7 Ott 2017 | Centro internazionale, Chiara Lubich, Spiritualità
«Il rosario è il dramma della Redenzione visto dalle pupille di Maria, la vergine e la Madre: le gioie di Nazareth, le luci di Betlemme, le vicende di Giuseppe, e poi la tragedia della croce e infine le glorie celesti son fatte patrimonio di famiglia, cose nostre. La nostra storia, la vita nostra. (Igino Giordani, Una stella accesa nella notte», Città nuova, Roma, 2004, pag. 81). 1922-1925. «Se non è possibile la casta quiete dei vesperi nella casa dei nonni, riscaldata da una monumentale fiammata, ove raccogliere alla preghiera avi e nipoti, figli e collaterali: diciamoci il Rosario in tram, in piroscafo, nel rombo del tunnel e nello spasimo d’una locomotiva: sarà più meritorio il nostro sforzo d’astrarci in un impeto di spiritualità dall’orgia… della materia meccanizzata. Un quarto d’ora in chiesa non sarà la consuetudine sonnacchiosa… e la preghiera sarà refrigerio di fontana nell’arsura massacrante della civiltà impostaci». (Igino Giordani, Diario di fuoco, Città Nuova, Roma, 2005 [1980] p.19). 1933. «La Madre… C’è una preghiera a Lei particolarmente grata, la quale rappresenta un ciclo dei misteri della vita di Gesù ricordati a titolo di onore di Lei: il rosario. Riconduce la serenità nell’ora stanca e fosca della sera, nelle ore ardue della vita, e dà la forza per sperare nel domani e ricominciare: quella rude collana di perle di quattro soldi trasmette correnti di vita ultraterrena nelle povere ossa sfiancate dalla fatica, rialluminando la sola luce in anime bersagliate dall’iniquità sociale o dalle sventure multiple. Dà anche a chi vive la speranza d’un congiungimento col Padre, della morte con l’immortalità, del finito con l’Eternità ». (Igino Giordani, Diario di fuoco, cit. p.28). 1° ottobre 1945. «Perché tra noi Maria ha sì gran parte? Perché tra noi, quelli che seguono davvero l’Evangelo si sentono e si diportano come bambini, ai quali la madre è tutto e serve a tutto: ella è cercata perché li introduca a Dio. La prendono per mano, si attaccano alle sue vesti, perché li conduca al Padre. Non c’è maniera più rassicurante, più amorosa e bella di presentarsi a Lui. E poi, in compagnia della Mamma, tutta la vita è più bella: la natura ride, gli uomini stessi non sembrano più selvaggi». (Igino Giordani, Diario di fuoco, cit. p.68) 9 ottobre 1965.« Basta che veda l’immagine di Maria, perché mi balzino avanti all’anima le realtà più belle della mia vita. Vedo allora che la gioia dell’esistere si chiama per me Maria; la mia gloria è Lei, la mia forza è la Sua maternità; la bellezza che m’affascina è la Sua verginità; l’accettazione del dolore è la partecipazione alle Sue prove di Desolata. Non vedo in quale aspetto positivo dell’esistenza mia Ella non entri: la mia vita è Maria. E Maria è la Madre di Gesù: è Lei che mi dà Dio, sposa l’anima allo Spirito Santo, l’avvicina alla paternità dell’Eterno. Chi Ti ringrazierà, Mamma? ».(Igino Giordani, Diario di fuoco, cit. p.180). (altro…)
28 Set 2017 | Centro internazionale
Si riscaldano i motori per l’avvio dell’VIII edizione di LoppianoLab, l’appuntamento annuale che vede riuniti cittadini, lavoratori, studenti, professionisti, imprenditori che raccolgono con coraggio le sfide del Paese: dalla ricostruzione economica e materiale, a quella culturale e formativa. Partito nel 2010, l’evento, che ha sede nella Cittadella internazionale dei Focolari di Loppiano (Incisa – Firenze), si terrà il 30 settembre e 1° ottobre. In un’intervista, il Professore Piero Coda, Preside dell’IUS (Istituto Universitario Sophia), ha affermato, a riguardo del tema della manifestazione, che sono fondamentalmente tre le direttrici di marcia lungo le quali muoversi per sconfiggere la logica delle “vittime” e dei “briganti” fuori e all’interno della Chiesa di Francesco: cellule, laboratori, educazione. Attraverso le cellule, si può «rigenerare il tessuto ecclesiale e sociale, dove si vive, si lavora, si studia, vivendo relazioni di trasparenza reciproca in cui ci si fa carico gli uni degli altri a partire da chi in qualunque forma