
Collegamento CH – Sabato 18 novembre
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https://vimeo.com/233846549 1. Apertura e saluti; 2. A colloquio con Maria Voce (Emmaus) e Jesús Morán; 3. Breaking Rays; 4. India: The Rainbow Kids; 5. Diventare cittadini del mondo; 6. Telefonata con Marilia del Brasile (giovani in Corea per la pace); 7. Filippine: il sogno di Serafin; 8. Turchia: la Mariapoli incontra il Patriarca Bartolomeo; 9. Nigeria: Mariapoli di Lagos e Abuja; 10. Italia: In famiglia nell’era digitale; 11. Roberto Cipollone – Ciro, artigiano ed artista; 12. Chiara Lubich: Riaccendiamo l’amore; 13. Conclusione. (2366M) Copyright 2017 © CSC Audiovisivi – All rights reserved (altro…)
Il tema “Vangelo e culture” è assai complesso e delicato. Se ne parla da secoli, in ambito teologico, sociologico, pastorale, politico, educativo. Vi sono documenti, come l’Evangelii nuntiandi di Paolo VI (8 dicembre 1975) e l’Evangelii gaudium di papa Francesco (24 novembre 2013), che sono riferimenti imprescindibili. Se a questo binomio si aggiunge poi la parola “carismi”, espressione che oggi si attribuisce anche a figure e realtà non ecclesiali, allora qualsiasi ricerca di accordo diventa una sfida, specialmente se si mettono insieme esperti provenienti da culture diverse. Eppure proprio questa è stata la caratteristica del convegno-confronto “Vangelo – carismi – culture” che si è svolto il 6-7 aprile presso il Centro dei Focolari a Rocca di Papa (Roma). Nel saluto iniziale, Maria Voce ha indicato l’obiettivo di fondo: favorire «una cultura di pace, una cultura della risurrezione» che incida su scala sempre più vasta. Esperti da Asia, Africa, Americhe, Europa (presenti o in collegamento internet) si sono confrontati in tre sessioni tematiche. Carismi ed evangelizzazione della cultura. La prima sessione è partita da due domande – «Come rispondere all’urgenza che il Vangelo si faccia cultura?» (Mons. Zani) e «Come accelerare la comunione tra i carismi di fronte alle sfide del presente?» (Sr Motta) –, e da una provocazione: «Oggi tanti “carismi” nascono in ambito non religioso, mentre nella Chiesa spesso non c’è abbastanza profezia» (Bruni). Nel dialogo successivo gli esperti, presenti e in collegamento, hanno sottolineato, tra l’altro, che «ogni confronto con l’altro è incontro con una storia, familiare sociale e culturale» (Gaudiano); che «i media hanno un loro carisma per il mondo unito, se mantengono la propria autonomia» (Zanzucchi); che «l’evangelizzazione della cultura non passa per l’autorità, ma per la testimonianza» (Mons. Zani). Fino alla sollecitazione: «Ci vuole un nuovo potenziale narrativo; i giovani di oggi non capiscono più il linguaggio del ‘900» (Bruni). Dall’inculturazione all’interculturalità. La seconda sessione è iniziata con la relazione di Jesús Morán: «Le elaborazioni culturali europee non esauriscono quello che c’è da dire su Cristo. Nell’incontro con le altre culture si esprime qualcosa che non era ancora espresso». La meta, ha ricordato il filippino Andrew Recepcion, «non è un cristianesimo non occidentale, ma oltre-occidentale». Maria Magnolfi ha rilevato nel vissuto dell’Africa valori «da prendere in considerazione anche a livello accademico, per uscire da certi empasse». Soni Vargas, dalla Bolivia, ha con passione domandato di passare dal paradigma della “inculturazione”, che non esprime la “reciprocità attiva” chiesta da Chiara Lubich, a quello della “interculturalità”: «Non più “missione” ma inter-dono, in una dinamica trinitaria in cui non c’è superiorità di una cultura sull’altra». Nel dibattito, Vania Cheng, cinese, ha detto: «L’Asia chiede l’ascolto, il rispetto e il silenzio, perché la parte interiore rivela più della parola». Raphael Takougang, camerunense, ha ricordato che «nell’interculturalità il sapere non si comunica, si fa passare facendo esperienza insieme». Roberto Catalano ha sottolineato quanto Chiara avesse visto lontano quando ha invitato a «far nascere Cristo dal cuore delle culture». Ha confermato Lucas Cerviño in collegamento dal Messico: «Devo creare le condizioni perché il seme di Dio che è già dentro una cultura possa fiorire, ma senza imporre il modo». Morán ha concluso: «È giusto che non ci sia controllo o superiorità di una cultura sull’altra, ma questo non vuol dire che non ci sia un centro: Cristo è il cuore del mondo». Giovani – fede – discernimento vocazionale. La terza sessione, centrata sul tema del prossimo Sinodo dei vescovi, è stata aperta dalla relazione di