Movimento dei Focolari
A Verona, guardando avanti con speranza

A Verona, guardando avanti con speranza

Il  cammino di comunione, il ruolo dei credenti laici, la presenza dei giovani, le prospettive per i movimenti, al centro del Convegno ecclesiale nazionale che si svolgerà a Verona. Da un articolo di Paolo Loriga  (Città Nuova – 10 ottobre 2006) www.cittanuova.it Ci siamo. L’appuntamento decennale della Chiesa italiana è alle porte. A Verona, dal 16 al 20 ottobre prossimi, i 2.700 rappresentanti della comunità cattolica nazionale si incontreranno per pregare e riflettere sui grandi temi che investono la società civile e la vita ecclesiale in questo turbolento inizio di millennio. Il culmine del convegno ecclesiale sarà giovedì 19 ottobre: Benedetto XVI pronunzierà il suo discorso all’assemblea dei partecipanti. Nel pomeriggio, presiederà la celebrazione eucaristica. Il card. Ruini, il giorno successivo, terrà la relazione conclusiva. Il grande appuntamento ecclesiale sarà invece aperto, lunedì 16, dalla prolusione del card. Tettamanzi, presidente del comitato preparatorio. Il giorno dopo si entrerà  nel vivo della riflessione con la relazione del teologo Franco Brambilla e gli approfondimenti spirituali (Paola Bignardi), culturali (Lorenzo Ornaghi) e sociali (Savino Pezzotta). I 2.700 delegati (di cui 1.800 dalle diocesi, 250 dalle aggregazioni nazionali) si ripartiranno in gruppi di studio nei cinque ambiti tematici: vita affettiva, lavoro e festa, fragilità umana, tradizione e trasmissione, cittadinanza. Il termine speranza, presente nel titolo del convegno scaligero – Testimoni di Gesù Risorto, speranza del mondo – sembra dirla lunga sulla necessità di ridare slancio e senso ad un Paese pervaso dalla precarietà del presente e dall’incertezza sul domani. Grandi attese, dunque, su Verona. Come accadde anche per i convegni precedenti della Chiesa italiana, ad incominciare dal primo, tenutosi a Roma nel 1976, a cui seguirono, con cadenza decennale, le tappe di Loreto e Palermo, dalle quali sono emerse linee pastorali e strategie culturali. Con i rapidi mutamenti del nostro tempo, per di più in crescente accelerazione, dieci anni sono diventati un arco temporale enorme. Dall’assise ecclesiale di Palermo del 1995, il Paese e il contesto internazionale sono mutati. Anche la Chiesa italiana. Legittimo chiedersi se siano emerse novità nel cammino preparatorio, quali speranze animino i cattolici. Da qui, il dialogo con mons. Giuseppe Betori, segretario della Conferenza episcopale italiana dal 2001: Testimoniare il Risorto è vocazione della Chiesa nel suo insieme. Ma nelle sfide complesse di oggi emerge il ruolo dei laici cristiani e la loro peculiare esperienza. Cosa si augura emerga dal convegno? «Mi auguro che emerga la figura di un laico cristiano, mi permetta la provocazione, che abbia la spina dorsale di mettere in pratica il titolo stesso del convegno, capace cioè di essere testimone credibile del Risorto mediante una vita rinnovata e capace di rinnovare il mondo. La speranza è un dono ricevuto che deve essere coltivato, fatto crescere e portato coraggiosamente in ogni settore del vivere civile, sociale e culturale, cioè nello spazio di azione proprio in cui vive e opera il laico cristiano. (continua…) Il Movimento dei Focolari sarà rappresentato a Verona da una delegazione. Vari sono stati i contributi nella fase di preparazione, come indicato nel documento inviato alla Conferenza episcopale italiana. (altro…)

L’«altro» Paraguay

Il Paraguay ha una ricca storia, con grandi potenzialità. Un paese segnato da forti differenze tra campagna e città,  tra sviluppo e povertà. La mia storia personale – racconta Cesar Romero – ha attraversato vari momenti. All’inizio la “passione” per l’umanità: il primo lavoro a 14 anni, poi i corridoi dell’Università e l’incontro con i giovani del Movimento dei Focolari. Poi le marce contro la lunga dittatura e i primi passi nella politica di partito. In seguito, la seconda tappa, quella della “delusione”: i tradimenti, le incoerenze, la mia stessa incapacità nell’attività politica. La sensazione di non poter fare niente per cambiare davvero le cose. La terza tappa, fondamentale, è stata quella della “scelta”: la scelta di amare sempre, che mi spingeva verso una politica attiva, intesa come mezzo di trasformazione della società. Nel 2000, dopo un lungo travaglio, insieme ad un gruppo di amici già impegnati nell’ambito dello sviluppo sostenibile, abbiamo costituito un’organizzazione. E’ nata così la “Fundación Yvy Porã” (Terra Bella) che, in sei anni di vita, ha promosso lo sviluppo di decine di progetti in tutto il Paraguay, sostenendo comunità di piccoli impresari, contadini, artigiani e indigeni, in centri urbani e rurali. Io però non ero ancora soddisfatto. Desideravo poter fare qualcosa di più. Così, insieme ad altri politici, mi sono impegnato nella preparazione dell’Incontro latino-americano dei sindaci che si è tenuto a Rosario in Argentina, il 2 e 3 giugno 2005, promosso dal Movimento Politico per l’unità. Ci sembrava l’occasione giusta per presentare alla società paraguaiana la fraternità come dottrina politica. Abbiamo scorso l’elenco dei sindaci per invitarli a questa manifestazione. Dalle risposte, dalle adesioni e dagli echi ottenuti, ci siamo detti: “E’ un Paraguay nuovo, un Paese risuscitato, che lavora in silenzio e noi vogliamo portarlo alla luce!”. Come un fatto che confermava questa scoperta, in quei giorni è apparso e si mantiene fino ad oggi, una pagina nuova in un giornale di grande diffusione che si intitola: “L’altro Paraguay”. All’incontro hanno partecipato, provenienti anche da altri Paesi dell’America del Sud, oltre 1000 politici, di cui 119 sindaci, 168 assessori e membri di consigli comunali, parlamentari, funzionari locali e nazionali. Contagiati dallo spirito di questo incontro, i 16 sindaci del Paraguay che avevano partecipato hanno proposto ad altri sindaci un progetto di collaborazione tra i vari Comuni. In occasione della “Giornata dell’amicizia in Paraguay”, il 30 luglio 2005, hanno stabilito un Protocollo d’intesa e di gemellaggio fraterno per sostenere e promuovere uno scambio di politiche di sviluppo locale. Questo accordo, senza precedenti in Paraguay, è stato firmato da 22 Comuni. In seguito, abbiamo dato vita ad appuntamenti periodici di approfondimento della dottrina della fraternità tra politici e stiamo costruendo la scuola paraguaiana di formazione civica e politica per giovani. (C. R. – Paraguay) (altro…)

