Gen 26, 2015 | Centro internazionale, Chiara Lubich, Spiritualità
«Quel che mi era parso, nelle agiografie, un risultato di ascesi faticosa, riservato a rari cercatori, diveniva retaggio comune, e si capiva come Gesù avesse potuto invitare tutti i seguaci a divenir perfetti a mo’ del Padre: perfetti come Dio! Tutto vecchio e tutto nuovo. Era un nuovo congegno, un nuovo spirito. Era trovata la chiave del mistero: e cioè si era dato passo all’amore, troppo spesso barricato: ed esso prorompeva, e, a mo’ di fiamma, dilatandosi, cresceva, sino a farsi incendio. Quell’ascensione a Dio, ritenuta irraggiungibile, era facilitata e aperta a tutti, essendosi ritrovata per tutti la via di casa, col senso della fraternità. Quell’ascesi che pareva terrifica (cilici, catene, notte oscura, rinuncia), diveniva facile, perché fatta in compagnia, con l’aiuto dei fratelli, con l’amore a Cristo. Rinasceva una santità collettivizzata, socializzata (per usar due vocaboli che più tardi dal Concilio Vaticano II saranno popolarizzati); tratta fuori dall’individualismo che assuefaceva ciascuno a santificarsi per sé, coltivando meticolosamente, con analisi senza fondo, la propria anima, anziché perderla. Una pietà, una vita interiore, che usciva dai ridotti delle case religiose, da certo esclusivismo di ceti privilegiati – avulsi talora sino a essere fuori, se non contro, la società, che è poi in gran parte la Chiesa viva – si dilatava nelle piazze, nelle officine e negli uffici, nelle case e nei campi, così come nei conventi e nei circoli d’Azione cattolica, poiché, dappertutto, incontrando uomini, s’incontravano candidati alla perfezione. Insomma l’ascesi era risolta in un’avventura universale dell’amor divino: e l’amore genera luce». «La vita è un’occasione unica da sfruttare. Da sfruttare in terra per prolungarla nell’eternità. Per fare della terra un anticipo di cielo, inserendola nella vita di Dio qua come di là. Non sciuparla in un assillo d’ambizioni e avarizie, non abbrutirla con rancori e ostilità: divinizzarla – ampliarla nel seno dell’Eterno – con l’Amore. E dove è l’amore è Dio. E ogni attimo è sfruttato per amore, e cioè donare Dio: che è poi un assorbire Dio per sé e per gli altri. E in questo vivere è la libertà dei figli di Dio, per la quale lo spirito non è immobilizzato da pregiudizi. Divisioni, opposizioni, gli sbarramenti allo spirito di Dio. Chi così vive non pensa a santificarsi, pensa a santificare. Di sé dimentica: si disinteressa. Si santifica santificando: si ama amando; si serve servendo. Per tal modo la stessa opera del santificarsi ha un andamento sociale: questo continuo donare e donarsi fa dell’elevazione delle anime un’opera comunitaria. “Siate perfetti come il Padre mio” comandò Gesù: e ci si fa perfetti nella volontà del Padre unificandoci tra noi per unificarci con Lui, attraverso Cristo». Fonte: Centro Igino Giordani (altro…)
Gen 17, 2015 | Centro internazionale, Ecumenismo, Spiritualità
Giordani presiedette un convegno di ecumenisti nell’autunno 1967 presso la sede del Movimento dei Focolari a Rocca di Papa. Vi partecipava l’archimandrita mons. Eleuterio Fortino, che ha dato in seguito questa testimonianza: «Giordani in quel convegno era riuscito per la sua serenità interiore a placare i toni accesi del dibattito; ed aveva chiarito gli aspetti teologici e pastorali del decreto del Vaticano II Unitatis redintegratio (1964), facendo cadere le ultime resistenze degli oppositori italiani alla preghiera in comune fra tutti i cristiani nella Settimana per l’unità delle Chiese» . Per parte sua Giordani seguiva già dal 1940 questa Settimana, che ad essere precisi è un Ottavario: dal 18 al 25 gennaio. Ce lo spiega lui stesso in uno scritto di quell’anno, dove precisa fra l’altro il senso delle due date: festa della cattedra di S. Pietro a Roma, la prima, conversione di san Paolo, la seconda. «La pratica dell’Ottava per l’unità, poiché aduna milioni di cristiani ai piedi dell’unico Padre per fargli un’unica, corale, domanda, che ridiventino tutti uno, è già essa stessa un inizio dell’unità, oltre che un avvio nella direzione giusta. Durante i preparativi di questa Ottava s’è sparsa la notizia, al principio assai imprecisa, che in un monastero di monache trappiste presso Roma, si pregava con un’intensità particolare, per la cessazione delle divisioni tra cristiani, il cui aspetto – che è aspetto di Cristo sanguinante – non dovrebbe darci requie.

