Movimento dei Focolari
Congo: una guerra dimenticata

Congo: una guerra dimenticata

20150322-01

Bukavu, Repubblica Democratica del Congo

La Repubblica Democratica del Congo: un grande Paese con immense risorse naturali. 72 milioni di abitanti, alcune centinaia di etnie diverse. Le difficili relazioni con l’Occidente, la guerra per lo sfruttamento dei minerali, il dramma di una popolazione dimenticata. Abbiamo intervistato il biologo congolese Pierre Kabeza, sindacalista, padre di famiglia, che da tre anni ha dovuto lasciare la sua città, Bukavu, nella regione dei Grandi Laghi, e adesso frequenta l’Istituto Universitario Sophia. Lei ha dovuto espatriare, lasciando moglie e figlie. Quali i motivi? «A volte ci sono cose che non si possono capire e vedere bene se non con gli occhi che hanno pianto, diceva Mons. Munzihirwa, vescovo di Bukavu ucciso per la sua lotta per la giustizia. Dopo la sua morte eravamo tutti scoraggiati, ma è arrivato Mons. Kataliko che ha scelto di seguire la sua stessa strada: parlare per i senza voce. Kataliko ha asciugato le lacrime di un popolo che non era più ascoltato. Il 24 dicembre 1999 ha scritto un messaggio nel quale denunciava la guerra ingiusta, l’occupazione del Congo da parte dei paesi vicini, lo sfruttamento e il saccheggio delle risorse minerarie. Per questo gli è stato impedito di fare il suo lavoro pastorale per 7 mesi e 20 giorni. Le campane non hanno più suonato. Facevamo sit-in di protesta ogni giorno, finché non è rientrato in diocesi. Musulmani e cristiani di Bukavu, siamo andati insieme in cattedrale, dove Mons. Kataliko ha celebrato una messa di perdono per quelli che l’avevano fatto soffrire. È morto in Italia poche settimane dopo. Per continuare l’opera dei nostri vescovi – difesa della verità, lotta per la giustizia e per la libertà -è nato il gruppo “Dauphin Munzihirwa Kataliko” (DMK). Le iniziative per onorarli davano fastidio ai loro nemici. Con il gruppo DMK, di cui ero responsabili, ci siamo impegnati nell’ambito dell’educazione, a cominciare dalla scolarizzazione dei bambini. I docenti, infatti, non vengono pagati dallo Stato e sono sostenuti dai genitori. Ci siamo adoperati perché il governo congolese si assumesse le proprie responsabilità. Manifestazioni, sit-in, scioperi… prigione: eravamo considerati persone che disturbano l’ordine pubblico. Ho incontrato tutti i responsabili del Paese, perfino il presidente della Repubblica al quale ho ricordato l’articolo 43 della nostra costituzione che riconosce la gratuità e l’obbligo per i bambini di frequentare la scuola elementare. Mi ha ascoltato, ma purtroppo finora niente è cambiato. Per il mio impegno, però, sono stato minacciato, arrestato e torturato. La mia casa è stata attaccata due volte. Hanno distrutto tutto. È cosi che ho dovuto andare via per salvare la vita». Un guerra dimenticata. 6 milioni di morti, 2 milioni di donne e bambini in fuga dai loro villaggi e città. Ci può raccontare di più? «Sì. Anche Maria Voce, presidente dei Focolari, ha detto che sembra che i morti in “terre lontane dall’Occidente” abbiano meno valore in termini di umanità e “meno peso politico sulla coscienza della comunità internazionale”. È il caso del Congo. I nostri morti non interessano la comunità internazionale perché siamo nelle periferie del mondo. Eppure, oggi, la guerra è il nemico comune di tutti. Mandela ci ha insegnato che “siamo nati per essere fratelli”. Della guerra del Congo si parla poco qui in Europa, e senza dire tutta la verità. Non si tratta solo di guerre etniche. È vero che abbiamo tanti problemi in Africa, ma mi domando: perché il fuoco si accende solo nei paesi ricchi, dove ci sono minerali e petrolio? C’è sempre il fuoco dove si trovano coltan, oro, diamanti. E dove vanno a finire questi minerali insanguinati? Vengono usati per fare smartphone, air bag, navigatori e così via. Si calcola che per ogni chilo di coltan estratto in Congo muoiono due bambini. Altri sono obbligati a divenire “bambini e bambine soldati”. Sarebbe importante che i nostri bambini sappiano che usando il video-gioco c’è un altro bambino che perde la vita nelle periferie del mondo». Che significa per lei fare quest’esperienza intellettuale e umana presso l’Istituto Universitario Sophia? Quali sono le attese personali e in vista del bene del suo Paese? «Sophia è stata uno dei doni che ho avuto in Italia. Penso che sarebbe stato meglio fare l’esperienza di Sophia prima di impegnarmi come sindacalista, perché qui ho capito l’importanza della fraternità. Credo che il fallimento della nostra società congolese stia nel fatto che abbiamo dimenticato il principio della fraternità, una forza che unisce tutti, che non esclude nessuno. Oggi ho capito che l’altro è parte di me, che i suoi problemi sono i miei. L’impegno politico ci dovrebbe aiutare a capire che siamo responsabili gli uni degli altri. A Sophia ho compreso anche il senso della diversità tra noi. Siamo uguali ma diversi e che, se gli uomini sfruttassero questa ricchezza, sarebbe un bene. Sophia mi ha insegnato anche a capire il cammino del dialogo. Il vero dialogo è quello che dà spazio all’altro, dove c’è sempre una parte di verità». Video   (altro…)

