26 Dic 2016 | Cultura, Focolari nel Mondo, Spiritualità
https://vimeo.com/195193687 In principio c’era una manciata di ragazze, una batteria verde e… La scintilla che ha acceso il Gen Verde è stata una consegna originale. Non tanto quella della mitica batteria verde, ma quella di… “fare molto chiasso”. Proprio così. Far sentire forte, offrire a tutti attraverso la musica e gli spettacoli l’Ideale dell’unità, che è l’anima di tutta la nostra vita. Quella scintilla è corsa per il mondo, ha acceso tanti e tanti altri. L’unità non si può cantare se non in coro. È quello che vorrebbero esprimere con questa nuova canzone e con le immagini che la traducono in volti, gesti, colori della vita. Vale anche oggi: ciascuno una scintilla. Alziamolo insieme, dovunque siamo, il volume dell’unità. Gen Verde – International Performing Arts Group Gen Rosso – International Performing Arts Group (altro…)
22 Dic 2016 | Focolare Worldwide, Focolari nel Mondo, Nuove Generazioni, Spiritualità
Sono i Gen4, i bambini dei Focolari, che ti spiegano con convinzione che il Natale non può essere soltanto una festa di colori, un insieme di personaggi creati da suadenti pubblicità, una corsa frenetica all’acquisto di regali: “Bisogna mettere nuovamente Gesù al centro del Natale”, “è la sua festa”, ti raccontano. Con pazienza e amore i Gen4, preparano i bambinelli di gesso che poi offriranno ai passanti. A New York una signora racconta:«Mentre visitavo la città con degli amici in mezzo alla folla, il vostro tavolino ha attirato la mia attenzione… Quelle parole, “Hanno sloggiato Gesù”, sono risuonate così bene dentro di me! Vorrei trasmettere il vostro messaggio ad altri. È stato il Natale più bello, mi ha riempito il cuore di calore». Maria Helena Benjamin e Pep Canoves, responsabili dei Gen4 di tutto il mondo, ci raccontano come questi piccoli, particolarmente sensibili all’amore evangelico, imparano a concretizzare nelle loro azioni quotidiane veri e propri gesti concreti di fraternità; scoprono che l’amore, quando è reciproco, porta la presenza di Gesù tra loro. Imparano a conoscerlo e creano con Lui un rapporto semplice e diretto. Riescono a coinvolgere i compagni di scuola, le famiglie, i parenti, i loro maestri con la loro disarmante semplicità, entrando direttamente nel cuore di ciascuno.
Pep Canoves ricorda come Chiara Lubich, aveva molto a cuore questi piccoli, riservando per loro un posto privilegiato, incontrandoli durante i vari congressi internazionali, inviando messaggi, rispondendo alle loro domande. E ad essi aveva rivolto l’invito di far sì che Gesù non venisse bandito dal Natale: «Fate nascere Gesù in mezzo a voi col vostro amore; così è sempre Natale! […] Possiamo offrire Gesù, Gesù in mezzo a noi a tutto il mondo, portare questo nostro amore, questa gioia nelle strade, nelle scuole, ai piccoli e ai grandi… dovunque!». Una bella iniziativa è quella del Calendario dell’Avvento: i Gen4 riempiono le giornate che precedono il Natale con tanti atti d’amore concreti, apparentemente semplici, ma che nel loro piccolo sono già rivoluzionari. I Gen4 sono coinvolti in tante iniziative, soprattutto per i più poveri. «Durante l’anno – continua Maria Helena Benjamin – riceviamo diverse notizie da tutto il mondo sulle loro attività a favore dei più indigenti. Hanno una innata capacità di accogliere gli altri bambini che magari vengono emarginati, come la storia di Sonia della Romania, di 5 anni, che fa amicizia con una bambina rom inserita da poco nella sua classe». «Abbiamo ricevuto notizie dal Madagascar e dall’Indonesia. Anche dalla Siria, in questi giorni così difficili e in piena guerra, ci giungono notizie – racconta Pep. Da Aleppo ci hanno persino inviato delle foto: in questa situazione di conflitto si vive con loro continuando a credere nella pace». Chiara Lubich, rispondendo a una domanda di un Gen4, aveva dato loro una consegna: «Sapete qual è la vera felicità? Provate: è quella che ha la persona che ama, che ama, che ama. Quando si ama si è felici e se si ama sempre si è felici sempre. Che cosa potete fare voi nel mondo? Dare la felicità, insegnare ad amare». E, davvero, loro ci insegnano con la loro purezza e semplicità come mettere in pratica l’amore evangelico, il segreto della felicità. Patrizia Mazzola (altro…)
