Guardando la trasmissione in diretta della veglia a Tor Vergata, alla periferia di Roma, e vedendo quelle immagini d’una immensa moltitudine, può sorgere una domanda: che cosa sono venuti a cercare qui questo milione di giovani? Stare vicino a Papa Leone XIV? Non mi sembra sufficiente come motivazione. Conoscere Roma? Può darsi, ma sicuramente non avrebbero scelto queste condizioni di alloggio, cibo e trasporto. Ma nel silenzio profondo e prolungato durante l’ora di adorazione si trova la risposta. Questi ragazzi e ragazze venuti da tutto il mondo, sono stati attratti da Gesù, anche a loro insaputa, può darsi, per questo incontro personale e comunitario, dove Lui senza dubbio ha parlato al cuore di ognuno che torna a casa cambiato, con una fede più salda, con una esperienza di divino che non dimenticherà.
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La settimana del Giubileo dedicata ai giovani è incominciata il 28 luglio e si è conclusa la domenica 3 agosto 2025. Sono state organizzate moltissime attività per accogliere chi arrivava a Roma per vivere questi giorni: visite ai luoghi storici, alle Basiliche, eventi culturali, concerti, catechesi.
Anche il Movimento dei Focolari ha proposto 4 percorsi speciali a Roma seguendo il Pellegrinaggio delle Sette Chiese, ideato da San Filippo Neri: un itinerario storico che ha accompagnato i pellegrini fin dal XVI secolo. Un cammino di fede e comunione fraterna, fatto di preghiera, canti e riflessioni sulla vita cristiana, con attività di gruppo, catechesi e testimonianze, aiutati da un libretto di meditazioni per un approfondimento spirituale alla luce del carisma dell’unità. Il folto gruppo che ha aderito alla proposta era composto da giovani di lingua inglese, ungherese, olandese, italiana, tedesca, rumena, coreana, spagnola, araba.
Tutto il “viaggio” si è basato su 4 idee chiave: pellegrinaggio (un cammino), porta santa (un’apertura), speranza (guardare avanti), riconciliazione (fare pace)
“Speranza” è la parola che è riecheggiata nella testimonianza di Samaher, giovane siriana di 28 anni: “Gli anni della mia infanzia sono stati dolorosi, bui e solitari. La casa non era un luogo sicuro per una bambina a causa dei conflitti, e neanche la società, a causa del bullismo. Affrontavo tutto da sola, senza poterlo condividere con nessuno, arrivando a tentativi segreti di suicidio a causa della forte depressione e della paura. Il Vangelo mi ha cambiata, dopo che la vita dentro di me si era spenta e tutto era diventato buio… mi ha restituito la luce”.
Le catechesi si sono svolte presso il Focolare meeting point tenute da Tommaso Bertolasi (filosofo), Anna Maria Rossi (linguista) e Luigino Bruni (economista). “Uno sguardo che parte dall’amore e suscita amore, non è forse il volto più concreto della speranza?” è la domanda provocatoria rivolta da Anna Maria Rossi ai giovani pellegrini.
José, giovane diciottenne del Panama, lo ha confermato nella testimonianza che ha condiviso a proposito del periodo della sua malattia: “La mia esperienza dimostra che, quando metti in pratica l’arte d’amare che consiste nel vedere Gesù in tutti, amare tutti, amare i nemici, amare come te stesso, amarsi reciprocamente…, non solo cambia la tua vita, ma cambia anche quella degli altri. Proprio quest’arte di amare, che molte persone hanno condiviso con me, ha creato un equilibrio così forte che mi ha aiutato a non crollare nei momenti difficili, sostenendomi e rafforzarmi attraverso ogni ostacolo che ho incontrato”.
Anche Laís del Brasile non ha nascosto le sfide incontrate per via della separazione dei suoi genitori: “Ci sono stati momenti in cui non capivo perché vivessero separati e desideravo che fossero di nuovo insieme. Tuttavia, quando ho avuto una maggiore consapevolezza di ciò che era accaduto tra loro, ho potuto fare domande sincere, e nessuno dei due ha nascosto la verità. Questo mi ha aiutato ad accettare la realtà della nostra famiglia. Oggi hanno un rapporto di amicizia e questo, per me, è un esempio di maturità, perdono e amore vero, che va oltre le difficoltà e gli errori. Ricominciare è possibile quando ci mettiamo davvero in gioco”.
