Ago 2, 2019 | Sociale
Nel giugno scorso la Duma, il Parlamento russo, ha invitato membri dei Parlamenti ed esperti per un confronto sullo sviluppo dei sistemi parlamentari. Letizia De Torre, presidente del MPPU, ha partecipato. “È importante camminare insieme a chi nel mondo, in qualsiasi modo, cerca un cambiamento. Tutti noi, come singoli e come popoli, siamo chiamati all’unità e dobbiamo far venire alla luce ogni passo positivo”. È questa la prima impressione a caldo di Letizia De Torre, già deputato al Parlamento italiano e Presidente del Centro internazionale del Movimento politico per l’unità (MPPU) che dal 30 giugno al 3 luglio scorso ha partecipato al Forum: Development Of Parliamentarism, sullo sviluppo dei sistemi parlamentari. Ha proposto una co-governance, cioè l’idea di una corresponsabilità tra le istituzioni e la società civile nel governo delle città e nelle relazioni internazionali. Un’idea che era al centro del convegno tenutosi nel gennaio scorso a Castelgandolfo (Roma, Italia), riproposta a diversi livelli e in diversi Paesi e che e avrà un secondo confronto ad alto livello in Brasile nel 2021.
Come è arrivata a Mosca CO-Governance? Il Segretario Generale e l’Advisor della IAO (Interparliamentary Assembly on Orthodoxy), – rete di parlamentari ortodossi, anche russi, con cui collaboriamo – sono intervenuti a Roma, all’evento “CO-Governance 2019“. Hanno trovato interessante l’idea e hanno fatto in modo che il Mppu venisse invitato al Forum. Devo dire che solo quando sono arrivata a Mosca ho capito veramente il perché. Infatti ci si può sorprendere: il sistema istituzionale russo viene definito con espressioni quali: “democrazia controllata”, “centralismo”, “ ambivalenza tra modernizzazione e tradizionalismo”, mentre per la co-governancecomporta corresponsabilità, partecipazione diffusa, relazioni innovative tra politici e cittadini… Infatti, ed è sintomatico del cambiamento d’epoca che stiamo vivendo. Alla politica è richiesto un cambiamento. I cittadini non hanno più fiducia e Internet ci ha catapultati in un mondo diverso dalla rigidità dei palazzi della politica. Molti parlamentari cercano strade nuove e CO-Governance esprime l’idea di una relazione intensa tra i politici e i cittadini, di una corresponsabilità di governo a tutti i livelli, senza paura per questo tempo così complesso. Come è stata accolta la vostra proposta?
L’idea della collaborazione sta maturando in tutte le società e anche la dichiarazione finale del Forum va in questa direzione. Ma ciò che è stato accolto con sorpresa è la logica politica che sta sotto: “Agisci verso l’altro Stato, verso ogni ‘altro da te’, come vorresti che fosse fatto a te.” Questo atteggiamento rivoluziona la politica, le conferisce il nuovo ruolo necessario oggi: quello di facilitatore e catalizzatore della collaborazione tra tutti. Cosa si porta via il Mppu da questa presenza ufficiale in Russia? Ho avvertito prima di tutto un cambiamento a livello personale. Il popolo russo è meraviglioso, l’accoglienza attenta; Mosca è bellissima, ricca di storia, efficiente, non te la puoi togliere dal cuore. In questo senso è facile sentirsi popoli fratelli. Ma avvicinare il sistema politico di un altro Paese è altra cosa. Sono “atterrata” in una cultura politica diversissima e avevo paura di non capirla. Alle prime difficoltà mi sono trovata a un bivio: distinguermi oppure mettere in atto “il metodo” che un giorno mi ha affascinato: ho fatto consapevolmente la scelta di amare la Russia nella stessa misura in cui amo il mio Paese. Non ami il tuo Paese perché è perfetto: lo ami e basta; godi e soffri con lui e per lui nella buona e nella cattiva sorte. È così che ho cominciato a comprendere la Russia di oggi, a guardare il mondo dal suo punto di vista, anche a dispiacermi dei giudizi negativi che riceve, spesso strumentali nella corsa alla supremazia geopolitica. Ho apprezzato l’intento di “soft power” di questo Forum, con cui mi pare che la Russia cerchi di conquistare la fiducia di altri Stati, avvicinandoli con più dignità e rispetto. Mi sono ritrovata più aperta ad accogliere, ad esempio, la volontà di unità tra le due Coree della deputata Nordcoreana; l’impegno a cercare “partnership” e non dipendenza di un parlamentare del Ghana; la speranza della delegazione siriana; la domanda del parlamentare libanese “Ma perché ci ammazziamo?”, che concludeva con la forza che veniva dalla sua fede ortodossa: “Dio non vuole questo!”.
