3 Nov 2018 | Spiritualità
In Gesù, Dio si è fatto semplicemente nostro fratello; non si è limitato ad affiancarsi a noi, ma è entrato in noi, nel nostro cuore, nelle nostre ferite. Così ha fatto proprie le ferite dell’uomo, e così la ferita di Dio che brucia nell’uomo è divenuta, in quest’uomo Gesù di Nazareth, ferita di Dio. E quando egli dice: ‘lo sono la via’, non possiamo guardare che al suo costato aperto, alla sua ferita, e lì trovare la via. Questo non è certo facile né tantomeno ovvio. Ma se ci proviamo, se tentiamo, se ci arrischiamo, ci renderemo conto che la via è lui. (Da una omelia del 1993) In Gesù si fa manifesto che il Dio che fino ad ora nella storia del suo popolo sembra aver taciuto non si è addormentato, non è diventato muto. Egli viene, prende i suoi poveri, li accoglie. Non lo fa però con un’azione fulminea, frutto della sua onnipotenza, ma attraverso la via piccola, la via di Gesù, la via del nascondimento, del servizio: la via della croce. (Da un discorso alla radio del 17.9.1978) Gesù è stato accusato di essere amico dei pubblicani e dei peccatori, di aver vissuto in ‘cattiva compagnia’. Senz’altro il suo comportamento si espone a fraintendimenti, come se per lui si potesse parlare di semplice critica all’ordine stabilito, di semplice simpatica eccentricità, di semplice protesta contro l’establishment e i valori stabiliti. No: a Gesù, nel cui petto batte il cuore di Dio, interessa tutto, interessano tutti. La marginalità non gli interessa in quanto è marginalità, ma in quanto è parte del tutto. “Anch’egli è figlio di Abramo” (Lc 19,9): così Gesù stesso giustificò, di fronte ai cosiddetti ‘galantuomini’ e a quanti si ammantavano di un legalismo esteriore, la propria amicizia per Zaccheo, il pubblicano. (Da un articolo del dicembre 1973) (altro…)
29 Ott 2018 | Chiara Lubich, Cultura, Spiritualità
Face à un monde bouleversé par le développement technologique, l’explosion des moyens de communication et les tensions internationales, l’homme d’aujourd’hui est peu préparé à absorber autant de violence. Existera-t-il un homme monde modèle, qui ressente, qui ait senti en lui un terrible raz de marée qui menace d’engloutir ce qu’on avait cru jusqu’alors intangible ? Nous sommes au Golgotha, aux pieds du Crucifié qui expérimente un mystérieux et terrible abandon. Celui des hommes mais surtout celui de son Père du Ciel. « Mon Dieu, mon Dieu, pourquoi m’as-tu abandonné ? » Le cri de Jésus sur la croix est une réalité tellement inconcevable, inaudible, que durant des siècles, la chrétienté n’a pas eu le courage de l’approfondir, de s’engouffrer dans cet abîme de souffrance divine, privilégiant d’autres aspects de la passion. « J’ai attendu vingt siècles pour me révéler à toi. Si tu ne m’aimes pas, qui m’aimera ? » Telle est la question qui s’impose un jour à la jeune Chiara Lubich, initiatrice d’un mouvement de spiritualité qui allait devenir le mouvement international des Focolari. Dès l’aube de cette aventure spirituelle, elle avait ardemment demandé à Jésus : « Donne-moi la passion de ta passion. » Dans le cri de Jésus en croix, Chiara Lubich met en lumière l’amour le plus grand qui soit, la clé de l’unité, le visage de Dieu le plus en mesure de parler à l’humanité d’aujourd’hui. Nouvelle Cité
29 Ott 2018 | Ecumenismo, Focolare Worldwide, Focolari nel Mondo, Spiritualità
Sono medico internista e appartengo alla Chiesa russo-ortodossa. Come persona e come credente sono stata formata dal mio parroco e dalla spiritualità di Chiara Lubich. Ero ancora molto giovane quando, a contatto con le focolarine di Mosca, ho avvertito la chiamata a seguire Dio in modo radicale e da sette anni vivo nel focolare di Belgrado (Serbia). In Serbia c’è una tradizione particolare, unica: la festa della Slava, che le famiglie celebrano nel giorno del santo protettore di quella famiglia: per il popolo serbo, la Slava è antica quanto il cristianesimo stesso. Nessuna nazione cristiana ha questo tipo di celebrazione, tranne gli ortodossi