Ago 29, 2015 | Centro internazionale, Chiara Lubich, Chiesa, Focolari nel Mondo, Spiritualità
Pasquale Foresi è intervenuto innumerevoli volte con la parola e con lo scritto a presentare la teologia del carisma di Chiara Lubich nella sua dimensione sociale e spirituale, sottolineandone con autorevolezza la novità, sia in ordine alla vita che al pensiero. Il periodo tra gli anni 1990 e 1998 è stato per lui particolarmente intenso nel rispondere, in tante occasioni, a numerose domande di membri del Movimento di tutte le vocazioni e delle più svariate provenienze geografiche e culturali. In uno di questi interventi, risponde a chi gli chiede un consiglio su come vivere l’umiltà: «Vivere l’umiltà significa semplicemente accettare di essere quello che si è – risponde Foresi–. E noi siamo tutti peccatori. Se qualcuno dice “Io non sono un peccatore”, mente. Quindi l’umiltà possiamo sempre averla. A me è sembrato pieno di sapienza e mi ha aiutato a viverla lo schema di san Benedetto, che potrebbe sintetizzarsi nel modo seguente. II primo passo per essere umili è accettare le umiliazioni, le mortificazioni. A un certo momento qualcuno parla male di te nel tuo ufficio, nel tuo ambiente di lavoro, magari ci può essere un’incomprensione con un’altra persona, o una vera e propria calunnia… Bisogna saper accettare queste tribolazioni e difficoltà. II secondo passo è amare queste umiliazioni, che è qualcosa di più che accettare. Questo vale ad esempio quando abbiamo dato la vita per gli altri e sorgono nella comunità delle accuse, dei giudizi, proprio da parte di persone per le quali abbiamo fatto tanto. Spesso sono delle critiche che hanno qualcosa di vero, ma sono esagerate. È difficile amare tali umiliazioni, ma sono importanti per crescere nella vita di Dio. II terzo passo è prediligere le umiliazioni: non solo amarle, ma esserne contenti. Come quando per esempio qualcuno parla male di te e dici: “Questa è una grazia di Dio che ricevo in questo momento … “. Qui si trova il massimo grado a cui tutti dobbiamo tendere, perché ci rimette in quella umiltà che ci avvicina. Ovviamente le calunnie, per quanto possibile, si devono chiarire, ma sempre con distacco, vivendo il Vangelo, il quale dice ad esempio: “Beati sarete quando, mentendo, diranno contro di voi ogni sorta di male per causa mia. Rallegratevi e gioite perché il vostro premio e grande nei Cieli”». Da: Pasquale Foresi – COLLOQUI, domande e risposte sulla spiritualità dell’unità, Città Nuova Editrice, Roma 2009, pag. 64. (altro…)
Ago 28, 2015 | Focolari nel Mondo
Il consueto appuntamento, quest’anno raduna per due settimane i delegati di 36 regioni del mondo e responsabili di 6 cittadelle, per fare il bilancio dell’anno trascorso circa la vita del Movimento nei numerosi paesi dov’è presente, e per definire le linee e aprirsi alle nuove sfide dell’anno che inizia. (altro…)
Ago 28, 2015 | Parola di Vita
Ecco una di quelle parole del Vangelo che domandano di essere vissute subito, con immediatezza. È così chiara, limpida – ed esigente – che non richiede tanti commenti. Per cogliere la forza in essa contenuta può essere tuttavia utile ricollocarla nel suo contesto. Gesù sta rispondendo alla domanda di uno scriba – uno degli studiosi della Bibbia – che gli ha chiesto quale fosse il più grande comandamento. Era una questione aperta, soprattutto da quando nelle Sacre Scritture erano stati individuati 613 precetti da osservare. Uno dei grandi maestri vissuto pochi anni prima, rabbi Shammaj, si era rifiutato di indicare il comandamento supremo. Altri invece, come farà poi Gesù, si orientavano già sulla centralità dell’amore. Rabbi Hillel, ad esempio, affermava: «Non fare al prossimo tutto ciò che è odioso a te; questa è tutta la legge. Il resto è solo spiegazione».