19 Apr 2019 | Spiritualità
Igino Giordani ha dedicato molte pagine a Maria, alla comprensione del suo mistero. Tra di esse questa nella quale invita a guadare a Maria ai piedi della Croce, ad essere come Lei. Sia tuo modello Maria Desolata, la quale, dopo aver dato la vita a Gesù e averlo amato e servito, pur sentendosi distaccata da lui e rigettata dalla massa che non era ancora Chiesa, tuttavia nella fedeltà non oscillò; e nella prova suprema non mancò all’appuntamento sotto la croce. Fu quale lo Spirito Santo l’aveva modellata: cuore nel quale le offese degli uomini s’estinguevano; centro dal quale solo l’amore scaturiva. Tutta donazione. Morta a se stessa, viveva di Dio: non viveva in Lei che Dio. (…) Ti lasciano solo gli uomini, perché tu resti solo con Dio. E allora l’anima tua non è più distratta o sottratta: allora colloquia nel silenzio con l’Eterno. Sta, col Crocifisso, sul piano di Dio.
Igino Giordani
(Igino Giordani, Maria Modello perfetto, Città Nuova, Roma, 1989, 131-133)
(altro…)
14 Set 2018 | Centro internazionale, Spiritualità

© Ave Cerquetti, ‘Crocifissione’ – Lienz (Austria) 1975
Maria, ai piedi della croce, non svenne ma, levato cuore e sguardo al Padre, gli offerse, come pegno del patto ricostruito e come avallo del mutamento operato, quel Figlio, quale offerta preziosa, ostia senza prezzo. Sull’orizzonte tra cielo e terra, stette allora quale Maria dei dolori, la desolata: la donna che più pativa; ma, non piegata sotto la tragedia, consapevole del servizio da rendere, — ancella del Signore —, ai figli di lui, stette anche quale sacerdote all’altare, l’altare unico della croce, per offrire, adorando, alla giustizia eterna, quel figlio senza macchia, immolato per tutti. La sua resistenza restò impavida anche dopo, quando i soldati, schiodato il cadavere del Crocifisso, glielo abbandonarono tra le braccia, e si dileguarono, con la folla, per i vicoli, nelle casette assonnate sotto il buio della notte. Tra lampeggiamenti residui e fiori di stelle, nel silenzio coricato sulla tragedia consumata, ella stette ancora sola, a continuare al Padre l’offerta di quell’innocente svenato, il Figlio senza pari, che ella si stringeva tra le braccia appena morto, come un giorno, bambino, prediletto dagli angeli, lo aveva stretto a Betlemme, appena nato. Venuto alla vita sulle mani di una vergine, si era allontanato dalla vita sulle mani di una vergine: Virgo altare Christi. Appena nato allora, appena morto ora, era il prezzo con cui riscattava tutti dal dolore, frutto della colpa. È l’atteggiamento sublime della vergine cristiana che, fondata su Dio, non paventa. Quante volte la Chiesa perseguitata, — Cristo svenato, — non è stata raccolta tra le braccia di vergini, umili e forti, mentre dintorno i più fuggivano o si nascondevano! Vergini, consacrate o no, e madri dal cuore verginale, e pochi uomini, sull’esempio di Giovanni, assistettero più volte allo scempio rinnovato del Calvario e tennero nel cuore vivo il Cristo mistico. Fidata in Dio, Maria offre il Figlio al Padre, restituendolo, per identificarsi con la volontà di lui. In quell’ora, il suo gracile corpo muliebre resta eretto come altare, su cui è immolato, per la salvezza di tutti, il figlio di lei, l’agnello senza macchia. La sua è la fede del sacerdote che immola, in un’ora tragica, la più decisiva delle ore scoccate nella successione del mondo. Ogni anima è vergine — insegna sant’Agostino — in quanto fa parte della Chiesa che è vergine. Questo mistero ci associa alla desolazione di Maria, intanto che ci unisce alla passione di Gesù; passione che verginizza le anime pentite, presenti alla croce col cuore di Maria. Maria, ai piedi della croce, che offre il Figlio al Padre, incarna il sacerdozio universale della Chiesa: ne compie il primo gesto, quello che la Chiesa non finisce di ripetere. Incarna la Chiesa, e la simboleggia, anch’essa vergine e madre, che prosegue l’opera di Maria, che si unisce con quella di Gesù. Per denotare la bellezza e purezza e insieme la natura e la missione della Chiesa, sin dall’inizio essa fu paragonata a Maria: e fu vista quasi come la Vergine Madre effusa sull’universo, per portare le anime tutte a Cristo. Ella ripete la bellezza unica della verginità della Madonna, per ricominciare, senza pause, l’opera redentiva di Cristo. Igino Giordani, Maria modello perfetto, Città Nuova, Roma, 2012, pp.139-141 (altro…)
27 Feb 2018 | Ecumenismo, Focolare Worldwide, Focolari nel Mondo, Spiritualità

Welwyn Garden City
«Se Maria, o per meglio dire la teologia e la devozione mariane, hanno costituito a volte un ostacolo alla riunificazione del cristianesimo, nell’attuale clima di dialogo e desiderio di mutua comprensione, insieme a una rinnovata attenzione al discorso biblico su Maria, sta emergendo in alcuni gruppi cristiani la consapevolezza che Maria, oltre ad essere una compagna nel viaggio della fede, sia anche una madre, e come tale possa avere un ruolo speciale nel conservare l’unità della Chiesa: “Madre dell’unità dei cristiani”». L’esperienza di Chiara Lubich su Maria, a partire dal particolare periodo di illuminazione avvenuto nell’estate del 1949, è al centro dell’intervento di Judith Povilus, americana di Chicago, matematica e teologa (“andando ai fondamenti, matematica e teologia hanno molto da dirsi reciprocamente”), attualmente docente di Logica e Fondamenti di Matematica all’Istituto Universitario Sophia di Loppiano (Italia), durante il recente incontro di rappresentanti di diverse chiese cristiane – presenti tra gli altri 18 vescovi, di cui 6 anglicani, 6 cattolici, 3 riformati, un metodista, un luterano e uno copto ortodosso – riunitisi a Welwyn Garden City, la “città giardino” progettata negli anni ‘20 a 40 km da Londra.
