27 Nov 2015 | Centro internazionale, Chiesa, Ecumenismo, Focolare Worldwide, Focolari nel Mondo, Spiritualità
Nel contesto attuale parlare di unità può sembrare assurdo, anacronistico. Eppure la spinta che anima i vescovi presenti al Convegno ecumenico nell’isola di Heybeliada (Halki) è tutt’altro che un’utopia. L’impegno a vivere l’amore scambievole tra di loro e con le loro chiese è già una testimonianza vitale per chi ha perso la speranza nel dialogo e nella pace. Il 25 novembre Maria Voce, nel suo discorso programmatico, ha parlato ai vescovi di unità. Una realtà che oltre ad essere un dono dall’alto, diventa anche un impegno impellente che – assicura – ci permette di “inserirci in questa storia sacra dell’umanità”. Una storia sacra in cui i cristiani hanno un ruolo imprescindibile. L’unità diventa una risposta alle sfide di oggi. “Di fronte all’impotenza, che talvolta anche oggi ci assale, – continua Maria Voce – forse dobbiamo fare un unico primo passo: ridonarci a Dio come strumenti nelle Sue mani, perché Lui, sul nostro nulla, operi l’unità. Questo è il nostro primo impegno, il primo passo che occorre fare singolarmente e insieme”. Oggi con una realtà sociale così drammatica molti, soprattutto i giovani, sentono la spinta ad essere presenti e visibili accanto a chi soffre. Ma il compito dei Focolari non si esaurisce qui. È necessario comprendere che l’unità è un traguardo verso il mondo unito, quindi “siamo chiamati all’unità con tutti – sottolinea ancora Maria Voce – nessuno escluso”. E citando dei brani di Chiara Lubich, svela ai vescovi la strada scoperta dalla fondatrice dei Focolari. “La porta che ci apre all’unità è per noi Gesù Crocifisso e Abbandonato” che “ha operato la riunificazione del genere umano col Padre e degli uomini fra loro ed è Lui crocifisso e abbandonato causa, chiave dell’unità, che la opererà anche oggi”.
Portare la ricchezza dell’unità in ogni angolo della terra, è il compito che si pone il Movimento dei Focolari, suscitare cellule vive ovunque. “Nei campi profughi, – continua Maria Voce – negli ospedali dei feriti di guerra, nelle manifestazioni in piazza, nelle file di chi cerca lavoro e non lo trova, nei porti affollati di immigrati… dappertutto, dappertutto, Dio ci chiede di accendere fuochi sempre più vasti”. Nel dialogo successivo alcuni vescovi raccontano delle loro azioni in contesti difficili, la vicinanza dei fedeli delle diverse chiese là dove c’è la guerra e la sofferenza. In loro è forte la certezza che è la croce ad accomunare tutti e a far fiorire nei posti più impensati comunità vive. Il programma apre poi uno sguardo particolare sulla realtà delle chiese locali nel Medio Oriente, il ruolo dei cristiani e le loro difficoltà. Il vescovo Sahak Maşalyan nonostante la complessa situazione della Chiesa Armena in Turchia, trasmette ottimismo, e asserisce: “Quando i cristiani perdono il senso dell’ottimismo, alla fine emigrano da qualche altra parte”. Un appello arriva anche dal vescovo Simon Atallah della chiesa maronita del Libano. Chiede di pregare con fervore per sconfiggere la guerra, per far sì che i cristiani non abbandonino le loro terre e possano ritornare a vivere in pace e armonia. A conclusione della giornata Angela Caliaro e Carmine Donnici, rappresentanti del Movimento, raccontano dello sviluppo e dell’influsso dei Focolari in tutta l’area mediorientale; un seme di speranza che coinvolge cristiani, musulmani ed ebrei a continuare sul cammino della riconciliazione e della pace. Dall’inviata Adriana Avellaneda (altro…)
25 Nov 2015 | Chiesa, Cultura, Focolare Worldwide, Focolari nel Mondo, Spiritualità