Stefania Tanesini
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Giu 5, 2019 | Sociale
Imparare a fungere da “locomotive” di gruppi e progetti è un processo fondamentale nel momento in cui il senso dell’autorità vacilla, i social dettano la loro legge e la politica sembra ovunque in crisi. I progetti del Movimento politico per l’unità, di NetOne, di Umanità Nuova, di Sophia, dell’Amu, di Famiglie Nuove, dei Ragazzi per l’unità e di altri ancora. È una delle parole chiave dell’inizio del Terzo Millennio: “leadership”. Talvolta il termine è abusato, e non si sa più che cosa significhi nei fatti, per diversi motivi, determinati dai fenomeni della globalizzazione e della rivoluzione digitale, con la parallela crisi di modelli di governance tradizionali, sia nel micro (parrocchie, associazioni, quartieri…) che nel macro (imprese, governi, amministrazioni…). E ciò accade un po’ ovunque. Numerosi organismi ed agenzie culturali dei Focolari perciò se ne interessano, prendendo ovviamente il problema da diversi punti di vista, e avviando processi il più delle volte sinergici. Basti l’esempio del congresso organizzato da Umanità Nuova, dal Movimento politico per l’unità e da altre agenzie culturali del Movimento nello scorso gennaio a Castelgandolfo, “Co-governance” ne era il titolo, e che ora continua in diverse maniere in vari angoli del mondo. Più che un modello, è stato proposto uno stile di governance, che riprende l’assunto fondamentale del carisma dell’unità, cioè quel prefisso “co” che dice volontà di non cedere a individualismi e solipsismi, di concedere parte della propria “sovranità”, del proprio “potere” all’istanza comune, al tendere verso il bene comune. Da tempo anche all’Istituto universitario Sophia si sta lavorando su questi aspetti nell’ambito della politica e dell’economia, così come nelle scienze umane e sociali. In particolare ci si interessa al tema della leadership, sotto i più diversi angoli colti dal punto di vista della “cultura dell’unità”. Ciò è la logica conseguenza, se vogliamo, di uno degli slogan lanciati dal nascente movimento gen, nel 1967-1968, in particolare da alcuni francesi (tra cui Goffinet e Garoche), i quali pubblicarono una brochure dal titolo significativo: “Cambiare se stessi per cambiare il mondo, cambiare il mondo per cambiare se stessi”. C’era già l’esigenza di una leadership illuminata dal Vangelo, ricca dei contributi delle scienze umane e sociali, attenta alle ispirazioni del carisma dell’unità.
