Ago 29, 2018 | Focolari nel Mondo
«Quando avevo sei anni, mia madre mi fece inserire nel programma di assistenza diurna di Bukas Palad, il progetto sociale realizzato dai Focolari attraverso le sue organizzazioni AMU e AFN, dopo aver conosciuto una insegnante che lavorava lì. Ricordo che mi disse: “Qui imparerai ad avere un sorriso luminoso”. Anche mia madre partecipava alle riunioni di formazione e cominciò a impegnarsi come volontaria. Inizialmente pensavo che lo facesse perché non aveva nient’altro da fare, a parte i lavori di casa, ma poi mi sono ricreduta, vedendo che ci andava anche di sabato. Mio padre e i miei fratelli notavano che era più felice. E lo ero anch’io, attirata dallo spirito di reciproco amore e di unità che c’era tra i membri dello staff. Grazie al progetto ho potuto completare tutto il corso di studi fino alla laurea. Posso testimoniare che Bukas Palad ha avuto un ruolo fondamentale nella maggior parte delle mie esperienze e nelle mie scelte di vita. Ricordo molto bene tutte le attività che svolgevamo a scuola e durante i fine settimana, con tutti gli studenti, e la formazione che abbiamo ricevuto e che ci ha fatto diventare persone sensibili alle necessità degli altri e che considerano la povertà non come un ostacolo che ti impedisce di fare quello che vuoi, ma come un dono.
Attraverso il progetto, ho conosciuto Chiara Lubich e i giovani del Movimento dei focolari. Crescendo in questo contesto, ho imparato che i sogni si possono realizzare se crediamo che su ciascuno di noi c’è un piano d’amore di Dio. Mi sono laureata in Educazione all’Università di Cebu, poi ho superato l’esame di abilitazione per insegnanti. Subito dopo la laurea ho iniziato a lavorare, accompagnata dalla mia grande “famiglia”, che mi è sempre stata accanto, anche quando dovevo affrontare il mondo del lavoro e la vita in generale. Sia nei momenti di soddisfazione che in quelli difficili, mi sono portata dietro una frase di Chiara Lubich, “Siate famiglia”. Quando penso a Bukas Palad, capisco bene cosa sia una famiglia. Dapprima ho insegnato nella scuola privata, per cinque anni. Poi, nel 2014, ho fatto richiesta di insegnamento nella scuola pubblica. Sono stata assegnata ad una scuola di Mandaue, una città che fa parte dell’area metropolitana di Cebu. Qui le cose erano completamente diverse, non c’era la stessa organizzazione e sistematicità che conoscevo. Quando insegnavo nella scuola privata, pensavo che per fare l’insegnante era necessario un grande cuore e un animo coraggioso. Ma ora che lavoro nella pubblica credo che si debba avere un cuore ancora più grande, un animo se possibile ancora più coraggioso, una forza ancora maggiore. Ogni volta, quando mi viene la tentazione di abbandonare questo lavoro, qualcosa mi trattiene. Sono soprattutto loro, i ragazzi. In loro vedo me stessa e i miei compagni, tanti anni fa, quando sognavamo di diventare ciò che siamo ora. Forse non sarò in grado di dare lo stesso aiuto e lo stesso supporto che io e la mia famiglia abbiamo ricevuto, ma cerco di fare del mio meglio per trasmettere lo stesso amore». A cura di Chiara Favotti (altro…)
Ago 26, 2018 | Chiara Lubich, Chiesa, Cultura, Famiglie, Focolare Worldwide, Focolari nel Mondo, Spiritualità