25 Nov 2016 | Chiara Lubich, Focolare Worldwide, Focolari nel Mondo, Nuove Generazioni, Spiritualità
L’intervento di Azeez, giovane iracheno, è accolto con un lungo applauso. Gli occhi lucidi dei più di mille partecipanti al Congresso Gen sono fissi sul suo volto asciutto che racconta il dramma che lui e la sua famiglia hanno vissuto a Qaraqosh, una cittadina nella Piana di Ninive, all’arrivo dei miliziani del sedicente stato Islamico. «Prima di raccontarvi la mia storia – dice Azeez dal palco –, voglio farvi una domanda: avete mai pensato che un giorno voi potreste perdere tutto? La casa nativa con tutti i tuoi ricordi più belli, i tuoi amici, sogni, la tua gente? Questo è quello che è successo a me …». Il dolore dei momenti vissuti in fuga dalla sua città con la famiglia verso il Kurdistan iracheno, è ancora visibile nei suoi occhi: «Mi sono chiesto perché toccasse a me vivere questo calvario, ma proprio lì è iniziata l’esperienza, quella di ritrovarmi a vivere con Gesù, l’Abbandonato. Sembrava di ritrovarmi in un film d’azione, nel quale non ero più in grado di distinguere tra il reale e l’immaginario: folle di persone che avanzavano a piedi per cercare una via di fuga, lacrime, grida. Ero quasi impietrito dal dolore, ma mi sono detto che forse avrei potuto far tornare il sorriso a chi mi stava accanto. C’era con noi una comunità di religione Yazidi, persone che avevano più bisogno di aiuto perché l’Isis aveva compiuto delle vere e proprie torture nei loro confronti. Ho dimenticato le mie paure e angosce per stare con loro e sostenerli». Azeez, insieme ai genitori, è adesso rifugiato in Francia, una scelta difficile, con mille sfide da affrontare ma non si è mai sentito abbandonato dall’amore di Dio, che «con mano impercettibile continua ad asciugare le nostre lacrime alleggerendo le nostre sofferenze. Noi giovani abbiamo un potenziale enorme per cambiare il mondo, iniziando dalle piccole cose: o viviamo per cambiare qualcosa e migliorare questa terra o la nostra vita non ha senso».
Le parole di Chiara Lubich rivolte ai gen 2 nel 1967 risultano quanto mai attuali e profetiche: «Rumori e notizie di guerre rattristano l’orizzonte del mondo. Forse nel Medio o nell’Estremo Oriente qualche nostro amico gen (…) è stato od è ora in pericolo di morte. Il nostro stesso scopo – quello di aiutare la pace nel mondo – sembra dolorosamente compromesso. Che facciamo? Non scoraggiamoci (…) Le bombe cadono e distruggono case ed ammazzano persone: l’amore si diffonda con maggiore celerità per costruire una società nuova ed un mondo nuovo». «Sono passati 50 anni ma siamo ancora questa generazione che non si ferma – dice Gloria dell’Uganda – e che ancora vuole vivere l’ideale che Chiara ci ha dato». Damián dell’Argentina spiega: «Per noi è un momento di festa. Abbiamo percorso questi 50 anni del Movimento Gen attraverso i momenti più importanti, cercando di rivivere ogni parola che Chiara ci ha dato». Testimonianze dai vari continenti, riflessioni, dialoghi, canti, musica si sono alternati per celebrare questi anni di vita della seconda generazione dei Focolari, vissuti con grande intensità. Maria Voce, presidente del Movimento, in un video messaggio, ha invitato i giovani a seguire il disegno d’amore che Dio ha su