Alcuni studenti e docenti di Sophia, Umanità Nuova (New Humanity) e il Movimento politico per l’unità, con la collaborazione di altre agenzie culturali del Movimento, hanno poi messo su un progetto triennale dedicato in particolare all’Africa. Il primo atto ha avuto luogo in Kenya nel gennaio 2019, con più di 100 giovani di 7 Paesi della regione (Kenya, Uganda, Tanzania, Sud Sudan, Ruanda, Burundi e Repubblica democratica del Congo) per una leadership “all’africana”, col contributo dell’Unesco, attraverso la Kenya National Commission e l’apporto di Caritas e Missio. “Together4Africa” propone una leadership “all’africana”, dunque, svincolata da modelli troppo occidentali, nella valorizzazione di quello che le culture locali
hanno generato nei secoli a proposito della gestione del potere e dell’autorità. Tra le altre iniziative, va annotata poi quella promossa da NetOne e Humanité Nouvelle Liban, ancora con Sophia e il Movimento politico per l’unità, per il Medio Oriente. Nella regione, in effetti, s’avverte il bisogno di proporre una seria formazione alla “Leadership comunitaria nello spirito del Vangelo” (questo il titolo del progetto), che possa cioè portare uomini e donne, soprattutto giovani, a mettere assieme un gruppo, ad animarlo, a risolverne i problemi e a contribuire al bene comune della propria città, della propria Chiesa e del proprio Paese in relazione con le altre comunità presenti sul posto, sia civili che religiose. Bisogna ricostruire le case, ma soprattutto i cuori e le menti. Il progetto rappresentato da un’ancora (al Marsat) offre degli strumenti di formazione utili per ridare fiato in questo modo a tanti giovani e a tante comunità ecclesiali in Siria, Kurdistan iracheno, Giordania e Libano. Naturalmente vengono presi in considerazione i diversi aspetti della leadership, da quelli psicologici a quelli sociali, da quelli ecclesiali a quelli ecumenici, dall’organizzazione all’economia, dall’annuncio alla carità, e via dicendo. La tappa libanese è già conclusa, quella siriana, ad Aleppo, è in corso, mentre quella giordana si svolgerà tra settembre e dicembre 2019. Seguiranno le altre.
Michele Zanzucchi
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Feb 8, 2019 | Cultura
Cosa hanno in comune Medellin, Katowize e Kingersheim? Nonostante la distanza culturale, ciò che le accomuna è il progetto sociale e civile. Sono geograficamente situate in due continenti diversi e in tre aree culturali distanti. Si tratta di Medellin (Colombia), Katowize (Polonia) e Kingersheim (Francia). Sono città che hanno accolto la sfida di porre al centro il bene comune nel senso più autentico e non come somma di interessi privati. Amministrazioni e cittadinanza hanno lavorato per trovare una via per rompere egoismi, povertà, solitudini e riconoscersi fratelli. I protagonisti sul campo sono rispettivamente Federico Restrepo, Danuta Kaminska e Jo Spiegel che al Convegno “Co-Governance. Corresponsabilità nelle città oggi” hanno raccontato le loro tre storie, diverse ma con un unico leitmotiv. La prima storia è raccontata da Federico Restrepo, ingegnere e già direttore dell’EPM – Imprese Pubbliche di Medellin (Colombia) che, insieme ad altri amici, non si è arreso dinanzi all’ineluttabilità della situazione che sembrava più grande delle sue forze. Medellín – città che conta quasi tre milioni di abitanti –, come tante altre città sudamericane dimostra una forte tendenza di crescita delle aree urbane a scapito della popolazione rurale.
“In alcuni quartieri di Medellin si trovano popolazioni che cercano di costruire una loro città nella periferia della città”racconta Restrepo. Da alcuni anni è partita un’esperienza-pilota nei quartieri nati da migrazioni forzate per attuare progetti urbani integrali. L’immigrazione, in aumento in Colombia anche a causa della crisi venezuelana, non si risolve costruendo muri: “Abbiamo la responsabilità – continua – di costruire relazioni tra le città per poter risolvere questo problema sociale che la nostra società sta attraversando”,. Ma non è soltanto una questione di urbanistica, altre sfide si presentano per riscoprire il cuore della città e farlo pulsare. L’esperienza che racconta Danuta Kaminska fa da tramite tra il continente americano e l’Europa. Amministratrice pubblica nel Consiglio della Slesia
Superiore, in Polonia, lei presenta storie quotidiane, ma nello stesso tempo straordinarie, di accoglienza da parte dei cittadini di Katowize per favorire l’inserimento immigrati dei migranti, in maggioranza ucraini. Soltanto lo scorso anno essi hanno raggiunto il numero di 700.000. “Per attivare la co-governance nella nostra città abbiamo capito che occorre sostenere i cittadini. Si collabora con le comunità religiose e le organizzazioni non governative per l’integrazione, come ad esempio il sostegno alle comunità ebraica e musulmana”. Katowize, due milioni di abitanti, ha subìto in questi anni una profonda mutazione, trasformandosi da città industriale a sito UNESCO, ed è stata sede della La Conferenza delle Parti sul Clima del 2018 (COP24) .