serbi. Per una famiglia serba, la Slava, come importanza, viene subito dopo la Pasqua e il Natale. I missionari cristiani ortodossi, che convertirono i serbi alla santa fede ortodossa, cristianizzarono anche le loro consuetudini. Divenendo cristiani ortodossi, i serbi accettarono il santo o i santi del giorno in cui venivano battezzati. Per quanto riguarda la cultura serba, la Slava è un elemento unico e ininterrotto attraverso tutta la storia del popolo serbo ortodosso. Poiché i serbi si trovano in una regione geografica tra l’Oriente e l’Occidente, tra culture diverse, la Slava è divenuta una festa identificata con il proprio nome e la propria esistenza. La sua osservanza è compiuta anche da organizzazioni culturali e sociali, da città e perfino da unità militari. Insieme ai parenti, si riuniscono in quel giorno amici e conoscenti; la casa è aperta a tutti quelli che arrivano. Il nostro focolare è composto da focolarine cattoliche di varie nazioni e da me. Da tempo sentivamo il desiderio di fare nostra questa bellissima tradizione del popolo serbo e viverla insieme ai nostri fratelli e sorelle. Nella scelta del santo protettore, nello spirito ecumenico del focolare, siamo state aiutate dal nostro amico monaco, padre Djordje, che ci ha proposto di festeggiare le sante donne “mironosice” (le “donne che si recarono al sepolcro con gli aromi”), alle quali la Chiesa ortodossa dedica una settimana intera a partire dalla seconda domenica dopo la Pasqua. Così da quattro anni abbiamo cominciato a celebrare la Slava del focolare. Tanti nostri amici ortodossi sono stati entusiasti della nostra decisione e ci aiutano a preparare il necessario per la festa. Ogni anno, per la domenica delle sante donne al sepolcro, accogliamo in focolare i nostri amici di varie Chiese, tra cui anche i nostri vicini di casa, qualche collega di lavoro, operaio o medico. Il momento principale – il rito del taglio del pane di Slava – viene celebrato dal nostro amico padre Djordje, davanti all’icona delle donne al sepolcro. Si inizia con una preghiera raccolta, accompagnata da canti, poi con commozione, tenendoci tutti per mano, preghiamo secondo la tradizione della festa di Slava. Dando la benedizione per la prima volta, padre Djordje ci ha indicato le sante donne del sepolcro come modelli e protettrici del focolare, incoraggiandoci, sull’esempio delle donne che seguirono Gesù, ad essere “come il sale che trasforma la società e tutti attorno”. Al rito segue l’agape, con varie specialità culinarie, in un’atmosfera di festa e comunione, come in una famiglia. Una nostra conoscente ci aveva detto che vede in questo passo “una vera inculturazione che apprezza e fa propria la cultura dell’altro: un cristianesimo vero”. Fonte: NU, Nuova Umanità, n. 231, p. 75. (altro…)
26 Ott 2018 | Centro internazionale, Chiara Lubich, Spiritualità

Foto d’archivio: Pasquale Foresi con i giovani del Movimento dei Focolari
Le pagine evangeliche di riferimento sono quelle del capitolo 17 del Vangelo di Giovanni, dense di espressioni dai molti significati, la cui lettura porta Chiara Lubich e le sue prime compagne di avventura a fare di esse la “magna charta” del nascente Movimento dei Focolari. «Perché tutti siano una sola cosa. Come tu, Padre, sei in me ed io in te, siano anch’essi in noi una cosa sola, perché il mondo creda che tu mi hai mandato». «Perché tutti siano una cosa sola». È una frase collegata col versetto precedente, dove Gesù prega anche per coloro che per la parola degli apostoli avranno creduto in lui. È perciò la Parola che fa uno. Unità delle menti attorno alla potenza unificante della Parola che è Cristo. Questa Parola passerà lungo il corso dei secoli, attraverso le culture più varie, potrà aprirsi a molte interpretazioni, ma rimarrà sempre una e farà uno quelli che la accoglieranno. Un’altra caratteristica di questa unità è che mentre, per esempio, nelle scuole filosofiche per rimanere uniti basta non allontanarsi dalle intuizioni fondamentali del maestro, l’unità