
Colombia: persone capaci di pace

Cristina Montoya
Cristina Montoya
«Reti di luce per abitare il pianeta» è il sottotitolo del convegno sulla città, e il concorso fotografico vuole offrire un viaggio in immagini alla scoperta di luce e ombre dei diversi luoghi dell’abitare.
TEMA ONCITY: reti di luce per abitare il pianeta, inteso come un viaggio fotografico alla scoperta di luce e ombre dei diversi luoghi del vivere. Tre le sezioni: Città in dialogo, Città in azione, Città in rete. MODALITÀ DI PARTECIPAZIONE La partecipazione al concorso è gratuita. È aperta ai fotografi non professionisti di ogni nazionalità, maggiorenni (18 anni compiuti). Ogni partecipante potrà inviare al massimo una foto per ogni sezione. MODALITÀ E TERMINI DI CONSEGNA DELLE IMMAGINI L’invio delle opere, che potrà avvenire entro il 21 marzo 2016 dovranno essere inviate, unitamente alla scheda di iscrizione a: www.oncity2016.net Regolamento
«Un giorno ti dirò, che ho rinunciato alla mia felicità, per te». Le prime parole della canzone degli Stadio, vincitrice dell’ultimo Festival di Sanremo, è una buona occasione per riflettere sulla felicità nostra e su quella degli altri. La nostra civiltà ha messo la ricerca della felicità individuale al centro del proprio umanesimo, relegando sempre più sullo sfondo altri valori e la felicità degli altri – a meno che non siano un mezzo per aumentare la nostra felicità. E così non abbiamo più le categorie per poter comprendere le scelte (che ancora esistono) di chi rinuncia, consapevolmente, alla propria felicità per quella di un’altra persona. […] La felicità ha una storia molto lunga. L’umanesimo cristiano, innovando molto rispetto alla cultura greca e romana, fin dall’inizio ha proposto una visione della “felicità limitata”, dove la ricerca della nostra felicità non era considerata il fine ultimo della vita, perché veniva subordinata ad altri valori, quali la felicità della comunità, della famiglia, o il paradiso. Per secoli abbiamo pensato che la sola felicità degna di essere raggiunta fosse quella degli altri e quella di tutti. La pietra angolare dell’educazione della generazione dei nostri genitori consisteva nel mettere la felicità dei figli prima della loro. Sono numerose come i granelli della sabbia del mare le donne che hanno rinunciato, a volte liberamente, alla propria felicità per consentire ai loro figli di essere felici, o almeno più felici di loro. […]
È stata questa “dinamica intertemporale della felicità” che ha legato e affratellato le generazioni tra di loro, che ha fatto partire gli emigranti per mandare a casa la maggior parte del loro salario amaro, e che spesso li ha fatti ritornare. […] Nell’età moderna questa antica e radicata idea di felicità è entrata profondamente in crisi, e al suo posto si è fatta strada l’idea, che era tipica del mondo pre-cristiano, che la nostra felicità sia il bene ultimo e assoluto, il fine rispetto al quale qualsiasi altro obiettivo diventa ancillare e subordinato. E così, in America “la ricerca della felicità” (1776) veniva proclamato diritto individuale inalienabile, e posto accanto alla vita e alla libertà a formare i tre pilastri della civiltà dei moderni. Il mondo latino e cattolico, invece, più legato alle sue radici medievali, ha continuato a considerare la felicità individuale una parola insufficiente per fondarci la società. […] L’economia contemporanea, con la sua matrice culturale anglosassone, si è sposata perfettamente con l’ideale della felicità individuale. […] Per l’economia, il mondo è abitato soltanto da persone che vogliono soddisfare al massimo la propria felicità. […] Da questa prospettiva, che domina l’economia e sempre più la vita, non è quindi possibile scegliere di ridurre volontariamente la nostra felicità. Solo gli stupidi, si pensa, decidono intenzionalmente di ridurre il proprio benessere. Questa descrizione delle scelte umane riesce a spiegare molte cose, ma è inutile o fuorviante quando dobbiamo spiegare quelle poche, ma decisive scelte dalle quali dipende quasi tutta la qualità morale e spirituale della nostra vita. Quando Abramo decise di incamminarsi con Isacco verso il Monte Moria non pensava certo alla propria felicità […] ma certamente stava seguendo una voce, dolorosissima, che lo chiamava. E, come lui, tanti continuano a salire i Monti Moria della loro vita. I momenti, gli atti e le scelte nel corso della nostra esistenza non sono tutti uguali. […]