Intervista all’economista Luigino Bruni

In che misura l’ambito dell’Economia si inserisce nella preparazione al Convegno di Verona ed in che modo può contribuire ad indicare nuove linee per il mondo laico, in un panorama socio-politico tanto variegato? «Al Convegno di Verona sono previsti dei momenti di approfondimento tematico: sono dei momenti che prenderanno in esame aspetti di carattere economico come il lavoro, l’impresa, i consumi e le scelte economiche quotidiane. In tali ambiti avremo modo di riflettere assieme su queste tematiche, perché l’economia è uno dei primi luoghi in cui si concretizza la vita cristiana. Il cristiano non è per natura  un “consumista” o colui che distrugge la natura, che consuma cose che non sono necessarie per la vita sua e dei propri familiari; è una persona che non mette i propri soldi in banche che finanziano il mercato delle armi, è una persona che quando consuma pensa a se stessa inserita nel mondo intero, dove ci sono tanti fratelli che non hanno da mangiare… Quindi le tematiche economiche sono trasversali alla vita di ogni cristiano, non è possibile prescinderne. Come lei diceva, io mi occupo di Economia di Comunione, un progetto particolare nato all’interno del Movimento dei Focolari, però guardato da tanti e in dialogo con tanti altri e, più in generale, dialogo, scrivo, lavoro con tante persone dell’economia sociale, cristiani ma anche persone di buona volontà di altre visioni o altri umanesimi. Il cristianesimo dei primi tempi della comunità di Gerusalemme – che gli Atti ci raccontano in modo meraviglioso – in cui nessuno era bisognoso, è un’immagine, un’icona, un dover essere, una profezia per tutti coloro che vivono per un’economia finalmente umana, finalmente giusta, siano essi cristiani o non.  Però il cristianesimo, in ciò, ha una sorta di primato perché da 2000 anni ci parla di comunione di beni, ci parla di “Beati i poveri”, ci parla dei “ricchi” che non entrano nel Regno, quindi in quanto cristiani abbiamo una lunga storia e un grande patrimonio da donare a tutti coloro che cercano un’economia di giustizia. Anche la Chiesa italiana ha una suo patrimonio, in quanto nessun Paese come l’Italia ha visto nascere  dalla Chiesa esperienze economiche come i monti di pietà del 1400, che hanno fatto nascere le prime banche moderne; o le abbazie benedettine che, non solo in Italia,  hanno lanciato le prime forme di innovazione economica. Ma poi su su fino alle banche rurali, alle casse di risparmio, la cooperazione negli ospedali, nelle opere di assistenza o a scuola. C’è tutta una produzione in Italia di un’economia civile che nasce dalla Chiesa. Quindi non è possibile – dal momento che oggi che vi è una grande domanda da parte della gente – rimanere assenti nel dibattito attuale sul tema economico: pensiamo al movimento No-Global,  alle OO.NN.GG., o a tutto ciò che vive oggi nel mondo e che chiede un’economia più giusta. E’ troppo grande il peso storico e culturale che abbiamo, per non dire la nostra. Quindi è giusto che  la Chiesa italiana nell’ottobre 2006 a Verona dia uno spazio adeguato e significativo al tema economico». L’intervista integrale, a cura di Raffaele Aversano, è stata pubblicata su “Nuovo Dialogo” ottobre 2006  – Settimanale della Diocesi di Taranto (altro…)

Un percorso itinerante

Come tappe di avvicinamento all’appuntamento veronese, il Servizio nazionale per il progetto culturale della Cei ha programmato cinque iniziative articolate sul territorio nazionale, in approfondimento dei diversi ambiti di riflessione che verranno proposti al convegno di ottobre. Fra queste, un convegno dedicato a “Il lavoro e la festa”, promosso dalla Conferenza Episcopale Italiana svoltosi a Rimini dal 22 al 25 giugno scorsi. Un vero e proprio “villaggio” aperto tutto il giorno, in grado di accogliere tutti: residenti, turisti e lavoratori, con stands, aree di gioco, di sport, luoghi di incontro.    Lavoro e festa: due termini che sembrano antitetici. Ma non è così. Di fronte alle profonde trasformazioni in atto nella società post-industriale, al convegno emerge l’idea che la festa rigenera l’uomo e dà senso al lavoro. Del lavoro vengono approfondite problematiche di grande attualità: “La famiglia tra tempi di lavoro e di festa”; “I giovani tra lavoro precario, desiderio di consumo e progettualità; i “Nuovi lavori e nuova imprenditorialità”, con la presentazione di numerose esperienze. Molte le associazioni e i movimenti che hanno offerto il loro contributo: da Rinnovamento nello Spirito a Comunione e Liberazione, dall’Associazione Papa Giovanni XXIII, all’Azione Cattolica, agli scout. Il Movimento dei Focolari, nella sessione di sabato 24, dedicata a “Nuovi lavori e nuova imprenditorialità”, ha presentato l’esperienza dell’Economia di Comunione, con il prof. Luigino Bruni e Alberto Frassineti, del polo imprenditoriale “Lionello Bonfanti” – nei pressi della cittadella internazionale di Loppiano (Firenze). A Rimini, tanti anche i momenti culturali e di festa: sul tema del lavoro si sono alternate recitazioni (con Nando Gazzolo e Claudia Koll), musica (Orchestra Mediterranea e Tosca), comicità (Gigi Cotichella), il musical del Gen Verde “Prime Pagine” e il 1° gala del cortometraggio promosso dalle Acli.   (altro…)

Si inaugura il Polo Lionello Bonfanti

Domenica 22 ottobre 2006 -ore 15,30

“Porte aperte al Polo Lionello”

Dedicato a tutti coloro che vorranno visitarci e, in modo particolare, agli abitanti di Incisa, del Burchio e del territorio circostante   Lunedì 23 ottobre 2006

Incontro con le istituzioni regionali ed il mondo economico del territorio per promuovere conoscenze e sinergie

(ad invito)   Mercoledì e giovedì 25/26 ottobre 2006

Seminari multidisciplinari di formazione per amministrazione pubblica e imprese private

(gratuiti, su prenotazione) Per dettaglio corsi: www.pololionello-formazione.it   Venerdì 27 ottobre 2006 – ore 10 Salone San Benedetto – Cittadella Internazionale di Loppiano – Incisa in Val d’Arno

Convegno: “Segni di fraternità in economia”

Il convegno intende approfondire l’Economia di Comunione e il suo progetto nei vari ambiti. Relatori: Dott.ssa Vera Araujo sociologa Centro Studi Movimento dei Focolari Prof.ssa Adriana Cosseddu docente di diritto penale commerciale, Università di Sassari Prof. Luigino Bruni docente di Economia Politica, Università Milano Bicocca ore 15 Tavola rotonda di approfondimento e conoscenza con esponenti di diverse realtà del mondo economico, cooperativo, sociale italiano ore 21 Intrattenimento musicale   Sabato 28 ottobre 2006 – ore 15.30

Momento inaugurale al Polo Lionello, località Burchio

(su invito) e al Salone San Benedetto di Loppiano in collegamento audio/video (accesso libero)  Saluto dei rappresentanti della Cittadella di Loppiano e del Consiglio di Amministrazione dell’E. di C. spa  Videopresentazione delle aziende insediate al Polo  Intervento del Prof. Stefano Zamagni ordinario di Economia Politica, Università di Bologna  Saluto delle istituzioni nazionali e regionali Messaggio della fondatrice del Movimento dei Focolari, Chiara Lubich  Scopertura della targa inaugurale (altro…)

Intervista a Mons. Betori, segretario della Conferenza Episcopale italiana, sul Convegno ecclesiale nazionale di Verona