[1] Gesù non soltanto riprende l’insegnamento sulla centralità dell’amore, ma pone insieme, come unico comandamento, l’amore di Dio (cf. Dt 6, 4) e l’amore del prossimo (cf. Lv 19, 18). La risposta che egli dà allo scriba che lo interroga è infatti: «Il primo [comandamento] è: Ascolta, Israele! Il Signore nostro Dio è l’unico Signore; amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore e con tutta la tua anima, con tutta la tua mente e con tutta la tua forza. Il secondo è questo: Amerai il tuo prossimo come te stesso. Non c’è altro comandamento più grande di questi». «Amerai il tuo prossimo come te stesso» Questa seconda parte dell’unico comandamento è espressione della prima parte, l’amore di Dio. A Dio sta talmente a cuore ogni sua creatura che per dargli gioia, per dimostrargli a fatti l’amore che abbiamo per lui, non vi è modo migliore che essere l’espressione del suo amore verso tutti. Come i genitori sono contenti quando vedono i loro figli andare d’accordo, aiutarsi, stare uniti, così anche Dio – che verso di noi è come un padre e una madre –, è contento quando vede che amiamo il prossimo come noi stessi, contribuendo così all’unità della famiglia umana. Già da secoli i Profeti andavano spiegando al popolo d’Israele che Dio vuole l’amore e non i sacrifici e gli olocausti (cf. Os 6, 6). Gesù stesso richiama il loro insegnamento, quando afferma: «Andate a imparare che cosa vuol dire: Misericordia io voglio e non sacrifici» (Mt 9, 13). Come infatti si può amare Dio che non si vede, se non si ama il fratello che si vede? (cf. 1 Gv 4, 20). Lo si ama, lo si serve, lo si onora, nella misura in cui amiamo, serviamo, onoriamo ogni persona, amica o sconosciuta, del nostro o di altri popoli, soprattutto i “piccoli”, i più bisognosi. È l’invito, rivolto ai cristiani di ogni tempo, a trasformare il culto in vita, ad uscire dalle chiese, dove si è adorato, amato, lodato Dio, per andare incontro agli altri, in modo da attuare quanto si è appreso nella preghiera e nella comunione con Dio. «Amerai il tuo prossimo come te stesso» Come vivere dunque questo comando del Signore? Ci ricordiamo innanzitutto che esso fa parte di un dittico inscindibile, che comprende l’amore di Dio. Occorre darsi il tempo per conoscere cos’è l’amore e come si ama, e quindi occorre fare spazio ai momenti di preghiera, di “contemplazione”, di dialogo con lui: lo si impara da Dio, che è Amore. Non si ruba tempo al prossimo quando si sta con Dio, anzi ci si prepara ad amare in modo sempre più generoso e appropriato. Nello stesso tempo, quando torniamo da Dio dopo aver amato gli altri, la nostra preghiera è più autentica, più vera, e si popola di tutte le persone incontrate, che riportiamo a lui. Per amare il prossimo come se stessi occorre poi conoscerlo come si conosce se stessi. Dovremmo giungere ad amare come l’altro vuole essere amato e non come a noi piacerebbe amarlo. Adesso che le nostre società si fanno sempre più multiculturali, con la presenza di persone provenienti da mondi molto diversi, la sfida è ancora più grande. Chi va in un Paese nuovo deve conoscerlo nelle sue tradizioni e nei suoi valori; soltanto così può capire e amare i suoi cittadini. Lo stesso per chi accoglie i nuovi immigrati, spesso spaesati, alle prese con una nuova lingua, con problemi di inserimento. Le diversità sono presenti all’interno della stessa famiglia, o negli ambiti di