20 Feb 2019 | Vite vissute
Era un uomo di grande equilibrio e di buon senso. Essendo quasi cieco, Klaus Purkott  realizzava la sua donazione a Dio offrendo a tanti il suo ascolto.  Era quasi cieco ed era un uomo di poche parole, ma era dotato di una grande capacità di ascolto, di un ascolto profondo. Era così che Klaus Purkott creava rapporti, aiutava ed accompagnava le persone, insomma, viveva la sua donazione a Dio da focolarino.  Lo faceva in modo particolare attraverso il lavoro che per oltre 20 anni ha svolto a Berlino come giurista in un ufficio statale presso la Corte Civile. Accoglieva persone, soprattutto povere, che non potevano permettersi un’assistenza legale ed era stimato ed amato dai clienti e dai colleghi, perché riusciva a risolvere anche casi difficili in modi inaspettati e non convenzionali. Aveva infatti un’attenzione speciale per chi si trovava in situazioni apparentemente senza via d’uscita.  Questo amore preferenziale per chi si trovava nei guai, Klaus lo aveva ereditato dal suo passato comunista. Era nato il 31 dicembre 1936 nell’alta Slesia, terra a maggioranza tedesca, che, dopo la guerra, fu assegnata alla Polonia. Nonostante la sua cecità congenita (aveva una capacità visiva del 5 percento circa) è riuscito a superare la maturità e ha proseguito gli studi all’università, seguendo i corsi di filosofia marxista. Come suo padre, cestaio di professione e uno dei fondatori del Partito Comunista polacco, anche Klaus sperava di trovare nel Comunismo la vera vita. “Ma Dio – come ha raccontato una volta – attraverso la mia cecità, mi ha fatto presto capire l’inutilità di tutti questi miei sforzi e mi ha preparato all’incontro con Lui”.  Pur nel buio della sua vita, Klaus ha trovato una luce nell’incontro con la figura di Gesù sulla croce, che, proprio nel massimo dell’oscurità, si affida al Padre. Questa scoperta, avvenuta attraverso l’incontro con la spiritualità dei Focolari, gli cambia la vita e lo porta ad un’altra scelta radicale: quella di vivere da focolarino consacrato con una vita spesa per gli altri.  Oltre all’ambito lavorativo vive questa scelta anche in altri campi: nell’accompagnare le persone che facilmente si affidavano a lui, nell’offrire la sua profonda e sapienziale conoscenza della Bibbia attraverso temi e articoli, oppure nel raccontare semplici esperienze dalla sua vita. Era stimato per la sua vasta cultura, il suo linguaggio estremamente semplice, ma anche per un suo tipico umorismo con il quale riusciva facilmente a scogliere le tensioni.  Nel 1999, ormai in pensione, Klaus è chiamato a Ottmaring nella Cittadella ecumenica dei Focolari in Germania. Anche lì godeva di un’autorità morale. “Era un fratello maggiore, – così lo definiscono i focolarini – costruiva rapporti spesso in modo discreto”. Altre sue caratteristiche erano l’equilibrio, il buon senso, la sincerità e un profondo rapporto con Dio.  Nel 2008 Klaus torna a Berlino. Un po’ più di due anni fa rimane ferito in un grave incidente, tanto che si rende necessario il suo trasferimento in una casa di riposo. Anche lì continua la sua testimonianza di una vita vissuta secondo la Parola di Dio. Presto si forma intorno a lui un gruppo della “Parola di Vita”[1] e viene in luce il suo vivere bene il momento presente; uno stile di vita che gli ha aperto la strada per arrivare degnamente all’incontro col Padre il 18 gennaio 2019, inaspettatamente e senza clamore, durante il solito pisolino dopo pranzo. 
Joachim Schwind
    [1] Si tratta di gruppi di persone che si incontrano periodicamente per leggere e condividere il commento mensile ad una frase del Vangelo. Inizialmente il commento era di Chiara Lubich, oggi si sono aggiunti contributi diversi.     (altro…)
				
					
			
					
				
															
					