Comincia oggi il viaggio di Papa Francesco in Africa, il suo primo viaggio nel continente. Visiterà il Kenya l’Uganda e la Repubblica Centroafricana: due paesi anglofoni e uno francofono. In particolare è delicata e significativa la tappa in Centrafrica per la situazione di sicurezza, in un paese in guerra. Il nuovo sito della cittadella Mariapoli Victoria augura di tutto cuore una piena riuscita di questo viaggio: in effetti il sito ha voluto cominciare la sua vita pubblica proprio oggi in coincidenza con questo viaggio significativo del Papa in Africa. Anche se l’Africa dell’ovest è lontana dalle rotte di Papa Francesco, ci sentiamo coinvolti dal suo messaggio di fraternità e di pace. L’Africa dell’ovest è stata recentemente e a più riprese toccata dal terrorismo, in Mali, in Niger e Nigeria: speriamo ardentemente che la presenza di Papa Francesco, una presenza di dialogo, anche interreligioso, sappia aprire vie di fraternità in Africa: “bonne route” papa Francesco! Fonte: www.focolare.org/mariapolivictoria (altro…)
23 Nov 2015 | Chiesa, Dialogo Interreligioso, Ecumenismo, Focolare Worldwide, Focolari nel Mondo, Spiritualità
«La chiave di lettura di questo viaggio è da scoprire nel programma e nella scelta delle attività che il Papa svolgerà», scrive Liliane Mugombozi, direttrice di New City, la rivista del Movimento dei Focolari in Kenya. Con lei ripercorriamo le direttrici di un viaggio che si preannuncia importantissimo. «Papa Francesco ha scelto tre Paesi con una grande comunità cattolica, afflitti da varie tensioni: desidera con ciò entrare a far parte, come pastore del popolo, nella scrittura di una nuova pagina della storia dell’Africa oggi nel contesto mondiale, e mettersi in cammino, insieme, alla ricerca di soluzioni ai problemi che stanno a cuore a queste popolazioni». «Chiedo a tutti voi di pregare per questo viaggio – ha chiesto papa Francesco all’Angelus del 22 novembre – affinché sia per tutti questi cari fratelli, e anche per me, un segno di vicinanza e d’amore. Chiediamo insieme alla Madonna di benedire queste care terre, affinché ci sia in esse la pace e la prosperità». Quali le attese? «Ci si aspetta dal suo messaggio una risonanza in tutti i settori della vita, dalla governance, alla gestione dei beni, dalla politica, all’educazione, alla sanità, al dialogo e ai rapporti interreligiosi…». E a chi obietta che Papa Francesco conosce poco l’Africa, l’Arcivescovo di Kinshasa, Repubblica Democratica del Congo, card. Monsengwo, risponde: «È vero. Ma ciò che è veramente favoloso è che lui va dove si soffre. Se non fosse stato per l’epidemia di Ebola, ci sarebbe già andato molto prima». Dal 19 ottobre scorso, quando il Vaticano ha confermato le date del viaggio, innumerevoli analisi hanno accompagnato questo annuncio: «In Kenya – scrive Lili Mugombozi – la lotta contro Al-shabab, responsabile di violenti attacchi negli ultimi anni, è una delle sfide politiche maggiori. «Durante la nostra visita ad limina a Roma, ci aveva fatto delle domande sulla strage di Garissa e ha detto che sarebbe venuto a confortare il popolo del Kenya», afferma Mons. Rotich, presidente della segreteria che si sta occupando della visita. In Uganda, Papa Francesco visiterà i santuari anglicani e cattolici per onorare la memoria dei giovani martiri: 23 anglicani e 22 cattolici uccisi per la loro fede. «Per tanti Ugandesi – spiega ancora Liliane – questo gesto di Francesco, è un ricordo gioioso del lontano 1969, – quando Paolo VI, primo Papa a metter piede sul suolo africano, ha canonizzato i primi santi africani – ma anche un nuovo impegno per il dialogo tra le chiese». «In questo anniversario – scrivono dai Focolari dell’Uganda – ci sentiamo particolarmente interpellati a vivere la santità di popolo».