Papa Leone, in vari momenti ha fatto interventi e saluti fuori programma, come quando, alla messa di benvenuto, ha voluto farsi presente alla conclusione percorrendo, a bordo della “papamobile” Piazza San Pietro e via della Conciliazione, gremita di giovani, per salutarli. Parlando a braccio ha detto: “Speriamo che tutti voi siate sempre segni di speranza. (…) Camminiamo insieme con la nostra fede in Gesù Cristo e il nostro grido deve essere anche per la pace del mondo”.
Poi, sabato 2 agosto, mentre la natura regalava un magnifico tramonto, rispondendo alle domande dei giovani a Tor Vergata ha ribadito il suo appello: “Cari giovani, vogliatevi bene tra di voi! Volersi bene in Cristo. Saper vedere Gesù negli altri. L’amicizia può veramente cambiare il mondo. L’amicizia è una strada verso la pace”. E poi ha aggiunto: “Per essere liberi, occorre partire dal fondamento stabile, dalla roccia che sostiene i nostri passi. Questa roccia è un amore che ci precede, ci sorprende e ci supera infinitamente: è l’amore di Dio. (…) Troviamo la felicità quando impariamo a donare noi stessi, a donare la vita per gli altri”. E ha indicato la strada per seguire Gesù: “Volete incontrare veramente il Signore Risorto? Ascoltate la sua parola, che è Vangelo di salvezza! Cercate la giustizia, rinnovando il modo di vivere, per costruire un mondo più umano! Servite il povero, testimoniando il bene che vorremmo sempre ricevere dal prossimo!”.
Nella Messa della domenica Papa Leone XIV ha detto ai giovani che siamo fatti “per un’esistenza che si rigenera costantemente nel dono, nell’amore. E così aspiriamo continuamente a un ‘di più’ che nessuna realtà creata ci può dare; sentiamo una sete grande e bruciante a tal punto, che nessuna bevanda di questo mondo la può estinguere”. Eh ha concluso l’omelia con un accorato invito: “Carissimi giovani, la nostra speranza è Gesù. (…) Aspirate a cose grandi, alla santità, ovunque siate. Non accontentatevi di meno”.
Salutandoli alla fine ha definito questi giorni “una cascata di grazia per la Chiesa e per il mondo intero”. Ribadendo ancora il suo grido per la pace: “Siamo con i giovani (…) di ogni terra insanguinata dalle guerre. (…) Voi siete il segno che un mondo diverso è possibile: un mondo di fraternità e amicizia, dove i conflitti si affrontano non con le armi ma con il dialogo”.
Un compagno al tuo fianco
Si conclude l’esperienza unica ed irripetibile del Giubileo dei Giovani 2025. In questo incredibile viaggio abbiamo: camminato, cantato camminato, ballato, gioito, camminato, pregato, riso e camminato… trascinati da una meta comune e tanti compagni di viaggio. Sì, perché aldilà del programma stupendo che ci ha arricchito culturalmente e spiritualmente, rimarrà per sempre impressa nei nostri occhi l’immagine di migliaia di ragazzi come noi che camminavano. Forse se avessimo chiesto ad alcuni di loro quale era la loro meta avrebbero risposto qualcosa come: “Stiamo andando alla chiesa di Santa Maria Maggiore” oppure “Andiamo finalmente a riposare”, ma sono altrettanto convinto che, se avessimo anche chiesto come lo stavano facendo, avrebbero raccontato con occhi pieni di energia delle canzoni che hanno cantato, dei ragazzi con i quali hanno fatto amicizia e della pienezza di spirito che questo camminare ha donato loro. In fondo per noi il Giubileo è stato questo, un cammino come nessun’altro, in una città come nessun’altra, dove si uniscono sogni,
speranze, gioie e dolori di un mare di persone, dove se cammini solo hai comunque un compagno al tuo fianco, dove il mondo è contemporaneamente minuscolo ed immenso, dove tutto grida Unità. Torniamo a casa con un ricordo che non sbiadirà facilmente, il ricordo di un Mondo Unito che si prende per mano e cammina, a testa alta e cuore colmo di uno spirito più grande.
Sono Letícia Alves e vivo nel nord del Brasile, a Pará.