Testimoniare il Risorto è vocazione della Chiesa nel suo insieme. Ma nelle sfide complesse di oggi emerge il ruolo dei laici cristiani e la loro peculiare esperienza. Cosa si augura emerga dal convegno? «Mi auguro che emerga la figura di un laico cristiano, mi permetta la provocazione, che abbia la spina dorsale di mettere in pratica il titolo stesso del convegno, capace cioè di essere testimone credibile del Risorto mediante una vita rinnovata e capace di rinnovare il mondo. La speranza è un dono ricevuto che deve essere coltivato, fatto crescere e portato coraggiosamente in ogni settore del vivere civile, sociale e culturale, cioè nello spazio di azione proprio in cui vive e opera il laico cristiano Il convegno sarà intessuto di relazioni, lavoro nei gruppi di studio,visita e parola del papa. Ma da quello che lei ha intuito, quali note potranno caratterizzarlo? «Al centro di tutto c’è un protagonismo ecclesiale senza precedenti, grazie anche all’ulteriore slancio missionario che la Chiesa in Italia ha avuto negli ultimi dieci anni a partire dal convegno di Palermo nel ’95, attraverso la capillarità del Progetto culturale e le indicazioni degli Orientamenti pastorali dei vescovi Comunicare il Vangelo in un mondo che cambia. La Chiesa italiana di oggi è una Chiesa che vuole spendersi dentro la storia. Essa deve mostrarsi come luogo di illuminazione dell’esistenza e di apertura verso orizzonti nuovi di speranza; nonché come realtà istituzionale nella quale tale speranza diventa progetto ed esperienza. La verità cristiana, che si invera storicamente nell’esperienza di comunione dei credenti, è infatti capace di dare orientamento nuovo e autorevole – al di là delle “opinioni” diffuse – alla vita e all’ethos individuale e collettivo. Su queste convinzioni si inserisce con luminosità e forza il magistero del Santo Padre Benedetto XVI, che ci chiama a vivere la fede nella gioia e a testimoniarla a tutti nella sua ragionevolezza. Siamo certi che la sua parola a Verona darà ulteriore alimento a questa consapevolezza». Il convegno è un’occasione privilegiata di partecipazione e corresponsabilità. In quale senso potrà essere vissuto come il camminare dell’intero popolo di Dio all’insegna della comunione? «Il convegno di Verona non si può ridurre alle sole relazioni o ai confronti comunitari. Il cammino della comunità ecclesiale in Italia verso Verona si colloca all’interno di questa dinamica e, in particolare, all’interno di una coscienza di Chiesa che esige di impegnarsi sul fronte di una più chiara identità della fede e su quello di un più coraggioso slancio missionario. Al convegno ecclesiale di Palermo, si chiese un salto di qualità congiungendo una più intensa spiritualità e una più coraggiosa presenza di Chiesa nelle vicende della storia: contemplazione e missione, appunto. «Si tratta di fare passi avanti in questa direzione, con maggiore attenzione da una parte alla fonte della identità e della testimonianza, che è la persona di Cristo, e dall’altra alla condizione culturale di cambiamento in cui ci troviamo a rendere testimonianza. Questa prospettiva missionaria e testimoniale costituisce il terreno più solido per edificare la comunione tra le varie componenti ecclesiali». Testimoniare il Risorto è vocazione della Chiesa nel suo insieme. Ma nelle sfide complesse di oggi emerge il ruolo dei laici cristiani e la loro peculiare esperienza. Cosa si augura emerga dal convegno? «Mi auguro che emerga la figura di un laico cristiano, mi permetta la provocazione, che abbia la spina dorsale di mettere in pratica il titolo stesso del convegno, capace cioè di essere testimone credibile del Risorto mediante una vita rinnovata e capace di rinnovare il mondo. La speranza è un dono ricevuto che deve essere coltivato, fatto crescere e portato coraggiosamente in ogni settore del vivere civile, sociale e culturale, cioè nello spazio di azione proprio in cui vive e opera il laico cristiano.Modelli di laici cristiani capaci di vivere l’anelito alla santità non ne mancano: basta scorrere i testimoni del Novecento indicati dalle regioni ecclesiastiche. Laici del calibro di Giovanni Palatucci, Rosario Livatino, Annalena Tonelli, Vittorio Trancanelli e altri. Testimoni di santità laicale che con la loro vita, il loro stile e le loro azioni hanno riscritto pagine moderne e affascinanti di Vangelo». Il termine speranza, presente nel titolo, rimanda soprattutto ai giovani. Che ruolo giocheranno le nuove generazioni a Verona? «I giovani per la Chiesa italiana, e mi creda che non è una frase fatta, sono e saranno sempre il prezioso germe del futuro della comunità cristiana che è in Italia.Non mi riferisco solamente al popolo delle Giornate mondiali della gioventù. Quella è solo la punta di un iceberg. Penso ai ragazzi impegnati in parrocchia, nell’associazionismo, nei movimenti ecclesiali, e in tutti i contesti del vivere civile e sociale. Essi stessi nella Chiesa italiana sono “generatori” di speranza perché dimostrano una spiccata sensibilità e disponibilità ad intraprendere, alla sequela di Cristo, cammini di fede esigenti e impegnativi. Questa energia positiva però non è infinita e ogni tanto bisogna ricaricare le batterie per ripartire con slancio. «Per i giovani italiani il convegno di Verona servirà a questo, anche perché si colloca, provvidenzialmente, all’inizio di un percorso triennale pensato dai vescovi per loro.Un percorso formativo articolato, segnato anche da appuntamenti a livello nazionale e internazionale: nel 2007 il grande incontro nazionale a Loreto, nel 2008 la Gmg di Sydney e nel 2009 un evento significativo realizzato però nelle realtà locali». Dal convegno di Palermo ad oggi sono cresciuti la presenza e l’apportodei movimenti ecclesiali e delle nuove comunità. Quali prospettive possono aprirsi per loro con l’assise veronese? «Negli ultimi anni abbiamo vissuto una nuova stagione di convergenza tra le diverse aggregazioni che compongono il mondo laicale cristiano. Le tensioni, che in passato avevano a volte pesato sul cammino ecclesiale, hanno lasciato il passo, più che a uno stile di pacifica convivenza, a un nuovo rapporto di stima e di collaborazione tra le associazioni e i movimenti stessi e tra aggregazioni ecclesiali e realtà parrocchiali e diocesane nel pieno rispetto dei carismi di tutti. «Da Verona si possono aprire prospettive nuove di fraternità, di unità e di forte convergenza, come avvenuto di recente in occasione del referendum sulla legge 40, per rendere il contributo dei cattolici al bene comune sempre più forte e incisivo. Questo convergere convinto e fecondo delle aggregazioni sul piano della presenza dei cattolici nel Paese è una verifica importante di come la comunione ecclesiale si vada radicando nel comune servizio al Vangelo, pur nel rispetto dei carismi e anzi valorizzandoli per la comune edificazione». a cura di Paolo Loriga – Città Nuova N. 19/2006 (altro…)

“Concedimi solo un’eccezione…”