A piccoli passi

A piccoli passi

MariaVoce_Intervista_bQuando Papa Francesco li ha incontrati, nel settembre scorso, ha ricordato Chiara Lubich come «straordinaria testimone» dell’unità che «ha portato il profumo di Gesù in tante realtà umane e in tante parti del mondo». E oggi, a sette anni dalla morte della fondatrice, il Movimento dei Focolari riconferma la sua vocazione a essere scuola di comunione e fucina di unità per tutta la Chiesa, come ribadisce la presidente Maria Voce in questa intervista al nostro giornale. Crede che il carisma dell’unità di Chiara sia destinato a realizzarsi? Lei pensa che se non lo credessi avrei dato la vita al Movimento? Crediamo si realizzerà perché coincide con la preghiera che Gesù ha rivolto al Padre: che tutti siano una cosa sola. E non possiamo pensare che una preghiera del Figlio di Dio non si debba realizzare. Certo, non sappiamo come, non sappiamo quando, ma diamo la vita perché si realizzi. Vogliamo che si realizzi e facciamo quei piccoli passi che oggi possiamo compiere per affrettare il momento del suo compimento totale. Cosa significa «essere famiglia» secondo il testamento lasciato da Chiara? In occasione della mia prima elezione ho detto che il mio desiderio era che il Focolare privilegiasse i rapporti umani. Credo che questo è in fondo quello che abbiamo cercato di fare, anche se si è sempre tentati dall’individualismo. Costruire rapporti con le persone all’interno del Movimento significa veramente interessarsi degli altri e avere quell’amore capace di comprendere, di perdonare, di accogliere, di aiutare quando c’è bisogno: tutto quello che si fa all’interno della famiglia. Una vita di famiglia, quindi, ma integra, perché fatta di rapporti veri, autentici. […] Quale ruolo hanno oggi nella Chiesa i movimenti? Il ruolo è duplice: da un lato i movimenti sono portatori di carismi, doni dello Spirito Santo per la Chiesa e l’umanità. Hanno quindi un’influenza su tutta la Chiesa, perché vengono messi a disposizione di tutti per la costruzione del corpo ecclesiale. Oltre a questa grazia, proprio perché depositari di un carisma, i membri di un Movimento sono capaci di comprendere i carismi degli altri. Quindi capaci di rendersi conto che la Chiesa è ricca di carismi che possono essere messi in comune. Nell’ambito dei singoli movimenti poi c’è questa spinta a una vita evangelica più radicale. C’è il desiderio di un maggior impegno, di un’apertura al mondo che ci circonda. Sono caratteristiche che i movimenti cercano di vivere, ma che dovrebbero vivere tutti i cristiani. I membri dei movimenti sentono di avere una grazia, che è anche una responsabilità, e sentono di poter vivere queste cose in comunione tra di loro, per aiutarsi reciprocamente. Nelle associazioni, nei movimenti ci si può aiutare: si può scoprire il valore di essere l’uno accanto all’altra, per darsi una mano, incoraggiarsi, sostenersi e anche rialzarsi qualora si cada. […] Nell’ultima assemblea Papa Francesco vi ha affidato tre verbi: contemplare, uscire, fare