Nel 2019 ho partecipato al “Progetto Amazzonia” e per 15 giorni io e un gruppo di volontari abbiamo dedicato le nostre vacanze a vivere con le popolazioni della bassa Amazzonia, nella città di Óbidos.
Prima di intraprendere questa avventura, mi chiedevo se sarei stata in grado di dedicarmi completamente a questa esperienza, ambientata in una realtà così diversa dalla mia. Durante il progetto abbiamo visitato alcune comunità fluviali che vivono sulle rive del Rio delle Amazzoni e tutti ci hanno accolto con un amore impareggiabile.
Abbiamo fornito servizi di assistenza sanitaria, legale e familiare, ma la cosa più importante è stata ascoltare profondamente e condividere le vite, le storie e le difficoltà di coloro che abbiamo incontrato. Le storie erano le più diverse: la mancanza di acqua potabile, il bambino che aveva uno spazzolino per tutta la famiglia o anche il figlio che voleva uccidere la madre… Più ascoltavamo, più capivamo il significato della nostra presenza lì.
“La sfida urgente di proteggere la nostra casa comune comprende lo sforzo di unire TUTTA la famiglia umana”
LS, 13
E tra tante storie, ho potuto vedere quanto possiamo fare la differenza nella vita delle persone: quanto il solo ascolto faccia la differenza, quanto una bottiglia d’acqua potabile faccia la differenza.
Il progetto è stato più che speciale. Abbiamo potuto piantare un seme d’amore in mezzo a tanto dolore e “costruire insieme” ci ha fatto crescere. Quando Gesù è presente tra noi, tutto diventa stimolante, pieno di luce e di gioia.
Non è stato qualcosa che ho vissuto per 15 giorni e poi è finito, ma è stata un’esperienza che ha davvero trasformato la mia vita, ho sentito una forte presenza di Dio e questo mi ha dato la forza di abbracciare i dolori dell’umanità che ho intorno a me in questa costruzione quotidiana di un mondo unito.
Mi chiamo Francisco. Sono nato a Juruti, in Amazzonia, un paese vicino a Óbidos. Mi ha sorpreso sapere che persone provenienti da varie parti del Brasile stavano attraversando il Paese per donarsi e prendersi cura della mia gente e ho voluto unirmi a loro.
Ciò che mi ha colpito di più è stata la felicità di tutti, dei volontari e della gente del posto, che pur vivendo con pochi beni materiali, ha sperimentato la grandezza dell’amore di Dio.
Dopo l’esperienza del progetto Amazzonia a Óbidos, sono tornato a Juruti con una nuova prospettiva e il desiderio di continuare questa missione, ma nella mia città. Lì ho visto gli stessi bisogni che avevo trovato a Óbidos. Questo desiderio non è diventato solo mio, ma di tutta la nostra comunità, che ha sposato la causa. Insieme abbiamo pensato e dato vita al progetto Amazonia nella comunità di São Pedro, con l’obiettivo di ascoltare e rispondere al “grido” di chi ha più bisogno, che spesso non viene ascoltato. Abbiamo scelto una comunità della terraferma, abbiamo iniziato a monitorare i loro bisogni e poi siamo andati alla ricerca di professionisti volontari.
Con la collaborazione di diverse persone, abbiamo portato la vita del Vangelo, l’assistenza medica, l’assistenza psicologica, le medicine e le cure dentistiche a tutta quella comunità. Soprattutto, abbiamo cercato di fermarci ad ascoltare le difficoltà e le gioie di chi incontravamo.
Ho una certezza: per costruire un mondo più fraterno e unito, siamo chiamati ad ascoltare le grida di chi soffre intorno a noi e ad agire, con la certezza che ogni cosa fatta con amore non è piccola e può cambiare il mondo!
Molto già si è detto e si dirà ancora sull’importanza ecumenica dell’anno 2025. Il 1700º anniversario del Concilio di Nicea è solo uno – anche se fondamentale – dei vari anniversari importanti per tutta la cristianità che ricorrono quest’anno. Perché è fondamentale ricordare Nicea ancora oggi? Qual è la sua attualità? Per capirlo bene dobbiamo fare un salto indietro nel quarto secolo.