Arriva una richiesta di aiuto non prevista dai grandi progetti di una banca internazionale di sviluppo del Sud America: in risposta  nasce il “ Piano Speranza”, progetto sociale che assumerà vaste dimensioni. Dieci anni fa ho cominciato a lavorare in una Banca internazionale di sviluppo, che ha un raggio di azione in tutto il Sud America, compreso il Brasile. All’inizio la Banca era specializzata in credito per infrastrutture: costruzione di strade, di centrali idroelettriche e altri grandi progetti. Con i fondi provenienti dagli utili si concedevano crediti non rimborsabili per studi macroeconomici e per la valutazione di impatto ambientale. Dopo un anno di lavoro, ho ricevuto la visita di alcune persone molto umili, sfinite,  dopo un lungo viaggio. Ho letto il loro progetto con la richiesta di finanziamento, ma subito mi sono resa conto che non corrispondeva al tipo di progetti previsti dalla banca.  Semplicemente avevano bisogno di un aiuto per sopravvivere. Vivevano in una zona vicina alla frontiera con il Perù. A causa della guerra nessuno prestava loro attenzione. Guardandomi con gli occhi pieni di speranza, mi hanno detto: “Sappiamo che lei può aiutarci”. Mi è nata dentro una preghiera: “Dio mio, aiutami ad aiutarti in questi fratelli”. Non sapevo da che parte incominciare. L’unica persona che avrebbe potuto fare qualcosa era il Presidente Esecutivo. Veniva spesso in Ecuador. Alla sua prima visita gli ho mostrato, come sempre, i grandi progetti realizzati e alla fine gli ho detto: “Ho qualcosa di specialissimo da proporti”. Gli ho mostrato le due pagine e gli ho parlato del progetto. Alle sue obiezioni gli ho lanciato una proposta: “Facciamo un’eccezione. Fammi lavorare su questo progetto. E’ un progetto sociale, ma piccolo, piccolo”. “Ma questo vuol dire che devo assumere persone che lo seguano e questo non posso farlo” ha replicato. “Me ne occupo io” – ero decisa – “Dammi solo il permesso per l’eccezione e al resto ci penso io”. “Va bene” – ha concluso – “che sia un’eccezione”. Molto contenta, sono partita verso la frontiera e abbiamo cominciato a lavorare sul progetto. Poi sono andata a parlare con il Presidente della Conferenza Episcopale e con tutti i Vescovi. Hanno accettato immediatamente.  Ho proposto loro: “A questo punto dobbiamo parlare con il Presidente della Repubblica”. Ci siamo messi d’accordo, abbiamo chiesto un appuntamento e siamo andati a presentargli la proposta del progetto sociale. E’ rimasto un po’ sorpreso, ma ha approvato. Grazie ai fondi ricevuti, abbiamo potuto realizzare ospedali psichiatrici, un altro ospedale per persone con malattie incurabili, abbiamo lavorato molto con gli indigeni per procurar loro l’acqua, siamo intervenuti nelle scuole su tutto il territorio nazionale. E’ nato così il “Piano Speranza”. A breve è seguito il “Piano Speranza 2”. Ultimamente, l’esperienza vissuta è andata oltre, e un governo europeo ha affidato alla nostra istituzione il fondo per la conversione del debito estero per sviluppare progetti nell’area educativa e sociale. Nel 2000 le Nazioni Unite hanno proposto come obiettivi da realizzare per l’infanzia nei prossimi dieci anni l’alfabetizzazione e l’educazione dei bambini tra gli 0 e i 15 anni in tutti i Paesi sottosviluppati. Stiamo continuando a lavorare perché questa meta si raggiunga davvero. (C. C. – Ecuador) (altro…)

Il Risorto è “la” speranza che Dio offre al mondo

Il Risorto è “la” speranza che Dio offre al mondo

Nel cammino di preparazione al 4° Convegno Ecclesiale nazionale di Verona c’è stato il pieno coinvolgimento delle Chiese locali e dei diversi organismi e soggetti ecclesiali. Il loro contribuito si è concretizzato con l’invio di relazioni di sintesi che mettono in luce il volto di una Chiesa che si interroga sulla dimensione culturale della fede e alle sfide che riguardano da vicino l’uomo che vive e lavora in una società sempre più complessa. Di seguito il documento elaborato dal Movimento dei Focolari.

 

Introduzione

“Testimoni di Gesù Risorto speranza del mondo” è l’attraente identità che la Chiesa cattolica in Italia pone innanzi ai suoi membri in occasione del suo IV Convegno Ecclesiale Nazionale. La scelta di un tale traguardo trae motivo senz’altro dall’intima convinzione che il Risorto è “la” speranza che Dio offre al mondo, ma anche dalla consapevolezza che i cristiani devono trovare vie nuove per farlo conoscere ed amare dalla nostra società sempre più secolarizzata e pur assetata di divino. Riteniamo che la presenza di “Gesù in mezzo ai suoi”, come viene intesa e vissuta nella spiritualità dell’unità caratteristica del nostro Movimento, può contribuire al cammino della Chiesa in Italia nell’attuale momento storico. Dove Cristo si rende presente nella reciprocità dell’amore non soltanto si dinamicizza la vita ecclesiale, ma si fa pure strada una realtà antropologica qualitativamente nuova che intercetta le aspirazioni più profonde di ogni persona umana ed è, allo stesso tempo, intimamente legata a Cristo. Vengono superate – come avvenne nelle prime comunità cristiane (cf. At 4,32; Gal. 3,28) – barriere sociali, culturali, razziali. Si fa l’esperienza di essere uno nella distinzione e distinti nell’unità, liberi ma non soli, in comunione con gli altri ma pienamente se stessi, ad immagine delle Persone della S.S. Trinità la cui  vita da sempre è iscritta come anelito in ogni cuore umano, ma che senza il dono della Grazia, fuori del raggio d’azione del Risorto, non riusciamo a realizzare.

 

Il nostro contributo si articola in tre parti: 1. Partecipazione del Movimento dei Focolari al cammino di preparazione al Convegno 2. Riflessione teologica 3. Indicazioni sugli ambiti di testimonianza    

 

1. Partecipazione del Movimento dei Focolari al cammino di preparazione al Convegno

 Nell’anno 2005-2006 i membri del Movimento dei Focolari hanno particolarmente approfondito un punto centrale della spiritualità dell’unità: “Gesù crocifisso e abbandonato”. Nella prospettiva del Convegno di Verona esso è apparso di particolare attinenza e importanza per l’imprescindibile legame fra la morte e l’abbandono di Cristo in croce e la presenza del Risorto nella Chiesa. Siamo chiamati  a dare testimonianza del Crocifisso/Risorto.   Alcune specifiche iniziative a livello nazionale e locale sono state: 1. In ottobre 2005 riunione con i delegati zonali italiani del Movimento dei Focolari (ogni zona comprende una o più regioni italiane) per informarli del cammino di preparazione in corso, delle sue tappe, sottolineando fra l’altro l’importanza del coinvolgimento a livello diocesano, seguendo le indicazioni degli Ordinari diocesani. Vari membri del Movimento sono in effetti delegati delle Regioni Ecclesiastiche e Diocesi. 2. Presentazione del Convegno Ecclesiale nelle Mariapoli e altri incontri del Movimento per una opportuna sensibilizzazione dei membri.     3. Preparazione e pubblicazione del libro “Egli è vivo! La presenza del Risorto nella comunità cristiana”, a cura dell’Editrice Città Nuova, quale contributo a carattere teologico-spirituale per il Convegno. 4. Collaborazione nella organizzazione dell’evento preparatorio di Rimini su “Lavoro e festa”. Un nostro delegato il dott. Giuseppe Sbardella ha fatto parte del comitato organizzativo nazionale presso l’Ufficio per i problemi sociali e il lavoro. Il prof. Bruni e il dott. Frassineti sono intervenuti come relatori in una della tavole rotonde dell’evento. E’ stato allestito uno stand sull’economia di comunione. Il complesso musicale Gen Verde ha partecipato a una delle serate artistiche. 5. Due convegni promossi dal Movimento dei Religiosi dell’Opera di Maria (Mov.dei Focolari) d’intesa con il Consiglio CISM Triveneto, sui temi: “Dall’individuo alla reciprocità” Verona 26 marzo 2006; “Testimoni del Risorto” Cadine (TN), 21-26 agosto 2006. top  