Se la città è uno spazio di trasformazione, se la democrazia deve essere fraterna, occorre coltivare la partecipazione e la spiritualità. Stiamo parlando di amministratori che diventano facilitatori dei processi decisionali e Jo Spiegel, sindaco di Kingersheim, cittadina francese di circa 13.000 abitanti, continua a spendersi con tutte le forze per restituire alla sua città un volto multiforme dove possano coesistere culture e generazioni diverse. “Venti anni fa – racconta il sindaco – abbiamo fondato un ecosistema democratico partecipato, dando vita alla “Casa della Cittadinanza, un luogo privilegiato dove di impara a vivere insieme, cittadini e politici”. Più di quaranta i progetti portati a termine come la revisione del piano urbanistico locale, la pianificazione del tempo del bambino, la creazione di un luogo di culto musulmano. “La fraternità non si delega, non si decreta. È dentro di noi, è tra noi. Si costruisce”
Patrizia Mazzola
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Gen 8, 2019 | Cultura
Dal 17 al 20 gennaio 2019, 400 amministratori, cittadini, economisti, esperti e professionisti di tutto il mondo si incontreranno a Castel Gandolfo (Roma): quattro giorni di confronto e approfondimento sulla gestione delle città, fare rete e imparare modelli di sostenibilità e convivenza. Interverranno, tra gli altri, pensatori e protagonisti del lavoro nelle città, che rifletteranno sul loro significato in quest’era ‘post-democratica’ come Emilce Cuda, argentina, politologa e profondamente conoscitrice del pensiero di Papa Francesco o l’ on. Sunggon Kim (김성곤) – buddista, già Segretario Generale dell’Assemblea Nazionale Coreana. Sarà presente l’architetto Ximena Samper, colombiana, l’on.Ghassan Mukheiber, libanese, Chairman dell’Arab Region Parliamentarians Against Corruption. Da segnalare anche la presenza del Sindaco di Katowice (Polonia) dove si è appena conclusa la COP 24, il responsabile dell’accoglienza ai rifugiati della Catalogna, Angel Miret e il Presidente della Comunità islamica di Firenze e della Toscana, Izzedin Elzir. Se governare le città è sempre stata un’arte complessa, oggi lo è ancora di più. Occorre rispondere a una società che cambia senza sosta, attraversata da problemi locali e globali e da un ritmo di sviluppo tecnologico convulso che rischia di aprire abissi economici e zone inedite di nuove povertà. Occorre decidere per oggi e programmare a lunga distanza. È per questo che le città sono strategiche dal punto di vista politico e culturale perché sono “casa” per più della metà della popolazione mondiale (fonte Onu) e non è una scelta libera, ma spesso legata a mancanza di cibo e lavoro. In questa epoca di sovranismi, le città stanno emergendo come veri e propri hub sociali, distributori di infinite connessioni: civili, politiche, antropologiche, economiche, comunicative. Le città, dunque, come espressione di un nuovo modello identitario, dove identità non fa rima con localismo o nazionalismo esasperati, ma con partecipazione, condivisione dell’appartenenza a una vicenda comune, perché siamo parte della famiglia umana, prima ancora di prendervi parte. Co-governance è organizzato dal Movimento Umanità Nuova, Movimento Politico per l’Unità e Associazione Città per la Fraternità.
Stefania Tanesini
Per maggiori informazioni: www.co-governance.org (altro…)