Suor Maria Gabriella Sagheddu
Io venivo a sapere che, in quella Trappa, un’umile monaca, Maria Gabriella, s’era offerta vittima per l’unità della Chiesa e che la sua immolazione aveva colpito profondamente una comunità di fratelli separati in Inghilterra. La notizia, pur così vaga, allargava immensamente – agli occhi miei almeno – l’orizzonte del movimento unitario e apriva prospettive nuove, in cui, come lembo d’azzurro tra fenditure di tempesta, si mostrava il volto del cielo sopra l’umanità rissosa. Metteva, insomma, nella sua vera luce l’Ottava e i suoi fini. Ora queste monache probabilmente non sapevano nulla di tutti quei dibattiti e commissioni e comitati: e in ogni caso – per quanto grandi fossero le benemerenze di quei convegni internazionali – esse non ritenevano che fosse materia loro. Poste di fronte al problema della scissione, esse l’avevano contemplato con semplicità, al lume della Regola, che mai devia: e cioè avevano visto che l’unità andava cercata dove sta: alla fonte, alla matrice: doveva in altri termini, chiedersi al Padre, nel quale – come con la parabola del Figliol prodigo ci è stato insegnato – e solo nel quale i fratelli si unificano. Ciò vuol dire che queste umili creature, che non incontreremo in nessun congresso, han visto subito il da farsi e han messo sulla strada diritta il movimento per l’unità. […]. L’unità non è opera di uomini ma di Dio: non di studio, ma di grazia. Accetta, Padre, queste offerte pure, anzitutto per la tua Chiesa, perché ti degni di purificarla, custodirla, e unificarla…» . Da “Il percorso ecumenico di Igino Giordani” di Tommaso Sorgi – estratto da Nuova Umanità, n. 199 – gennaio/febbraio 2012. (altro…)
Dic 13, 2014 | Centro internazionale, Chiara Lubich, Spiritualità
La meraviglia della Redenzione si inizia con la nascita del Redentore: il re del creato che non trova una stanza per venire al mondo, così come poi non troverà una pietra per posare il capo. Fu il vero uomo. E la sua presentazione all’umanità, per cui era venuto, avviene sotto le forme d’un bambino, che giace in una mangiatoia. Anche i romani attendevano il Salvatore del mondo sotto le sembianze d’un ragazzo, che avrebbe iniziato un nuovo ciclo di secoli. E anche i greci, e anche i persiani. I giudei poi l’aspettavano nella luce delle profezie, fermando su di Lui venturo le speranze messianiche d’una rinascita del passato con un capovolgimento di cose. E il capovolgimento fu già configurato da quella nascita proletaria, che poneva il Figlio di Dio al rango delle vittime delle guerre e delle inondazioni, tra i senza tetto e i senza denaro, sullo strato inferiore della miseria universale, così come sarebbe morto sul patibolo della maggiore ignominia. Una presentazione sbalorditiva del divino: nimbi di angeli sopra e crocchi di pastori sotto. Ma più sbalorditivo fu il canto intonato dentro la notte rotta di fulgori dagli spiriti angelici sopra quella nascita singolare: – Gloria a Dio in cielo; pace agli uomini in terra. Quel che è la gloria per Iddio – suonava in sostanza il messaggio – è la pace per gli uomini. La pace di Dio è la sua gloria. La gloria degli uomini è la loro pace. Il nesso è vitale, e già da solo investe il rapporto di valori divini e umani incluso nell’Incarnazione, dove la natura divina e la natura umana si uniscono in un’unica persona, fatta perciò legame e tramite dell’infinito nel finito, dell’eterno nel transeunte, della gloria nella pace. Tale nesso porta che non si può separare la gloria di Dio dalla pace degli uomini. Se c’è l’una c’è l’altra; se non c’è quella, manca pure questa. Ma come grande e denso di conseguenze è questo primo annunzio evangelico, che preannunzia l’effetto individuale e sociale dell’amore, legge costitutiva dell’ordine nuovo, addotto da quel Bambino proletario! L’effetto è la pace. E se c’è la pace, vuol dire che agisce, nello spirito di ciascuno e nei rapporti con tutti, quel lume divino che è la carità; vuol dire che gli uomini si sentono fratelli perché sentono la presenza dell’unico Padre. La gloria più grande che gli uomini possono rendere a Dio nel più alto dei cieli è di assicurare, con la buona volontà, la pace degli esseri razionali nel più basso dei pianeti, l’aiuola che ci fa tanto feroci. Per la pace la nostra vita della terra si divinizza. Se invece di perder tempo a odiare, si guadagna vita nell’amare, si ottiene di ospitare in sé Dio, che così dimora nella sua essenza, – la sua aria: – l’amore. Dio – insegnano i mistici – non dimora che nella pace. Ecco come, per la presenza di Cristo, una stalla diviene un empireo; e anche una capanna può divenire una chiesa. E può divenirlo ogni casa; e anche ogni ufficio; e persino un Parlamento. (Igino Giordani, Parole di vita, SEI, Torino, 1954, pp. 21-23) (altro…)
