Dic 8, 2017 | Chiesa, Dialogo Interreligioso, Focolare Worldwide, Focolari nel Mondo
La pace, il rispetto della dignità e dei diritti di ogni popolo, il dialogo a tutti i livelli sono gli obiettivi altissimi lasciati in eredità ai popoli visitati da Papa Francesco nel suo recente viaggio in Asia. In questi giorni stanno arrivando alcune testimonianze dalla comunità dei Focolari del Myanmar, che insieme ad altre si sono impegnate per curare, sotto vari aspetti, la preparazione e lo svolgimento del viaggio: le traduzioni, il servizio d’ordine, l’assistenza sanitaria, l’orchestra delle celebrazioni. Eccone alcune: «La venuta di Papa Francesco per noi è stata la realizzazione di un sogno. C’è voluto del tempo perché lo stupore si trasformasse in coscienza di quello che stava realmente accadendo». «Le lacrime solcavano le guance degli anziani. Ma anche i giovani, per quanto sia più difficile per loro comprendere la portata dell’evento, ne hanno gioito». I cattolici, una piccola minoranza del Paese, si sono sentiti incoraggiati: «Eravamo un gregge piccolo e isolato. Finalmente abbiamo visto da vicino il nostro pastore. Ora questo popolo non è più ai margini, ma sotto i riflettori del mondo. Finalmente è accaduto qualcosa di cui essere fieri. Il Papa è nel Myanmar». «Non dobbiamo più avere paura di nulla».
Gennie lavora con gli “sfollati interni” (IDP, Internally Displaced Persons), civili costretti a fuggire da persecuzioni che, a differenza dei rifugiati, non hanno attraversato il confine internazionale. Nella maggioranza dei casi, in attesa di una nuova speranza di vita, sono privi di assistenza e protezione. Dopo il passaggio di Papa Francesco, ha scritto: «Oggi questa speranza si è rinnovata. Personalmente, la mia speranza è nell’Amore, e d’ora in poi sarà sempre viva in me». Dalla sua città, Loikaw, capitale del Kayah State, un territorio montuoso nel Myanmar orientale, il 28 novembre scorso è partita alla volta di Yangon, insieme a un gruppo di un centinaio di persone, provenienti dai villaggi più lontani dello Stato. Viaggiavano in 5 mini pullman. «Questo viaggio l’ha organizzato la nostra parrocchia. Vedere il Papa era un sogno per noi. Siamo partiti alle 9 del mattino, ci aspettava un viaggio di 10 ore. Eravamo pieni di entusiasmo, pregavamo e cantavamo. Abbiamo preso una strada più corta, ma impervia, per poter arrivare con largo anticipo. Invece, uno dei pullman ha avuto dei problemi lungo la strada, e abbiamo impiegato tutti circa venti ore per arrivare, in quanto non volevamo lasciare soli i nostri compagni. Ma di questo nessuno si è lamentato».
Sono circa le 5,30 del mattino quando il gruppo arriva al Kyaikkasan Ground di Yangon, dove sta per iniziare la Messa, seguita non solo dalla minoranza cattolica, ma anche da musulmani, buddisti e fedeli di religioni diverse. «Il nostro gruppo non è più potuto entrare, ma abbiamo preso posto vicino a uno degli ingressi. Attraverso il Papa, si sentiva l’amore della Chiesa per i più piccoli. Anche tra la popolazione, non solo tra i cristiani, si percepiva un amore molto forte. L’autista del taxi che abbiamo preso ci ha detto che fin dalle prime ore del mattino trasportava gratuitamente le persone dirette allo stadio, ma anche negli autobus e nei treni si viaggiava gratuitamente». Una giovane buddhista, dopo aver partecipato alla messa, ha scritto «Anche qui mi sono sentita in famiglia. Avverto la pace nel profondo del mio cuore». Ancora Gennie: «Sono sorprendenti i criteri rovesciati di chi devono essere d’ora in poi, per noi, i “vip”: tutto ricorda il Magnificat …ha innalzato gli umili, ha ricolmato di beni gli affamati».