lavoro e di vicinato, anche quando sono composti da persone della stessa cultura. A noi piacerebbe trovare qualcuno pronto a dedicare il suo tempo ad ascoltarci, ad aiutarci a preparare un esame, a trovare un posto di lavoro, a riordinare la casa? Forse anche l’altro ha esigenze simili. Dobbiamo saperle intuire, facendoci attenti a lui, ponendoci in ascolto sincero, mettendoci nei suoi stessi panni. Conta anche la qualità dell’amore. L’apostolo Paolo, nel celebre inno alla carità, enumera alcune sue caratteristiche che non sarà inutile ricordare: essa è paziente, vuole il bene dell’altro, non è invidiosa, non assume atteggiamenti di superiorità, considera l’altro più importante di sé, non manca di rispetto, non cerca il proprio interesse, non si adira, non tiene conto del male ricevuto, tutto copre, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta (cf. 1 Cor 13, 4, 7). Quante occasioni dunque e quante sfumature nel vivere: «Amerai il tuo prossimo come te stesso» Possiamo infine ricordare che questa norma dell’esistenza umana è alla base della famosa “regola d’oro” che troviamo in tutte le religioni e nei grandi maestri della stessa cultura “laica”. Potremmo cercare, alle origini della propria tradizione culturale o credo religioso, analoghi inviti ad amare il prossimo e aiutarci a viverli insieme, indù e musulmani, buddhisti e aderenti alle religioni tradizionali, cristiani e uomini e donne di buona volontà. Dobbiamo lavorare insieme per creare una nuova mentalità che dia valore all’altro, che inculchi il rispetto della persona, la tutela delle minoranze, l’attenzione verso i soggetti più deboli, che decentri dai propri interessi per mettere al primo posto quelli dell’altro. Se tutti fossimo davvero consapevoli di dover amare il prossimo come noi stessi, fino a non fare all’altro ciò che non vorremmo fosse fatto a noi e che dovremmo fare all’altro ciò che vorremmo che l’altro facesse a noi, cesserebbero le guerre, la corruzione sparirebbe, la fraternità universale non sarebbe più un’utopia, la civiltà dell’amore diventerebbe presto una realtà. Fabio Ciardi [1] TB, Shab. 31a (altro…)
Ago 28, 2015 | Cultura, Focolare Worldwide, Focolari nel Mondo
Ogni giorno, in tutto il mondo, migliaia di persone si alzano per vivere l’esperienza di un’economia solidale. Aldo Calliera è proprietario della azienda El Alba, inserita nel progetto dell’Economia di Comunione (EdC), che si occupa di allevamento di bestiame a Santiago del Estero, nel Nord dell’Argentina. Per la gente di campagna il lavoro comincia molto presto: per chi arriva da lontano, anche prima dell’alba. Ha i suoi riti e la matera è uno di essi. Prima di iniziare la giornata si prepara il mate, infusione tipica dell’America del Sud che si beve in “cerchio”. In ogni giro si condividono i racconti, problemi e successi, le storie dell’uno e dell’altro, e così si va riscaldando il corpo man mano che si tessono legami di amicizia tra i compagni di fatica. L’imprenditore non voleva perdersi questa antica tradizione dei suoi gauchos argentini e cominciò a frequentare anche lui molto presto la matera, ma vide con sorpresa che al suo arrivo la conversazione languiva e il silenzio riempiva il cerchio. Così un giorno dopo l’altro. I gauchos sono educati in una cultura per la quale, all’arrivo del padrone, automaticamente si smette di parlare, non per disappunto ma perché, dai tempi della Conquista fino ad oggi, sono state molte le generazioni nelle quali si è inculcata l’idea che l’operaio è inferiore al padrone. Così, egli se ne andava ogni volta con la sensazione di