è ai margini o addirittura scartato. Laboratori: immaginare con creatività e sinergia progetti di innovazione culturale, economica, sociale e politica segnati dall’impegno all’incontro, alla partecipazione, all’inclusione. Educazione: fare della scuola e dell’università una palestra di allenamento e di sperimentazione di una cultura lievitata dal Vangelo che sia reale strumento di trasformazione e segno di speranza». Un momento atteso, promosso dall’IUS, è la presentazione del libro Bernhard Callebaut, “La nascita dei Focolari. Storia e sociologia di un carisma (1943-1965)”, per la collana Per-corsi di Sophia dell’editrice Città Nuova, che vedrà la presenza di Jesús Morán (copresidente Movimento dei Focolari), Sharzad Housmand (teologa islamica) e Tiziano Vecchiato (Fondazione Zancan, Padova). In un’intervista, l’autore, docente di Fondamenti di Sociologia presso l’IUS, ha sottolineato come nel ricostruire dal punto di vista storico i primi tempi dei Focolari abbia improntato la ricerca, « con una chiave interpretativa di impronta sociologica, che mette in luce l’azione di una leadership carismatica contemporanea e la nascita e l’evoluzione di un “popolo” internazionale, quello del Movimento dei Focolari». La comparsa dei Focolari, quindi, nel panorama della storia italiana, viene interpretata in forma scientificamente apprezzabile come una “mobilitazione religiosa” che produce una “innovazione relativa”, una sorpresa per la Chiesa d’allora ma anche una realtà all’altezza dei segni dei tempi. Il professore Piero Coda sottolinea come la novità del Carisma dell’Unità presenta «una donna – ed è la prima volta – alla testa di un movimento ecclesiale laico, del cui spirito sono partecipi anche presbiteri, religiosi/e e persino vescovi; con una direzione centrale e collegiale per l’insieme del movimento, in forza di una spiritualità originale e moderna centrata sulla rilevanza esistenziale, ecclesiale e culturale, di “Gesù Abbandonato” e “Gesù in mezzo” – secondo il peculiare e inedito lessico inaugurato da Chiara Lubich». In allegato il programma della manifestazione
27 Set 2017 | Centro internazionale, Chiara Lubich, Chiesa, Cultura, Spiritualità
Sono lieta di rivolgere un saluto a tutti i partecipanti alla presentazione del libro:“Qui c’è il dito di Dio”. È il secondo volume della collana “Studi e Documenti” promossa dal Centro Chiara Lubich.
Il titolo richiama una frase nota ai membri del Movimento dei Focolari: il primo riconoscimento da parte dell’arcivescovo di Trento, mons. Carlo de Ferrari, che quel qualcosa di nuovo che, in modo edificante e nello stesso tempo contrastato, stava nascendo nella sua diocesi, non veniva dagli uomini ma “dal dito di Dio”. Uno sguardo puro permetteva così al pastore di non fermarsi di fronte a considerazioni o a giudizi puramente “umani”, ma di penetrare più profondamente il sorprendente agire di Dio, che si manifestava attraverso la vita di un gruppo di giovani ragazze, e ciò 20 anni prima del Concilio Vaticano II. E la storia gli avrebbe dato ragione. Come membri del Movimento dei Focolari non possiamo non essere particolarmente grati a Mons. De Ferrari per il suo sapiente discernimento, che ha permesso a quel piccolo fuoco acceso di crescere e di estendersi poi in tutto il mondo. A distanza di 70 anni, questo lavoro di Lucia Abignente ci rende consapevoli di quanto l’intuizione dell’arcivescovo fosse profonda-mente radicata nella vita della Parola di Dio e il suo agire condito di umiltà, di perseveranza, di prontezza a pagare di persona, di profezia. Nella ricostruzione degli eventi, che in queste pagine ci viene offerta sulla base di un vasto apparato di fonti, scopriamo un filo d’oro. Circostanze propizie e avverse hanno permesso l’intessersi di un rapporto di comunione vivo, reale, tra Chiara Lubich e il “suo” vescovo, che ha dato senso a quell’alternarsi di “osanna” e “crucifige” – per dirlo con le parole che troviamo nelle lettere di entrambi – e l’ha fatto vivere a Chiara nell’amore a Dio e alla Chiesa. Queste pagine ce ne offrono una testimonianza autentica e coinvolgente.