«Durante quel periodo – spiega la teologa Povilus – si aprì, per la fondatrice dei Focolari “un orizzonte nuovo e vasto, una inimmaginabile visione di Maria” scoperta “come fosse per la prima volta”: creatura umana (“una di noi”) ma al contempo “imbevuta della Parola di Dio”». «Maria si rivelò come Madre di Dio, Theotokos. Non era solo, come avevano pensato fino ad allora, la giovane di Nazareth, la creatura più bella, che superava in amore tutte le madri del mondo. Era la Madre di Dio, in una dimensione completamente nuova. E per spiegarlo Chiara fece ricorso ad una immagine: quella del cielo che abbraccia e contiene il sole». La nuova comprensione riguardò anche Maria Desolata che, ai piedi della croce, si sentì come «trapassata da una spada, alla richiesta di rinunciare alla propria maternità verso il divino figlio per abbracciare quella di Giovanni. Gesù con la sua morte stava dando la vita per l’umanità, rendendoci tutti figli di Dio. Se con l’annunciazione il ruolo di Maria è stato quello di dire il suo “sì” a un progetto che era al di là di lei, sul Golgota, come hanno detto i teologi, è stato quello di pronunciare un “secondo sì”». Da questa comprensione – continua – derivò per Chiara Lubich e la comunità dei Focolari una ricchezza di implicazioni, in primo luogo quella di riconoscere in Maria un modello da imitare: «Amandoci l’un l’altro, generiamo Gesù in mezzo a noi. Come Maria possiamo offrire spiritualmente Cristo al mondo».
Dall’esperienza del ‘49 scaturì una nuova visione del compito di Maria nella Chiesa: «Dagli Atti degli Apostoli sappiamo che Maria era presente con loro all’evento di Pentecoste, che ha segnato la nascita della Chiesa. Descrivendo l’intuizione sul posto assunto da Maria nella Chiesa, nel momento della discesa dello Spirito Santo, Chiara ha usato una metafora: se Cristo è il vertice del corpo mistico della Chiesa, Maria ne è il cuore. Maria gioca quindi un ruolo essenziale nell’aiutare la Chiesa a rispondere pienamente al progetto di Dio, che è quello di essere una presenza di Cristo». Generano grande interesse le novità proposte dalla spiritualità dell’unità di Chiara Lubich: «Una spiritualità di comunione, finalizzata a rafforzare il tipico contributo di vitalità, bellezza e santità che la Chiesa, seguendo l’esempio di Maria, è chiamata a portare al mondo». (altro…)
15 Set 2017 | Chiara Lubich, Spiritualità
«Maria ai piedi della croce, nello straziante «stabat» che fa di lei un mare amaro di angoscia, è l’espressione più alta, in umana creatura, dell’eroicità di ogni virtù. Ella è la mansueta per eccellenza, la mite, la povera fino alla perdita del suo Figlio che è Dio, la giusta che non si lamenta d’esser privata di ciò che le appartiene per pura elezione, la pura nel distacco affettivo a tutta prova dal suo Figlio Dio… In Maria Desolata è il trionfo delle virtù della fede e della speranza per la carità che l’accese durante tutta la vita e qui l’infiammò nella partecipazione così viva alla Redenzione. Maria ci insegna nella sua desolazione, che l’ammanta di ogni virtù, a coprirci di umiltà e di pazienza, di prudenza e di perseveranza, di semplicità e di silenzio perché nella notte di noi, dell’umano che è in noi, brilli per il mondo la luce di Dio che abita in noi. Maria addolorata è la Santa per eccellenza, un monumento di santità cui tutti gli uomini che sono e saranno possono guardare per imparare a rivestirsi di quella mortificazione che la Chiesa da secoli insegna e che i santi, con note diverse, hanno in tutti i tempi riecheggiato. Noi pensiamo troppo poco alla «passione» di Maria, alle spade che hanno trapassato il suo Cuore, al terribile abbandono provato sul Golgota quando Gesù l’ha consegnata ad altri… E forse tutto questo dipende dal fatto che Maria ha saputo troppo bene coprire di dolcezza e di luce e di silenzio la sua viva angosciosa agonia. Eppure: non c’è dolore simile al suo… Se un giorno le sofferenze raggiungessero certi culmini, in cui tutto in noi sembra ribellarsi perché il frutto della nostra «passione» pare tolto dalle nostre mani e più dal nostro cuore, ricordiamoci