2. Riflessione teologica

«Egli è Vivo!» (cf. Mc 16, 11; Lc 24, 5.23; At 1, 3). È l’annuncio inaudito che al mattino di Pasqua le donne, piene di stupore, corrono a portare agli apostoli ancora increduli. «Gesù è Risorto!». È il grido gioioso che irrompe con forza travolgente dal cuore delle comunità cristiane nascenti e che presto riecheggia ovunque. «Gesù è Risorto! Egli è Vivo!». Come rimanere indifferenti a un tale annuncio, spesso sigillato dai primi cristiani a prezzo del loro sangue? «Noi abbiamo riconosciuto l’amore che Dio ha per noi e vi abbiamo creduto» (1 Gv 4, 16). «Così il cristiano può esprimere la scelta fondamentale della sua vita» (Benedetto XVI, Deus caritas est, 1). Egli crede perché lui pure ha “visto”, ha avvertito la straordinaria presenza del Risorto sempre vivo nella sua Chiesa e vi ha riconosciuto l’amore infinito di Dio per lui e per tutti noi. «E noi abbiamo creduto all’amore». In piena seconda guerra mondiale, a Trento, Chiara Lubich e le sue prime compagne avevano scelto questo versetto della prima lettera di Giovanni come scritta per l’unica tomba in cui venire sepolte nel caso fossero morte sotto i bombardamenti. Folgorate dalle parole rivolte a Chiara da un giovane sacerdote: «Dio ti ama immensamente», esse avevano trovato in questo centro della fede cristiana la ragione della loro vita e più ancora la loro vera e nuova personalità. Ma come ricambiare nel migliore dei modi – dato che presto avrebbero potuto morire per via della guerra – l’immenso amore di Dio da cui, per una grazia singolare, si sentivano avvolte? Il Vangelo rispose a questo loro ardente desiderio indicando il comandamento nuovo di Gesù: «Amatevi gli uni gli altri come io ho amato voi» (Gv 13, 34; 15, 12). L’attuarono senza mezzi termini ed ecco una nuova meraviglia: quel Dio che avevano scelto e che pensavano al di là delle stelle, lo percepivano ora, con i sensi dell’anima, presente nel loro piccolo gruppo. Era lui, Gesù, il Risorto che si faceva sentire adempiendo la sua promessa: «Dove sono due o tre riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro» (Mt 18, 20). E la gioia fioriva spontanea e con essa la luce e la pace e la forza. Come un tempo ai discepoli di Emmaus, il Risorto spiegava ora ad esse le Scritture, accendeva nei cuori una fiamma e le spingeva a nutrirsi di lui, anche quotidianamente, nel pane eucaristico. Nasceva in questo modo la spiritualità dell’unità così vicina alla spiritualità di comunione che, a conclusione dell’anno giubilare, il Santo Padre Giovanni Paolo II ha voluto dare a tutta la Chiesa quale impegno programmatico per il nuovo millennio (NMI 42-45). Essa può contribuire all’attuazione di quella “ecclesiologia di comunione” che è “l’idea centrale e fondamentale nei documenti del Concilio” . La comunione “incarna e manifesta l’essenza stessa del mistero della Chiesa. Essa è il frutto e la manifestazione di quell’amore che, sgorgando dal cuore dell’eterno Padre, si riversa in noi attraverso lo Spirito che Gesù ci dona (cf Rm 5,5), per fare di tutti noi « un cuore solo e un’anima sola » (At 4,32)” (NMI 42). Sin dalle prime righe della Lumen Gentium la Chiesa viene definita per la presenza di Cristo in essa come “il sacramento” ossia “il segno e lo strumento dell’intima unione con Dio e dell’unità di tutto il genere umano” (n.1). Cristo l’ha fondata ed è oggettivamente presente in essa tramite la Parola e i Sacramenti, nonostante le nostre infedeltà. Se tuttavia noi cristiani sapremo vivere uniti nell’amore come Lui vuole, allora la luce che emana dalla sua presenza brillerà con maggiore splendore sui nostri volti ed essa potrà essere vista da tanti, da tutti. Gesù lo attesta nel Vangelo di Giovanni: “Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli, se avrete amore gli uni per gli altri” (Gv 13,35) e “Come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch’essi in noi una cosa sola, perché il mondo creda che tu mi hai mandato” (Gv 17, 21). La nostra comunione fraterna in Dio è la condizione sine qua non perché Cristo possa essere riconosciuto e creduto. Di qui il monito di Giovanni Paolo II: “Fare della Chiesa la casa e la scuola della comunione: ecco la grande sfida che ci sta davanti nel millennio che inizia, se vogliamo essere fedeli al disegno di Dio e rispondere anche alle attese profonde del mondo” (NMI 43). Esso riecheggia quello del Concilio sulle “presenti condizioni del mondo che rendono più urgente questo dovere della Chiesa, affinché tutti gli uomini, oggi più strettamente congiunti da vari vincoli sociali, tecnici e culturali, possano anche conseguire la piena unità in Cristo” (LG 1). Moltiplicare l’esperienza della presenza del Risorto, là dove due o più sono riuniti nell’amore vicendevole, è una via particolarmente efficace per rispondere a tali attese.  Il carisma che Dio ha dato a Chiara Lubich è incentrato su questa presenza e getta luce sullo stile di vita ad essa confacente. Esso ha già risposto alle esigenze più profonde di decine di migliaia di cristiani, per lo più laici, alcuni dei quali sono ora passati all’altra vita in concetto di santità. Si tratta di vivere concretamente il primato della carità, secondo l’invito di san Pietro: “Soprattutto conservate tra voi una grande carità” (1 Pt 4, 8), soprattutto e cioè prima di tutto  (“ante omnia mutuam et continuam caritatem habentes” – Vulg). Se alla base delle opere caritative, dell’apostolato, della catechesi, della liturgia ponessimo sempre il vicendevole amore, in cui si riceve la Parola di Dio e che è il frutto primo dell’Eucarestia, non saremmo più noi ad agire, testimoniare, insegnare, pregare, celebrare, ma sempre Gesù in noi. Ove è la carità ivi è Cristo nel cristiano e ove la mutua carità ivi è Cristo tra i cristiani. E la sua presenza, specie se tra due o più, è luce. Essa darebbe una singolare efficacia a tutte le nostre attività. Si tratta di non conoscere altro se non Cristo e questi crocifisso (cf 1 Cor 2,2) , di avere in sé i suoi medesimi sentimenti (cf Fil 2,5) e di conseguenza di stabilire dei rapporti di amore scambievole che siano in terra un riflesso della vita del Cielo, una partecipazione alla vita trinitaria: “che siano uno come io e te” (cf Gv 17,21). Nella sua lettera apostolica Novo Millennio Ineunte Giovanni Paolo II ci ha invitati tutti a “ripartire da Cristo” (NMI 29), a contemplare il suo volto, dolente e insieme risorto, per poi lasciarci ispirare nel nostro cammino ecclesiale e nelle programmazioni pastorali dal suo comandamento nuovo (cf NMI 42). Fedeli alla spiritualità dell’unità cerchiamo di offrire alla Chiesa in Italia il nostro contributo per rispondere tutti insieme a un tale invito. Questo proposito è stato ulteriormente incoraggiato dalla prima enciclica di Benedetto XVI nella quale egli ha desiderato parlare dell’amore, di Dio amore e dell’amore nostro come risposta al suo. “In un mondo in cui al nome di Dio viene a volte collegata la vendetta o perfino il dovere dell’odio e della violenza, questo è un messaggio di grande attualità e di significato molto concreto” (Deus caritas est 1). Ne siamo profondamente convinti. All’indomani del Concilio, Karl Rahner sosteneva che la riscoperta della centralità dell’amore del prossimo nella vita cristiana o, meglio ancora, la sintesi dell’insieme del mistero cristiano dal punto di vista della carità poteva essere la via privilegiata all’esperienza di Dio nel nostro tempo . Riprendendo e ampliando questa intuizione, Walter Kasper auspicava l’avvento di una nuova spiritualità che avrebbe congiunto nell’unità dell’amore di Dio e del prossimo la più grande fermezza possibile della fede alla più grande apertura sul mondo. Egli vedeva in una tale spiritualità del futuro la vera risposta al travaglio della Chiesa postconciliare “tesa tra una apertura che la disintegra in un umanesimo vago e generico ed una fermezza sclerotizzata che sopravvive senza possibilità di comunicazione accanto ai problemi dell’umanità attuale” . Dal 1989 è operante presso il Centro del Movimento dei Focolari la “Scuola Abbà”, laboratorio interdisciplinare di pensiero consacrato allo studio della ricchezza dottrinale del carisma dell’unità e delle sue molteplici implicazioni per la comprensione e l’esercizio delle diverse discipline scientifiche. Negli ultimi anni si stanno inoltre delineando, in seno al Movimento e in dialogo con esponenti qualificati del mondo della cultura, luoghi di elaborazione e linee di approfondimento in distinti campi disciplinari (teologia, filosofia, economia, politologia, psicologia, diritto, pedagogia, ecc.). Tali linee contribuiscono a rafforzare il nostro impegno di cristiani laici, con cui cerchiamo di informare dello spirito di comunione i vari ambiti della società. Molti vi hanno trovato una via per rispondere alla chiamata alla santità, “trattando le cose temporali e ordinandole secondo Dio” (LG 31).   Non si tratta solo di un impegno individuale, perché si cerca di creare delle cosiddette “cellule d’ambiente” per stabilire la presenza di Gesù in mezzo e portare Cristo in mezzo alla società. Ci sembra una via importante anche per il dialogo con la o le culture contemporanee. Infatti molti non credenti o indifferenti, che rimarrebbero del tutto ermetici ad un discorso prettamente religioso, rimangono invece affascinati dalla novità – anche culturale – che uno stile di vita, fraterno e trinitario, può portare nei vari ambiti della società e in diverse discipline. top