ciascuno, seguendo l’esempio di Gesù che ha scelto la Croce, l’amore fino alla fine, per essere pronti e generosi nell’impegnarsi per un mondo di pace. Jesùs Morán, copresidente dei Focolari, in un dialogo ferrato e quanto mai aperto, li ha incoraggiati a vivere una vita spesa nell’amore per i fratelli, facendo la scelta degli ultimi, gli scartati della società, in un mondo sempre più frammentato e diviso. Più di mille giovani ripartono prendendo sul serio la consegna profetica di Chiara Lubich: «Sarà la seconda generazione che farà riecheggiare il grido di Gesù Abbandonato fino agli ultimi confini della terra … Ed in quel grido il mondo intero rispererà». Patrizia Mazzola (altro…)
13 Ott 2016 | Focolare Worldwide, Focolari nel Mondo, Spiritualità
Instabilità politica, precarietà economica, corruzione, estremismo religioso, riduzione dell’offerta educativa. Sono solo alcune delle cause che spingono la popolazione irachena ad una migrazione senza precedenti. Oggi rimanere in Iraq è una scelta davvero difficile. Specie se sei cristiano. Eppure l’Iraq dispone di notevoli risorse naturali e il suo popolo è ricco di umanità e di grande capacità di inclusione. Basti pensare alla pluralità delle culture, di lingue, religioni, alle varie etnie che per secoli hanno saputo convivere in pace. Habitat del patrimonio cristiano fin dalle sue origini, da duemila anni l’Iraq è stata la casa naturale di comunità cristiane molto vive. Con l’imperversare delle guerre sono però diventate, oggi, oggetto di discriminazione e persecuzioni. L’evento più atroce è stato due anni fa, quando estremisti ISIS hanno preso Mossul e tutta la pianura attorno: in poche ore migliaia di cristiani hanno dovuto abbandonare le loro case e, con i soli vestiti addosso, fra mille disagi e pericoli, sono dovuti sfollare e poi emigrare verso la Giordania o il Libano dove hanno trovato asilo in improvvisati campi profughi. Secondo alcune statistiche i cristiani in Iraq erano un milione e mezzo (2003), oggi non raggiungono i 300.000. Anche la comunità dei Focolari ha subito gli effetti devastanti di questa barbarie. Ma sia quelli che hanno lasciato il Paese, sia chi è rimasto – concentrati nelle città di Erbil, Baghdad e Bassura, e a Dohuk – cercano di trasmettere pace ovunque, costruendo ponti di solidarietà. Tuttavia, mentre ai convegni estivi di più giorni tipici dei Focolari, le Mariapoli, in passato c’erano oltre 400 persone, a quello tenutosi dal 9 all’11 settembre di quest’anno erano appena in 40. Ma il calo numerico non ha influenzato il profilo qualitativo, decisamente cresciuto in intensità e profondità, anche perché il tema centrale metteva l’accento sui rapporti interpersonali da vivere all’insegna della misericordia. Ospiti di un convento a Sulaymaniya, vicino al confine con l’Iran, i partecipanti hanno vissuto tre giorni di vere e proprie esercitazioni nell’amore reciproco. Racconta Rula, focolarina giordana del focolare di Erbil: «Abbiamo pregato, giocato, passeggiato in un’atmosfera di famiglia, sperimentando la vera comunione. Nel momento dedicato alla famiglia è scattata una tale condivisione che ha permesso di parlare del rapporto di coppia, della sfida dell’immigrazione, della conciliazione lavoro-famiglia, dell’educazione dei figli… Mentre i giovani, attraverso coreografie, hanno mostrato come diventare ponti l’uno verso l’altro». La Mariapoli ha avuto anche la presenza del vescovo di Baghdad mons. Salomone, che ha infiammato tutti con le sue parole: «Gesù ci chiede di essere lievito per questo mondo. Sono contento che abbiate scelto questa città per incontrarvi perché, anche se siete pochi, sicuramente lascerete qui la tipica impronta di chi è seriamente impegnato a vivere il Vangelo». Il focolare cerca di sostenere quanti