Sposati da 31 anni, con cinque figli e la prima nipotina in arrivo, Gianni e Maria Salerno ne avrebbero tante di storie da raccontare e anche di suggerimenti pratici da offrire, specie alle coppie più giovani, sul tema dell’educazione dei figli. Ma per il loro contributo al Panel sulla “gioia e le sfide dei genitori nell’educare oggi”, tema centrale all’incontro di Dublino, che sta affrontando in un clima di festa e di preghiera argomenti importanti – quali il ruolo della tecnologia nella famiglia, il rapporto con la fede, le molteplici connessioni con il lavoro, l’economia, l’ambiente – hanno scelto di farsi portavoce del patrimonio di vita e di esperienza maturata in tanti anni dalle Famiglie Nuove dei Focolari, di cui da due anni sono i responsabili. Una “famiglia di famiglie”, che attinge alla spiritualità dell’unità di Chiara Lubich come una bussola che segna il nord nel cammino a volte faticoso della vita. Intervistati dal quotidiano cattolico “Avvenire”, Gianni e Maria hanno sintetizzato il loro intervento a Dublino: «Vorremmo sottolineare alcune “parole chiave” che ci sembrano molto utili nel rapporto con i figli e che possono essere vissute ovunque, in tutti i Paesi del mondo, indipendentemente dalla cultura cui apparteniamo. La prima è distacco. I figli non sono nostri, sono prima di tutto figli di Dio. È un atteggiamento che spinge a cercare il loro bene, nel rispetto della libertà di ciascuno, aiutandoli a scoprire il disegno di Dio per la loro felicità. Un’altra parola centrale è accompagnamento: facendo sentire la nostra vicinanza, i figli possono affrontare le difficoltà senza sentirsi soli, e si formano in questo modo alla responsabilità, all’impegno, all’allenamento costante della volontà. Vi è poi un verbo che è sempre stato fondamentale, nell’esperienza nostra e in quella di tante famiglie in tutto il mondo con cui siamo in contatto. Ed è ricominciare. Quando si sbaglia, quando vi è una difficoltà o l’amore viene a mancare, possiamo sempre mettere un punto e andare a capo, chiedendo scusa se magari abbiamo esagerato in un rimprovero, che spesso per i genitori è più un’occasione di sfogo che un intervento educativo.
Dovremmo cercare sempre di calarci in quello che i figli stanno vivendo. Solitamente usiamo un’espressione, camminare nelle loro scarpe, che esprime il desiderio dei genitori di sentire sulla propria pelle le loro emozioni, paure e difficoltà, esercitando un ascolto profondo e accogliente, prima di dare risposte affrettate. L’esempio, la condivisione e il dialogo sono fondamentali: in una famiglia si dovrebbe poter parlare di qualsiasi argomento e i genitori dovrebbero darne prova, captando con le loro antenne i messaggi anche non verbali lanciati dai figli che a volte, specie in età adolescenziale, suonano come delle vere e proprie provocazioni. Ancora: dedicare loro del tempo. Quanta fatica richiede, magari la sera, al termine di una giornata di lavoro, specie quando le idee non coincidono. Dovremmo lasciarci interpellare senza paura da loro e dal loro “mondo”, anche quando incalzano preoccupazioni di vario genere sulla salute, le compagnie che frequentano, la scuola o il futuro. Quando ciò avviene noi cerchiamo di fare tesoro di un consiglio prezioso: quello di occuparsi e non preoccuparsi, per evitare che la nostra ansia li renda più insicuri e meno liberi. Ciò che possiamo fare sempre, alla fine, è pregare per loro, affidandoli all’amore di Dio. Ci sono casi in cui i figli diventano ribelli, rifiutano il rapporto con i genitori, mettendo in atto comportamenti violenti, scelte discutibili, a volte gravi. Questo fa soffrire e destabilizza. La ferita dell’insuccesso educativo brucia e ci si chiede, come genitori: dove abbiamo sbagliato? Anche in questi casi dobbiamo ricordarci che si è genitori per sempre, e che la porta del nostro cuore va mantenuta sempre aperta. Non è facile, ma possiamo prendere come esempio da imitare Gesù crocifisso e abbandonato, che ha offerto il Suo dolore, trasformandolo in Amore. Come Lui, anche noi possiamo consumare la nostra sofferenza continuando ad amare concretamente i nostri figli e ogni prossimo che ci passa accanto, nella certezza che alla fine sarà l’Amore a vincere». (altro…)