 

3. Indicazioni sugli ambiti di testimonianza

Per ognuno degli ambiti individuati dalla Traccia di riflessione proponiamo alcuni spunti di riflessione e indicazioni. Vita affettiva Lavoro e festa Fragilità umana Tradizione Cittadinanza

Vita affettiva

Ci soffermiamo in particolare sulla famiglia. La grazia del sacramento del matrimonio aiuta l’attuazione del comandamento dell’amore reciproco che, se vissuto con radicalità evangelica, attira la presenza di Gesù anche tra gli sposi. Questo fa della famiglia una cellula viva della società e una piccola chiesa, capace di fecondità non solo biologica, ma spirituale e sociale; testimone autorevole e credibile della presenza del Risorto oggi, nel quotidiano di ogni persona, in tutte le culture, in tutti gli ambiti di attività che le competono: l’educazione, il lavoro, la cura dei piccoli e dei deboli, la solidarietà, l’esercizio dei diritti civili. E’ questa l’ esperienza di “Famiglie Nuove”, diramazione del Movimento dei Focolari. Organizzate in gruppi locali seguiti da una coppia matura e preparata, le “Famiglie Nuove” svolgono una formazione spirituale che si ispira alla “spiritualità di comunione”. L’impegno principale è di  vivere la Parola di Dio nel proprio contesto e lo scambio delle conseguenti esperienze di crescita a tutti i livelli. La partecipazione in coppia è sempre sostenuta dall’impegno personale richiesto a ciascun coniuge, per essere pronti ad amare per primi negli inevitabili momenti di difficoltà. Organizzano attività di solidarietà e praticano tra loro una libera comunione di beni. Partecipano periodicamente a momenti di incontro a livello nazionale o internazionale, in cui approfondire la spiritualità del Movimento e sperimentare l’ampiezza del respiro della Chiesa. Vengono svolti corsi per fidanzati, scuole per famiglie, week-end per adolescenti, approfondimenti sulla comunicazione di coppia, sull’educazione dei figli, sulla sessualità, sul sacramento del matrimonio. Questi incontri offrono il contributo scientifico di esperti e uno spazio riservato alla condivisione del vissuto delle famiglie, in un equilibrio tra prospettive culturali e dimensione esperienziale sempre molto apprezzato dai partecipanti. Tali iniziative risultano occasioni di contatto anche con persone in ricerca o anche non credenti, interessate agli argomenti trattati, che spesso restano in contatto per un maggiore approfondimento. I frutti sia sul piano ecclesiale sia sul piano civile sono copiosi: ne è stata prova il Familyfest 2005, multi-congresso che si è svolto in contemporanea in 24 città italiane (vi hanno partecipato complessivamente 38.000 persone).  In esso sono state proposte riflessioni su temi centrali per la vita cristiana, comunicati percorsi per una crescita nella fede, presentati progetti di iniziative di promozione comunitaria e sociale. top

Lavoro e festa

Il lavoro e la festa hanno in comune un elemento fondamentale: per essere attività pienamente umane hanno bisogno di gratuità. Il lavoro diventa fioritura umana e non alienazione quando l’attività lavorativa è vissuta come espressione profonda di sé, come dono agli altri, per e con gli altri. La festa da svago alienante diventa momento fondativo e costruttivo della comunità quando da sfogo egoistico e narcisistico (come spesso oggi la società dei consumi la concepisce), diventa momento rinsaldante del legame sociale e comunitario. La festa, come il lavoro, hanno poi un altro elemento in comune: sono attività umane che hanno in loro stesse la loro ricompensa. Anche in questo senso hanno bisogno di gratuità. Un lavoro che fosse solo un mezzo per guadagnarsi da vivere e non anche un momento in sé costruttore di identità individuale e sociale, sarebbe solo una maledizione per l’uomo. Invece, nella visione cristiana, il lavoro è un momento alto dell’umano perché mentre si lavora si partecipa all’attività creatrice di Dio. La festa è proprio l’archetipo delle motivazioni intrinseche. La festa non ha un valore strumentale, non è mezzo per altro, ma il fare festa insieme esprime l’esser parte di un destino comune, l’essere famiglia, l’essere comunità. Non c’è quindi festa senza gratuità: senza ci può essere solo svago o divertimento, ma la festa è qualcosa di più e di diverso. Per questa ragione, i due concetti – lavoro e festa – hanno bisogno l’uno dell’altro, si richiamano e danno senso a vicenda. Non c’è autentica festa senza aver prima o dopo lavorato. E’ il tempo del lavoro che dà senso, ritmo e bellezza alla festa – ecco perché non è mai festa piena quando in una famiglia non c’è lavoro ma disoccupazione. E, d’altra parte, senza la festa il lavoro diventa schiavitù dell’efficienza e del dio profitto. Infine, sia il lavoro che la festa sono attività sociali e relazionali: non si festeggia da soli, né si lavora mai da soli. Sia il lavoro che la festa oggi sono sottoposte a sfide radicali e profonde. In realtà la storia dell’umanità ha vissuto il rapporto festa-lavoro in modo complesso e spesso doloroso. Dove non c’è rispetto per l’uomo e la donna che lavora non c’è festa; dove non c’è spazio che per il lavoro – fosse anche un lavoro iper qualificato e stra-pagato – non c’è festa. La domenica, allora, non è solo il momento del non-lavoro, ma diventa il momento della gratuità, della socialità, della coltivazione e della creazione dei beni relazionali. E anche per questa ragione va protetta dal lavoro per servire il lavoro. Nella prassi sociale del Movimento dei Focolari il lavoro è stato sempre vissuto come dono, come espressione di gratuità. In particolare l’esperienza dell’Economia di comunione, nata quindici anni fa, è a questo riguardo una testimonianza concreta su come conciliare armoniosamente lavoro e festa. Se l’economia si apre alla comunione, all’interno e all’esterno della comunità aziendale, allora i beni relazionali non si oppongono ai beni economici, ma gli uni integrano e rafforzano gli altri. top

