Movimento dei Focolari
Due donne e due castelli

Spiritualità dell’unità: Gesù Eucaristia

L’Eucaristia ha sempre avuto un ruolo importante nella vita di Chiara Lubich, sin dall’infanzia. La sua vita personale e quella delle sue prime compagne – così come poi di tutto il movimento che si costituirà nei decenni – è stata marcata dall’Eucaristia. E non potrebbe essere che così, se si pensa che Gesù Eucarestia è l’anima, il cuore della vita stessa della Chiesa. L’azione dello Spirito Santo provocava in Chiara per il carisma dell’unità che le è proprio, e nelle sue prime compagne una forte attrazione a Gesù nell’Eucaristia, al punto che non vedevano l’ora di recarsi a Messa, per condividere con Lui tutta la loro vita. E più tardi, quando cominciarono a viaggiare per l’Italia,  dal finestrino del treno cercavano  nel paesaggio i campanili delle Chiese e si voltavano verso di essi: lì c’era l’Eucaristia, lì c’era il loro amore. Esiste un intreccio meraviglioso fra Eucaristia e spiritualità dell’unità. Così si esprime Chiara su questo grandioso mistero: «Il fatto che il Signore, per dare inizio a questo vasto movimento, ci abbia concentrato sulla preghiera di Gesù per l’unità, significa che Egli ci doveva spingere con forza verso Colui che solo la poteva attuare: Gesù nell’Eucaristia. Infatti, come i bambini appena nati si nutrono al seno materno istintivamente, senza sapere quello che fanno, così, sin dall’inizio del movimento, si è notato un fenomeno: chi ci avvicinava incominciava a frequentare la comunione ogni giorno. Come spiegarlo? Quello che è l’istinto per il bambino neonato è lo Spirito Santo per l’adulto, neonato alla nuova vita che il Vangelo dell’unità porta. Egli è spinto al “cuore” della Madre Chiesa e si ciba del nettare più prezioso che essa abbia, nel quale sente di trovare il segreto della vita d’unità, e della propria divinizzazione. Infatti il compito dell’Eucaristia è di farci Dio per partecipazione. Mescolando le carni vivificate dallo Spirito Santo e vivificanti del Cristo con le nostre, ci divinizza nell’anima e nel corpo. La Chiesa stessa si potrebbe definire: l’uno provocato dall’Eucaristia, perché composta da uomini e donne divinizzati, fatti Dio, uniti al Cristo che è Dio e fra loro. Questo Dio con noi è presente in tutti i tabernacoli della terra e ha raccolto tutte le nostre confidenze, le nostre gioie, i nostri timori. Quanto conforto Gesù Eucaristia ci ha portato nelle nostre prove, quando nessuno ci dava udienza perché il movimento doveva essere studiato! Egli era sempre lì, a tutte le ore, ad attenderci, a dirci: in fondo, il capo della Chiesa sono Io. E nelle lotte e nelle sofferenze d’ogni genere chi ci ha dato forza, tanto da pensare che saremmo morti molte volte se Gesù Eucaristia e Gesù in mezzo, che egli alimentava, non ci avessero sorretto?». (altro…)

Due donne e due castelli

Vivere il carisma: economia e lavoro

rosso«L’amore, ad esempio, è comunione, porta alla comunione. Gesù in noi, perché Amore, avrebbe operato la comunione.» – Chiara Lubich La consapevolezza che Dio mostra il suo amore attraverso le circostanze della vita, anche quelle dolorose, fece desiderare alle prime focolarine, in pericolo di morte sotto le bombe della guerra, di essere raccolte in un’unica tomba con scritto: «Noi abbiamo creduto all’amore». La consapevolezza di essere amate da Dio le aveva rese capaci di essere pronte a dare la vita l’una per l’altra. Ciò ebbe come logica conseguenza anche la condivisione di ogni bene materiale e la comunione di ogni aspirazione, di ogni paura e sogno. Raccontava una delle prime focolarine, Giosi Guella, a proposito della prima convivenza realizzata da Chiara e dalle sue prime compagne: «In piazza Cappuccini non c’era niente. Nello stesso tempo però c’era tutto: per noi e per gli altri. Era logico che non ci fosse niente: se c’era qualcosa, si dava. Portavamo a casa i nostri stipendi, li mettevamo in comune». Anche il lavoro, curare il bilancio di casa, studiare, insegnare, fare le pulizie in quanto servizio, divenne occasione di amare concretamente il prossimo. Il servizio fu regola di vita della comunità che si formò attorno al primo focolare e faceva pensare ai primi cristiani che «erano un cuor solo e un’anima sola e non v’era nessun indigente fra loro» (cf. At 4, 32-35). Chi aderisce al “carisma dell’unità”, in un modo o nell’altro e come conseguenza naturale della comunione dei cuori, usa mettere in comune le proprie cose: chi tutto, chi qualcosa, chi il superfluo. Da questa comunione è nato anche un progetto di ampio raggio, sia dal punto di vista pratico che teorico, l’Economia di Comunione, che è l’espressione matura di un modo integrale di concepire la persona e il servizio ad essa. Ad essa aderiscono centinaia di imprenditori nel mondo. Nelle aziende di Economia di Comunione il lavoro è concepito come nobilitazione dell’uomo, la giustizia viene perseguita con tenacia e la legalità è ricercata giorno dopo giorno. Scrive Chiara Lubich: «La magna carta della dottrina sociale cristiana inizia là dove Maria canta: “Ha rovesciato i potenti dai troni, ha innalzato gli umili; ha ricolmato di beni gli affamati, ha rimandato a mani vuote i ricchi”(Lc 1,52-53). Nel Vangelo sta la più alta e travolgente rivoluzione. E forse è nei piani di Dio che anche in quest’epoca, immersa nella soluzione dei problemi sociali, sia la Madonna a dare a noi tutti cristiani una mano per edificare, consolidare, erigere e mostrare al mondo una società nuova in cui riecheggi potente il Magnificat». Leggi anche https://www.focolare.org/it/chiara-lubich/vivere-il-carisma/ (altro…)

