Movimento dei Focolari
Il giorno nasce dalla notte

Il giorno nasce dalla notte

Smembramento delle famiglie, povertà, insicurezza estrema. E poi aumento dei prezzi, mancanza di cibo, di mezzi pubblici, energia elettrica e acqua corrente. La crisi di un intero Paese è sintetizzata nella preghiera prima di cena, la prima in terra venezuelana per Agostino e Marisa: “Signore, grazie che abbiamo potuto trovare il cibo, che lo possiamo consumare e condividere”. «Avevamo in programma di incontrare le famiglie, prima al Centro Mariapoli nei pressi di Caracas, poi a Valencia e a Maracaibo. Emeris e Oscar ci hanno accompagnato e fatto partecipi della loro vita». Agostino e Marisa, vissuti molti anni a Santo Domingo, rivivono l’esperienza di povertà, vissuta da molti in quel Paese, e del dolore del distacco dai famigliari, costretti ad emigrare. La stessa di migliaia e migliaia di italiani, fuggiti dalla crisi del dopoguerra. Si imbarcavano con valigie di cartone. «Il popolo venezuelano per decenni ha accolto gli immigrati e ora è costretto ad emigrare. Dal benessere all’insicurezza estrema. Ci hanno detto: “Eravamo ricchi e nell’abbondanza e non lo sapevamo, ora tutto è prezioso”». “La crisi è la più grande benedizione per le persone e le nazioni, perché porta ai progressi. La creatività nasce dall’angoscia come il giorno dalla notte oscura…”. Così Albert Einstein, nel 1931. «Ci voleva coraggio per ascoltare lì queste parole», contenute in un video realizzato da Famiglie Nuove. Le famiglie stesse ci hanno chiesto di presentarlo anche il giorno dopo. Ci hanno detto: “Siete stati a S. Domingo e a Cuba per aiutarci qui, oggi”. “Questa crisi economica ci ha aperto gli occhi sulle necessità del prossimo”». A Caracas il programma procede «fittissimo di appuntamenti: colloqui, pranzi, cene con famiglie. A turno avevano preso un permesso, e venivano a casa di Emeris e Oscar. Abbiamo raccontato un’esperienza che era stata per noi fondamentale. Dovendo decidere dove vivere e avendo idee completamente diverse, una sera avevamo fatto il patto di fare proprio, profondamente, il desiderio dell’altro. È apparsa una soluzione inaspettata, che conteneva gli elementi importanti di ognuno, ma era nuova. Un frutto dell’amore reciproco». Raccontano: «Tante famiglie hanno la macchina, ma è sempre più difficile ripararla, sia per i costi che per la mancanza di operai specializzati, che sono emigrati. Un problema grosso sono gli pneumatici. Anche Emeris e Oscar erano preoccupati per uno pneumatico consumato. Dopo qualche giorno abbiamo acquistato noi due dei quattro pneumatici, era quanto avremmo risparmiato sul vitto. Li hanno sostituiti, e questo ci ha permesso di viaggiare». Valencia, due ore da Caracas, è martoriata dalla mancanza d’acqua e dalle difficoltà dei trasporti. «In un paesino rurale, Guacamaya, abbiamo incontrato la comunità che prima era in contatto con Ofelia, costretta a partire. Sono decisi a trovare il modo per andare avanti senza dover lasciare il Paese». Presenti anche molti giovani, «come spugne assorbivano ogni cosa». «Dopo due giorni, il viaggio per Maracaibo era a rischio di controlli e intoppi. Ma tutto è andato bene. Senza elettricità tutto era difficile: il gran caldo, l’impossibilità di accendere i condizionatori, mancanza di connessione internet, programmi che saltavano. La sera che dovevamo tornare in città ci attendeva una cena con due famiglie, la notte da un’altra e la colazione da un’altra ancora, per poter vedere tutti senza pesare economicamente su nessuno. Lungo la strada un blocco di manifestanti ci costringe a tornare indietro. La famiglia che ci riaccoglie, non essendo in programma che tornassimo, non aveva niente per cena. Abbiamo preso della pasta dalla valigia e cucinato noi. Una serata bellissima. Incredibilmente c’era l’energia elettrica, che ci ha permesso di riposare la notte. L’indomani, arrivando a Maracaibo, abbiamo saputo che lì non c’era stata la corrente e per tutti era stato un sollievo quel cambio di programma». Nel loro racconto anche questo episodio: «La mattina dell’incontro con la comunità i mezzi pubblici scarseggiavano e c’erano lunghe code per il rifornimento. La famiglia che aveva organizzato tutto è arrivata dopo lunghe peripezie. La loro figlia aveva proposto di pregare per trovare un mezzo, e dopo poco un’auto si era fermata, offrendo un passaggio». Anche questo è oggi il Venezuela. A cura di Chiara Favotti (altro…)