 

Fragilità umana

Parlare di fragilità è parlare della verità più profonda dell’uomo: riconoscere, nell’esperienza della propria limitatezza, di non bastare a sé stessi; questo è il punto di partenza per aprirsi al dialogo, al rapporto con l’Altro, che accoglie e riempie il nostro limite, e con l’altro uomo che condivide pienamente questa condizione di limite. Tale riconoscimento della comune umanità è la chance per una esperienza di fraternità. Con questa consapevolezza, parlare della malattia, della disabilità fisica e psichica, della cronicità, della anzianità è riflettere su realtà prima di tutto eminentemente umane; realtà che anche comportando inevitabilmente dolore e sofferenza non gettano la persona nel non senso, ma la aprono alla possibilità di un’esperienza di solidarietà. La  società edonista e utilitarista, nella quale ci troviamo a vivere, rifiuta come tabù le situazioni in cui l’uomo sperimenta la fragilità, la sofferenza, la morte; essa cerca di isolare chi è colpito e in taluni casi rifiuta accoglienza a chi, non ancora nato, mostra già i segni della malattia o a chi inesorabilmente si avvia, forse con grandi sofferenze, verso una morte che a volte tarda ad arrivare. Il non senso appare oscurando questa esperienza di dolore: l’uomo rimane solo. Instaurare un dialogo profondo con la cultura contemporanea è difficile perché questa mentalità dell’utile che misura e quantifica la qualità di vita sostituendola alla percezione della sua sacralità, è pervasiva e sembra essere la risposta più efficace, la soluzione meno onerosa per il singolo, per le famiglie, ma soprattutto per la società monadizzata, ammutolita di fronte al dolore e incapace di dare risposte di solidarietà e di giustizia. Accogliere la fragilità come espressione della  propria e della altrui umanità si può, se ad essa si restituisce il senso; un senso che scaturisce in modo misterioso e prorompente dall’esperienza di Gesù Crocifisso e Abbandonato, che proprio nell’attimo del suo Grido è pienamente uomo, perché pienamente Dio: unico capace di spiegare l’incomprensibile. Testimoniare il Risorto in questo particolare ambito dell’esistenza umana è la sfida che vede protagonista chi riconosce Gesù presente nella propria esistenza e nella società; chi accoglie profondamente, prima di tutto la propria fragilità, senza distogliere lo sguardo da chi soffre, ma accompagnandolo nel dolore quotidiano sapendo che “qualunque cosa avete fatto al più piccolo dei miei fratelli l’avete fatto a me”; inserire colui che soffre in dinamiche vitali per farlo sentire parte della famiglia umana, protagonista all’interno di una dinamica di amore che allevia il dolore. L’esperienza del Movimento dei Focolari nell’accoglienza della malattia e della morte è costellata dalla testimonianza di tanti che, a qualunque età, hanno vissuto e vivono questi momenti fondamentali della propria vita nella confidenza totale nella provvidenza di Dio, tanto da cogliere il disegno d’Amore di Dio per la loro esistenza. Anche la professione medica e di tutti gli operatori sanitari diventa un momento di testimonianza di fraternità: tra colleghi, vincendo la tentazione dell’antagonismo arrivista, collaborando al progetto di umanizzazione della medicina in ottica olistica e personalista; e con i pazienti accolti,  prima di tutto, come fratelli da amare e quindi come persone da soccorrere e curare mettendo in campo il massimo della propria professionalità e competenza. In questa ottica la società può e deve farsi carico della fragilità umana attraverso gli strumenti che le sono propri: una politica sanitaria fortemente attenta ai bisogni dei più fragili; il sostegno a realtà che nascono dalla società civile (associazioni di malati, associazioni di famiglie) che vivendo in prima persona le situazioni di disagio sanno portare le istanze di chi vive il bisogno, indirizzando le scelte politiche in modo più efficace; sostenendo una ricerca che dia serie garanzie di essere al servizio del vero bene dell’uomo; promovendo campagne di formazione e informazione che aiutino e mettano in atto vere politiche di prevenzione. La persona è in tal modo vera unità di misura dell’agire dei professionisti, dei politici, di tutti gli operatori e può cogliere, anche di fronte alla estrema dimostrazione del proprio limite e della propria fragilità, la possibilità di fare una esperienza veramente umana, da non maledire, ma da vivere fino in fondo, non nella solitudine, ma all’interno di spazi accoglienti di fraternità. top

 

Tradizione Per questo ambito offriamo alcune indicazioni riguardanti i mezzi di comunicazione sociale. Dalle tante e diverse esperienze nei vari mezzi di comunicazione che il Movimento dei Focolari vive da anni, sta nascendo una proposta per il rinnovamento della cultura mediale. Si tratta di una necessità ineludibile, in una società dove la globalizzazione crea una cultura che condiziona i processi educativi, i costumi sociali, lo sviluppo. Questa proposta si è incarnata in NetOne, una libera associazione di comunicatori di tutti i settori dei media, e si può riassumere in alcune “coppie di valori”. Empatia e positività – E’ essenziale vivere l’interazione comunicativa partendo dall’ascolto profondo dell’altro, dal condividere la realtà di ogni essere umano. Questi valori dimostrano che esiste un tipo di coinvolgimento disinteressato che non obbedisce a compromessi; una capacità di ascolto che permette di entrare nella notizia nella sua massima ampiezza senza piegarla a interessi di parte. Completezza e trasparenza – Perché l’offerta comunicativa sia davvero un servizio offerto a tutti, deve partire da un patto tacito di sincerità e lealtà con la società stessa; patto che esige completezza di tematiche senza restrizioni ideologiche; trasparenza di prospettive senza ricerche sensazionaliste e, in definitiva, completezza e trasparenza degli elementi  necessari per il rispetto scrupoloso della realtà. Solidarietà e pluralismo – Valori che costituiscono la base per lo sviluppo corretto della società dell’Informazione. Lo sviluppo delle nuove tecnologie, invece di rappresentare un impulso alla diffusione generale dell’educazione e formazione professionale, sta divenendo in realtà un fattore di continua separazione tra i popoli. La giusta distribuzione delle risorse e il rispetto della diversità culturale, possono frenare sia il “colonialismo culturale” che la “frontiera digitale”, arrestando il processo di globalizzazione  mediatica. La “mission” di NetOne si può in sintesi identificare nella risposta di un orizzonte di “cultura dell’unità” alla domanda di prospettive dell’attuale mondo dei media. Questo sta avvenendo da parte di molti comunicatori connessi al progetto. Essi cercano di iniettare senso, contenuti, etica professionale nel lavoro e nei rapporti, avviando un programma di formazione ed educazione di comunicatori e recettori. Un esempio può essere l’esperienza cinquantennale dell’Editrice Città Nuova, nata in Italia ma diffusa in tutto il mondo, un esempio significativo di identità editoriale non chiusa in se stessa, ma parte essenziale di una vocazione di servizio al dialogo sociale, culturale, politico e religioso. top

 

