Dic 9, 2015 | Cultura, Focolari nel Mondo
Oggi a “Hope Park”, a Liverpool, al posto delle alte mura che storicamente separavano i due college della Hope University, sorge il “New gate”, un portale architettonico che collega le due strutture universitarie, l’una cattolica e l’altra anglicana che danno vita alla prima e unica università ecumenica d’Europa. L’opera, inaugurata il 28 settembre scorso, è stata realizzata a Loppiano, presso gli studi del Centro Ave Arte dove lavorano sette artiste che puntano ad esprimere nelle loro opere gli ideali di unità e fratellanza che hanno ispirato Chiara Lubich. Il sodalizio con lo studio d’arte è nato in occasione di una visita del prof. Pillay, Vice-Cancelliere e Rettore, presso il Centro internazionale di Loppiano, per una conferenza tenuta all’Istituto Universitario Sophia. Nel corso dell’inaugurazione il Vice-Cancelliere ha spiegato che il portale s’ispira nella struttura e nei tratti pittorici alla tradizione dei popoli australi, e precisamente i Maori presso i quali un “Waharoa”, un cancello aperto diventa simbolo del villaggio e segno di accoglienza nella comunità di ospiti e visitatori. “Allo stesso modo – ha continuato il professore – questo nuovo portale segna l’ingresso per studenti e docenti nella ‘community life’ della Hope University, finalizzata – secondo gli orientamenti formativi del card. John Henry Newman – ad una formazione culturale e umana globale, capace cioè ‘di cogliere il valore della propria disciplina entro il contesto di tutte le altre”. La dott.ssa Nunzia Bertali del Consolato italiano, inaugurando ufficialmente il ‘New Gate’ con il taglio del nastro, ha espresso gioia e soddisfazione per il contributo artistico offerto ad un’istituzione prestigiosa come la Hope University: “Non posso che essere orgogliosa di questo legame tra l’Inghilterra e l’Italia, una fantastica idea e una grande opportunità per collegare i due paesi”. Guarda il Video Il “New Gate”: ispirazione e forma a servizio dell’unità. Erika Ivacson, scultrice del Centro Ave Arte, spiega così il significato del portale bianco: “Vuol essere un arco, un ponte che nasce dall’incontro tra due elementi simili ma distinti. Nel linguaggio scultoreo le due forme distinte hanno raggiunto una armonia e un’unitarietà pur nella diversità. Attraversando il “New Gate” chiunque dovrebbe trovarsi coinvolto in un’esperienza totalizzante che rimanda a qualcosa di più grande e indica un’appartenenza, un’identità. I testi biblici inseriti all’interno della scultura ne confermano il messaggio. E, come è scritto nella targa apposta accanto alla scultura: ‘L’atto stesso di attraversare ogni giorno questa porta, diventa una affermazione vivente della fondazione ecumenica dell’università'”.