Alza la posta in gioco

Una giornata nuvolosa e umida. Nel cuore una sensazione di vuoto. Solo il giorno prima avevo festeggiato il mio compleanno formulando un proposito ambizioso: fare in modo che tutto quel nuovo anno brillasse come non mai, mettendo amore in ogni cosa. Sapevo che avrei dovuto ricominciare mille volte, ma volevo dare il massimo. Era un segno di gratitudine a Gesù per il dono della vita. Non un dono isolato, ma un proposito valido per tutto l’anno. Lui stesso mi avrebbe aiutato. Eppure, mentre mi recavo ad un appuntamento, avvertivo che quel cielo nuvoloso era anche dentro me. Avevo consentito, silenziosamente, che si insinuasse nel mio cuore un giudizio verso un fratello, che ancora una volta mi aveva deluso. Poco importava che avessi ragione oppure no. Dentro di me, la carità era venuta meno. Lo avvertivo con dolore, e mi chiedevo come fosse stato possibile arrivare fino a quel punto. Incontro un ragazzo, che incrocio spesso. Sporco, maleodorante, con la solita bottiglia in mano. Era a piedi scalzi e tremava dal freddo. Lui mi guarda, senza dirmi nulla. Lo saluto cordialmente, pensando in questo modo di fare tutto quello che posso, e procedo. In quel momento mi attraversa la mente la Parabola del buon samaritano. “Sono anch’io come uno di quei farisei? O mi lascio sfidare da questo volto di abbandono?”. Mi sfilo il pullover e torno indietro. “Hai freddo?”. “Sì, molto”, mi risponde. “Prova il mio pullover, vediamo se ti va”. Il suo smarrimento è totale, quasi non osa toccarlo, del resto le sue mani avrebbero proprio bisogno di una buona pulita. “Coraggio, provalo”. La misura è perfetta e il suo viso sembra quello di un bambino la notte di Natale. Lo saluto e continuo per la mia strada, certamente ho un po’ di freddo, ma sono felice. Mentre aspetto di incontrare il mio amico con cui avevo appuntamento, una voce sottile parla dentro di me. “Bello quello che hai fatto, ma come la mettiamo con quel giudizio sospeso?”. “Però, Gesù – gli rispondo – forse quella persona non se n’è nemmeno accorta….”. “Ma io sì, ero dentro di lei”. Le argomentazioni e le scuse che mi passano in testa cadono una a una. Tornato a casa decido di chiamarlo. Una conversazione tranquilla, senza alcun rancore da parte sua. L’unità piena è ristabilita, anche se a dire la verità si era rotta solo dentro di me. Una grande, inconfondibile pace mi invade. Due ore dopo suona il campanello. È una mia cara amica che di ritorno dalla sua città mi ha portato un regalo per il mio compleanno: un pullover! Era Gesù, che mi diceva: “Alza la posta in gioco!”.   Da “La vida se hace camino”, Urs Kerber, Ciudad Nueva Ed., Buenos Aires 2016, pp 41-42   (altro…)

Vangelo vissuto: Accogliere con docilità la Parola

Una lettera nascosta La moglie di un mio amico, Sandra, era caduta in uno stato di prostrazione tale che non voleva più parlare con nessuno. Tutta la famiglia ne risentiva. Non sapevo come aiutarla. Una mattina chiesi a Dio di indicarmi una possibilità per fare qualcosa. Il pomeriggio ricevetti in regalo un elegante piatto di ceramica con dei cioccolatini, ben confezionato. Pensando che potesse essere un regalo gradito a Sandra, glielo mandai. Dopo poco Sandra mi chiamò, ridendo: “Mi mandi regali riciclati: in mezzo al regalo ho trovato una lettera indirizzata a te”. Cominciai a ridere anch’io e la telefonata divenne lunga, a cuore aperto. Sandra mi confidò le sue paure e io la incoraggiai a condividerle con la sua famiglia. Qualche giorno dopo il mio amico mi disse che Sandra aveva iniziato una dialogo nuovo con la madre e le sorelle, e qualcosa si era sciolto in lei. T. M. – Slovacchia Pentole di qualità Ero venuta a conoscenza di una giovane coppia di sposi, appena trasferitisi in Canada. Non avevano mezzi e cercavano un lavoro. Un giorno mi sono chiesta cosa potessi donare loro, che fosse utile. Aprendo l’armadio della cucina ho visto la mia pentola preferita, che cuoce molto bene perché di qualità. Ho avvertito l’invito di Gesù a distaccarmene e, dopo averla lucidata, ho invitato quella coppia a cena e gliel’ho regalata. Erano entrambi molto felici. Giorni dopo è venuto mio padre a trovarmi: nel bagagliaio della sua macchina c’era un regalo per me. Lui non sapeva cosa fosse, perché era un dono da parte di mia sorella. Aprendolo, ho visto che era un set di tre pentole della migliore qualità, e la più grande aveva la stessa misura di quella che avevo regalato. C. K. – Australia Speranza Ero una donna di strada. I momenti più difficili da sopportare erano i giorni di festa: lì sentivo più forte una solitudine che nessuno poteva riempire. Un giorno, mentre mi affrettavo verso la fermata dell’autobus, dal finestrino di un’auto un giovane mi chiese se avessi bisogno di un passaggio. Mi rassicurò, dicendomi che non si era fermato per un altro motivo. Quel gesto mi sconvolse e accettai. In macchina gli chiesi perché lo avesse fatto e come risposta mi regalò un libriccino, il Vangelo. A casa, provai l’impulso a leggerlo e andando avanti nella lettura sentii nascere dentro di me una nuova speranza. In seguito ho chiesto a un prete di potergli parlare. Così è iniziata la mia risalita. N. N. – Italia Affitto Non avendo di che pagare l’affitto mensile, io e mio marito ci siamo messi a pregare con fede. La sera stessa si è presentato il proprietario per riscuotere i soldi. Era giovedì. Alla mia richiesta di tornare sabato (non so perché ero sicura che avremmo pagato quel giorno) lui ha acconsentito. Abbiamo pregato ancora, insieme ai nostri sei figli. Venerdì mattina è venuto a farci visita un conoscente, nostro connazionale. Nel congedarsi, mi ha consegnato una busta. Conteneva 4 mila scellini. Eravamo strabiliati e felici: oltre a pagare l’affitto potevamo anche comprare da mangiare. F. P. – Kenya (altro…)