Cittadinanza E’ necessario imparare a guardare ognuna delle nostre città e comunità locali, a conoscerle, non come una semplice somma di tanti individui, non come l’intrecciarsi caotico di percorsi casuali, ma come composizione e ricomposizione di una comunità. E’ possibile allora intravedere un disegno, una vocazione che ha una storia, con radici profonde nel passato, che deve prendere vigore nel presente, ma che chiede soprattutto di poter esprimere le sue potenzialità. Ogni comunità evidenzia così la sua diversità e, più se ne approfondiscono gli elementi specifici, con questo sguardo d’amore, più si rivelerà per quello che è: un tassello necessario ed insostituibile alla composizione dell’unità della famiglia umana. Di fronte alla astrattezza e alla frammentazione di tanti progetti politici, la nostra azione politica, fondata su questo sguardo, si legittima pienamente sviluppando questo essenziale compito: operare affinché la nostra città, la nostra regione, la comunità nazionale o internazionale per cui lavoriamo, riscopra le proprie caratteristiche bellezze, gli obiettivi che insieme si possono realizzare per il bene comune, le risorse che si possono mettere a disposizione di altre comunità e popoli. Diventare cittadini a pieno titolo, capaci di guardare in faccia la realtà e allo stesso tempo di modificare il corso degli eventi, significa cominciare a progettare a partire da una scelta decisa per l’incontro con l’altro. Tutto questo valorizza e fa crescere la città in ciascuno degli attori sociali che la compongono: può nascere così un soggetto politico comunitario, protagonista, un “popolo” abituato a pensare in termini di “noi”, chiave che a volte può diventare il punto da cui sollevare situazioni senza uscita. Questa relazionalità non sarà escludente, ma aperta, se partirà dalla consapevolezza che ogni uomo è mio fratello e i rapporti in qualsiasi nostra comunità sono espressione della fraternità universale, che rende ogni relazione aperta e contagiosa, e più rafforza i legami e più si apre. Chi  è cristiano, la fonda sulla esperienza della paternità di Dio e quindi della fraternità tra tutti gli uomini; chi non ha riferimenti religiosi,  la trova inscritta nella dignità propria di ogni uomo. Alla luce della fraternità universale, si delineano processi politici che hanno caratteristiche specifiche. La fraternità universale produce una forte scelta contro ogni tipo di elité escludente, che riconosce che ogni cittadino è titolare del medesimo status democratico. La fraternità chiede di spostare l’enfasi dal rappresentante al processo relazionale tra il cittadino e il suo rappresentante, processo che fonda l’autorità di colui che riceve il mandato politico. Legata alla caratteristica di cui sopra, c’è un’altra dimensione costitutiva, quella della politica intesa come vocazione per tutti. Cittadini, studenti e studiosi, politici di ogni livello, funzionari e diplomatici sono ugualmente soggetti politici , ognuno con la sua specificità e responsabilità, ma necessari tutti, e che in relazione l’uno con l’altro, costruiscono scelte politiche realmente democratiche. Pur ai primi passi, la categoria della fraternità ha già aperto varie sperimentazioni. In questi anni, ad esempio, si è sviluppato il “Patto politico-partecipativo”, un’esperienza – flessibile nella metodologia – che rilegge alla luce della fraternità il rapporto politico fondamentale, quello tra i cittadini detentori della sovranità, e i loro rappresentanti. Questo rapporto è diventato un vero e proprio patto, vissuto per tutta la durata del mandato tra l’eletto e i cittadini del suo territorio, che collaborano a definire le priorità dell’agenda politica uscendo dai confini ristretti del proprio bisogno individuale. Con varie conseguenze. Nel costante dialogo tra eletti ed elettori che il Patto rende possibile, si arricchiscono i contenuti del dibattito politico e le proposte di regolazione che ne derivano, contenuti e proposte che in genere risultano “schermati”, allontanati cioè dal contributo dei soggetti più deboli da un punto di vista economico o culturale. Al Patto partecipano infatti cittadini di diversa competenza professionale, culturale e di differente stato sociale. Viceversa, ciò che accade abitualmente, il fatto di privilegiare il confronto tra specialisti o professionisti della politica che condividono un determinato status economico e sociale, non fa che rendere sempre più difficile la partecipazione a quanti ne sono esclusi, ostacolando o rallentando le politiche a loro più vicine. In questo modo, dato che chi ha titolo per partecipare al dialogo è il cittadino in quanto tale, a prescindere dal voto espresso e da altri specifici legami di appartenenza, il Patto apre nuovi spazi alla rappresentatività dei mondi sociali all’interno delle istituzioni, favorendo il contributo del maggior numero di soggetti sociali che hanno diritto di esprimersi sia riguardo a problematiche di tipo settoriale che generale. Ridare soggettività politica a tutti i membri della comunità ci sembra un elemento strutturale indispensabile per rimettere in moto le dinamiche bloccate delle nostre stanche democrazie.   (altro…)

Come nasce il “Quartiere nuovo”

Viviamo a Gela, sulla costa meridionale della Sicilia, originariamente una delle più importanti e belle città della Magna Grecia, ma intorno agli anni ’70, vittima di una crescita urbanistica disordinata e a dismisura come conseguenza dell’insediamento di un grosso impianto industriale per la raffinazione del petrolio e della produzione chimica. Qualche anno fa cercavamo una casa più grande per la nostra famiglia, cresciuta con l’arrivo dei tre figli, e abbiamo scelto di risiedere in uno dei quartieri di nuova formazione. Era chiamato “Fondo lozza” e mancava di tutto: la strada non era asfaltata e con la pioggia spesso si riempiva di fango; non c’era illuminazione pubblica; non esistevano la rete idrica, quella fognaria e alcun sistema di depurazione, con notevoli problemi igienici e sanitari; di servizi sociali e di trasporto pubblico neanche a parlarne. Pian piano abbiamo dato vita a un comitato spontaneo che ha coinvolto i circa tre mila abitanti del quartiere. Si è instaurato un rapporto nuovo con le istituzioni locali: tra le prime iniziative abbiamo inviato più di quattromila cartoline al sindaco con la richiesta di realizzare le primarie opere di urbanizzazione. Da lì è nato un colloquio che si è sostituito alla contrapposizione, fatta spesso di blocchi ferroviari violenti e di insulti, ma fondata sui diritti riconosciuti dalla costituzione e dalle leggi. Abbiamo instaurato innumerevoli rapporti con le famiglie, le assemblee e le riunioni di quartiere. La cosa non è passata inosservata: l’amministrazione regionale ha stanziato 5 miliardi di vecchie lire per il risanamento del quartiere. Successivamente l’amministrazione comunale ha  approvato il piano di recupero urbanistico del quartiere e si sono potuti realizzare l’illuminazione pubblica, la rete idrica, l’impianto di depurazione e la pavimentazione delle strade. Il nostro comitato verificava quasi ogni giorno l’attività delle istituzioni locali: dalle deliberazioni iniziali, all’affidamento degli appalti delle opere, alla loro esecuzione. Infatti la costruzione della rete idrica e fognaria è stata ultimata grazie alla tenacia e alla tempestività con cui cittadini e amministratori hanno affrontato il problema della sostituzione dell’impresa costruttrice che nel frattempo aveva abbandonato i lavori per motivi di natura aziendale. Il sindaco di Gela, parlando agli abitanti del quartiere e riferendosi all’esperienza vissuta con loro, così si esprimeva: “Convivono due realtà che lavorano insieme per far crescere la funzione sociale nel quartiere; in questo modo si è potuto giungere a un risultato comune, che da un lato vi ha portato benefici, dall’altro ha dato la consapevolezza a chi amministra di avere fatto un po’ del proprio dovere per rendere più a misura d’uomo questa città.” E’ avvenuta una svolta nel quartiere: a livello culturale, sociale e metodologico. La società deve poter andare alla ricerca di ciò che unisce pensando che il problema “tuo” è in realtà di tutti. E adesso la nostra zona si chiama “Quartiere nuovo” anche per il rapporto realizzato tra due realtà spesso contrapposte tra di loro: i cittadini e l’amministrazione pubblica. (R. e C. G. – Sicilia) (altro…)