Nella Repubblica Centrafricana, in un contesto politico teso che suscita preoccupazione, Francesco «per manifestare la vicinanza di tutta la Chiesa a questa Nazione così afflitta ed esortare tutti i centroafricani ad essere sempre più testimoni di misericordia e di riconciliazione» il 29 novembre aprirà la porta santa della cattedrale di Bangui, anticipando simbolicamente l’inizio del Giubileo della Misericordia, e darà un segnale molto forte con il discorso nella Moschea centrale. «In ognuno di questi Paesi – continua la direttrice di New City – il Papa incontrerà i capi di Stato, si rivolgerà al corpo diplomatico, celebrerà una Messa pubblica dove si aspettano migliaia di fedeli e terrà vari incontri con i leader religiosi e con migliaia di giovani. E i poveri, i sofferenti non possono mancare all’appuntamento con lui: incontrerà chi vive nella baraccopoli di Kangemi, alle periferie di Nairobi, i disabili di una casa a Nalukolongo, sobborgo di Kampala in Uganda, e in uno dei campi profughi nella Repubblica Centrafricana». Anche il Movimento dei Focolari accompagna con la preghiera e con la preparazione concreta il viaggio di Francesco in Africa. In Kenya sono presenti nei posti più vari: tra i 10.000 volontari della sicurezza; nelle delegazioni di università, college e parrocchie. La giovane Mary Mutungi dirigerà il coro di 600 universitari durante la Messa con i giovani. Tra i canti proposti, c’è anche “We can find a way to live in Peace“, scritta da una band filippina in occasione del Genfest. In Uganda i membri dei Focolari sono impegnati nei preparativi attraverso le parrocchie. Alcuni hanno la responsabilità del coordinamento per la Diocesi. Geneviève Sanzè, del Centro internazionale dei Focolari, originaria della Repubblica Centrafricana e membro del Pontificio Consiglio per i Laici, sarà presente nell’ultima tappa del viaggio papale. Fidelia, da Bangui, afferma: «C’è tanta speranza nel nostro popolo che la venuta del Papa ci aiuterà a convertirci veramente, e a tendere alla riconciliazione per un pace duratura». Video messaggio di papa Francesco alla vigilia del viaggio in Kenya e Uganda Video messaggio di papa Francesco alla vigilia del viaggio nella Repubblica Centrafricana (altro…)
20 Nov 2015 | Dialogo Interreligioso, Focolare Worldwide, Focolari nel Mondo, Spiritualità
Di fronte ai drammatici avvenimenti di Parigi e di tante altre parti del mondo, «il Movimento dei Focolari, mentre piange con chi piange, continua a credere nella via del dialogo, dell’accoglienza e del rispetto dell’altro, chiunque esso sia e di qualunque provenienza, credo religioso e appartenenza etnica», ha dichiarato la presidente Maria Voce all’indomani degli attentati nella capitale francese. «I Focolari – assieme a quanti nelle diverse responsabilità si adoperano anche con un rischio personale per la pace – rinnovano il proprio impegno ad intensificare e moltiplicare atti e gesti di riconciliazione, spazi di dialogo e comunione, occasioni di incontro e condivisione a tutti i livelli e a tutte le latitudini, per raccogliere il grido dell’umanità e trasformarlo in nuova speranza».
Diverse iniziative personali e collettive sono in atto. In Francia, tra le altre, la donna parigina che ha fatto visita a un negoziante e alla farmacista, rispettivamente marocchino e algerina, per rinnovare la sua amicizia; la coppia di Vendée che porta il proprio sostegno alle associazioni locali per l’accoglienza dei migranti, l’impegnato nel GAIC (Gruppo di amicizia Islamo-Cristiana) à Mulhouse, in Alsazia, che intensifica il suo contributo alla settimana interreligiosa in corso proprio a novembre (vedi intervista di Radio inBlu); un parroco della banlieue parigina che scrive una dichiarazione per la pace insieme ai musulmani del suo quartiere; la partecipazione attiva al festival interreligioso «Vivre ensemble à Cannes», fin dal suo inizio; iniziativa che ha ricevuto quest’anno il premio «Chiara Lubich per la fraternità»; l’organizzazione congiunta della 2° edizione di «Musulmani e Cristiani, insieme con Maria» prevista per il 2 aprile 2016 alla basilica di Longpont (Essonne). In Italia, in questi giorni corre un tam-tam che invita ad andare a «trovare il mondo musulmano che abita nei vari territori, cercando di gettare ponti, di costruire rapporti, di chiedere di convergere insieme con azioni concrete e visibili per la pace». In alcune città questi rapporti sono già avviati da tempo con frutti di fraternità.