Nel 313 l’imperatore Costantino concordò di dare libertà di culto ai cristiani ponendo fine alle persecuzioni religiose in tutto l’impero. Più tardi, nel 324, Costantino diventò autorità massima di tutto l’impero, di occidente e oriente, ma capì che una controversia dottrinale rischiava di scombussolare la pace nel territorio. Decise dunque di convocare un Concilio di tutta la Chiesa per dirimere la questione; lui era, infatti, cosciente che si trattasse di una questione religiosa, ma era anche convinto che l’unità religiosa fosse un fattore importante per la stabilità politica. A Nicea arrivarono dai 250 a 318 vescovi da tutte le parti dell’Impero. Lo scopo principale era quello di difendere e confermare la fede e la dottrina tramandata dagli apostoli sulla Persona divina e umana di Gesù Cristo, contro un’altra dottrina che serpeggiava tra i cristiani, ossia il pensiero del presbitero Ario di Alessandria d’Egitto e dei suoi sostenitori, che affermavano che Gesù Cristo non era Dio da sempre ma la prima più sublime creatura di Dio.
Porta di Costantinopoli (Città antica di Nicea)Porta di Lefke (Muraglia di Nicea)
È comprensibile che un tale mistero, cioè della persona di Gesù Cristo, rappresentasse una sfida per l’intelligenza umana. Ma allo stesso tempo era più forte la testimonianza degli apostoli e di tanti cristiani capaci di morire –pur di difendere questa fede. Perfino tra i vescovi accorsi al Concilio molti portavano ancora i segni delle torture e delle sofferenze subite per tale ragione.
Così quel Concilio definì la fede su cui si basa il cristianesimo e che tutte le Chiese cristiane professano, il Dio rivelato da Gesù Cristo è un Dio unico ma non solitario: Padre, Figlio e Spirito Santo sono un unico Dio in tre Persone distinte che esistono da sempre.
Ricordare Nicea oggi è dunque di grande importanza e attualità: un Concilio che ha messo le basi per la struttura sinodale della Chiesa, di cui oggi ricerchiamo maggiore concretizzazione; un Concilio che ha unificato per tutta la Chiesa il giorno della celebrazione della Pasqua (secoli più tardi – fino ad oggi – con il cambiamento di calendari, la data è poi diventata diversa per le Chiese d’occidente e d’oriente) e che ha fissato i punti cardini della fede cristiana. In particolare, questo ultimo punto ci interpella oggi in maniera forte. Forse la tendenza di non credere alla divinità di Gesù Cristo non è mai sparita del tutto. Oggi per molti è più facile e comodo parlare di Gesù privilegiando le sue prerogative umane di uomo saggio, esemplare, profeta piuttosto che crederlo Figlio unigenito di Dio, della stessa sostanza del Padre.
Iznik, l’antica Nicea, oggi è una piccola città della Turchia
Dinanzi a queste sfide possiamo pensare che Gesù Cristo rivolga anche a noi, oggi, la stessa domanda che ha rivolto un giorno agli apostoli: “E voi chi dite che io sia?” (Mt 16, 13-17).
Accettare il Credo di Nicea e professarlo insieme dunque, è ecumenicamente importante anche perché la riconciliazione dei cristiani significa riconciliazione non solo con e tra le Chiese nel presente, ma anche con la tradizione della Chiesa primitiva e apostolica.
Considerando il mondo di oggi, con tutte le sue ansie, i suoi problemi e le sue aspettative, ci rendiamo ancora più conto di come l’unità dei cristiani non sia solo un’esigenza evangelica, ma anche un’urgenza storica.
Se vogliamo confessare insieme che Gesù è Dio, allora le Sue Parole, soprattutto quello che Lui ha definito il suo comandamento nuovo, criterio messo da Lui perché il mondo ci riconosca come Suoi discepoli, acquisteranno un grande valore per noi. Vivere questo comandamento “sarà l’unico modo o sicuramente il più efficace per parlare di Dio oggi a chi non crede, per rendere traducibile la Risurrezione di Cristo in categorie comprensibili per l’uomo di oggi”[1].
Oltre 150 delegazioni di tutto il mondo, leaders politici, capi di varie Chiese cristiane, rappresentanti di diverse religioni ed oltre 200.000 fedeli di ogni parte del pianeta hanno partecipato in Vaticano, oggi, 18 maggio 2025, alla celebrazione per l’inizio del ministero di Papa Leone XIV. E proprio dall’incontro con i pellegrini, il Pontefice ha voluto iniziare, percorrendo in auto Piazza San Pietro fino alla fine di via della Conciliazione, in un saluto lungo, gioioso, commosso. Poi la sosta sulla tomba di Pietro del quale è chiamato ad essere il successore e l’inizio della celebrazione eucaristica.