sono rimasti, come anche chi si decide per la partenza, proprio perché sa che non è facile, specie per i giovani, vivere senza poter progettare il proprio futuro. «Vediamo che nonostante siano all’estero – continua Rula – vogliono ancora rimanere in contatto. Un giovane, da un campo rifugiati ci ha scritto che la spiritualità dell’unità è l’unica luce che lo sostiene e che il cercare di amare gli altri dà un senso alla snervante attesa che sta vivendo». Fra le tante esperienze condivise in Mariapoli, emblematica quella di un chirurgo di un ospedale pubblico. Poiché i medici non ricevono regolarmente gli stipendi, essi cercavano di programmare gli interventi nel pomeriggio, quando cioè sono a pagamento. Ma lui ha deciso di aiutare il maggior numero di persone possibile e fissa tutti i suoi appuntamenti al mattino. All’inizio i colleghi lo criticavano, ma poi piano piano hanno deciso anche loro di fare come lui. (altro…)
8 Ott 2016 | Focolare Worldwide, Focolari nel Mondo, Spiritualità

Foto: Riconciliazione di Josefina de Vasconcellos (Coventry Cathedral)
La Parola di vita di questo mese ci invita a non rispondere all’offesa con l’offesa ma – come suggerisce Chiara Lubich – «con un atto di volontà e di lucidità, quindi di libertà, accogliere il fratello così com’è, nonostante il male che ci ha fatto, come Dio accoglie noi peccatori, nonostante i nostri difetti». Alcune brevi testimonianze: Quel muro è crollato «Ho passato un’infanzia ed una giovinezza molto triste, al punto da non conservare neanche un ricordo positivo. Anche da sposata i rapporti con la mia famiglia d’origine mi lasciavano sempre una profonda amarezza, solo critiche e disprezzo. Non è stato facile dimenticare, ma intanto ho cercato di fare mio il motto evangelico: dare senza attendere la ricompensa. Un giorno i miei genitori sono venuti a passare le vacanze da noi. Ho deciso di andare incontro ai loro gusti, senza aspettarmi nulla. Ho baciato mia madre, cosa che non avveniva più dalla mia infanzia. Lei mi ha abbracciata e le sono venute le lacrime. Ho sentito crollare il muro che ci divideva. E papà il giorno del suo compleanno ha voluto che mettessi la musica da lui preferita e che danzassi con lui. Una grande conquista quest’armonia con i miei!» (Margherita – Svizzera) Un litigio finito in dolcezza «Da mia sorella avevo saputo che i nostri genitori avevano litigato. Da tre giorni non si parlavano e papà rifiutava di mangiare il cibo che la mamma preparava. Arrivata a casa, subito ho avvertito un’atmosfera pesante. Senza fare domande, mi sono messa a servire concretamente sbrigando alcuni lavori; alla prima occasione in cui mi sono trovata da sola con mio padre, ho cercato di sapere da lui cos’era successo. Si è confidato con me e così anch’io ho potuto dirgli il mio impegno nel cercare di vivere le parole di Gesù. Quando ho accennato al perdono, di cui Lui ci ha dato l’esempio, si è fatto più attento. Alla fine ci siamo messi d’accordo che quando sarebbe tornata la mamma l’avrebbe accolta bene. Dalla finestra della cucina ho assistito alla scena di lei che rientrava e di mio padre che le chiedeva con dolcezza com’era andato il lavoro». (P. F. – Camerun) Un semplice “ciao” «Da un po’ di tempo c’erano incomprensioni tra me e una sorella al punto che ci eravamo tolti il saluto. Un giorno ho deciso di fare io il primo passo per riconciliarci. Ma era tutt’altro che facile: in fondo ero il fratello maggiore, avevo la mia dignità… Dopo una notte agitata, alla mattina in cucina le ho detto “ciao”, ma così sottovoce che lei non ha sentito. Prendendo coraggio ho ripetuto con più forza il “ciao”. Lei è rimasta sorpresa e subito abbiamo fatto pace. Per la gioia e il senso di liberazione mi son messo poi a canticchiare». (Dolfi – Italia) (altro…)