In Gran Bretagna si è subito organizzata una catena di preghiere per le vittime della tragedia, chiedendo a Dio di “essere strumenti per portare l’unità nel proprio ambiente”, e in Irlanda una serata di conoscenza della cultura siriana per prepararsi ad accogliere i rifugiati diretti nel Paese. A Basilea e Adliswil, in Svizzera, donne musulmane e cristiane si trovano regolarmente ogni due mesi per una condivisione sulla fede. A Lugano c’è stato un intenso scambio con l’Imam Samir Jelassi. In Austria, a Meiningen (Voralberg), pochi giorni prima degli attentati si erano riunite 150 persone con Cenap Aydin, direttore dell’Istituto Tevere a Roma, e al prof. Siebenrock dell’Università di Innsbruck, del gruppo di studio che riunisce teologi musulmani da Iran, Tunisia, Algeria e Turchia, e teologi cattolici. In Germania, ad Augsburg, l’iniziativa “7 in punto – Augsburg prega per la pace”, il 7 di ogni mese alle 7 di pomeriggio: in una delle grandi chiese della città, una volta cattolica, l’altra luterana, un rifugiato, un esperto, o un rappresentante di una ONG illustra la situazione di un paese in difficoltà. E ancora, una marcia per la pace nel Valdarno in Italia, dove ha sede la cittadella di Loppiano, tra i promotori dell’iniziativa, e una manifestazione di piazza a Bahia Blanca, in Argentina, senza bandiere né colori politici. In California una cena di beneficenza per raccogliere fondi per sostenere progetti di aiuto ai rifugiati, preceduta da un momento di preghiera per le vittime degli attentati terroristici a Parigi e a Beirut, e dalla presentazione dello United World Project. In Honduras, il 14 novembre, una marcia per la pace organizzata dai Focolari, in solidarietà con la Siria, ha riunito persone di vari movimenti giovanili, portando un messaggio di unità e dialogo. Dall’Asia, Luigi Butori scrive: «Penso ai morti per attentati quasi giornalieri nel sud della Thailandia, ai profughi Rohinya; penso ai miei amici musulmani nella moschea a Chiangmai; penso a Mae Sot dove ancora oggi arrivano i profughi dal Myanmar in cerca di una vita migliore».

“Dieu pleure avec nous” © Michel Pochet
E ricorda l’invito di Chiara Lubich nel 1980: «Se nelle vostre città poi v’è una moschea o una sinagoga o qualche altro luogo di culto non cristiano, sappiate che lì è il vostro posto. Trovate modo di venire in contatto con quei fedeli, di stabilire un dialogo», parole che «ci spingono a creare un rapporto con chi non ha la nostra stessa fede: un rapporto vero, profondo, perché l’altro per me è il volto del Divino». In Egitto, va avanti il Living Peace Project, il progetto per l’educazione alla pace, nato al Cairo e adesso diffuso in tutto il mondo, che coinvolge centinaia di scuole e migliaia di studenti, e che ha ottenuto a New Humanity – ONG che lo promuove – il Luxembourg Peace Prize 2015. Anche l’arte dà il suo contributo: “Dieu pleure avec nous” (Dio piange con noi) è il titolo del dipinto che Michel Pochet, artista francese, ha realizzato dopo i fatti di Parigi. Mentre a Bruxelles il 21 novembre ha luogo il concerto di un coro misto musulmano e cristiano dal titolo “Fraternité en chœurs”, un gioco di parole fra “cori” e “cuori”. (altro…)
19 Nov 2015 | Focolare Worldwide, Focolari nel Mondo, Spiritualità