scuola. Come li state realizzando? Papa Francesco ha citato una frase di Chiara Lubich: questa è la grande attrattiva del tempo moderno, cioè penetrare nella più alta contemplazione e rimanere in mezzo agli uomini, uomo accanto all’uomo. Chiara ci ha sempre insegnato che bisogna diventare Gesù. E quindi contemplare significa essere Gesù, diventare Gesù, vivendo il Vangelo integralmente, riuscendo a scoprire quello che Gesù sta operando nella storia, quello che vuole dirci attraverso ogni uomo che incontriamo. Vuol dire, quindi, essere in continuo contatto con Gesù. Ricordo una volta che a Chiara venne chiesto come si fa a vivere l’invito del Vangelo a pregare sempre. Lei rispose che occorre essere sempre Gesù, occorre amare sempre. È perfino semplice questa contemplazione che si svolge nelle attività quotidiane, anche presi da mille cose. In quella quotidianità possiamo vedere Dio che ci viene incontro con la sua volontà e con la richiesta di amore del fratello che ci passa accanto. Questa è la contemplazione che vogliamo vivere e che cerchiamo insieme di realizzare. Riguardo all’uscire, è una delle nostre priorità. L’abbiamo sentita particolarmente nostra quando Papa Francesco l’ha sottolineata e abbiamo sentito la gioia di essere in sintonia con quello che il Papa ci chiede oggi. Il fare scuola ci sembra sia soprattutto essere attenti a rivisitare continuamente il nostro carisma: non per trasformarlo, ma per vedere come risponde oggi ai segni dei tempi, cogliendo i linguaggi, gli stili, le domande nuove che l’umanità impone. Facciamo nostro tutto questo per esprimere il carisma di sempre adeguandolo all’oggi. Come presidente quali priorità indica per il futuro del Movimento? Non scelgo io le priorità. Devo cogliere quelle che vengono espresse dal Movimento in tutto il mondo. L’esigenza emersa nell’ultima assemblea è quella di essere molto aperti e in uscita verso le periferie, che non sono solo quelle geografiche, ma dovunque manchi l’amore e le divisioni impediscano di realizzare lo spirito di unità del carisma che Chiara ci ha lasciato. Significa per noi avere una grande apertura a tutti i dialoghi, che è uno stile di vita del Movimento: essere aperti verso tutti, accogliere chiunque, senza distinzione etnica, religiosa, culturale, sociale, anagrafica. Questo porta come conseguenza un’attenzione particolare verso i luoghi dove più si manifestano queste divisioni. Pensiamo a quei Paesi dove c’è un’enorme differenza tra le classi sociali, oppure dove le differenze religiose diventano motivo di lotte, di guerra, di terrorismo. Guardando a questi Paesi, in particolare, vogliamo spendere risorse, talenti, e fare tutto il possibile per aiutarli. Senza però dimenticare l’Europa, che ha perso l’anima religiosa perché ha tagliato le sue radici. Portiamo avanti anche il dialogo con la cultura post moderna, con questa notte che sembra avvolgere la vita degli uomini di oggi.   Di Nicola Gori, su Osservatore Romano 18 marzo 2015.  Leggi l’intervista integrale     (altro…)