Dic 8, 2015 | Chiesa, Cultura, Focolari nel Mondo, Spiritualità
L’indizione di un Giubileo ad essa dedicato ha portato alla ribalta, ben al di là della cinta vaticana, la parola misericordia, che alle orecchie del laico suona sorpassata e densa di significato specificamente religioso. Il non-credente tende a non accettare a-priori i significati mistici dei quali la parola è solitamente investita, specialmente ora che si innalza a inquietante e mondana centralità, e nella sua mente si alternano i vari sinonimi, o presunti tali, che gli consentirebbero di portarla oltre la frontiera della cristianità: pietà, compassione, empatia, e via dicendo, in un crescendo di confusione che i dizionari on-line non contribuiscono a diradare. Viene subito l’impulso di identificarla proprio con la pietà, il sentimento di chi ha compassione, di chi percepisce emozionalmente le sofferenze altrui come proprie e desidererebbe alleviarle (fra l’altro proprio con il cristianesimo il significato del termine pietà si è avvicinato a quello di misericordia). Ma allora perché non empatia, che non è un sentimento, ma una capacità di comprendere a pieno lo stato d’animo altrui, di mettersi negli altrui panni, specialmente dopo le scoperte delle neuroscienze sui neuroni-specchio che tendono a confermare che l’empatia non origina da sforzi intellettuali ma è parte del codice genetico della specie? Le parole pietà-misericordia-compassione poi, come quasi tutte le parole che si rispettano, avranno la loro duplice accezione positiva e negativa: basterà pensare alla caratterizzazione dispregiativa in espressioni del tipo “fai pietà”, “fai compassione” equivalenti a “fai pena” e “fai schifo”, oppure all’uso quattro-seicentesco di chiamare “misericordia” la corta daga con la quale si infliggeva la morte al nemico ferito (colpo di grazia?). Si dirà che la misericordia è sì compassione, ma compassione attiva, che si sostanzia in atti, in opere. E sarà pure che essa rappresenta un concetto fondamentale, chiave della vita cristiana, come sottolineato dal dotto cardinal W. Kasper. Ma allora bisognerà distinguere una misericordia cristiana e una misericordia laica, fondata quest’ultima su valori umanitari che, pur camminando insieme ed intrecciandosi, appartengono comunque a due ordini diversi, che vanno rispettati nella loro natura. Non si tratta dunque di contrapporre le opere buone laiche a quelle cristiane, ma «di ricercare quell’armonia nascosta che reca sollievo al mondo»; e un’armonia – come il dialogo – «non si dà nella omogeneità, ma vive nella diversità…». Mario Frontini (altro…)
Dic 4, 2015 | Cultura, Focolari nel Mondo, Sociale, Spiritualità

cSC
Riuscire a descrivere un progetto sociale fin dalle sue origini, non è cosa facile: così per la scuola di Pho Cap, nella città di Ho Chi Minh, in Vietnam: un progetto che ha ricevuto l’onore di una visita privata, pochi giorni fa, di Laura Mattarella, figlia del Presidente della Repubblica italiana, che accompagnava il padre, in visita ufficiale. Accolta – senza protocolli – da alcuni membri del Movimento dei Focolari, attuali responsabili e collaboratori della Scuola, Laura Mattarella si è recata a far visita ai 100 bambini. La scuola di Pho Cap è nata nel 1998, da un sacerdote del Focolare con l’aiuto di alcuni giovani universitari, fra i primi ad aderire alla spiritualità dell’unità: un progetto nato dall’amore per i poveri che riempivano il quartiere di Binh Thanh, in una casa abbandonata. Una volta ripulite dalle numerose siringhe, i giovani hanno rimesso in piedi il tetto, poi i bagni, il sistema elettrico ed idraulico: tutto realizzato con piccole donazioni e tanto sacrificio. I giovani sono diventati imbianchini, manovali, idraulici, elettricisti … Di quei tempi ricorda uno di loro, ora focolarino: “È stato un lavoro faticoso, ma lo spirito del Movimento ci ha spinto ad amare concretamente. Anche alcuni operai hanno contribuito col loro lavoro a questa realizzazione. È stato davvero costruire un progetto insieme!” In poche settimane hanno reso abitabili quegli ambienti e iniziato le attività. Si trattava ora di convincere la gente ad inviare i loro figli per far capire loro che era meglio che studiassero piuttosto che lavorare. Infatti, molti di quei bambini passavano le giornate lungo le strade di Saigon a vendere i biglietti della lotteria e non frequentavano la scuola. E per farlo i giovani sono andati a cercare “gli alunni” di casa in casa. Al primo gruppo, ben presto si sono unite anche delle ragazze disposte a dare tempo, forze ed entusiasmo al progetto.