Ago 23, 2018 | Focolari nel Mondo, Spiritualità
Droga a scuola Dovevo occuparmi di un alunno che aveva fatto uso di stupefacenti. In questo caso si è puniti con una settimana di espulsione dalla classe. Per evitare il rischio che questo gli consentisse ancora più tempo per stare con cattive compagnie, ho fatto in modo che durante quel periodo potesse frequentare una comunità, e a scuola, dove gli era consentito venire, sono rimasta con lui tutto il tempo, in biblioteca. L’ho aiutato a seguire il programma svolto in classe, perché non restasse indietro. È stato un lavoro molto impegnativo che mi ha aiutato a comprendere la concretezza dell’amore verso il prossimo. M.M. – Spagna Nuovo stile in casa Conduciamo, insieme ad un’altra coppia, degli incontri per fidanzati. Un giorno, prima di andare ad uno di questi appuntamenti, è scoppiata una lite con nostro figlio. Mia moglie ed io ci siamo messi in viaggio ugualmente, ma non eravamo tranquilli. Dopo qualche chilometro ci è stato chiaro che non avevamo nulla da offrire ai fidanzati. Fermata l’auto, ho telefonato a nostro figlio chiedendogli perdono per il modo in cui ci eravamo comportati. Ma una volta ripartiti, mia moglie mi ha fatto notare il tono sbrigativo col quale gli avevo parlato. È iniziata allora una discussione tra noi. Dopo altri chilometri eravamo ormai consapevoli di non essere in grado di testimoniare l’amore reciproco. Così abbiamo telefonato all’altra coppia per avvisare che tornavamo indietro. Appena rientrati a casa, abbiamo spiegato a nostro figlio, stupito, perché eravamo tornati indietro. La lezione ci è servita per stabilire in famiglia uno stile di vita diverso. K.E. – Repubblica Ceca Gita scolastica Mentre ero in gita, durante il pranzo al sacco mi sono accorto che molti miei compagni buttavano via il cibo ancora intatto. Per me è stato uno choc. Il giorno dopo, durante il pranzo, ho giocato d’anticipo: passando tra i compagni, ho recuperato il cibo che non era stato nemmeno toccato e con quello ho riempito una busta e l’ho portata a un senzatetto, che era poco distante. N. – Italia Trasferimento Dopo 35 anni di servizio il vescovo mi ha chiesto di trasferirmi in un’altra parrocchia. Ne è seguito un momento di buio interiore, vissuto in preghiera. Poi ho capito che non dovevo guardare le cose solo dal mio punto di vista. Così gli ho dato la mia disponibilità. Così, di colpo, la paura della novità e le preoccupazioni per la mia salute sono svanite. Mi è sembrato chiaro, non era un favore che avevo fatto a qualcuno, ma una grazia che stavo ricevendo. Con questo stato d’animo la vita nella nuova parrocchia è cominciata su fondamenta ben più solide, diverse da quando avevo cominciato il ministero, tanti anni prima, da giovane prete. E.B. – Slovenia Un piccolo gesto d’amore Ero venuto a sapere che un collega era stato ricoverato. Per alcuni mesi, ogni fine settimana, al rientro da un corso che stavo frequentando in un’altra città, andavo a trovarlo. I suoi genitori erano venuti da un’altra regione per stargli vicino. Ho pensato che sarebbe stato un sollievo per loro cenare una sera in pizzeria. Quella sera ho fatto mia tutta la loro ansia e al ritorno li ho accompagnati nel loro alloggio. Mi hanno confidato che dal giorno del ricovero del figlio non avevano mai trascorso una serata così bella. A. – Italia (altro…)
Ago 22, 2018 | Chiesa, Famiglie, Focolare Worldwide, Focolari nel Mondo