Per questa esperienza «dobbiamo ringraziare tutti, gli Yangoniani, sempre pazienti con la folla, quelli che hanno preparato questo evento, ma soprattutto il Santo Padre che ha deciso di venire in un paese così lontano. Un’alba nuova per il Myanmar». Valentina è medico. Insieme ai medici del servizio sanitario ha prestato un’assistenza pressoché ininterrotta: «Un’occasione che ci ha messo tutti insieme, senza confini. Noi medici, cattolici e non, eravamo tutti molto stanchi, ma abbiamo ricevuto una “grazia”, quella di riuscire ad amare senza smettere mai». Jerome, invece, ha lavorato come traduttore: «Per me è stato particolarmente bello vedere i giovani in attesa fin dal primo mattino davanti alla cattedrale di Saint Mary, a Yangon. Al termine della messa il Papa si è rivolto a noi, con un grande incoraggiamento a lavorare per la pace. Ora mi sento chiamato a una maggior generosità, a essere coraggioso e gioioso, come ci ha chiesto». (altro…)
Dic 7, 2017 | Chiara Lubich, Focolari nel Mondo, Spiritualità
“Io credo che Dio può e vuole far nascere il bene da ogni cosa, anche dalla più malvagia”. Così si esprimeva Dietrich Bonhoeffer alla fine del 1942, in piena guerra mondiale. Nel momento più crudo e terribile che la storia del Novecento abbia conosciuto, nel fare un bilancio in vista dell’anno 1943, questo grande testimone riesce ancora a sperare al di là di ogni speranza, a credere con fede ferma e certa nell’agire provvidenziale di Dio nella storia. La lotta tra il bene e il male, il peccato e la grazia attraverso la storia. È questo il contesto storico che fa da sfondo alla nascita del Movimento dei Focolari, per la cui edificazione venne posta la prima pietra a Trento proprio nel 1943, il 7 dicembre, con il dono fatto a Dio della propria vita da una giovane ventitreenne: Silvia Lubich, che come terziaria francescana aveva preso il nome di Chiara. Quel giorno perfino le condizioni meteorologiche sembravano rendere più stringente il contrasto, come emerge dal racconto che la Lubich fa del suo andare, alla mattina all’alba, verso il collegio dei cappuccini, alla cerimonia privata durante la quale si sarebbe consacrata a Dio per sempre: “Una bufera infuriava, così che dovetti farmi strada spingendo l’ombrello avanti. Anche questo non era senza significato. Mi pareva esprimesse che l’atto che stavo facendo avrebbe trovato ostacoli. Quella furia di acqua e di vento contrario mi sembrava simbolo di qualcuno d’avverso. Arrivata al collegio: cambio di scena. Un enorme portone si apre da solo automaticamente. Senso di sollievo e di accoglienza, quasi braccia spalancate di quel Dio che mi attendeva”. Tale “cambio di scena” ha un riflesso nella vita. La pienezza e la sacralità di quell’atto avvenuto nel nascondimento e nella povertà (tre garofani rossi sono l’unico segno esterno di festa) sono nell’anima di Chiara Lubich più sonore dell’atrocità della guerra che rimane come sfondo, quasi “cornice di un quadro”. La realtà più vera per lei è quanto Dio, riscoperto come Amore, va edificando. “C’era un ideale, uno solo, che non sarebbe venuto meno mai, nemmeno colla nostra morte. Era Dio. Ed a Dio ci attaccammo con tutte le forze dell’anima. Non aderimmo a Lui perché nulla c’era rimasto, ma perché una Forza in noi ci rendeva felici di averLo trovato nella vita come l’unico Tutto, l’unico Eterno, l’unico degno d’esser amato perché non passa, l’unico dunque, che avrebbe saziato le esigenze del nostro cuore. Già da parecchi anni facevamo la S. Comunione quotidiana e credevamo, perché appartenenti alle varie associazioni cattoliche, d’esser buone cristiane. Solo quando Iddio ci tolse ogni cosa per darSi, Lui solo, a noi, comprendemmo per la prima volta il primo Comandamento di Dio:“Amami con tutto il cuore, con tutta la mente…”. Lo capimmo perché solo allora veramente sentivamo di doverLo amare così, con totalitarietà di mente, di cuore, di forze, per non ingannarci”. Lucia Abignente, “Qui c’è il dito di Dio”, Città Nuova, Roma, 2017, pp. 25-26. (altro…)
Nov 30, 2017 | Chiesa, Cultura, Dialogo Interreligioso, Ecumenismo, Focolare Worldwide, Focolari nel Mondo, Sociale, Spiritualità
Giunge inattesa la benedizione di papa Francesco agli abitanti della Mariapoli Victoria, una piccola oasi di pace nella città di Man, in Costa d’Avorio, che nei giorni scorsi ha celebrato il Giubileo d’argento. Con un “grazie per l’opera di Evangelizzazione compiuta in questo luogo” Francesco invita a “perseverare coraggiosamente nel servizio dell’unità e della concordia tra gli uomini”, e a proseguire “sul cammino di una fraternità sempre più universale”. Di episodi di fraternità, questo luogo è costellato, a partire dai giorni – passati alla storia – della guerra civile (2002-2003) quando gli abitanti – anche bianchi ed europei, gente di cui si poteva diffidare – hanno deciso di restare, nonostante le autorità invitassero gli stranieri a lasciare il Paese. La testimonianza è stata quella di amare fino alla fine, di aprire le porte per proteggere le persone – 3500 ne sono passate in quei mesi – senza guardare se fossero musulmani o cristiani. Gente che ha rischiato la vita, come Salvatore, Rino, Charles, messi al muro, pronti ad essere uccisi: “Non vi resta che pregare!”, gli hanno detto. Ma se la sono cavata. Adesso la città e il Paese hanno voltato pagina, anche se non c’è una piena riconciliazione politica.