Anche oggi essa costituisce un invito a prendere nuovamente coscienza del dono del carisma ricevuto e della potenzialità di una fondazione, che, come viene oggi riconosciuto, ha aperto una strada ai percorsi di altre realtà ecclesiali. Mi dà gioia costatare che la pubblicazione di questo libro avviene nell’anno dedicato dal Movimento dei Focolari all’approfondimento di Maria, uno dei cardini della spiritualità dell’Unità. Fu nel periodo di luce vissuto nell’estate 1949 (in cui lo Spirito diede a Chiara di contemplare la grandezza della Madre di Dio, di ammirarla nella sua bellezza unica, tutta rivestita della Parola di Dio), che si delineò anche il disegno di Dio sull’Opera nascente: Opera di Maria appunto. La vocazione, il timbro “mariano” di quest’Opera emerge da queste pagine, che ne danno prova – direi – inconfutabile, grazie al rinnovarsi del sì di Chiara ai piani di Dio: sì alla chiamata, sì all’annuncio di quell’Ideale che avrebbe penetrato la sua vita; sì alla disponibilità dell’offerta e immolazione del frutto generato, durante gli anni di studio da parte della Chiesa di Roma. Nel suo “fiat” dell’Annunciazione così come nel sì della desolazione ai piedi della croce Maria è il modello, la forma, in cui Chiara Lubich vive la sua divina avventura. Nel nostro tempo, in cui appare «una nuova e più esplicita consapevolezza del principio mariano nella Chiesa come sacramento di unità»[1], mi auguro che la testimonianza e il messaggio, trasmessi dal libro che oggi presentiamo, possano essere un dono per tutto il popolo di Dio e aiutino l’Opera di Maria ad esprimere la vocazione che la Chiesa le ha confermato negli Statuti: essere «…– per quanto è possibile – una presenza [di Maria] sulla terra e “quasi” una sua continuazione». [1] B. Leahy, Il principio mariano nella Chiesa, Città Nuova, Roma 1999, p. 46. (altro…)
16 Set 2017 | Centro internazionale, Chiara Lubich, Focolari nel Mondo, Spiritualità
“In Gesù Abbandonato si manifesta l’infinito amore di Dio che viene messo dal Padre nel cuore dei credenti per realizzare fin d’ora il suo disegno sull’umanità: l’unità. Amare Gesù Abbandonato significa allora rivivere in noi stessi la sua Pasqua, il passaggio continuo, per noi ancora in cammino, dalla morte alla vita, dall’assenza di Dio alla sua presenza, che caratterizza l’esistenza cristiana. Non si tratta di rassegnarsi o di voler soffrire come Gesù ha sofferto, ma piuttosto di ripercorrere la strada da lui aperta e di riconoscere – al di là delle apparenze – la sua presenza attiva in tutto ciò che non è Dio in noi e attorno a noi. È un dire di sì a Lui e come Lui, così che lo Spirito Santo possa irrompere nel nostro nulla voluto ed espandervi il dono dell’agape divina che ci apre alla vita futura, eterna, e ce ne rende partecipi. Gesù Abbandonato, al contempo, ci fa andare incontro all’umanità, proprio là dove essa maggiormente soffre e vive nell’oscurità. Gesù Abbandonato abbracciato e amato mette così amore dove c’è odio, vita dove c’è morte, comunione e unità dove c’è divisione. Amare Gesù Abbandonato è quindi speranza contro ogni speranza, vicinanza di Dio dove non c’è Dio, presenza di Dio dove c’è il silenzio di Dio. E questa speranza è certezza di un mondo e di una storia umana che non si chiudono su se stesse, ma si aprono al sempre nuovo incontro con Dio e, in Lui, si aprono al sempre nuovo incontro degli uomini tra di loro, in una comunione fraterna dalle dimensioni veramente universali”. Da Pasquale Foresi – LUCE CHE SI INCARNA – Città Nuova 2014 pagg. 172-3 (altro…)
9 Set 2017 | Centro internazionale, Spiritualità