Dalla Corea alla Mongolia

Dalla Corea alla Mongolia

Mongolia_chiesa-aDa Ulan Bator, capitale della Mongolia, a Daejeon in Corea del Sud, sono oltre 10 ore di aereo, eppure queste due città fanno parte della stessa diocesi. Fatta eccezione per la capitale, la densità della popolazione in Mongolia è di 2 abitanti per km², i cristiani sono il 2%, in una terra dalla millenaria tradizione buddhista (53%) e di diffuso ateismo (29%). La chiesa locale, nel chiedersi come prendersi cura anche di questi pochi cristiani, ha chiesto aiuto alle Famiglie Nuove del Movimento dei Focolari, trovando la disponibilità di alcune famiglie coreane che, con l’annuncio del Vangelo, portano la testimonianza della spiritualità dell’unità vissuta in famiglia. Nelle parrocchie di Ulan Bator c’è un centro sociale che accoglie bambini e ragazzi per il doposcuola, una fattoria comunitaria e una clinica gratuita. È qui che si svolge prevalentemente la “missione” dei Focolari. Vediamo in cosa consiste. Dalla Corea due o tre coppie per volta si recano periodicamente in Mongolia per visitare le parrocchie e incontrare le famiglie. Le tematiche sono prevalentemente quelle familiari, con riferimento al Vangelo applicato alla vita quotidiana, che anche qui diventa fonte di cambiamento per la vita di coppia e di famiglia. Qualche volta incontrano anche i giovani. «Una volta abbiamo portato delle medicine», racconta Cedam. «Indicibile la gioia della suora quando le abbiamo dato il pacchetto: erano proprio quelle che le servivano e le sue erano finite. In Mongolia per quasi metà dell’anno è inverno. Per mesi la temperatura arriva a –40°C, per cui si capisce la difficoltà, ammesso che se ne abbiano i mezzi, di uscire di casa per procurarsi il necessario. Quando si avvicina la data della partenza per la Mongolia, le altre famiglie in Corea si danno da fare per mettere insieme cose utili da portare. Una volta avevamo pensato di portare dei palloni da calcio e da pallacanestro affinché i ragazzi potessero giocare nella grande pianura, ma bisognava comperarli e poi c’era la difficoltà dello spazio in aereo… Una famiglia aveva messo nel suo negozio un salvadanaio proprio per le famiglie mongole così, oltre ai palloni, abbiamo potuto comperare anche l’apparecchio per gonfiarli». «Il vescovo ci fa da autista – prosegue Andrea –, ci accoglie nel vescovado, ci accompagna nelle parrocchie e ci incoraggia a donare a piene mani le nostre esperienze come famiglia cristiana. E vediamo che le famiglie hanno sete proprio di queste. Quando la volta dopo ritorniamo, esse ci accolgono con un affetto sempre più grande. Anche loro vogliono raccontare come hanno vissuto il Vangelo. In un’omelia, presenti le suore di varie congregazioni, il vescovo ha detto che siamo stati inviati da Dio anche noi come missionari e chiamandoci ciascuno per nome ci ha definito: my friends. Quando lasciamo la Mongolia, ogni volta sentiamo che lasciamo lì anche i nostri cuori. Perché ogni volta si ripete con loro l’esperienza delle prime comunità cristiane». (altro…)

A piccoli passi

Maria Orsola: “W la Vita”

MariaOrsola_aLa corsa verso il Cielo di una ragazza del ’68, di cui è in corso la causa di beatificazione, che ha trovato il segreto della felicità. Sedici anni. Di corsa. A perdifiato. Destinazione Paradiso. Maria Orsola Bussone è una ragazza piemontese del ’68 che ama la musica beat, si interessa alle prime manifestazioni studentesche, suona la chitarra e prende lezioni di canto. Un’adolescente come le altre, si direbbe, innamorata della natura, dello sport e della musica. Prende qualche cotta, annota i suoi pensieri sul diario personale, ha tanti amici e scrive lettere a quelli più cari. È la figlia semplice di un piccolo mondo antico che sembra prossimo a essere travolto dai venti della modernità. Ma la sua vita, apparentemente senza sussulti,  nasconde invece un’anima straordinaria. Una fede genuina e cristallina. Insieme con altre amiche, sospinta da una spiritualità che le dà una marcia in più, inserita in una parrocchia che mette a frutto gli indirizzi del Concilio Vaticano II, “Mariolina” innesta la quarta e in poco tempo brucia rapidamente tutte le tappe. Su invito del parroco don Vincenzo Chiarle, nel 1968 partecipa ad uno dei primi congressi gen, la generazione nuova del Movimento dei Focolari. Lì Chiara Lubich presenta a quei giovani del ’68 un altro modello di rivoluzionario: quello di un uomo giusto che si è immolato per la libertà degli altri. Anche lui aveva un programma: “Che tutti siano uno”. Maria Orsola rimane affascinata, e questa scelta illumina tutta la sua vita. A sedici anni la sua corsa raggiunge il Cielo. Ma dietro di sé lascia una scia di luce. Un giorno aveva rivelato che avrebbe dato la sua vita pur di far scoprire ai giovani la bellezza di Dio. “E Dio la prese in parola”, disse a Torino, nel 1988, a migliaia di suoi coetanei papa Giovanni Paolo II, additandola quale  esempio luminoso: “è una ragazza che ha accettato di fare della propria vita un dono, non un possesso egoistico”. “W la vita” era il suo motto.