Ma la Mariapoli Victoria non è soltanto l’oasi di pace nel tempo della guerra. È un laboratorio sociale. Con i tre giorni di festa (17-19 novembre) per celebrare i 25 anni, si è voluto dar spazio non solo ai discorsi – e lì il rito è imprescindibile – ma ai fatti. La visita alle attività della cittadella è stato infatti il primo degli appuntamenti in programma: a gruppi gli ospiti hanno visitato il Centro Medico Sociale – nato come un dispensario e negli anni progressivamente rinnovato e ingrandito, con servizi ambulatoriali in day hospital, un dentista, un fisioterapista -, il centro nutrizionale – dove si contrasta la piaga della malnutrizione infantile e si insegnano alle mamme i principi della corretta alimentazione -, il centro informatico – che da semplice internet point è diventato punto di alfabetizzazione informatica e di corsi sempre più specializzanti nell’ambito della comunicazione – e ancora le altre attività imprenditoriali come la falegnameria e la tipografia. In preparazione al 25°, e per coinvolgere la fascia dei teen agers, si è svolto nei mesi precedenti un torneo di calcio – sport molto amato anche da quelle parti – all’insegna della fraternità e del fair play. Non è scontato: infatti due squadre sono state eliminate nel corso della gara. Domenica 19 finalmente la premiazione della squadra vincitrice, non solo per i gol segnati, ma per i punti fair-play acquisiti.
Simbolica a riguardo, l’inaugurazione di una stele nella “Piazza della Fraternità Universale” con un grande dado della pace ben visibile anche da lontano e che riassume l’identità della cittadella, dove la dimensione del rispetto e dell’amore per l’altro vuole trasferirsi in tutti gli aspetti del vivere: dal lavoro allo sport, dalla religione alla famiglia. Celebrazioni ufficiali poi alla parrocchia di S. Maria di Doyagouiné – Maria Regina dell’Africa – affidata ai Focolari fin dagli anni ‘70, molto prima della nascita della cittadella. Presenti, oltre al nunzio apostolico in Costa d’Avorio mons. Joseph Spiteri e al vescovo di Man, Gaspar Bebi Gneba, anche numerose autorità civili: il viceprefetto di Man, madame Djerehe Claude e l’ex ministro Mabri Toikeusse, che è anche presidente della camera regionale e il Re dei Capi tradizionali del Tonpki, Gué Pascal. Hanno espresso la riconoscenza della autorità ivoriane per l’assistenza alla popolazione durante la crisi e in generale per l’azione dei Focolari verso le popolazioni vulnerabili. E anche l’ambasciatore italiano Stefano Lo Savio ha voluto essere presente con un caloroso messaggio. Adesso si guarda avanti. Tre sono le parole chiave a fare da guida nel percorso: accoglienza, formazione, attenzione ai poveri. E alcune piste sono tracciate: con i giovani la musica e lo sport; il rilancio dell’accoglienza per gruppi, insegnanti, famiglie, persone di passaggio che possano fare un’esperienza in loco di una o più settimane; le attività di formazione spirituale e professionale con i vari seminari per imprenditori, giornalisti. Mentre la cittadella si avvia a diventare un centro di formazione globale. Maria Chiara De Lorenzo (altro…)
Nov 23, 2017 | Focolare Worldwide, Focolari nel Mondo, Nuove Generazioni, Spiritualità

Paolo Balduzzi presenta i giovani durante la diretta del Collegamento CH