Ci sono molte cose buone nella nostra vita che non sono misurate sull’asse della nostra felicità, e alcune neanche sull’asse della felicità degli altri. Le scelte più importanti sono quasi sempre scelte tragiche: non scegliamo tra un bene e un male, ma tra due o più beni. E ci sono anche decisioni nelle quali usciamo dal registro del calcolo. E altri momenti dove non riusciamo neanche a scegliere, ma, forse, pronunciare docili soltanto un “sì”. La terra è abitata da molte donne e uomini che in certi momenti decisivi non cercano la propria felicità. Anche se Aristotele ci ha insegnato che la felicità (eudaimonia) è il fine ultimo, il sommo bene, nella vita i fini ultimi e i sommi beni sono più di uno, e possono entrare in conflitto tra di loro. Molte delle cose grandi e degne della vita si collocano all’incrocio di questi molti beni, ed è lì dove si fanno le scelte decisive. Felicità, verità, giustizia, fedeltà, sono tutti beni primari, originari, che non possono essere ricondotti a uno solo, fosse anche la felicità. Possiamo avere una chiara idea di quale è la scelta che ci farà più felici, possiamo includere in quella felicità quasi tutte le cose belle vita, anche quelle più alte, ma nonostante ciò possiamo decidere liberamente di non scegliere la nostra felicità se ci sono altri valori in gioco che ci chiamano. E magari alla fine scoprire una parola nuova: la gioia, che a differenza della felicità non può essere cercata, ma solo accolta come dono. Chi ha lasciato il proprio segno buono sulla terra, non ha vissuto la vita inseguendo la propria felicità. L’ha considerata troppo piccola. L’ha vista, qualche volta, ma non si è fermato a raccoglierla; ha preferito continuare a camminare dietro a una voce. Alla fine della corsa non resterà la felicità che abbiamo accumulato, ma se resterà qualcosa saranno cose molto più vere e serie. Siamo molto più grandi della nostra felicità. […] Luigino Bruni La voce dei giorni/1 – Leggi il testo intero in italiano (Fonte: Avvenire) (altro…)
Migliaia di studenti universitari hanno denunciato l’imperante sistema di corruzione nella maggiore università statale del Paese, l’Università Nazionale di Asunción (UNA). Una lunga primavera australe che si è conclusa con le dimissioni a catena delle autorità accademiche e negoziando la riforma di uno statuto concepito nel tempo della dittatura. I giovani universitari hanno sorpreso tutti con la loro serietà ed organizzazione. Durante il mese circa in cui il campus è stato occupato, hanno creato un vero e proprio “Stato alternativo”. Turni di guardia alle porte, controlli a borse e bagagliai affinché non fossero introdotti alcolici, efficienti commissioni per l’alimentazione e servizi essenziali, l’organizzazione di un calendario di lezioni suppletive, con l’aiuto di professori e studenti degli ultimi anni; e ora, con un calendario di esami per non far perdere il semestre a nessuno. Hanno dimostrato, inoltre, l’intelligenza di non farsi strumentalizzare da nessuno. Indicato da molti come figura ispiratrice, Papa Francesco, che aveva incontrato migliaia di giovani nella sua visita al Paraguay. Il suo appello a “fare confusione e poi a organizzarla”, è stato accolto in pieno. Tra gli animatori della rivolta pacifica #UNAnotecalles (“UNA non tacere”), i giovani dei Focolari. La parola ad Alejandra e Cecilia, studentesse di Medicina e Ingegneria, rispettivamente: «Tutto è cominciato con un sit-in di fronte al Rettorato, per dimostrare la nostra indignazione riguardo alle più recenti denunce di corruzione. Ogni giorno si svolgeva una manifestazione pacifica con microfono aperto a studenti, professori e funzionari. Poi si è aggiunta una veglia permanente attorno all’edificio, con sciopero studentesco e l’esigenza delle dimissioni del rettore e dei suoi collaboratori. Il sostegno della cittadinanza, anche attraverso l’invio di alimenti ed altro, ci ha dato la forza per non cedere nella lotta, facendoci capire che era una battaglia di tutti. Dopo 40 giorni abbiamo ottenuto le dimissioni del rettore, di altri 5 funzionari e l’imputazione di altri 38 e poi, le dimissioni di tutti i decani delle facoltà. Per noi è stato fondamentale vivere questa tappa insieme ai gen che studiano alla UNA, e anche con gli altri, che ci facevano sentire il sostegno in vari modi. Certi della promessa di Gesù che se ci uniamo nel Suo nome Lui è con noi, abbiamo cercato che così fosse. Egli ci è stato di luce per difendere i valori evangelici di amore, verità e giustizia, e per superare i momenti difficili che non sono mancati. A volte non era facile contenere la folla che pareva lasciarsi portare dalle emozioni. In quei momenti, quando non era chiaro ciò che fosse più giusto fare, ci cercavamo per capire insieme come comportarci e che scelta promuovere.