Da un piccolo gruppo di alunni che non ricevevano alcun pasto, si è passati a dare la merenda e poi il pranzo giornalmente. Un progetto che si è sempre più sviluppato, superando anche tante difficoltà. Una scuola di “prestigio” per il suo successo, ma che rimane sempre povera e per i poveri, che riesce a dare una testimonianza convincete in un ambiente di periferia non facile. Guardando i volti e gli occhi dei bimbi di Pho Cap, in maggioranza provenienti da famiglie buddiste, si legge fiducia, serenità e voglia di vivere. E Laura Mattarella ha ben colto tutto questo e ha voluto le foto di quest’incontro che ha definito: “Bellissimo”. E nella sua semplicità, ricco d’umanità, dolcezza e di rapporto. La direttrice della scuola, ha commentato: “La visita della figlia del Presidente dell’Italia ci ha incoraggiati ad andare avanti nello spirito che ci anima: vivere la fraternità tra tutti noi collaboratori e trasmetterla agli alunni, affinché diventino portatori di questo spirito nelle loro famiglie e nella società in cui viviamo”. Per conoscere e sostenere il progetto: Azione per Famiglie Nuove: AFN onlus – Spazio Famiglia (altro…)
Dic 4, 2015 | Cultura, Focolari nel Mondo, Spiritualità

Nieves Tapia – direttrice del CLAYSS
Una categoria malpagata, quella degli educatori. E questo la dice lunga sulla considerazione della società e dei governi nei confronti dell’educazione. Dal 18 al 21 novembre si sono ritrovati a Roma, in 2500, per un convegno organizzato dalla Congregazione per l’educazione cattolica. L’occasione era data dai 50 anni dalla dichiarazione del Concilio Vaticano II sull’educazione e dai 25 anni dal documento sulle università cattoliche. «Sono venuta con una collega ebrea, e dall’India c’erano cattolici e alcuni induisti – racconta Nieves Tapia, argentina, direttrice del CLAYSS (Centro Latino Americano di apprendimento e servizio solidale) –. Sentivo che già questo era un frutto del Concilio: la chiesa in dialogo. Con il motto “Educare, una passione che si rinnova” ci siamo trovati da tutto il mondo, con realtà diversissime». Le esperienze di scuole cattoliche in posti di frontiera, hanno mostrato la sfida del dialogo in atto. Come in Marocco, dove insegnanti e alunni sono musulmani. O nelle Filippine, Paese a maggioranza cattolica, dove l’università, aperta anche ai musulmani, incoraggia gli studenti a fare il digiuno durante il Ramadan, riserva un luogo di preghiera non solo ai cristiani ma anche a loro. «Un respiro universale – afferma Nieves Tapia –, non solo per la provenienza geografica, ma anche per la tipologia di scuole e università rappresentate: pubbliche, private; e tante scuole che lavorano con i poveri». Nell’intervento di papa Francesco traspariva anche la sua passione per l’educazione… «Il Papa ha risposto ad alcune domande, ha parlato a braccio, dal cuore, con molta passione. Ha sottolineato il bisogno di andare in periferia, non per fare beneficienza, ma perché è da lì che nascerà la nuova cultura. Lì impariamo la sapienza profonda che c’è nel dolore. Se pensiamo fra l’altro alle grandi riforme educative (Don Bosco, Freire) possiamo dire che sono tutte nate nelle periferie. Francesco ha sottolineato inoltre l’importanza di lavorare per l’unità della persona, mettendo in gioco la testa, il cuore, le mani; di ricostruire il patto educativo, e cioè l’unità tra scuola e famiglia, scuola e comunità, il rapporto con la vita reale senza chiudersi nelle aule, e poi l’importanza di andare fuori, anche come risposta alla cultura di élite che è il grande pericolo di tanti sistemi educativi, dove si rischia di lasciare la gente fuori». Tra gli argomenti trattati nel convegno, e in qualche modo sottolineato implicitamente dal Papa, c’è anche quello dell’apprendimento-servizio (service