					16 Gen 2018 | Famiglie, Focolari nel Mondo
«Diverse circostanze ci indicavano che ormai non potevamo più restare nel nostro Paese, il Venezuela. Armando era stato licenziato e una lettera arrivata dal Perù ci apriva degli spiragli. Sembrava che Dio ci chiamasse lì». Con queste parole comincia il racconto di Ofelia e Armando, costretti a lasciare in patria i figli Daniel e Felix, per trovare casa, lavoro e un futuro per tutti in un altro Paese. «Senza un soldo abbiamo cominciato a prepararci. Ci è anche arrivata una somma per affrontare le spese del viaggio. Lasciare il proprio Paese è traumatico. Nostra figlia l’aveva già fatto ad ottobre, ma al confine le avevano tolto il computer e i soldi. Con queste premesse siamo partiti verso il confine».  Armando e Ofelia lasciano tutto, ma portano con sé una foto di Domenico Mangano: persona di grande fede, impegnato con la comunità dei Focolari, nel centro Italia, e politico combattivo, morto nel 2001 e di cui, recentemente è stata aperta la causa di beatificazione. «Abbiamo chiesto a lui di occuparsi del nostro viaggio».  «Attraversare il confine, incredibilmente, non ha comportato particolari difficoltà. Siamo passati quasi come fossimo invisibili, e una giovane donna, come un angelo, ci ha indicato cosa dovevamo fare. Dopo un solo controllo dei nostri bagagli siamo passati, senza la calca di persone che si erano affollate al confine nei giorni precedenti. Quasi non ci potevamo credere. Abbiamo pensato che era per l’aiuto di Domenico, e ci siamo affidati nuovamente a lui. Per un contrattempo siamo arrivati a Quito e abbiamo trascorso la notte nel Focolare femminile. Alcune persone della comunità del posto ci hanno portato a cena e il giorno a fare una passeggiata. Dopo sette giorni di viaggio siamo riusciti finalmente ad arrivare a Lima».  A Lima, Ofelia e Armando ricevono ospitalità a casa di Elba e Mario, oltre a indumenti, una borsa di cibo, dei soldi. «Abbiamo visitato entrambi i focolari, siamo andati al Centro Fiore per aiutare a preparare il pranzo di Natale che i membri della comunità di Lima offrono alle ragazze salvate dalla schiavitù bianca, che sono ospitate dalle suore. Erano felici. Abbiamo ritrovato anche Silvano e Nilde, che prima di noi avevano lasciato il Venezuela. Siamo stati accolti da tutti con molto amore, ci sentiamo come una vera famiglia».  «Il giorno di Natale  una famiglia ci ha invitato a casa loro, e dopo il pranzo abbiamo fatto una passeggiata. Ora chiediamo a Dio di aiutarci a trovare una casa e un lavoro. Abbiamo vissuto molte cose e sappiamo che Domenico e Chiara Lubich continuano ad aiutarci da lassù.  Una notte, mentre dormivamo – continua Ofelia – una ragazza a piedi nudi e con una bambina piccola in braccio ha bussato alla nostra porta. Non è casa nostra, ma abbiamo deciso ugualmente di aprirle, perché era Gesù stesso in lei che sembrava interpellarci. Era la vicina del piano di sopra, suo marito era ubriaco e la maltrattava. Ci disse che prima d’ora non aveva mai osato bussare ad un’altra porta del condominio, ma ci aveva notati qualche giorno prima, mentre scendevamo le scale, e in cuor suo aveva pensato che si poteva fidare di noi. Ora era lì, davanti a noi. Armando è andato a parlare con il marito, mentre io cercavo di consolare la giovane donna.  Dopo qualche giorno lei è potuta rientrare nel suo appartamento e ora Armando e quell’uomo sono in continuo contatto. Siamo felici di aver amato Gesù in quella famiglia. Quanto a noi, Dio ci guiderà per capire cosa vuole da noi». Ma con una rinnovata speranza: «Siamo certi che il taglio con la nostra famiglia, il nostro Paese e gli amici porterà i suoi frutti».  Gustavo Clariá (altro…)
				
					
			
					
											
								 
							
					
															