Alle sue spalle 180 giovani del Movimento dei Focolari, in rappresentanza dei loro coetanei in tutto il mondo. Volti, colori e tratti somatici diversissimi. In prima fila – e si presentano – tre giovani della Siria. Accanto a loro Michel, viene dal Mali e occhi molto espressivi. Ha conosciuto i Focolari nel suo Paese e da allora, dice che la sua vita è cambiata. František della Repubblica Ceca e Maria del Portogallo spiegano: «Veniamo da oltre 40 Paesi. Siamo qui da tutti i continenti per capire chi siamo noi, giovani, adesso, e quali sono le nostre sfide per costruire una cultura della fraternità». Dietro siedono Amin dell’Algeria, musulmano, e accanto la giapponese Kioko, buddista. Tutti al lavoro per costruire, con un contributo davvero “mondiale”, il prossimo Genfest di Manila (6-8 luglio 2018), il primo, nella lunga storia di questa manifestazione, fuori dall’Europa. Perché in Asia, a Manila? Risponde Giuseppe, italiano: «L’Asia contiene il 60 % dei giovani del mondo, quindi per noi significa puntare verso il futuro, verso la fraternità universale. Il titolo, “Beyond all borders”, oltre i confini, è una delle sfide più grandi che ci troviamo ad affrontare» a partire dai limiti personali: pregiudizi, diversità sociali e culturali. Una grande sfida in un Paese colpito da un’ondata di violenza endemica, dall’esclusione sociale di molte fasce della popolazione e da una crisi politica senza precedenti. «Vogliamo rendere questi confini non un modo per dividerci ma un’occasione per unirci».
È la grande idea lanciata da Chiara Lubich nel 1987 e lasciata in eredità alle nuove generazioni. La fondatrice dei Focolari, davanti a una platea di giovani, spiega il motivo della nascita del Genfest: «Un’esplosione di fuochi, non d’artifizio, ma reali, dell’amore di Dio. L’obiettivo dell’ut omnes (“Padre, che tutti siano uno” Gv 17, 20-23) si avvicina. Gesù conquista e trascina, lascia indietro tutto quello che non va, come un ruscello fresco che lascia ai margini tutto quello che non può essere portato avanti dalla sua limpidezza». E aggiunge: «Vedrete i miracoli della grazia di Dio, perché Dio è con noi, Dio è in mezzo a noi. Egli è l’unico onnipotente». Tra i giovani, anche Maria Voce, l’attuale presidente dei Focolari. «Vorrei dire un grande grazie ai giovani». Il loro – afferma – è un grande atto di coraggio, «che mi sembra la risposta di oggi all’appello che Chiara ha lanciato fin dagli anni ’60 “Giovani di tutto il mondo unitevi”. Questo appello risuona ancora adesso, non solo per voi ma per tutti. Lo scopo del mondo unito non è ancora raggiunto. La prima generazione da sola non ce l’ha fatta, non ce la poteva fare. Da sola, non ce la farà neanche la seconda, perché lo scopo è grandissimo. L’idea del mondo unito deve trasmettersi da una generazione all’altra ed esse tutte unite, possono cercare di portarla a compimento».
E aggiunge: «Il Genfest non è una questione che riguarda solo i giovani, ma tutti. Per questo voglio andarci e spero che saremo in tanti». Ognuno può fare qualcosa: «Qualcuno può dire: ma io sono malato, non riesco… Offri la tua sofferenza! Mettiamoci tutti sotto. Si può aiutare per l’accoglienza, si può aiutare i giovani a preparare il loro programma, si può dare un contributo economico per quei giovani che non potrebbero partecipare. Facciamo tutta la nostra parte, tutto quello che occorre. Il Genfest è mio, è nostro!» Prima di chiudere il collegamento, una giovane delle Filippine lascia a tutti un triplice compito: «Primo: organizzare un Genfest locale. Secondo: fare un’azione concreta, per aiutare almeno un giovane a venire a Manila, e terzo: acquistare la maglietta con il nostro logo». Tutti i dettagli sul sito dei Giovani per un mondo unito, una sigla che d’ora in poi va imparata a memoria: Y4UW. Vedi anche: www.focolare.org/genfest-2018/ (altro…)