learning), una linea pedagogica in cui sei impegnata in prima linea… «Si tratta di una pedagogia che abbiamo cercato di arricchire con l’esperienza latinoamericana e con la spiritualità dell’unità: l’apprendimento servizio solidale. È necessario lasciare che lo studente esca dall’aula e si metta al servizio: che impari a fare, a vivere, a essere un cittadino migliore. Finché non si ha la possibilità di praticare nella realtà, non è compiuto il cerchio dell’apprendimento: la ricerca lo dimostra». «E questo si verifica quando i ragazzi imparano ad usare le conoscenze dell’aula a servizio degli altri. Ad esempio in una scuola tecnica, anziché fare un prototipo di robot¸ i giovani costruiscono sedie a rotelle per persone che ne hanno bisogno». Il Service learning ha quasi 50 anni, sono migliaia le università e le scuole in tutto il mondo che mettono in pratica quanto s’impara a servizio degli altri». Quali le prospettive emerse dal Convegno? «Le linee guida sono quelle che ha dato il Papa. Soprattutto è emersa la necessità di rinnovare la passione educativa e di riscoprire quello che già c’è. “Dobbiamo cambiare l’educazione per cambiare il mondo”, ha detto Francesco. Siamo già in cammino e questo è un segno di speranza». (altro…)
Nov 27, 2015 | Cultura, Focolare Worldwide, Focolari nel Mondo

Foto: REUTERS/Murad Sezer
«Mentre i colpi di mortaio stanno cadendo vicino a noi, la paura e la preoccupazione ci assalgono sia per la nostra vita che per quella di tutti quelli che conosciamo cristiani o musulmani, siriani o stranieri: ci accomuna l’appartenenza all’umanità e l’essere tutti fratelli e sorelle. In queste vie di Damasco si vive e si muore insieme, senza distinzione alcuna. Il bilancio del bombardamento è tragico: 9 morti e 52 feriti. Nessuno ne parla. Parigi ha per ora la ribalta. Ma questi sono i numeri della guerra dall’altra parte del Mediterraneo, sono i numeri di questa giornata. Non voglio fare somme che rendano ancora più raccapricciante quanto qui è per tutti una normale quotidianità. Appena il frastuono termina, perché il rumore delle bombe è assordante, prendo il cellulare e chiamo parenti e amici: “Stai bene? Dove sei? Non muoverti! Aspetta…”. Queste sono le domande ricorrenti dopo ogni lancio di bombe o dopo i colpi sul quartiere. Ci raccomandiamo a vicenda di restare fermi nel posto che per ora ci ha dato rifugio e scampo e lì si resta perché non si capisce dove andare. L’ufficio, la cucina, l’androne diventano rifugi o tombe a seconda se le bombe ti hanno risparmiata o ti hanno centrata. Dentro di me le domande persistono, continue come un mantra: “Ma è normale vivere con questa agitazione? È normale che la gente debba vivere sempre nella paura? Perché l’altra parte del mondo tace? Fino quando dovrà durare questa assurdità? È possibile che il potere, i soldi, gli interessi possono vincere sulla volontà di pace dei popoli e della gente semplice? Aleppo all’inizio di novembre è rimasta per 15 giorni senza viveri e le strade di accesso erano chiuse. Le mine sono un altro dei lasciti di questa guerra. Prima di riaprire ogni via di transito, bisogna sempre sminarla. Un villaggio vicino Homs è stato preso di mira dall’Isis e ci sono circa tremila sfollati. La gente desidera che la guerra finisca e si fa tante domande: “Chi procura le armi a queste milizie crudeli? Perché non arriva il cibo ma arrivano munizioni e ordigni bellici?”. Questi interrogativi ci lacerano, mentre la preghiera diventa il balsamo, la nostra roccia. La comunità cristiana cerca di vivere nella normalità, si incontra alle celebrazioni, lavora a tanti progetti di solidarietà, ma siamo in pochi. Si parte inesorabilmente, si lascia una terra amata perché non si vedono prospettive e tutto è costosissimo, dai farmaci ai cibi. Ma anche chi parte, desidera tornare: la vita è salva, ma non è la vita in Siria, non gli stessi rapporti, non gli stessi gusti, non la stessa complicità. Eppure non si è divisi. Si è sparsi, ma si continua a vivere tutti insieme per la stessa pace». Fonte: Città Nuova (altro…)
