyn, del Costa Rica, l’ha definita ‘un’occasione per conoscere la comunità del Panama, molto unita e laboriosa, un vero modello’”. Dall’Italia sono arrivati a Panama anche Jesus Moran, vicepresidente dei Focolari, e il complesso internazionale del Gen Verde, che ha preso parte a due eventi introduttivi, il primo a Chitré, capoluogo della provincia di Herrera, sul Golfo di Panama, e il secondo a Colón, sulla costa atlantica. La band sarà presente anche la sera del 26 gennaio, durante la veglia in preparazione della messa conclusiva con Papa Francesco. “Pro mundi beneficio”, “a beneficio del mondo”, è scritto sullo stemma ufficiale di Panama. Cosa significa? “Il motto è legato alle finalità di servizio assolte dal canale. Ma siamo certi di poterlo estendere ora, idealmente, al messaggio che partirà da questa GMG”.

Chiara Favotti

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IUS in visita al Patriarca Bartolomeo I

IUS in visita al Patriarca Bartolomeo I

L’iniziativa è stata promossa dalla «Cattedra Ecumenica Internazionale Patriarca Athenagoras-Chiara Lubich», istituita a seguito del dottorato honoris causa conferito allo stesso Patriarca Bartolomeo nel 2015. “Continuate il percorso che avete intrapreso sulla via del dialogo, perché esso è riconciliazione, è incontro, è capacità di comprendere, è filantropia divina, è accoglienza del diverso, è trasfigurazione del mondo, è accogliere Dio nella storia umana.  Portate questo messaggio a tutti coloro che a qualsiasi titolo partecipano alla opera del Vostro Istituto, abbracciando fraternamente la Presidente del Movimento dei Focolari, Maria Voce e tutti i fratelli e sorelle del Movimento. Il Patriarcato Ecumenico è anche la Vostra casa, questa città di Costantino è anche la vostra città, perché non siete stranieri ma siete amici per noi”. È l’augurio finale che il Patriarca Ecumenico di Costantinopoli, Bartolomeo I, ha rivolto a 30 tra docenti e studenti dell’Istituto Universitario Sophia (Loppiano) di diversi Paesi che, insieme al preside, Mons. Piero Coda, si sono recati alla sua sede al Fanar (Istanbul – Turchia). La visita della delegazione di Sophia al Patriarcato ecumenico si è svolta dall’8 al 12 gennaio ed è stata promossa dalla “Cattedra ecumenica internazionale Patriarca Athenagoras – Chiara Lubich”, istituita a seguito del dottorato h.c. conferito al Patriarca Bartolomeo il 26 ottobre 2015 per “far memoria e rilanciare lo spirito profetico che animò la straordinaria sintonia di cuore e di mente tra il Patriarca Athenagoras I e Chiara Lubich, a ridosso del Concilio Vaticano II e dello storico incontro del Patriarca con Papa Paolo VI”. La trasferta accademica prevedeva tra l’altro, insieme all’udienza col Patriarca, l’incontro col Metropolita Gennadios Zervos, presente in questi giorni a Istanbul per il Santo Sinodo, e col Metropolita Elpidophoros di Bursa presso il Monastero della Santa Trinità nell’isola di Halki (Turchia), avvenuta il 10 gennaio. Da questo incontro sono nate feconde prospettive di cooperazione tra il Seminario e l’Istituto Universitario Sophia, tra cui una Summer School, da realizzarsi probabilmente nella tarda primavera del 2020. La visita ha assunto particolare rilievo nel delicato momento di tensione che attraversa oggi il mondo ortodosso, perché intende riproporre l’impegno a percorrere con tenacia la via della reciproca conoscenza e del reciproco scambio di doni per promuovere la fraternità e la comunione. (altro…)