aver preso un pugno allo stomaco e il cuore rimpicciolito per non essere stato capace di attraversare quel muro. Ma la sua tenacia ha fatto sì che, a poco a poco, tutti si siano aperti e così sono venute fuori le parole e i nomi. Tutti tranne uno: Ernesto. Un giorno, stava programmando “il servizio”, che è il luogo e il tempo dell’accoppiamento allo scopo di produrre vitelli. Dopo la pianificazione, l’ingegnere che era con lui si accingeva a dare gli ordini agli operai; ma Aldo Calliera lo ha anticipato dicendo: “Lascia a me il compito di parlare con i miei uomini”. Così ha spiegato loro quello che si voleva fare e, invece di limitarsi a dare istruzioni, ha chiesto il loro parere. Ernesto, del quale l’imprenditore appena conosceva la voce, ha parlato per la prima volta: “Credo che l’anno prossimo non avremo vitelli”. Doppia sorpresa per Calliera, che gli ha chiesto il perché. La risposta è stata semplice: nel terreno dove avevano programmato il servizio non c’era abbastanza acqua per tutti gli animali. Possiamo pensare che chiunque lo avrebbe detto, ma, in queste culture, al padrone si è soliti rispondere: “Sissignore”, anche se si pensa il contrario. «Ho capito che solo avendo una visione antropologicamente ottimistica dell’altro – riflette Calliera – è possibile far venire fuori il meglio di ognuno. Che solo così è possibile vedere ricchezze che per altri rimangono nascoste e cercare il modo migliore per farle emergere. Che le ricchezze di ognuno sono virtù che si scoprono se c’è fiducia reciproca». Inutile dire che l’imprenditore ha ascoltato il consiglio di Ernesto cambiando il luogo del “servizio” e che le cose hanno funzionato per il meglio… La matera, è stata l’occasione per fare un salto culturale che ha aiutato tutti a costruire rapporti di reciprocità che né i lavoratori, né i loro genitori, né i loro nonni, avrebbero mai immaginato. Fonte: EdC online (altro…)
Ago 27, 2015 | Focolare Worldwide, Focolari nel Mondo, Senza categoria, Spiritualità
Una malattia
Mio marito da due anni è malato. Un tumore al cervello lo ha trasformato. Talvolta si lamenta perché gli cadono gli oggetti dalle mani. Con i figli ci siamo accordati per non fargli mai sentire che è successo qualcosa di strano… Tante volte, osservando la delicatezza con la quale trattano il padre, rendendomi conto di quali sacrifici e rinunce fanno pur di aiutare in famiglia, vedo in loro una maturità più grande dell’adolescenza. Stiamo vivendo una stagione della famiglia come mai avevamo vissuto. Nonostante il dolore inconfessabile che pesa sulle nostre giornate, sperimentiamo una grande serenità (B.S. – Polonia) Il vecchietto Non c’era più nulla da mangiare in casa. Ho preso un sacco di granturco e 1000 franchi: metà per il trasporto e metà per il mulino. Fermo il primo taxi. Accanto all’autista un uomo anziano dormiva profondamente. Ho notato che il tassista cercava di sfilargli il borsellino dalla borsa, così quando sono arrivata a destinazione ho detto: «Questo è mio padre: deve scendere con me». L’autista continuava a ripetermi che non era questo il posto che lui gli aveva detto, ma dietro la mia insistenza, per far scendere quell’uomo, mi ha chiesto 1000 fr. Glieli ho dati subito e, presa la borsa, ho tirato fuori il vecchietto che continuava a dormire. Da noi capita spesso che gli autisti narcotizzano per derubare. Il vecchietto si è svegliato quando gli ho gettato dell’acqua sulla testa. Ha cercato la sua borsa e ha controllato se c’erano tutti i soldi. Mi ha detto: «Mi hai salvato la vita» e mi ha dato 5.000 fr. Ho cercato un tassista di fiducia che lo ha accompagnato sano e salvo al suo villaggio (M. A. – Camerun)