					
					12 Ott 2016 | Cultura, Focolari nel Mondo
 Lionello nasce il 10 ottobre 1925, a Parma, in una famiglia benestante da cui riceve un’educazione basata sull’onestà e autenticità. Frequenta il liceo negli anni segnati dalla seconda guerra mondiale, nei quali avverte una particolare “attenzione” verso i problemi sociali e civili. Nel ‘43 s’iscrive alla facoltà di Giurisprudenza e si laurea nel ‘47 a pieni voti e con la lode, dopo un periodo d’interruzione che trascorre in prigione per aver aiutato il movimento partigiano.  Dopo la guerra si occupa con impegno delle attività formative e culturali della FUCI (Universitari Cattolici Italiani) e delle attività politiche della Democrazia Cristiana, non trascurando l’assistenza ai poveri nella Conferenza di S. Vincenzo. Ma teme l’imborghesimento.  Aderisce quindi ad una iniziativa che riunisce giovani desiderosi di un approfondimento spirituale alla luce del Vangelo. Lì viene a conoscenza della spiritualità dell’unità di Chiara Lubich e, nel gennaio del ’50, incontra Ginetta Calliari, una delle prime focolarine. «Ella ci parlò assai semplicemente ma con grande convinzione. (…) Il cristianesimo che mi veniva esposto era così fresco ed affascinante che quasi mi pareva di ascoltare per la prima volta cosa fosse il cristianesimo stesso », ricorda.  Insieme a questa crescita spirituale ne segue anche quella professionale: diventa il più giovane pretore d’Italia. Nel ’53 partecipa alla Mariapoli estiva, dove si approfondisce la spiritualità dell’unità. Incontra Chiara Lubich, Pasquale Foresi e Igino Giordani. Sono giorni che segneranno per sempre la sua vita. Li ricorda così: «Quella convivenza, pur essendo di piccole dimensioni, aveva una sua completezza: c’erano vergini e coniugati, sacerdoti e operai. Poteva essere modello della più grande società, avendo in sé una legge di valore universale. Vidi in quel “corpo” di persone unite in Cristo, pur nella povertà dei mezzi materiali, pur composto da persone non prive di difetti e di ingenuità, un organismo in cui il Signore aveva deposto una luce, una legge, una ricchezza destinate a dilagare in tutto il mondo (…)». In quel convegno decide di seguire Dio nel focolare.  Nel ‘61 fa un passo che suscita scalpore: lascia la professione (nel frattempo era stato nominato Sostituto Procuratore della Magistratura a Parma) per dedicarsi completamente al Movimento. Il settimanale Gente pubblica un articolo su questo Magistrato che «aveva lasciato la toga per la Bibbia». Nel ‘62 riceve il «Premio della bontà» dalla Regione Emilia.
Lionello nasce il 10 ottobre 1925, a Parma, in una famiglia benestante da cui riceve un’educazione basata sull’onestà e autenticità. Frequenta il liceo negli anni segnati dalla seconda guerra mondiale, nei quali avverte una particolare “attenzione” verso i problemi sociali e civili. Nel ‘43 s’iscrive alla facoltà di Giurisprudenza e si laurea nel ‘47 a pieni voti e con la lode, dopo un periodo d’interruzione che trascorre in prigione per aver aiutato il movimento partigiano.  Dopo la guerra si occupa con impegno delle attività formative e culturali della FUCI (Universitari Cattolici Italiani) e delle attività politiche della Democrazia Cristiana, non trascurando l’assistenza ai poveri nella Conferenza di S. Vincenzo. Ma teme l’imborghesimento.  Aderisce quindi ad una iniziativa che riunisce giovani desiderosi di un approfondimento spirituale alla luce del Vangelo. Lì viene a conoscenza della spiritualità dell’unità di Chiara Lubich e, nel gennaio del ’50, incontra Ginetta Calliari, una delle prime focolarine. «Ella ci parlò assai semplicemente ma con grande convinzione. (…) Il cristianesimo che mi veniva esposto era così fresco ed affascinante che quasi mi pareva di ascoltare per la prima volta cosa fosse il cristianesimo stesso », ricorda.  Insieme a questa crescita spirituale ne segue anche quella professionale: diventa il più giovane pretore d’Italia. Nel ’53 partecipa alla Mariapoli estiva, dove si approfondisce la spiritualità dell’unità. Incontra Chiara Lubich, Pasquale Foresi e Igino Giordani. Sono giorni che segneranno per sempre la sua vita. Li ricorda così: «Quella convivenza, pur essendo di piccole dimensioni, aveva una sua completezza: c’erano vergini e coniugati, sacerdoti e operai. Poteva essere modello della più grande società, avendo in sé una legge di valore universale. Vidi in quel “corpo” di persone unite in Cristo, pur nella povertà dei mezzi materiali, pur composto da persone non prive di difetti e di ingenuità, un organismo in cui il Signore aveva deposto una luce, una legge, una ricchezza destinate a dilagare in tutto il mondo (…)». In quel convegno decide di seguire Dio nel focolare.  Nel ‘61 fa un passo che suscita scalpore: lascia la professione (nel frattempo era stato nominato Sostituto Procuratore della Magistratura a Parma) per dedicarsi completamente al Movimento. Il settimanale Gente pubblica un articolo su questo Magistrato che «aveva lasciato la toga per la Bibbia». Nel ‘62 riceve il «Premio della bontà» dalla Regione Emilia.  