Italo Fiorin: «Educare significa aiutare l’altro a trovare il senso della propria vita. Educare è l’arte di accompagnare». Sr. Jenny Favarin ha testimoniato come «la scoperta della vocazione all’amore faccia sbocciare fiori bellissimi». Maria Rosa Logozzo ha raccontato del contatto di gruppi di giovani di varie culture (credenti e non) con il focolare a Dublino: «Li attira la possibilità di fare una esperienza di Dio nella comunità». Dopo un ricco dibattito, Fiorin ha concluso sottolineando l’importanza della “pedagogia della realtà”, in particolare del service learning: «apprendere serve, servire insegna». Nel pomeriggio conclusivo è intervenuto il teologo Piero Coda sulla domanda: cosa significa che la Chiesa è nata dall’abbandono di Gesù in croce? «Una vita nell’esodo: la capacità di staccarsi dalle proprie radici per vivere l’altro. Testimoniare la follia dell’amore di Dio». Il dialogo di questi due giorni, ha infine ricordato Francisco Canzani, si trasformerà in articoli per le riviste Gen’s, Unità e Carismi, Nuova Umanità, Città Nuova, oltre ad aiutare a riflettere sull’attualità ecclesiale e culturale. Fonte: Città Nuova online (altro…)
https://www.youtube.com/watch?v=8Asjy1-9mxI Dopo Noi veniamo a te (1972), Dove tu sei (1982), Se siamo uniti (1987), e insieme al Gen Verde Come fuoco vivo (1998) e Messa della Concordia (2004), nell’anno della misericordia arriva un nuovo lavoro del Gen Rosso: Voce del mio canto, una raccolta di brani nati da una ricerca interiore sia musicale che spirituale. Entriamo nell’album con un’intervista a Lito Amuchastegui, argentino, per 20 anni nel Gen Rosso. È il compositore della maggior parte dei canti dai quali è partita l’idea per arrivare a comporre una Messa completa, che ha visto in seguito la collaborazione di Beni Enderle per alcune musiche e Valerio Lode Ciprì per alcuni testi, mentre al mixaggio finale ha lavorato Emanuele Chirco. Appassionato di musica – ha cominciato a cantare in pubblico all’età di 5 anni – Lito nel Gen Rosso ha lavorato come fonico. Voce del mio canto è l’eredità che lascia al gruppo, prima di partire per Córdoba (Argentina), sua terra natale. «Scrivere una Messa non è uno scherzo», dichiara. «Ci vuole consapevolezza: stai parlando di chi è Dio per te. Di fronte a ogni brano ho dovuto mettermi di fronte a Lui e, come in un colloquio, chiedergli: sei veramente Tu la Voce del mio canto? Sei Tu l’unico mio bene? Quando ci sono le croci sei Tu il mio Cireneo? Ne Il Cielo è con noi, un brano che mi piace molto, sono partito da una meditazione di Chiara Lubich, in cui dice che il Cielo si è rovesciato su di noi, il Cielo infinito: “e tu sei nato fra noi e hai portato il profumo del cielo, tu sei morto per noi, sei puro amore, sei amore divino”; si tratta quindi di una domanda su Dio, non a livello teologico o storico, ma su chi è Dio per me. Per questo dico che è stata una ricerca spirituale». Voce del mio canto è, quindi, soprattutto un’esperienza: preghiera, gioia di sentirsi amati da Dio. Ma com’è nata l’idea di una Messa cantata? «Lo spunto è partito dalla voglia di fare musica; mi sono portato la chitarra in vacanza e ho scritto di getto Quelli che amano te. Poi, l’ho musicata e condivisa con chi era con me ed è piaciuta. Da lì sono andato avanti e sono venuti fuori 11 brani, più due che avevamo già. Perché una Messa? Si vede che Dio mi parlava così: “Voglio aiutarti a che tu mi dia più gloria”. È partito da lì». Quali storie ci sono dietro ogni canzone? Lito Amuchastegui rivela di aver messo dentro i brani un po’ delle sue radici: «In una canzone si parla di Pane della Madre Terra. La Madre Terra per noi americani del sud è molto sentita, viene dalle tradizioni indigene. Inoltre, sono stato in Uruguay, dove ho conosciuto il “candombe” che ha dei tratti afro americani ed ho voluto lasciare l’impronta dell’esperienza fatta con i musicisti uruguayani nel Santo: un popolo che canta e loda Dio, un popolo di strada, con tamburi, come il Re Davide che cantava e danzava davanti all’Arca dell’Alleanza. Oppure, Niña de Nazareth, una canzone che avevo scritto prima ancora di arrivare nel Gen Rosso e non ero mai riuscito a mettere in musica. Lavorandoci con Beni Henderle, in due ore è venuta fuori. Per altre, invece, è stato più faticoso: del Kirie Eleison, ad esempio, ho fatto 7 versioni. Volevo comunicare l’esperienza che Dio ci ama; anche la misericordia nasce dal suo essere Amore. Il resto è relativo, ma questo per me è come un chiodo fisso». Cosa consiglieresti a chi vuole suonare queste canzoni? «Consiglierei che non sono canzoni da cantare, ma canzoni da vivere. Augurerei alle persone che vogliono riprodurle in un gruppo, una parrocchia, un coro, di poter fare questa esperienza con Dio. Di “entrare” nei brani. Mettersi dentro con l’anima, perché possa emergere l’interpretazione giusta». Elenco brani:
Testi e spartiti musicali completi sono inclusi nel CD Dove acquistare il CD Voce del mio canto (altro…)
12 febbraio 2016. L’aeroporto di L’Avana (Cuba) è il luogo che ospita il primo incontro nella storia tra il Vescovo di Roma e il Patriarca di Mosca. Un incontro fraterno, “tra vescovi”, che ha dato «l’opportunità di ascoltare e capire le posizioni l’uno dell’altro», come ha detto il patriarca Kirill al termine dell’incontro. Tra le comuni preoccupazioni, l’anelito per la pace e la difesa dei cristiani perseguitati nel mondo. «Ho sentito la consolazione dello Spirito Santo in questo dialogo», afferma papa Francesco, con la prospettiva di «una serie di iniziative» da realizzare insieme. «Non siamo concorrenti ma fratelli, e da questo concetto devono essere guidate tutte le nostre azioni reciproche verso il mondo esterno», si legge al centro della Dichiarazione congiunta firmata dal papa e dal patriarca. In essa si invoca la necessità di un lavoro comune tra cattolici e ortodossi, e si auspica il superamento delle divergenze storiche ereditate, rispondendo insieme alle sfide del mondo contemporaneo. Si tratta dei cristiani vittime di persecuzione, della violenza in Siria, in Iraq e altri Paesi del Medio Oriente, della lotta contro il terrorismo, del dialogo interreligioso, del processo di integrazione europea nel rispetto delle identità religiose. Ma si toccano anche i temi sociali ed etici, con preoccupazione “pastorale”, come ha sottolineato papa Francesco ai giornalisti nel volo tra Cuba e il Messico: povertà, crisi della famiglia, diritto alla vita (aborto, eutanasia e procreazione assistita), i giovani, la pace in Ucraina. «Dalla nostra capacità di dare insieme testimonianza dello Spirito di verità in questi tempi difficili – si legge ancora nella dichiarazione – dipende in gran parte il futuro dell’umanità».
«Anche qui a Mosca si sente che è stato un incontro storico – scrive Anna Gloria, italiana nel focolare di Mosca – I mezzi di comunicazione ne parlano tanto. La sera prima dell’incontro, nella cattedrale cattolica dell’Immacolata Concezione il vescovo Paolo Pezzi ci ha invitati tutti a pregare per l’unità. È stato molto bello. Eravamo cattolici e ortodossi di vari movimenti e comunità. Si avverte che è stato fatto un passo importante nell’unità». La Chiesa ortodossa russa – nonostante le recenti tensioni tra Mosca e Roma – ha una lunga storia di ricerca della riconciliazione tra le chiese cristiane divise. Lo ha detto padre Hyacinthe Destivelle – incaricato delle relazioni con le Chiese ortodosse slave presso il Pontificio Consiglio per l’Unità dei Cristiani, e presente a Cuba per l’incontro – in un’intervista a Radio Vaticana. Padre Destivelle spiega inoltre che «la Chiesa Ortodossa Russa è la quinta nell’ordine tradizionale di autorità tra le 14 Chiese Ortodosse autocefale. Al primo posto, con un primato d’onore, c’è il Patriarcato Ecumenico di Costantinopoli, che ha un rapporto speciale con la Santa Sede». «Il significato dell’incontro tra papa Francesco e il patriarca Kirill può anche essere visto alla luce della storia delle relazioni con la Chiesa Ortodossa russa», dove essa «può fare da ponte tra Est e Ovest». Padre Destivelle ha inoltre citato altri esempi di come la Chiesa Ortodossa Russa sia stata attivamente pioniera nelle relazioni ecumeniche, ad esempio è stata la prima Chiesa a inviare osservatori durante il Concilio Vaticano Secondo. Tra gli argomenti trattati privatamente nelle due ore di colloquio tra Francesco e Kirill c’è anche il Sinodo Panortodosso: previsto per giugno 2016 (per la prima volta dopo il 787), a Creta, riunirà tutte le chiese ortodosse. «Per l’Ortodossia il Sinodo – aveva spiegato di recente il prof. Dimitrios Keramidas nel contesto di una scuola ecumenica dei Focolari – non è un evento che si inserisce dall’esterno nella vita ecclesiale, ma piuttosto la manifestazione ufficiale dell’essere comunionale della Chiesa, del continuo e ininterrotto cammino del popolo di Dio». Un cammino verso l’unità. Maria Chiara De Lorenzo Leggi anche: A Cuba Francesco incontra Kirill Verso il Sinodo Panortodosso A Creta il Sinodo Panortodosso (altro…)