Pantaloni alla moda In classe venivo preso in giro perché non ero vestito alla moda come gli altri. La mia famiglia era numerosa e vivevamo in campagna. Un giorno ho aiutato un compagno che aveva difficoltà con la matematica e siamo diventati amici. Un altro giorno gli altri hanno cominciato a canzonarmi per i miei pantaloni e lui si è messo a difendermi. Da quel momento non ci sono stati più problemi. Bisogna essere almeno in due per lottare contro le idee sbagliate. Nel giro di poco tempo siamo diventati tutti più amici, e quando si è trattato di scegliere il nuovo capoclasse hanno scelto me (E.C. – Italia) Il mendicante In comunità ogni giorno chiediamo la benedizione di Dio sui nostri cibi e di saperli condividere con chi non ne ha. All’ora di pranzo bussa il solito mendicante e non avevamo altro che un po’ di polenta per il pranzo e per la cena. E soldi non ne avevamo. Dico al mendicante che purtroppo non abbiamo nulla. Quando mi siedo a tavola non ho appetito. Poco dopo mi gira nella testa «Date e vi sarà dato». Allora ho preso quello che avevamo e l’ho dato al mendicante che era sempre in attesa. Non molto tempo dopo bussano alla porta. Una ragazza recava un grande piatto di polenta: «Ve lo manda la mamma». Incredibile la puntualità di Dio (Suor Madeleine – Burkina Faso) (altro…)
Ago 26, 2015 | Focolari nel Mondo
Incontro Interreligioso: una via per costruire la pace. Organizzato con il Movimento dei Focolari, l’Assemblea Europea si svolgerà a Castel Gandolfo dal 28 Ottobre al primo Novembre 2015 Programma
Ago 26, 2015 | Cultura, Focolare Worldwide, Focolari nel Mondo, Sociale
Cinque anni fa era inquadrato nelle classifiche tra i paesi con più alto tasso di “marginalità” sociale ed economica in Piemonte. Ma l’intera comunità ha imparato ad accogliere. Oggi, 30 profughi, quasi tutti africani oltre a una famiglia del Kosovo con tre bambini, vivono da otto mesi in un immobile di proprietà del Cottolengo. «Li abbiamo adottati», confidano due ultraottantenni sedute sulla panchina nella piazza del municipio. Lo avevano fatto anche durante la guerra, fa notare il presidente della “Pro Loco”, con gli ebrei e i partigiani. La Storia ritorna. Il sindaco Giacomo Lisa non ha dovuto convincere i 180 residenti del paese. Di questi solo 90 vivono a Lemie tutto l’anno. Era successo già nel 2011, quando era meno forte il problema dell’accoglienza dei profughi e dei rifugiati arrivati sulle coste italiane a bordo di un barcone arrugginito. Per Lemie già allora, quell’arrivo di “amici” aveva rappresentato una rinascita della comunità. 12 bambini, seguiti da formatori e dal parroco, erano anche stati battezzati nella chiesa parrocchiale durante una cerimonia destinata a entrare nella piccola storia del paese. Una festa. Tutte famiglie con bambini, accolti da famiglie e da altri bambini in quelle valli alpine. «Certo, all’inizio eravamo un po’ sorpresi – spiega Giacomo Lisa -, la popolazione qui ha una media di età molto alta, non è semplice aprirsi. O almeno non lo era. Non ho dovuto dare molte spiegazioni perché nessuno mi ha fatto domande. Accogliere ci è parso naturale». Così nel 2011, così oggi. E come allora, uomini e donne arrivati dalla Libia e da altri Paesi dell’Africa sub sahariana vorrebbero lavorare, rendersi utili. «Con la Provincia di Torino nel 2011 avevamo anche messo in piedi delle borse lavoro. Adesso alcuni stanno facendo domanda per prestare un “volontariato di restituzione” che fa bene a loro e a noi», commenta il primo cittadino.