Nel mese di ashwayuja (che solitamente cade tra ottobre e novembre) l’India si accende di luce e di festa. È Diwali, una tradizione che attinge all’antica leggenda del re Rama che dopo 14 anni di esilio nella foresta, torna nella città di Ayodhya accolto da una sfilata (avali) di luci (dipa) in suo onore. Da qui il nome: Dipawali o più semplicemente Diwali. Quest’anno dal 10 al 15 novembre. I festeggiamenti iniziano con la pulizia di tutti gli ambienti della casa dove, nei diversi punti – ingresso, davanzali, sale – vengono posizionate tante piccole lampade che nel buio della notte trasformano la città in un fantasmagorico, fiabesco scenario. La lampada è il simbolo del sapere e della conoscenza interiori. Ma i significati, come in un caleidoscopio, si intersecano e si amplificano: il sapere sconfigge l’ignoranza; l’interiorità porta alla pace. Il bene vince sul male; la luce trionfa sulle tenebre e fa sprigionare la forza della vita. Diwali è tutto questo e ancora. È una festa attesa tutto l’anno. Nel terzo giorno – il vero e proprio Diwali – la gente indossa vestiti nuovi, si adorna di coroncine di fiori e di monili luccicanti, scambia doni ad amici e parenti, specialmente dolci e snack fatti in casa. Tutti partecipano alla funzione religiosa in onore di Laskshmi, la dea del benessere. In un’atmosfera di pace, portano sementi, foglie, monete ed icone religiose, recitando mantra vedici per ottenere la sua benedizione. Non mancano poi i giochi di società (carte, specialmente il ramino) mimi, balli, caccia al tesoro, giochi pirotecnici. Diwali non è solo una celebrazione indù. È anche un fatto culturale e sociale che coinvolge tutto il Paese, sia pure con diversità a seconda degli stati e della prevalenza religiosa. Fanno festa musulmani, buddisti, cristiani. In quei cinque giorni si illuminano a festa anche i centri dei Focolari che sono a Mumbai, Nuova Delhi, Bangalore, Goa e i 13 centri educativi ad essi legati cui sono inseriti complessivamente 1.500 bambini e adolescenti, prevalentemente indù, che grazie al sostegno a distanza vi trovano scolarità, un pasto caldo al giorno, prevenzione e cure sanitarie (www.afnonlus.org).
I rituali Diwali lasciano intravvedere la grande sensibilità del popolo indiano anche nel valorizzare la famiglia, l’amicizia, l’armonia del vivere, ma anche il rispetto per l’ambiente. È significativo che per Diwali, non si ricorra ad anonimi oggetti comprati ma si donino cose fatte con le proprie mani. Come è significativo che, insieme alle preghiere, si offrano i frutti della terra, esprimendo così la propria riconoscenza per la Natura e i suoi doni. Un’usanza che trova eco nell’enciclica di papa Francesco Laudato si’. Ed è proprio da tale documento e dal nesso inscindibile tra il vivere in armonia con il creato e con gli altri, che trae spunto l’augurio inviato al quasi miliardo di seguaci delle religioni del Sanatana Dhama (quello che gli occidentali chiamano induismo) dal Pontificio Consiglio per il dialogo interreligioso a nome di papa Francesco. A cominciare dal suo titolo: Cristiani e Indù: promuoviamo insieme l’ecologia umana. Il messaggio per i festeggiamenti Diwali trasmette anche l’auspicio che, insieme, riusciamo ad adoperarci consapevolmente “alla cura della natura, alla difesa dei poveri, alla costruzione di una rete di rispetto e di fraternità”. “Possiamo noi – continua il messaggio – indù e cristiani, insieme con le persone di tutte le altre tradizioni religiose e di buona volontà, nutrire una cultura che promuova l’ecologia umana”. In tal modo vi sarà armonia dentro di noi e nelle nostre relazioni con gli altri, con la natura e con Dio, e questo, preannuncia il messaggio “favorirà la crescita dell’albero della pace”. Un albero, quello della pace, che nel mondo attende di essere sempre più irrobustito da gesti concreti di tolleranza, accoglienza, dialogo a tutto campo. (altro…)