Maria. I filologi lo interpretano in tanti modi, tutti belli; ma il significato suo più denso di bellezza è quel suo indicare particolarmente, inconfondibilmente, lei: l’unica tra le donne: Maria. Un nome che non si finisce mai di pronunziare; e che ogni volta dona gioia. Nella salutazione angelica, che solca la vicenda umana come una fontana di letizia, milioni di creature ogni giorno più volte così la chiamano. E così la chiamavano i genitori e i parenti e i vicini di casa a Nazareth. E così ad ogni ave torniamo tutti a chiamarla familiarmente, allo scopo di chiedere la sua intercessione in questo esperimento della vita che culmina nella morte, varco alla perenne vita. «Maria»: al pronunziare quel nome il cuore balza in petto come il bambino nel seno di Elisabetta, «ed Elisabetta fu ripiena di Spirito Santo». «Maria», dicevano pastori e artigiani quando si affacciavano sul vano di quella sorta di spelonca che era l’abitazione della sacra famiglia nella collina di Nazareth, per chiederle un favore: ella era così servizievole con tutti, così ricca di risorse per ciascuno. E se non avevano nulla da domandarle, s’affacciavano per la gioia di salutarla: la gioia di dire quel nome che aduna tante cose belle, poiché riassume i misteri dell’amore. Il nome femminile dell’Amore. A distanza di secoli, noi, a mo’ dell’arcangelo e di Giuseppe, a mo’ di tutti i santi e di tanti peccatori, seguitiamo a chiamarla così: Maria; cinquanta, cento e più volte al giorno, senza scortare mai quel nome con titoli di nobiltà, epiteti di boria, patenti di primato. A noi piace — come piace a lei — di avvicinarla, non di distaccarla, per avvicinare lo Sposo, che con lei fa unità. La ressa delle strade, il turbine delle passioni, la traccia dello spirito sono venati, solcati da quel nome, su cui transita l’amore da terra a cielo. L’umiltà avvicina e l’amore unifica; ed è il più grande tributo. Noi ci sentiamo di casa nella Chiesa di Cristo, noi ci sentiamo di casa nella comunione dei santi, nello stesso ambito della SS. Trinità, anche perché c’è Maria; c’è la madre e dunque c’entrano i figli. Dov’è Maria è l’amore: e dove è l’amore è Dio. E dunque dire quel nome in ogni circostanza e ambiente è penetrare di colpo in un’atmosfera di divino, è accendere una stella nella notte; aprire una sorgiva di poesia in una plaga tecnologica; far fiorire di gigli una palude. È un restituire il calore della famiglia in un campo di lavori forzati. Maria ama: e nell’amore si nasconde. Il vero amore è contemplazione della persona amata. Anche in questo, imitando la giovinetta nazarena, si può essere contemplativi, stando nel mondo, in una stamberga di contadini o in un appartamento di città. L’amore in lei è stato così grande che ci ha dato Dio: Dio che è amore. Lei lo ha quasi strappato dal cielo per darlo alla terra; dal solo divino per farlo anche uomo, a servizio degli uomini. E veramente amare è farsi uno con l’Amato: e Maria si fece talmente uno con Dio che Dio si donò a lei, per donarsi, mediante lei, a tutti gli uomini. In definitiva si sta nel mondo, in posizioni diverse, con vestiti d’ogni sorta; ma, standoci come Maria, si prepara sempre e dappertutto la stanza per Gesù. (Igino Giordani, Maria modello perfetto, Città Nuova, Roma 2012, pp. 17-20) (altro…)
30 Ago 2017 | Centro internazionale, Cultura, Focolare Worldwide, Focolari nel Mondo, Senza categoria