Non solo questi “amici profughi” vorrebbero fermarsi in Italia, è la stessa comunità a chiedere loro di restare. «I cittadini li hanno subito accettati, direi di più, accolti – conferma Giacomo Lisa – e un paio di persone del posto hanno trovato lavoro come formatori, d’intesa con un’associazione legata ad una cooperativa. I problemi? «Solo di ordine burocratico. Hanno fatto domanda di protezione, come rifugiati, ma i tempi per le risposte sono lunghissimi». Poi i trasporti: «Chiederò a chi gestisce i pullman per Torino, di aiutarli; trovo inutile far pagare loro il biglietto per le corse che fanno verso il capoluogo». Quando chiedi al sindaco se il paese grazie ai profughi africani sia rinato, lui sorride e apre le braccia. «Guardi questa valle. È piena di seconde case, aperte solo qualche settimana d’estate. Molti giovani continuano ad andarsene, anche se il legame con il paese resta forte. Le nuove persone arrivate hanno portato molta vivacità. Basta scendere al parco giochi in un pomeriggio di sole per vedere finalmente dei bambini che giocano, urlano, si divertono. Hanno pure salvato la scuola». Scusi? «Certo. Cinque bambini in più nella scuola hanno permesso di mantenere più insegnanti e una migliore qualità formativa. Cosa possiamo volere di più da questi amici che abbiamo accolto? La famiglia si è allargata e Lemie non è più così piccolo e marginale. Vogliamo essere un paese diverso, nuovo, aperto a tutti». Fonte: Città Nuova online (altro…)
Ago 25, 2015 | Focolare Worldwide, Focolari nel Mondo, Sociale
Intense piogge hanno colpito recentemente le provincie argentine di Buenos Aires e Santa Fe. I media locali parlano di 20.000 persone colpite e di 4.000 evacuati. Ci sono strade chiuse e altre con circolazione ridotta. La pioggia non si attenua e continua l’allerta meteorologica. Comunque, in alcune zone l’acqua è cominciata a scendere lentamente. La cittadella “Mariapoli Lia”, immersa nella Pampa argentina, è stata letteralmente sommersa dall’acqua. Ovviamente, anche il “Polo Solidaridad” dove sorgono alcune aziende dell’Economia di Comunione. «L’acqua è entrata in due case del polo e anche nel garage di una terza – scrive Jorge Perrín, dal Polo Solidaridad –. Altre due sono a rischio: il livello dell’acqua è a pochi centimetri. Nel resto delle case, in alcune l’acqua è entrata in cantina ma le abitazioni sono per il momento sicure. Anche le serre di “Primicias” prossime alla strada sono allagate e la produzione si è persa, tranne una parte dei pomodori; le altre hanno troppa umidità sul terreno. “Pasticcino” (Biscotti per il caffè) sta consegnando i suoi prodotti col trattore di “Primicias”. Per il momento l’acqua non è entrata nelle abitazioni della cittadella». Come in buona parte della provincia di Buenos Aires, le lagune sono collegate tra di loro; i canali di scarico non sono sufficienti e gli specchi d’acqua diventano come dei mari. «Il canale della Mariapoli e del Polo era stato ripulito recentemente e funziona molto bene – spiega Perrín –. Se smetterà di piovere in pochi giorni l’acqua scenderà in tutta la cittadella. Diverso è il problema della strada che collega la cittadella col paese vicino, che drena da un’altra parte. L’accesso tra la Mariapoli e il paese vicino è completamente allagato e si può circolare soltanto con veicoli speciali». «La solidarietà fra noi è straordinaria – aggiunge – . Le sole macchine che possono circolare a causa del fango sono l’unico trattore che abbiamo e il pulmino della cittadella. Così, questi due mezzi sono sempre in giro portando persone al lavoro, alla scuola, a fare la spesa per tutti, oppure portando le merci da consegnare, etc. In questi giorni – conclude – , nelle numerose chiamate, nella comunione tra tutti, nello spirito sereno col quale si affronta ogni difficoltà, capisco ancor di più che siamo una grande famiglia!». Per chi desidera collaborare concretamente, tutti gli aiuti saranno coordinati attraverso la mail: polosolidaridad@gmail.com Scrivendo a questo indirizzo si riceveranno le indicazioni opportune a seconda della provenienza e del tipo di aiuto. (altro…)
Ago 24, 2015 | Cultura, Focolari nel Mondo
Migliaia di persone “s’incontrano” con le sculture dell’artista abruzzese così in sintonia con la “Laudato sì” di papa Francesco, che da tanti anni ormai ricicla materiale di scarto che utilizza per le sue creazioni.
Ma Roberto Cipollone, in arte Ciro, oltre ad accogliere visitatori crea dei veri e propri workshop per grandi e piccoli al fine di trasmettere un modo nuovo di vedere e sentire il mondo a contatto con la materia che viene lavorata e modellata insieme: “un modo di vedere limpido, semplice, un contatto con la bellezza senza orpelli”, afferma l’artista con la naturalezza che gli è tipica. A Loppiano, oltre alla ‘Bottega’ che è il vero e proprio laboratorio creativo, è stata allestita una mostra permanente ad opera di Sergio Pandolfi. Mentre per tutto il mese d’agosto Ciro sta esponendo nel monastero di Camaldoli: una quarantina di opere, per lo più a tema sacro, esposte in una chiesetta romanica, posta all’interno del monastero e dedicata allo Spirito Santo.“Queste opere e il romanico – afferma Ciro – si sposano benissimo, ho portato opere di pietra serena, in legno, e poi il romanico nella sua essenzialità permette alle opere di vivere”.