Due donne e due castelli

Le Palme

L’ingresso di Gesù a Gerusalemme, tra plausi e palme, ha un significato politico, non soltanto perché la folla riconosce, d’istinto, in lui il capo del popolo, ma anche perché è lui stesso, capo pacifico, ad affermare in quella circostanza un valore politico del suo messaggio. In quel giorno, dunque, proprio mentre le turbe (oggi diremmo: le masse) lo acclamavano Re d’Israele, Gesù Cristo, nello scendere dal Monte Oliveto, alla vista di Gerusalemme raccolta, con le sue casette bianche, attorno al Tempio splendente, in mezzo alla gioia di tutti, scoppiò a piangere, e gemé: «Oh! se conoscessi anche tu e proprio in questo giorno, quel che giova alla tua pace! Ma ora tutto ciò è nascosto ai tuoi occhi. Poiché verranno per te giorni ne’ quali i tuoi nemici ti faranno attorno delle trincee, ti circonderanno e ti strin­geranno d’assedio da ogni parte e distruggeranno te e i figliuoli che sono in te, e non lasceranno in te pietra su pietra, perché non hai conosciuto il momento nel quale sei stata visitata». Invece proprio in quel giorno, i capi della nazione, contro il sen­timento del popolo, respinsero il suo programma di pace per confermare il loro programma di guerra. Proprio quel giorno si risolsero definitivamente a sbarazzarsi del Messia pacifico, che veniva a Gerusalemme cavalcando un asinello, perché gli anteposero l’eroe scarlatto del loro messianismo bellico. L’ingresso delle palme fu dunque la celebrazione del messianismo pacifico, cioè d’una politica sui generis, che venne subito stroncata dalla politica di vecchio genere: quella che credeva (e magari crederà) in Dio e nella sua legge, ma fidava (e fiderà) di più nella spada dei propri armigeri: più nei carri armati che negli annunzi del Sinai: questa decrepita folle politica che inocula la guerra anche nei trattati di pace e trasforma il popolo in esercito e la terra da arare in campo per ammazzare. La politica messianica di Gesù si ricapitola sotto il nome di regno di Dio: cioè un regime, la cui costituzione sia la legge di Dio, e il cui fine, come il principio, resti Dio. In essa egli organizza il popolo in regno: un proprio regno, e lo dirige sulle vie della pace. Questo regno di Dio si traduce anche in una costitu­zione sociale; la sua legge è il Vangelo, e comporta l’unità, la soli­darietà, 1’eguaglianza, la paternità, il servizio sociale, a giustizia, la razionalità, la verità, con la lotta alla guerra, alla sopraffazione, alle inimicizie, all’errore, alla stupidità… Cercare il regno di Dio è quindi cercare le condizioni più felici per l’espressione della vita individuale e sociale. E si capisce: dove regna Dio, l’uomo sta come un figlio di Dio, un essere d’infinito valore, e tratta gli altri uomini ed è trattato da loro come fratello, e fa agli altri quel che vorrebbe che gli altri facessero a lui; e i beni della terra sono fraternamente messi in comune, e circola l’amore col perdono, e non valgono barriere, che non hanno senso nell’universalità dell’amore. Mettere per fine primo il regno di Dio, dunque, signi­fica innalzare la mèta della vita umana. In questo senso, anche per noi, Cristo «ha vinto il mondo». Fuori di questo significato, Gesù non si occupa di politica, e neppure gli apostoli. Però nel loro insegnamento sono inclusi principi, se non di politica concreta, immediata, di parte, certo d’alta sapienza direttiva, che sostiene la grande e universale arte di governo d’ogni tempo. Gesù non tocca gl’istituti esistenti, ma ne muta lo spirito, mutando i sentimenti degli uomini. Non dice ai soldati di disertare, né ai pubblicani di lasciar l’esattoria, né ai sinedriti di dimettersi dal Gran Consiglio: dice loro di compiere la loro funzione con uno spirito nuovo. Non fa l’agitazione: fa la rivoluzione. E la fa nello spirito, dove appunto va fatta. Entro la settimana Gesù sarà presentato come anti­ebreo, secondo la legge teocratica, al tribunale d’Israele; come anti-romano, secondo la legge imperiale, al tribu­nale del procuratore. Tante accuse, tante menzogne: pure in effetti, «sovvertitore del popolo», come suona l’accusa, egli lo è, in un senso: è, quella di Gesù, la politica del subordinare ogni cosa al fine ultimo; e quindi non è sforzo per agglomerare potenza in mano ad uomini, ma per consentire agli uo­mini di governare la loro vita temporale, in modo da favorire lo sviluppo della propria perfezione religiosa. Non è dominio, ma servizio; non mira alla guerra, ma propugna la pace; non importa egemonie ed esclusivismi, ma collaborazione fraterna, nell’universalità dell’amore, nella eguaglianza dei fratelli, nella dignità di tutti i com­ponenti. Igino Giordani, Le Feste, SEI, Torino, 1954, pp. 104-110. (altro…)