Era presente anche un gruppo del centro internazionale dei Focolari in rappresentanza della Presidente del Movimento, Margaret Karram, e del Copresidente Jesús Morán che in questi giorni sono in viaggio negli Stati Uniti.
“Un’esperienza di universalità della Chiesa – definisce il momento vissuto a Piazza San Pietro Silvia Escandell (Argentina), delegata centrale dei Focolari -. Ho sentito come Papa Leone XIV, sicuramente anche per il suo carisma, raccoglie questa profonda diversità nell’unità. Mi ha impressionato come lui abbia fatto leva subito su due parole ‘amore e unità’ e tutto il suo discorso lo abbia tracciato su questa scia”. “Mi ha colpito anche quando – continua Silvia – ha fatto riferimento a Pietro al quale Gesù diceva di gettare le reti e ci ha chiamato a farlo un’altra volta. Ma sapendo che queste sono le reti del Vangelo, che va incontro ad ogni uomo. Mi sembra un segno di tanta speranza, per la Chiesa e per l’umanità”.
Nelle foto: piazza San Pietro gremita di fedeli, un momento della celebrazione ed il gruppo del Centro Internazionale dei Focolari
“Per me oggi è stata una forte esperienza in cammino verso il mondo unito – dice Ray Asprer (Filippine) delegato centrale del Movimento dei Focolari – . Vedere tutta la piazza piena e, soprattutto, ascoltare l’appello del Papa che esprimeva la sua visione di una Chiesa strumento di unità, mi sembrava che fosse proprio quello che si è vissuto qui, in tutta la solennità, ma anche proprio come esperienza. Si stava insieme da tutto il mondo, intorno al Papa che proclamava che la missione della Chiesa è amore e unità. Ho sentito un richiamo verso l’unità come un segno dei tempi”.
E di speranza parla Chiara Cuneo (Italia), consigliera al centro internazionale dei Focolari e co-responsabile del dialogo tra Movimenti e nuove Comunità nell’ambito della Chiesa cattolica. “In questo mondo, in questo tempo così buio – dice – la speranza è una luce che ci guida. Durante la Messa ho pensato che, a volte, ci vuole proprio il deserto, perché si vedano germogli di speranza. E oggi è uno di questi germogli: c’è qualcosa che cresce”.
“Anche le parole del Papa di camminare insieme – osserva – sono molto inclusive, veramente ha citato tutti, eravamo tutti dentro, tutti, tutti, tutti”.
“Ho potuto salutare – conclude – insieme a tanti, alcuni fondatori e presidenti di vari Movimenti della Chiesa. E’ stato un momento di festa, di gioia e di speranza rinnovata per ciascuno. Con il desiderio di continuare questo cammino insieme, augurandoci veramente di volerci sempre più bene, come ha detto il Papa”.
Enno Dijkema (Olanda) è consigliere del centro Internazionale dei Focolari e co-direttore del Centro Uno per l’unità dei cristiani. “C’erano anche tantissimi capi di altre Chiese cristiane – osserva – e il Papa ha proprio detto che vuole essere in dialogo con tutti e vuole essere un servitore dell’unità della Chiesa di Cristo”. “Sono stato molto toccato – continua – anche quando lui ha parlato del suo ministero e lo ha descritto non come sopra tutti, ma sotto, come amore, come servizio che è gioia e fede per tutti i cristiani e per tutto il mondo. Davanti a tanti capi di Stato mi è sembrata una bella testimonianza, una bella indicazione del ‘potere’ inteso come amore, come servizio”.