La mostra di Ciro a Camaldoli
Molti i visitatori di Camaldoli che, nel silenzio del monastero e della natura circostante, possono ammirare e gustare e, in certo modo, pregare con le opere. Ma non finisce qui. In quest’estate 2015 Ciro s’è cimentato nell’allestimento scenico di uno spettacolo teatrale itinerante che andrà in scena a Perugia nella straordinaria cornice della Rocca Paolina. Lo spettacolo – che narra una nota vicenda storica della Perugia del XVII secolo – andrà in scena dal 21 agosto al 13 settembre nei fine settimana. FOTOGALLERIA (altro…)
Ago 23, 2015 | Centro internazionale, Chiesa, Focolari nel Mondo, Spiritualità
«Fuori dell’azione centrifuga dell’amore, l’uomo a nulla tiene tanto quanto alla differenziazione. Trova mille ragioni nella stessa religiosità per separarsi, annullando, nel fatto, quella libertà di circolazione, ripristinata da Gesù, quando abbatté la parete divisoria, e fece che non ci fosse più né greco né giudeo, né servo né padrone, né maschio né femmina, ma fosse tutto e in tutti Dio. […] Ecco lo scopo dell’amore: ecco lo scopo dell’esistenza: far di tutti uno. Far di tutti, l’Uno, che è Dio. Per l’impulso della carità divina tutta l’esistenza, tutta la storia diviene una marcia di ritorno verso l’unità. Da Dio tutti si viene; a Dio tutti si torna. Farsi uno col fratello, è scomparire in lui, sì che tra Dio, me e il fratello, si stabilisca, mediante la mia soppressione, un passaggio diretto, una discesa senza ostacoli, – dall’Uno all’altro: ed ecco che io nel fratello trovo Dio. Il fratello mi serve di tempio per accendervi la luce di Dio. Così, Dio, io lo trovo nel sacramento dell’altare e nella persona del fratello, per effetto dell’amore. Il fratello rompe le barriere, e nella breccia fa passar la vita: la vita, che è Dio. Il fratello fa da “ianua caeli”, da porta al Paradiso. Ci sono cristiani, i quali vanno a servire gli umili, negli strati sociali più bassi, non tanto per convertire, quanto per convertirsi: dando amore sotto forma di servizi (a malati, disoccupati, vecchi, tutti i rifiuti sociali, come dicono), trovano Cristo; e così molto più di quanto donano, ricevono. Donano un pane, trovano il Padre. Si convertono gli assistenti e si convertono anche gli assistiti. Santificano sé e santificano i prossimi. Cioè, si sale a Dio scendendo sotto ogni livello umano, per servire, da laggiù, tutti gli uomini, in qualunque ripiano collocati. Così il samaritano trovò Dio scendendo da cavallo e raccogliendo il fratello dissanguato sulla terra riarsa; mentre il sacerdote ebreo, che non guardava il disgraziato in terra perché guardava Dio in cielo non trovò né Dio né fratello: non trovò Dio perché non si volse al fratello. È questo un modo di procedere del Padre, che proclama la sua gloria nel più alto dei cieli mandando il Figlio a nascere nel più obbrobrioso dei ricoveri: una stalla. Ciò stabilisce una linea diretta tra stelle e stalle, per il filo divinizzante dell’amore. Così, gli ultimi saranno i primi. È un capovolgimento. Ovvero è il modo di calcolare di Dio, il quale conta cominciando dal basso, mentre noi contiamo cominciando dall’alto: e quel che è primo per noi diventa ultimo per lui, e viceversa; onde, ricchezza, potenza, gloria, che per noi stanno in testa, per lui stanno in coda: sono lo zero. Con questo metro si misurano esattamente uomini e cose». (tratto da Igino Giordani,Il fratello, Città Nuova, Roma 2011, pp.78-80) (altro…)