Cinquanta e più anni fa neppure noi conoscevamo la provenienza del nostro amore. Ci bastava saperci incamminati in un’avventura senza fine, stupiti che le nostre diversità fossero così calibrate, piacevoli e complementari da farci sentire, seppur differenti, meravigliosamente uguali. Sentivamo di essere pronti a tutto, convinti che nessuno si amasse come noi, perché noi avevamo inventato l’amore. Non era trascorso un anno dal fatidico sì, che già qualche ombra cominciava ad oscurare il nostro orizzonte. Lavoro, fatica, routine… Si sa, l’innamoramento ad un certo punto finisce. È stato allora che qualcuno ci ha svelato che la sorgente di ogni amore è Dio, che è amore. Avremmo dovuto saperlo, perché nel pronunciare il patto nuziale Lui era lì con noi e da allora si era addirittura stabilito in mezzo a noi. Ma noi eravamo ignari di tanta fortuna, non sapevamo che questa sua presenza facesse parte del ‘pacchetto’! Lui, l’abbiamo capito dopo, dà a noi tutto di sé, chiedendo in cambio soltanto una piccola cifra quotidiana: che ci amiamo col suo stesso amore. L’innamoramento finisce? Al suo posto deve subentrare l’amore. Perché se la fede è una virtù per così dire interiore, l’amore è il suo compimento esteriore, visibile. L’amore è più grande di tutto: più della fede, più della speranza. Di queste due virtù nell’altra Vita non c’è più bisogno. L’amore, invece, resta anche in Paradiso. È l’amore che fa dei due una sola carne, una sola entità intoccabile e indissolubile, un ‘noi’ aperto all’Assoluto. L’amore deve giungere al paradosso di sapersi fare nulla per vivere l’altro. Solo così il nostro amore può rispecchiare il suo disegno originario.
Il ‘noi’ di coppia è il primo e vitale frutto della fecondità del nostro amore. La complementarietà del maschile con il femminile, che si esprime nei mille gesti quotidiani del servizio reciproco e della tenerezza, fino alla pienezza dell’intimità dei corpi, si attua anche nella condivisione di spazi, di tempi, di impegni: un noi che sa andare in uscita, verso i figli prima di tutto, e verso gli altri. Il noi è il modo tipico degli sposi di evangelizzare, ponendosi di fronte agli altri quale esempio fra i tanti, mai come un modello di famiglia ideale, che non esiste. La nostra unica chance è l’amore, anche se ci sentiamo imperfetti, anche se ci sembra di aver sbagliato tutto. L’importante è credere che nell’attimo presente possiamo essere la persona giusta per l’altro, e lo siamo nel momento in cui decidiamo di amarlo così com’è, senza pretendere che cambi, mettendo in atto le tre parole ‘magiche’ che ci insegna Papa Francesco: permesso, grazie, scusa. Si dice che la famiglia stia oggi attraversando la più tragica delle sue crisi. Non rimpiangiamo i bei tempi andati. Il tempo favorevole è oggi. È nella famiglia che si accende la vita. È lì dove si impara a condividere, a gioire e soffrire, a conoscere la malattia e affrontare la morte. L’amore la rende il luogo dell’impossibile. Lo testimoniano le tante famiglie che accolgono i figli anche se disabili, che li adottano proprio perché tali, che ospitano i genitori anziani, che aprono le loro case ai migranti, che cooperano al riscatto dei figli preda di dipendenze. In questi cinquant’anni e oltre, la vita ci ha insegnato tante cose. Abbiamo imparato a gioire e a pregare, ad accogliere e a sperare. Abbiamo sbagliato tante volte, ma con la Sua grazia e nel perdono, abbiamo ricominciato. Nel rimettere continuamente nelle mani di Dio il nostro amore, Egli non ha mai esitato, come a Cana, a cambiare la nostra povera acqua in vino generoso, rendendolo prodigiosamente disponibile anche a chi sta intorno a noi. Ed ora, nonostante il trascorrere degli anni che attenua la passione ed evidenzia i limiti dei nostri caratteri, continuiamo fiduciosi ad attingere alla Sua inesauribile sorgente, felici di sentirci compagni e complici fino alla fine. (altro…)
Ago 7, 2018 | Famiglie, Focolare Worldwide, Focolari nel Mondo, Spiritualità