Abitare un luogo in due sole settimane. Un luogo per di più lontanissimo – geograficamente e culturalmente – dal proprio paese di origine. È la sfida di Habitandando: costruire ponti inediti tra Italia e Colombia. Da una parte un Paese celebrato per arte, storia e cultura, dall’altra un popolo giovane e contrastato, in cui ricchezze e disuguaglianze si riflettono anche sul territorio, fatto di megalopoli e immense regioni ancora vergini. Come si costruisce, in soli quindici giorni, un ponte tra Italia e Colombia? Come arrivare ad abitare un luogo, e a conoscerlo come se fosse la propria casa? “Il viaggio come metodo, il territorio come aula” è il segreto, la cornice che accompagna ogni workshop, anche se di anno in anno cambiano i luoghi visitati in Italia e il filo conduttore. Il viaggio come metodo, dunque. Conoscere un luogo facendone esperienza diretta, usandolo come banco di prova per generare e testare nuove idee. E le esperienze, anche quest’anno, sono state diverse: attraversare più volte in auto l’Italia centrale, attenti a come cambiano i paesaggi nel passaggio dal mare alla montagna; vivere Piazza del Campo a Siena per osservare come funzioni da secoli un perfetto luogo di sosta; macinare chilometri a piedi nel centro di Roma, notando come un’epoca storica si affianchi alle altre nei mille strati che compongono la città; esplorare Tor Bella Monaca, quartiere nella periferia romana dove progetti fallimentari di architettura si aggiungono alla fragilità del tessuto sociale.
Ogni tappa del viaggio è dedicata ad uno specifico tema: ad esempio, le campagne della Toscana spiegano territorio e paesaggio, la Costiera Amalfitana racconta moderno e antico, i paesi colpiti da terremoti nell’Italia centrale mostrano il rapporto tra memoria e catastrofe. La scelta del territorio come aula permette di osservare ciascun tema in prima persona. Non solo un espediente per andare oltre le semplici spiegazioni di guide turistiche e manuali scolastici, ma piuttosto un’occasione per costruire da sé, in modo incrementale, il sapere su un dato luogo. Ai ragazzi in viaggio viene chiesto di esercitare, in modi diversi, il proprio sguardo sui luoghi visitati: scrivendo testi che abbiano in mente destinatari differenti, facendo fotografie che rispondano a diversi registri comunicativi, sviluppando proprie spiegazioni su specifici contesti e fenomeni. Con il passare dei giorni, alle prime reazioni si sostituiscono ragionamenti più profondi. L’esempio più interessante è forse dato da Tor Bella Monaca, la periferia romana dove lo scetticismo iniziale («Questo sarebbe un quartiere povero e degradato? Avercene di posti poveri così, in Colombia!») lascia spazio al dubbio e a nuove riflessioni («Forse la realtà è più complicata di quanto sembri, se i bambini di un centro estivo ci hanno appena detto “Noi sembriamo carini, ma in realtà facciamo schifo”»). Nei ragazzi, gli sguardi disorientati dei primi giorni svaniscono per fare strada ad un’attitudine differente, che entra in relazione con i contesti visitati e in qualche modo li sfida. La tensione tra memoria e innovazione, filo conduttore delle due settimane, emerge anche nei commenti che accompagnano la conclusione del viaggio. Agli occhi di un ragazzo colombiano, l’Italia porta con sé tracce di secoli di storia, ma forse non sa come gestire tanto patrimonio e come questo possa parlare in modo nuovo alle esigenze dell’habitat di oggi. Queste riflessioni nascono negli ultimi giorni, trascorsi a Montefalcone Appennino. Un primo germoglio di pensiero, spunti di un dialogo che potrebbero avere esiti diversi, ma già mostrano quel che può generare la semplice scelta di studiare l’habitat uscendo dalle aule, andando nel territorio, abitandolo in movimento: abitare un luogo non è soltanto conoscerlo, ma anche iniziare a immaginarlo in modo diverso da ciò che è. A cura di Dialoghi in Architettura (altro…)