Nasce il Patto per una nuova governance delle città

Nasce il Patto per una nuova governance delle città

Si è concluso il convegno “Co-Governance, corresponsabilità nelle città oggi” con un documento che propone a cittadini e amministrazioni pubbliche la pratica della partecipazione e della costruzione di reti di cittadini, attori sociali e città. “La politica è l’amore degli amori che raccoglie nell’unità di un disegno comune la ricchezza delle persone e dei gruppi, consentendo a ciascuno di realizzare liberamente la propria vocazione” si è da poco concluso con le parole quantomeno sfidanti di Chiara Lubich, fondatrice dei Focolari, “Co- Governance, corresponsabilità nelle città oggi”, il convegno dedicato al governo partecipato delle città promosso da Movimento Umanità Nuova, Movimento Politico per l’Unità e Associazione Città per la Fraternità, espressioni dell’impegno sociale e politico dei Focolari. E’ stata la prima edizione dell’evento che tra due anni verrà replicato in Brasile. All’appuntamento hanno partecipato oltre 400 amministratori pubblici, politici, imprenditori, accademici e cittadini di 33 Paesi. Al centro dei lavori c’è stata la partecipazione, presentata nelle sue numerose applicazioni, come hanno mostrato le storie e le prassi condivise dagli oltre 60 esperti nei campi dell’urbanistica, comunicazione, servizi, economia, politica, ambiente. “Siamo convinti che la partecipazione sia una scelta strategica, il modo più consono di vivere bene dentro la città – spiega Lucia Fronza Crepaz, già parlamentare, formatrice presso la “Scuola di preparazione sociale” a Trento e membro del comitato scientifico dell’evento. “Una partecipazione non concepita come sostituzione della procedura della rappresentanza, ma scelta come una modalità efficace per affrontare la complessità dei problemi e ridare quindi corpo alla delega democratica”. Frutto dei lavori è l’approvazione e la firma del “Patto per una nuova Governance” con il quale i partecipanti s’impegnano a “contaminare” le proprie comunità e amministrazioni pubbliche. I 400 firmatari del patto si sono impegnati a comporre tre reti per aggregare le diversità e rispondere alla complessità del reale. Sono reti di cittadini: “Coloro che abitano il territorio urbano mantengono diversità di funzioni e compiti, ma sono ispirati dalla stessa responsabilità”; reti di attori collettivi, cioè gruppi professionali ed economici, soggetti del volontariato e dell’ambito religioso, della cultura e dell’università, della comunicazione, ecc.”; reti tra le città: “… che si propongono di far collaborare prima di tutto la cittadinanza con la creazione di piattaforme accessibili a tutti e di facile uso. Cooperano superando gli interessi particolari e i pregiudizi che minano la fiducia, fondamento indispensabile alla costruzione di una rete.  

Stefania Tanesini

Info e testi del convegno: www.co-governance.org (altro…)

Un supplemento d’amore

Oggi 22 gennaio il Movimento dei Focolari ricorda la nascita di Chiara Lubich avvenuta in questo giorno nel 1920. Una data che cade al cuore della “Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani” (celebrata in Europa). Un’occasione per ricordare la Fondatrice dei Focolari e la sua passione per l’unità attraverso la “preghiera ecumenica” da lei pronunciata nel 1998 ad Augsburg (Germania). Se noi cristiani diamo uno sguardo alla nostra storia di 2000 anni ed in particolare a quella del secondo millennio, non possiamo non rimanere ancora addolorati nel costatare come essa è stata spesso un susseguirsi di incomprensioni, di liti, di lotte. Colpa certamente di circostanze storiche, culturali, politiche, geografiche, sociali…; ma anche del venir meno fra i cristiani di quell’elemento unificatore loro tipico: l’amore. (…) Ma, se Dio ci ama, noi non possiamo certo rimanere inerti di fronte a tanta divina benevolenza; da veri figli e figlie dobbiamo contraccambiare il suo amore anche come Chiesa. Ogni Chiesa nei secoli si è, in certo modo, pietrificata in se stessa per le ondate di indifferenza, di incomprensioni, se non di odio reciproco. Occorre perciò per ognuna un supplemento di amore. Amore, dunque, verso le altre Chiese e amore reciproco fra le Chiese, quell’amore che porta ad essere ognuna dono alle altre, poiché si può prevedere che nella Chiesa del futuro una ed una sola sarà la verità, ma espressa in maniere diverse, osservata da varie angolazioni, abbellita da molte interpretazioni. Amore reciproco però che è veramente evangelico, e quindi valido, se praticato nella misura voluta da Gesù: amatevi gli uni gli altri – egli ha detto -, come io vi ho amato. “Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri fratelli.” (cf Gv 15,13). (..) So, anche per esperienza, che, se noi tutti vivremo così, ci saranno frutti eccezionali, si avrà soprattutto un particolare effetto: vivendo assieme questi diversi aspetti del nostro cristianesimo avvertiremo di formare, sin d’ora, in certo modo, un solo popolo cristiano che potrà essere un lievito per la piena comunione tra le Chiese. Sarà quasi l’attuarsi di un altro dialogo, dopo quello della carità, quello teologico e della preghiera: un dialogo della vita, il dialogo del popolo di Dio. Dialogo più che urgente ed opportuno se è vero, come la storia insegna, che vi è poco di garantito in campo ecumenico, quando non vi è coinvolto il popolo. Dialogo che farà scoprire con maggior evidenza e valorizzare tutto il grande patrimonio già comune fra noi cristiani, costituito dal battesimo, dalla Sacra Scrittura, dai primi Concili, dai Padri della Chiesa, ecc. Attendiamo di vedere realizzarsi questo popolo, popolo che già qua e là nel mondo cristiano sta apparendo e che abbiamo fiducia che apparirà pure qui. (Chiara Lubich, Augsburg-Germania, 29 novembre 1998) Fonte: Centro Chiara Lubich (altro…)