Edgar e Maquency, insieme ai loro tre figli, Edgar (18), Monserrat (16) e Mackenzie (15), da quattro anni vivono a “El Diamante”, 50 km da Puebla e circa 170 da Città del Messico. Poche decine gli abitanti, ma svariate migliaia ogni anno i visitatori, in una terra ricca di culture e dai forti contrasti, con moderne e popolose metropoli ed estese zone emarginate. La cittadella è una vera e propria “punta di diamante”, cuore pulsante del Movimento dei Focolari, fondata nel 1990 da Chiara Lubich. Un luogo che testimonia come l‘inculturazione della vita del Vangelo sia possibile se basata sul dialogo e sullo scambio reciproco tra le diverse culture. «Abbiamo deciso di trasferirci nella cittadella con i nostri tre figli per dare un contributo concreto. Siamo arrivati qui rispondendo ad una vera e propria chiamata di Dio per costruire, insieme ad altri, la cittadella», racconta Edgar. «Per noi, dare la nostra disponibilità era anche un modo per ricambiare tutto l’amore che ci aveva donato, da quando abbiamo conosciuto l’ideale dell’unità», aggiunge Maquency. «In questo periodo – racconta Edgar – mi sono trovato a fare i conti con la difficoltà di non avere un lavoro fisso. Nel primo anno trascorso alla cittadella avevo fatto vari lavori di falegnameria e di idraulica, poi avevo lavorato come imbianchino, sempre per sostenere l’economia famigliare. In seguito, parlando con Maquency e con gli altri focolarini, abbiamo deciso che io cercassi un’altra fonte di reddito nell’ambito della mia professione di ingegnere. Dopo qualche tempo ho trovato un lavoro in una città a 90 km dalla cittadella. Il lavoro era buono ed ero contento, ma mi restava sempre dentro la nostalgia di trovarmi lontano da casa, dalla mia famiglia, dalla cittadella». Quindi un’altra opportunità, in una città più vicina. «Parlandone in famiglia, abbiamo preso la decisione di accettare. A prima vista sembrava una buona opzione, però dopo alcuni mesi di lavoro in questa impresa, mi sono accorto che le cose non erano come apparivano e ho dovuto rinunciare. Sono tornato quindi alla cittadella, e mi sono dedicato al lavoro di serigrafia. Mi sembrava di essere tornato indietro, invece poco dopo mi è arrivata un’offerta di lavoro inaspettata come consultore in un progetto. Sono stato subito assunto. Il lavoro mi piaceva molto e lo stipendio era buono. Finalmente, in famiglia, eravamo riusciti ad avere una economia stabile».
Quando tutto sembrava essersi normalizzato dal punto di vista economico, a Edgar viene proposto, a sorpresa, di occuparsi della gestione dei lavori di manutenzione della cittadella, necessari dopo tanti anni dalla costruzione. «Con mia moglie siamo entrati in una nuova tappa di discernimento, cercando di capire la decisione giusta da prendere. Non sono mancati i momenti di incertezza e apprensione, soprattutto pensando al futuro dei nostri figli». «Ci siamo ricordati – interviene Maquency – dell’esperienza iniziale della chiamata che Dio ci aveva fatto. Ci siamo sentiti nuovamente interpellati, perché quando Dio chiama ti chiede di lasciare tutto ed esige un amore esclusivo. Vuole che lasciamo le nostre sicurezze, per metterci al servizio. Però anche ci offre tutto, come dice il Vangelo: “Non c’è nessuno che abbia lasciato casa o fratelli o sorelle o madre o padre o figli o campi per causa mia e per causa del Vangelo, che non riceva già ora, in questo tempo, cento volte tanto”». «Così abbiamo deciso che io mi mettessi a servizio della cittadella. Quando ne ho parlato con il responsabile dell’impresa lui ha esclamato: “Ce ne fossero tante di persone come te!” e mi ha fatto la proposta di lavorare nell’impresa con un orario ridotto, più adatto alle nuove esigenze. Ho toccato con mano l’intervento della Provvidenza e la verità del Vangelo». (altro…)