Loppiano: Lionello Bonfanti e Renata Borlone
 
							
					
															
					
					30 Giu 2015 | Centro internazionale

Foto CSC Media

Foto CSC Media

Foto CSC Media
![Maria Orsola: “W la Vita”]() 
							
					
															
					
					18 Mar 2015 | Focolari nel Mondo, Nuove Generazioni
 La corsa verso il Cielo di una ragazza del ’68, di cui è in corso la causa di beatificazione, che ha trovato il segreto della felicità.  Sedici anni. Di corsa. A perdifiato. Destinazione Paradiso. Maria Orsola Bussone è una ragazza piemontese del ’68 che ama la musica beat, si interessa alle prime manifestazioni studentesche, suona la chitarra e prende lezioni di canto. Un’adolescente come le altre, si direbbe, innamorata della natura, dello sport e della musica. Prende qualche cotta, annota i suoi pensieri sul diario personale, ha tanti amici e scrive lettere a quelli più cari. È la figlia semplice di un piccolo mondo antico che sembra prossimo a essere travolto dai venti della modernità. Ma la sua vita, apparentemente senza sussulti,  nasconde invece un’anima straordinaria. Una fede genuina e cristallina.  Insieme con altre amiche, sospinta da una spiritualità che le dà una marcia in più, inserita in una parrocchia che mette a frutto gli indirizzi del Concilio Vaticano II, “Mariolina” innesta la quarta e in poco tempo brucia rapidamente tutte le tappe.  Su invito del parroco don Vincenzo Chiarle, nel 1968 partecipa ad uno dei primi congressi gen, la generazione nuova del Movimento dei Focolari. Lì Chiara Lubich presenta a quei giovani del ’68 un altro modello di rivoluzionario: quello di un uomo giusto che si è immolato per la libertà degli altri. Anche lui aveva un programma: “Che tutti siano uno”. Maria Orsola rimane affascinata, e questa scelta illumina tutta la sua vita. A sedici anni la sua corsa raggiunge il Cielo. Ma dietro di sé lascia una scia di luce. Un giorno aveva rivelato che avrebbe dato la sua vita pur di far scoprire ai giovani la bellezza di Dio. “E Dio la prese in parola”, disse a Torino, nel 1988, a migliaia di suoi coetanei papa Giovanni Paolo II, additandola quale  esempio luminoso: “è una ragazza che ha accettato di fare della propria vita un dono, non un possesso egoistico”. “W la vita” era il suo motto.
La corsa verso il Cielo di una ragazza del ’68, di cui è in corso la causa di beatificazione, che ha trovato il segreto della felicità.  Sedici anni. Di corsa. A perdifiato. Destinazione Paradiso. Maria Orsola Bussone è una ragazza piemontese del ’68 che ama la musica beat, si interessa alle prime manifestazioni studentesche, suona la chitarra e prende lezioni di canto. Un’adolescente come le altre, si direbbe, innamorata della natura, dello sport e della musica. Prende qualche cotta, annota i suoi pensieri sul diario personale, ha tanti amici e scrive lettere a quelli più cari. È la figlia semplice di un piccolo mondo antico che sembra prossimo a essere travolto dai venti della modernità. Ma la sua vita, apparentemente senza sussulti,  nasconde invece un’anima straordinaria. Una fede genuina e cristallina.  Insieme con altre amiche, sospinta da una spiritualità che le dà una marcia in più, inserita in una parrocchia che mette a frutto gli indirizzi del Concilio Vaticano II, “Mariolina” innesta la quarta e in poco tempo brucia rapidamente tutte le tappe.  Su invito del parroco don Vincenzo Chiarle, nel 1968 partecipa ad uno dei primi congressi gen, la generazione nuova del Movimento dei Focolari. Lì Chiara Lubich presenta a quei giovani del ’68 un altro modello di rivoluzionario: quello di un uomo giusto che si è immolato per la libertà degli altri. Anche lui aveva un programma: “Che tutti siano uno”. Maria Orsola rimane affascinata, e questa scelta illumina tutta la sua vita. A sedici anni la sua corsa raggiunge il Cielo. Ma dietro di sé lascia una scia di luce. Un giorno aveva rivelato che avrebbe dato la sua vita pur di far scoprire ai giovani la bellezza di Dio. “E Dio la prese in parola”, disse a Torino, nel 1988, a migliaia di suoi coetanei papa Giovanni Paolo II, additandola quale  esempio luminoso: “è una ragazza che ha accettato di fare della propria vita un dono, non un possesso egoistico”. “W la vita” era il suo motto.  

Dal 2 ottobre 2004 le sue spoglie mortali riposano nella chiesa parrocchiale di San Secondo martire, in Vallo Torinese.