Un Papa che ha sognato e ci ha fatto sognare…che cosa? che – lo ha detto una volta lui stesso – “la Chiesa è il Vangelo”. Non nel senso che il Vangelo è proprietà esclusiva della Chiesa. Ma nel senso che Gesù di Nazaret, colui che è stato crocifisso fuori dall’accampamento come fosse un maledetto e che Dio Abbà ha invece risuscitato dai morti come Figlio primogenito tra molti fratelli e sorelle, continua qui ed ora, attraverso coloro che si riconoscono nel suo nome, a portare la buona notizia che il Regno di Dio è venuto e sta venendo… per tutti, a cominciare dagli “ultimi” che dal Vangelo sono raggiunti per ciò che sono agli occhi di Dio: i “primi”. Davvero, e non per modo di dire. Ecco il Vangelo che la Chiesa annuncia e contribuisce a fare storia, quanto più dal Vangelo si fa trasformare. Come accadde, sin dal principio, a Pietro e Giovanni quando, salendo al tempio, incontrarono alla porta detta “Bella” l’uomo che era storpio dalla nascita. Fissarono insieme lo sguardo su di lui, che a sua volta li guardò negli occhi. E Pietro gli disse: “non possiedo né argento né oro, ma quello che ho te lo dó: nel nome di Gesù Cristo, il Nazareno, cammina!”.
Il Vangelo di Gesù e la missione della Chiesa. Spendersi perché ci si alzi in piedi e si cammini. Così il Padre ci pensa, ci vuole e ci accompagna. Jorge Maria Bergoglio – con tutta la forza e la fragilità della sua umanità, che ce l’ha fatto sentire fratello – è per questo che ha speso la sua vita e il suo servizio come Vescovo di Roma. Da quella prima apparizione dalla loggia di San Pietro, quando si è inchinato chiedendo che il Popolo di Dio invocasse per lui la benedizione, all’ultima, il giorno di Pasqua, quando con voce flebile ha impartito la benedizione del Cristo risorto scendendo poi nella piazza per incrociare il suo sguardo con lo sguardo della gente. Il suo sogno è stato quello di una Chiesa “povera e dei poveri”. Nello spirito del Vaticano II che ha richiamato la Chiesa al suo unico modello, Gesù: che “ha spogliato se stesso, facendosi servo”.
Il nome di Francesco che ha scelto dice l’anima di ciò che ha voluto fare, e prima essere: testimone del Vangelo “sine glossa”, e cioè senza commenti e senza accomodamenti. Perché il Vangelo non è né un orpello, né un tappabuchi, né un analgesico: è annuncio di verità e di vita, di gioia, di giustizia, di pace e fraternità. Ecco il programma di riforma della Chiesa nella Evangelii gaudium, ed ecco i manifesti di un nuovo umanesimo planetario nella Laudato sì e nella Fratelli tutti. Ecco il Giubileo della misericordia ed ecco il Giubileo della speranza. Ecco il documento sulla fratellanza universale siglato ad Abu Dhabi col grande Iman di Al Ahzar ed ecco le innumerevoli occasioni d’ incontro vissute con i membri delle diverse fedi e convinzioni. Ecco l’opera instancabile a difesa degli scartati, dei migranti, delle vittime di abusi. Ecco il rifiuto categorico della guerra.
Francesco ha avuto ben chiaro che il Vangelo non basta farlo tornare a parlare, con tutta la sua carica sovversiva, nell’areopago complesso e persino contraddittorio del nostro tempo. Occorre qualcosa di più: perché non ci troviamo solo in un’epoca di cambiamenti, ma siamo in mezzo al guado di un cambiamento d’epoca. Occorre guardare con uno sguardo nuovo. Quello con cui ci ha guardato e ci guarda, dal Padre, Gesù. Lo sguardo che, con accenti teneri e accorati, è descritto nel suo testamento spirituale e teologico, l’enciclica Dilexit nos. È lo sguardo – semplice e radicale – dell’amare il prossimo come sé e dell’amarsi gli uni gli altri in una reciprocità libera, gratuita, ospitale, aperta a tutti, tutti, tutti. Il processo sinodale in cui la Chiesa cattolica – e, per la loro parte, tutte le altre Chiese – è stata convocata indica la strada da percorrere in questo nostro terzo millennio: al di là di una figura di Chiesa clericale, gerarchica, al maschile… Una strada nuova perché antica come il Vangelo. Una strada non facile, costosa e irta di ostacoli. Ma una grande profezia, affidata alla nostra creativa e tenace responsabilità.
Grazie Francesco! Il tuo corpo ora riposerà accanto a Colei che ti ha accompagnato passo passo, come madre, nel tuo santo viaggio. Tu, con lei, accompagna ora tutti noi, dal grembo di Dio, nel cammino che ci attende.