di lei. Sarà con questo gelo che ci renderemo un po’ simili a lei, che si staglierà meglio la figura di Maria nelle nostre anime, la tutta bella, la Madre di tutti, perché da tutti, massime dal Figlio suo divino, staccata, per divina volontà. La Desolata è la Santa per eccellenza. Vorrei riviverla nella sua mortificazione. Vorrei saper star sola con Dio come lei, nel senso che, pur tra fratelli, mi senta spinta a fare di tutta la vita un intimo dialogo fra l’anima e Dio. Devo mortificare parole, pensieri, atti, fuori del momento di Dio, per incastonarli nell’attimo ad essi riservato. La Desolata è certezza di santità, perenne fonte di unione con Dio, vaso traboccante di gaudio». Chiara Lubich, La Dottrina Spirituale, Città Nuova Editrice 2006 (Roma), pp.183 – 184 (altro…)
15 Set 2014 | Centro internazionale, Spiritualità
«Se la persona di Cristo e il suo insegnamento si inserivano nella storia per spaccarla in due, spingendo l’umanità a pentimento, e cioè a mutamento, per rinnovarsi e mettere in atto l’uomo nuovo, in una città nuova, quella lacerazione, più o meno consapevolmente, agiva nel cuore di Maria, messa in mezzo alle due età e alle due mentalità, rendendo talora acerbo quel suo sforzo di capire Gesù, di seguire Gesù, di essere una con Gesù. La lezione e il dolore non finirono allora. S’arrivò al punto che, durante la predicazione del Figlio, le accadde di non poter avvicinarlo: non poter esser ammessa alla sua presenza. Maria insomma diveniva, lungo la profezia di Simeone, la madre desolata. Quel «desolata» mette l’accento sulla solitudine, in cui ella più patì, quando Gesù usci a vita pubblica e la lasciò a Nazareth, lei vedova, tra una parentela avversa; e quando più tardi Gesù la lasciò anche come madre sostituendo Giovanni a sé nella figliolanza. Sola tra tutti, la benedetta fra le donne, la madre del genere umano: la nuova Eva. Con quel suo patimento Maria addolorata concorreva dunque alla generazione della Chiesa; e cioè del popolo di Dio, il quale poi le verrà da Cristo stesso dato, in persona di Giovanni, come figlio: il figlio al posto di Gesù, o meglio un altro Gesù. Ma per tal modo, se la profezia di Simeone aveva iniziato il «martirio» della Vergine, esso, anche per lei, culminò al Calvario, quando una lancia di ferro trapassò il petto di Gesù. Quella lancia trapassò l’anima a Maria. Sotto la croce, Maria risultò nettamente la donna del popolo che tiene le parti di Dio. Davvero si può dire, in certo senso, che Gesù ebbe bisogno di lei, non solo per nascere, ma anche per morire. Ci fu un momento in cui sulla croce, abbandonato dagli uomini in terra, si senti abbandonato anche dal Padre in cielo: allora si rivolse alla madre, ai piedi della croce: alla madre che non lo aveva disertato e vinceva la natura per non cadere in quella prova sotto cui ogni donna sarebbe crollata. Poi morto il figlio, continuò la madre a patire. Egli morto fu deposto sulle ginocchia di lei: impotente più di quand’era bambino. Un Dio morto sulle ginocchia di una madre vedova! Allora, si, ella fu regina. Poiché Gesù ricapitolava l’umanità, era l’umanità, per un tratto, l’umanità intera di tutti i tempi, custodita sulle ginocchia di Maria, la quale apparve, in quella desolazione, la madre e la regina della famiglia umana trasmigrante sulle strade del dolore. La sua grandezza fu pari alla sua angoscia: il dolore d’una madre, che si trovava a custodire l’umanità svenata, sotto la colpa, nell’esilio di tutti i tempi. Quando la madre del bell’amore divenne pure madre del dolore, e i sette doni dello Sposo le si con-vertirono in sette spade, si aperse nel cuore il trauma che con 1a piaga del Figlio doveva convogliare al Padre tutta l’umanità, riconducendola alla fonte. Fu la generazione — la rigenerazione — per sangue e lacrime. Allora ella fu la collaboratrice del Redentore; ma proprio questa mansione la fece più veramente la madre del bell’amore. La unì a noi, la immedesimò alla nostra sorte. Cosi l’umanità rinacque. E cosi la Chiesa nacque». Da: Igino Giordani, Maria modello perfetto, Città Nuova, 2001, pp. 118-127 (altro…)