Nov 26, 2015 | Cultura, Focolari nel Mondo, Nuove Generazioni, Spiritualità
Il ‘via’ a questo innovativo e atteso progetto è avvenuto in questi giorni a Loppiano, la cittadella internazionale dei Focolari, con il primo corso per tutor. Un centinaio – numero massimo previsto dagli organizzatori – di partecipanti di varie tipologie: insegnanti, psicologi, medici, esperti di animazione giovanile, professionisti, sono venuti da 8 Paesi europei ma anche da Brasile, Argentina, India, Burkina Faso, Camerun. Tanti di essi sono genitori, di cui diversi presenti in coppia, o appassionati formatori di bambini e ragazzi. Come prerequisito, oltre ad una buona capacità di ascolto e di empatia, si chiedeva che dalla stessa regione si prenotassero in due, un uomo e una donna. Perché – sempre a detta degli organizzatori – nel far scoprire ai ragazzi i valori dell’affettività e della sessualità, è importante proporsi sia con la sensibilità maschile che femminile.
Il progetto scaturisce dalla sinergia tra famiglie, animatori giovanili ed esperti in varie discipline, tutti dell’ambito dei Focolari, fra cui alcuni docenti dell’Istituto Universitario Sophia di Loppiano (Firenze). La sua finalità è guidare gli adolescenti in un percorso di formazione integrale, dove la sessualità è illuminata dalla visione antropologica che ha come riferimento la persona nel suo essere in relazione, nella sua capacità di amare e di essere amata, di donare e di accogliere. A gioire di questa iniziativa sono soprattutto i genitori che di fronte alla complessità di queste tematiche, avvertono sempre più la necessità di strumenti aggiornati. Sono questi i presupposti che hanno guidato il pool che ha elaborato il percorso Up2Me nelle sue diverse tappe, nei contenuti e nella sua metodologia, che vuole essere prevalentemente interattiva, proprio per facilitare il formarsi nei ragazzi di una coscienza morale che li aiuti a dare ragione delle proprie scelte e li renda capaci di esprimerle.
I tutor si metteranno in azione da gennaio 2016. Nelle loro regioni e Paesi ci sono già ragazzi i quali, col consenso dei loro genitori, intendono frequentare Up2me. È un percorso modulato su una dozzina di lezioni, per gruppi di 10/20 unità secondo tre fasce di età: 9-11 / 12-14 / 15-17. Avendo presenti le molteplici dimensioni della persona (corporea, emozionale, intellettuale, sociale, spirituale, storico-ambientale), le lezioni spazieranno dalla conoscenza del corpo umano al concetto di persona; dall’immagine stereotipata di pubblicità e media, all’identità sessuale; dalla gestione delle emozioni, al conflitto genitoriale; dai comportamenti a rischio, all’influenza di Internet. Per dialogare poi in profondità sui grandi temi della trasmissione della vita, contraccezione, aborto, pornografia, apposite dinamiche (giochi di ruolo, videoclip, ascolto di esperienze) aiuteranno i ragazzi nel rapporto con se stessi e nella scoperta del proprio progetto di vita. Anche per i genitori sono previste serate di incontro e di collaborazione. Il programma del corso è stato testato da due corsi pilota in Italia. Il 2016 sarà un anno di sperimentazione con i primi gruppi di ragazzi in diversi Paesi d’Europa. Contemporaneamente, esperti di vari continenti tradurranno e adatteranno il programma ai diversi ambienti geo-culturali. Facendo tesoro dell’esperienza, a fine anno si ripeterà il corso per tutor per poi moltiplicare il percorso Up2me nelle diverse aree del mondo. Info: up2me@afnonlus.org (altro…)