Leticia (a sinistra)
«Si può girare l’angolo quando incontri i problemi di un altro, o puoi affrontarli di petto facendoli tuoi. Per un movimento che ha scelto di abbracciare il volto sofferente di Gesù sulla croce, si comprende che i Focolari di Mumbai abbiano scelto di cogliere e sanare le sfide delle sue comunità con amore e dedizione», scrive Annabel, giornalista, una giovane dei Focolari a Mumbai. Il progetto Santacruz e quello di Udisha sono nati per concretizzare il forte impegno del Movimento per la giustizia sociale, la fraternità universale e, soprattutto, a testimoniare l’amore per Gesù nel prossimo anche in questa città. Il Progetto Santacruz è iniziato nel 1992 come risposta alle esigenze delle famiglie locali alle prese con la povertà, con tossicodipendenza e mancanza di lavoro. Esso provvede razioni alimentari alle famiglie e sostegno regolare in modo che i bambini possano continuare i loro studi. «Abbiamo faticato inizialmente per finanziare questo progetto, ma abbiamo messo insieme le nostre risorse e i contributi di tutta la famiglia dei Focolari qui in India. Sono contenta che siamo stati in grado di sostenere questo progetto per oltre 25 anni», afferma Joan Viegas, una delle prime volontarie di Mumbai coinvolte nel progetto. «Col tempo ci siamo resi conto che, per affrontare le varie sfide sociali di queste famiglie, era altrettanto necessario il nutrimento spirituale. Abbiamo cominciato ad organizzare incontri della Parola di Vita per le madri delle ragazze che avevano urgente bisogno di uno spazio per esprimersi, condividere i loro problemi e trovare forza spirituale. Una di noi, Josephine Passanha che ora non c’è più, ha iniziato a svolgere gli incontri in lingua Konkani per queste donne che non parlavano inglese, ed anche ad organizzare seminari utili per la gestione della famiglia, come la pianificazione delle nascite e la gestione dei risparmi e delle spese».
Durante la sua prima visita in India nel 2001, Chiara Lubich ha incoraggiato i membri dei Focolari a Mumbai ad ad allargare la cerchia di aiuto anche verso altre persone ai margini della società. Questo ha dato una forte spinta al Progetto Udisha, iniziativa già avviata che si concentra sullo sviluppo integrale dei bambini provenienti da ambienti molto svantaggiati. Udisha – “raggio di luce” in sanscrito – oggi sta “illuminando” la vita di oltre 120 bambini con le sue varie attività: dopo scuola per studenti, consulenze familiari e mediche, terapia di riabilitazione e camps per giovani. Un ciclo di consulenze periodiche è diventato una delle specializzazioni principali di Udisha, aiutando molti bambini e i loro genitori a risolvere varie sfide, a volte anche salvando vite umane da tendenze suicide. Gruppi di auto-sostegno che aiutano le madri a gestire il reddito familiare e integrarlo avviando piccole imprese, come cucire borse con l’uncinetto, servizi di ristorazione e di cure estetiche.
«Udisha è diventata una organizzazione vera e propria con l’aiuto della comunità dei Focolari in tutta Mumbai, e anche con il Sostegno a Distanza che riceviamo dal Movimento Famiglie Nuove», dice Brian D’Silva, che è stato pioniere del progetto. «Cerchiamo di raggiungere più famiglie ogni giorno, sempre tenendo presente che è Gesù che serviamo in ogni individuo. È per me una grande soddisfazione vedere i nostri primi bambini di Udisha che oggi sono ben istruiti, hanno trovato un lavoro e danno un contributo positivo alla società attorno». (altro…)