MariaOrsola_cappella

Dal 2 ottobre 2004 le sue spoglie mortali riposano nella chiesa parrocchiale di San Secondo martire, in Vallo Torinese.

Nel 2007  è stata pubblicata la sua biografia, a firma di Gianni Bianco ed edita dall’editrice San Paolo: “Evviva la vita”. La corsa verso il Cielo di una ragazza del ’68”. «Mi è sembrata subito un’adolescente tremendamente attuale – scrive l’Autore -, che ha molto da dire ai ragazzi di oggi e che in alcuni aspetti ha anticipato le grandi idealità della generazione d’oggi, quella dell’impegno ecologista e del servizio civile volontario. Inoltre mi piaceva poter seguire da vicino la storia di questa ragazza semplice, che dalla prospettiva di Torino, dove il ’68 italiano nacque, osservava un mondo in rapido quanto burrascoso cambiamento. Soprattutto mi spingeva la possibilità di poterla raccontare, con un linguaggio fresco e – spero – coinvolgente, ai suoi coetanei d’oggi, ai teenager, accusati troppo spesso di aver perso ogni valore, e che adesso guardano a lei come ad un modello». Per saperne di più: Profilo biografico e spirituale di Maria Orsola Bussone (altro…)

Presença no Inferno

Presença no Inferno

Presença no infernoNeste livro, Renato Chiera   narra   sobre   o   trabalho   que   desenvolve  e junto às “cracolândias” do Rio de Janeiro, em especial a da  Favela de Manguinhos e ao longo da avenida Brasil. Depositário das  confidências  de  adolescentes,  jovens  e  adultos dependentes do crack – muitas delas retratadas no livro –, o autor identifica possíveis causas do fenômeno nas carências de amor e afeto familiar dos “cracudos”, na sua falta de perspectivas e de oportunidades, na   exclusão   violenta.  Ele avalia   as   atuais   políticas   públicas   para enfrentá-lo,  faz  uma  reflexão  sobre  como  a  sociedade  e  a  Igreja lidam   com   ele,   e   propõe  uma   chave   de   abordagem   e   caminho, percorrido e abalizado pela instituição que ele fundou, a Casa do Menor São Miguel Arcanjo.

Por que ler
As “cracolândias” estão surgindo como uma atuais chagas das metrópoles brasileiras, ante as quais os poderes públicos não sabem como agir.

Fenômeno entrelaçado com a exclusão social, tráfico de drogas, marginalização e violência; as muitas tentativas de abordagem dos dependentes do crack – dispersão, internação forçada, “cercadinhos” etc. – têm sido muito mais “faxinas” e paliativos do que solução.

Há dois anos, Renato Chiera visita semanalmente algumas “cracolândias”  no  Rio   de  Janeiro.   De sua convivência com os drogados nasceu um trabalho que visa a ir à raiz do problema, a ser uma presença – de amor, inclusão, oportunidades – naquele ambiente.

Autor
Renato Chiera   (1942-  ), sacerdote  italiano e doutor em  filosofia, que em 1978 adotou  a Baixada  Fluminense  como sua terra, há mais de trinta anos dedica-se à causa dos meninos de rua. Atua numa comunidade da periferia de Nova Iguaçu (RJ). Fundou, com apoio de uma vasta rede de solidariedade, a Casa do Menor São Miguel Arcanjo (hoje presente em outros Estados do Brasil), que tem como objetivo assegurar a crianças e adolescentes de rua o efetivo exercício do direito à vida, à dignidade e à plena cidadania. É autor de Filhos do Brasil (1996) e Presença (2008), publicados pela Editora Cidade Nova.

 

Cidade NovaMaiores informações:

(11) 4158-8890 / 4158-8893

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Chiara Lubich: come seguire Gesù?

Chiara Lubich: come seguire Gesù?