cristiana è vitale. È unità della mente e del cuore, è famiglia. «Tutti». Indica la più assoluta e ampia universalità senza eccezioni […]. Nel versetto, “tutti” è legato a «una cosa sola». Sono due note caratteristiche della Chiesa: la cattolicità e l’unità. Paolo ribadisce questa vocazione cristiana all’unità quando scrive agli Efesini: «Un sol corpo, un solo spirito, come una sola è la speranza alla quale siete stati chiamati, quella della vostra vocazione; un solo Signore, una sola fede, un solo battesimo. Un solo Dio Padre di tutti, che è al di sopra di tutti, agisce per mezzo di tutti ed è presente in tutti» (Ef 4, 4-6). Pasquale Foresi, Luce che si incarna. Commento ai 12 punti della spiritualità dell’unità, (Rome: Città Nuova Editrice, 2014) 131. (altro…)
24 Ott 2018 | Chiesa, Ecumenismo, Focolare Worldwide, Focolari nel Mondo, Spiritualità
Nel cuore dell’Europa, la Svizzera, con i suoi 7,8 milioni di abitanti in un territorio di 41 mila km, è un piccolo Paese dalla grande varietà linguistica, culturale e religiosa, spesso additato come un modello riuscito di integrazione. La spiritualità dell’unità, particolarmente congeniale ad un tessuto sociale già orientato ai rapporti e alla reciproca accoglienza, qui si è rapidamente diffusa fin dagli inizi degli anni ‘60, ed ha attecchito con profonde radici. Molte delle intuizioni sugli sviluppi successivi della spiritualità dei Focolari sono legate ai soggiorni estivi di Chiara Lubich nelle valli della Svizzera. Dal 1975 è attivo, a Baar, nel Canton Zugo, un Centro di Formazione, aperto a tutti, divenuto nel tempo il cuore della cittadella dei focolari “Eckstein” (pietra angolare), dove operano alcune piccole imprese. Il Centro favorisce i momenti di contatto e incontro, non solo tra i cristiani cattolici e riformati.
A fine settembre, nella cittadina svizzera, dapprima nella Sala del Comune, quindi nei locali del Centro, per un gruppo più ristretto di superiori e responsabili, si è svolto (con un contributo “dietro le quinte” dei membri del focolare) un incontro per circa 400 religiosi e religiose appartenenti a ottanta comunità, tra cui una decina della Chiesa della Riforma e una comunità ortodossa, e rappresentanti di istituti secolari, movimenti, comunità e famiglie ecclesiali. «Oggi abbiamo bisogno di aiutarci ad essere uno accanto all’altro, a non guardare le nostre barriere o le nostre diversità, che devono rimanere. Ma dobbiamo fare in modo che tutte le nostre diversità risplendano in un’unica grande esperienza, alla sequela di Cristo e dei nostri fondatori» ha affermato il card. João Braz de Aviz, presente all’incontro. In un’intervista, il Prefetto della Congregazione per la Vita Consacrata ha spiegato:«Tutte le varie strutture che formano la Chiesa, religiosi, eremiti, monaci, monache, frati suore, istituti secolari, tutti stanno cercando una via comune. Nella cultura attuale tutto si è ravvicinato».
«In questo momento – spiega – abbiamo bisogno di un cammino da fare insieme, e anche noi degli ordini, delle congregazioni, della vita consacrata abbiamo bisogno di uno strumento, di un tipo di vita che ci avvicini in tutti i modi. Non è il cammino fatto prima, quello di una spiritualità individuale, che si conserva. Si deve passare ad una capacità di guardare insieme, di guardare l’altro con l’attenzione con cui guardiamo a noi stessi. Tutto ciò noi lo stiamo imparando, a cominciare da noi cardinali». E ha concluso: «Vorrei che noi tutti potessimo, in questo momento, sommare le nostre bellezze e formare questa grande unità, ricordando quello che dice Papa Francesco: “L’unità non si costruisce distruggendo, ma armonizzando la diversità”. È un cammino che alle volte crea un po’ di fatica, perché dobbiamo imparare ad uscire verso gli altri, “il primo movimento che dobbiamo fare per andare verso l’altro”, come dice il Papa. Se non usciamo da noi stessi, rimaniamo al centro. Questo sta nascendo qui in Svizzera, con semplicità, come se fossimo tutti alla scuola di Maria». (altro…)