Nov 23, 2014 | Cultura, Focolare Worldwide, Focolari nel Mondo, Spiritualità
«Christopher Dawson, in The Making of Europe, scrive: “L’influenza del cristianesimo nella formazione della unità europea è un’impressionante esempio del modo con cui il corso della storia viene modificato e determinato dall’intervento d’influssi spirituali nuovi. Così, nell’antico mondo, vediamo che l’artificiale civiltà materiale dell’Impero romano abbisognava di qualche ispirazione religiosa, di una specie più profonda di quella del culto ufficiale…”. Essa venne; e fu il cristianesimo. […] Si potrebbe dire che le divisioni religiose, sanzionate dalla norma: cuius regio eius religio, fossero escogitate soprattutto per consentire le divisioni politiche, gli isolamenti nazionali e, come corollario, le guerre. Nell’unità religiosa i conflitti erano considerati fratricidi e ci si sforzava di eliminarli. Poi, nella divisione della cristianità, i conflitti divennero glorie nazionali. E tuttavia, non essendo la coscienza cristiana ed europea mai morta, quelle guerre in Europa, a più spiriti apparvero ancor guerre intestine. Ché la coscienza della comunanza europea non è mai venuta meno. Non basta una burocrazia comune Il russo Soloviov, ebbe a scrivere che la Chiesa, come aveva unificato l’Europa prima coi Franchi, poi coi Sassoni, oggi l’avrebbe riunificata con la giustizia sociale, scavalcando le divisioni di classe e casta e razza. E cioè, eliminando le maggiori cause di conflitto. Giustizia sociale significa quella comunione di beni spirituali e materiali, che la concezione cristiana, per cui gli uomini son tutti figli dello stesso Padre, eguali tra di loro, propone e suscita in vista della pace, nel benessere e nella libertà. Pensare di ottenere questo ordine razionale con la sola lotta di classe equivale a ripetere l’errore del militarismo germanico, slavo, ecc., che pretese di unificare l’Europa con le sole armi. Il cristianesimo significa una unificazione nella libertà e nella pace, con la eliminazione delle guerre e di tutti i motivi di attrito. L’apporto della religione, in questo senso, non è diretto tanto alla strutturazione degli istituti quanto alla formazione degli spiriti. Dalla religione muovono oggi due spinte unificatrici: 1) il progredente senso del Corpo mistico; 2) il rinato ecumenismo, per cui l’unità della Chiesa provoca l’unità dei popoli. Due impulsi, che, mentre rettificano correnti ed eliminano passioni, da cui venne la vivisezione dell’Europa, suscitano energie spirituali capaci di dare un’anima a questa unione politica; d’infondere una ispirazione soprannaturale a questa operazione umana; di rendere popolare la istanza dell’unità. Se questa fosse riservata ai soli fattori economici e politici e militari, fallirebbe. Non basta a far l’Europa un esercito comune o una burocrazia comune. Non per nulla gli uomini politici tendono ad inserirvi ideologie; cioè, tengono a dare al corpo un’anima. L’Europa ha già una anima: il cristianesimo, sua essenza e sua genesi».
Igino Giordani
(Città Nuova n. 5 del 10.3.1972 pp.23-23) (altro…)
Ott 18, 2014 | Centro internazionale, Chiesa, Focolari nel Mondo, Spiritualità
Una sintesi significativa delle linee portanti del suo pontificato, della sua spiritualità e della sua persona: in questo articolo – scritto da Giordani nel decimo anniversario dell’elezione di Paolo VI – emerge in particolare il ruolo del papa nel traghettare la Chiesa negli anni complessi che vanno dalla conclusione del Concilio Vaticano II alla sua articolata recezione. Nell’analisi di Giordani i tratti peculiari di un pontefice ancora oggi additato a maestro e modello sono: la spinta propulsiva sul versante dell’ecumenismo e del dialogo interreligioso; la sua sapiente apertura al confronto con la cultura del mondo contemporaneo, nei suoi molteplici aspetti politici, economici e sociali e, in particolare, l’impegno profuso su più fronti a favore dell’evangelizzazione. Leggi l’articolo integrale in pdf