ChiaraLubich_GA«Carissimi Gen, forse volete sapere una parola che sia quella; una parola che dica tutto, che riassuma la verità, che vi porga una ricetta per una vita vera. È ciò che sto meditando anch’io questi giorni. Bene, Gen, mi sono convinta che non vi è strada più sicura, per arrivare alla vita perfetta, di quelladel dolore abbracciato per amore. E così l’hanno pensata tutti i Santi, di tutti i secoli. Il fatto è che ognuno ha voluto seguire Gesù e Lui ha parlato chiaro: «Chi vuol venire dietro a me rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua» (Mc 8, 34). «…Prenda la sua croce». Ognuno per seguire Lui, il Perfetto, non ha che da accogliere nel suo cuore la propria croce, i propri dolori. Tutti ne abbiamo. Ebbene: alziamoci la mattina col cuore cambiato. Lo sappiamo: il dolore si vuole allontanare, accantonare, dimenticare. Così è fatto l’uomo. Ma non così il cristiano. Egli, perché seguace di Cristo, sa che il dolore è prezioso, che va accettato come ha fatto Gesù con la sua croce, e lo abbraccia con tutto lo slancio del suo cuore. Quale sarà il risultato? Quale il frutto? Ne verranno tutte le virtù: la pazienza, la purezza, la mansuetudine, la povertà, la temperanza e così via. E, con tutte le virtù, la perfezione, la vita vera. Ci state? Ogni uomo che vuole raggiungere un traguardo, deve sottomettersi a fatiche, a sacrifici, a sforzi. Il nostro traguardo è Gesù. Per seguirlo occorre il dolore amato. Ciao Gen, con tutto l’augurio perché sappiate essere degni di Lui». Pubblicato nella Rivista “Gen”, ottobre – novembre 1979 Fonte: www.centrochiaralubich.org (altro…)

Mumbai: piccolissimi artisti in musical

Mumbai: piccolissimi artisti in musical

20150317MusicalMumbai26 settimane di preparazione, 34 attori protagonisti, e 250 spettatori. 36mila rupie raccolte, l’equivalente di ca. 500 €, non male se si pensa che la cifra consentirà a ca. 10 ragazzi della città di partecipare al programma di 5 giorni che si svolgerà a Mumbai. Il Movimento dei Focolari è presente in India dal 1980. Oggi ci sono centri a Mumbai, Bangalore, Goa e New Delhi che promuovono varie attività: Mariapoli, incontri mensili per adulti, famiglie, e giovani. In diverse città –Vasai, Pune, Panjim, Margao, Vasco, Trichy – sono attivi gruppi di persone che aderiscono allo spirito dei Focolari. Quest’anno c’è una grande meta davanti: la Settimana Mondo Unito (SMU), appuntamento annuale dei Giovani per un Mondo Unito con l’obiettivo di rendere visibili i tanti passi che in varie parti del mondo si compiono nel cammino verso la fraternità. La SMU 2015 passa dall’India. Come l’anno scorso in Africa, attorno al concetto di Ubuntu, stavolta è il subcontinente culla di un’enorme varietà etnica e religiosa ad ospitare l’evento centrale della settimana a Mumbai, dal 27 aprile al 1° maggio, e la conclusione a Coimbatore, nel Tamil Nadu (sud dell’India), il 4 maggio. Già nel 2009 Coimbatore aveva ospitato il “Supercongresso Gen3”, con adolescenti da tutto il mondo, e con la collaborazione col movimento gandhiano Shanti Ashram. Si può immaginare il carico di lavoro per la preparazione di tutti i particolari. Per questo tutta la comunità dei Focolari sul posto ha deciso di rimboccarsi le maniche e sostenere i giovani nell’iniziativa. Una prima realizzazione è stata proprio il musical “Il ruscello nella foresta”, andato in scena il 22 febbraio scorso. Una storia scritta a partire dal messaggio di unità che i Gen4 (i bambini del Movimento dei Focolari) portano anche nelle loro canzoni. Ore di prove, con l’entusiasmo e l’impegno dei bambini, e con qualche inconveniente: il giorno prima del musical due di loro si sono ammalati con febbre alta e gli autori hanno dovuto cambiare il testo! «I miei figli sono strafelici! – spiega una mamma – Hanno fatto nuove amicizie e mi dicono che già hanno nostalgia delle prove. Gli mancano più che gli amici di scuola, perché, mi dicono, c’era una tale gioia di incontrarsi, diversa da quando incontrano i compagni di classe». «Anche se i bambini hanno talento, per cantare o ballare – racconta un’altra mamma – è bellissimo vedere questi talenti usati per una cosa così bella, con dei valori». भारत की ओर से आप सभी को बधाई (Bharat ki ora se aap sabhi ko badhai) A tutti un grandissimo saluto dall’India! https://vimeo.com/122305928   (altro…)