
Chiamati da Dio

Maurizio Certini, direttore del Centro Internazionale Studenti Giorgio La Pira.
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«Mi sono ricordato della frase pronunciata da un amico: “L’idea di Dio deve crescere insieme a noi”. Era molto tempo che non cercavo più di capire qualcosa di Dio. Avevo bisogno di saperne da altri che ne sapevano più di me». Andrea, giovane universitario, tre anni fa ha lasciato il suo paese di origine, dove aveva un gruppo di riferimento in parrocchia, e si è trasferito in una grande città. Ma qui non ha trovato subito dei punti di riferimento precisi per la sua scelta di fede. Al Congresso ne ha conosciuti tanti. «Sono ancora in cammino e sto scoprendo aspetti nuovi di questa avventura, però ho delle certezze, dei punti di forza. Uno di questi è sicuramente la consapevolezza che la strada che mi si è aperta davanti è una strada comunitaria, da vivere con gli altri e per gli altri. Alle volte capita che me lo dimentichi e quindi necessito di una raddrizzata, ma dentro di me so che è così», conferma Nicholas. “Impegnati nel Noi” è stata una iniziativa svoltasi a Castel Gandolfo (31 agosto al 2 settembre), promossa dai Movimenti Diocesano e Parrocchiale, diramazioni del Movimento dei Focolari, e rivolta ai giovani impegnati nella Chiesa locale. Questi movimenti si propongono di irradiare il carisma dell’unità nelle parrocchie e nelle diocesi in cui prestano il loro servizio e di concorrere, assieme alle altre realtà ecclesiali, alla realizzazione di una “Chiesa comunione”, come auspicato nella Novo Millennio Ineunte, la Lettera apostolica indirizzata da Giovanni Paolo II ai sacerdoti e a tutti i laici, al termine del grande giubileo del Duemila. A questo scopo promuove e alimenta una unità sempre più profonda dei fedeli attorno ai parroci e ai vescovi, collaborando nelle diverse diocesi e proponendo una nuova evangelizzazione nelle parrocchie, secondo uno stile comunitario.
«Abbiamo scelto questo titolo – precisano gli organizzatori – per contribuire a realizzare quello che Papa Francesco spesso ci invita a fare: passare dall’“io” al “noi”, attraverso un discernimento comunitario che ci aiuti a crescere e a prendere delle decisioni condivise. Durante le giornate trascorse insieme i partecipanti si sono confrontati sulla propria fede, ma soprattutto sulla missione a cui si sentono chiamati, quella di portare la “buona novella” del Vangelo. L’esperienza di vita basata sulla spiritualità di Chiara Lubich ha fatto da sfondo, perché ogni carisma di Dio è per tutta la Chiesa e per l’umanità. La metodologia è stata la cultura dell’incontro: prendersi del tempo per conoscersi e per stare insieme. Per sentirsi comunità, “popolo di Dio”, in cui si può crescere, aiutati da quelli con cui si cammina insieme». L’esperienza del congresso si inserisce pienamente nel cammino verso il Sinodo dei vescovi sui giovani, che si svolgerà il prossimo mese di ottobre. «Sono risuonate in maniera molto forte le parole rivolte da Papa Francesco ai giovani italiani, radunati l’11 agosto scorso a Roma: “Non accontentatevi del passo prudente di chi si accomoda in fondo alla fila. Ci vuole il coraggio di rischiare un salto in avanti, un balzo audace e temerario per sognare e realizzare, come Gesù, il Regno di Dio, e impegnarvi per un’umanità più fraterna. Abbiamo bisogno di fraternità: rischiate, andate avanti!”». (altro…)
«Il desiderio di fare il medico, che avevo nutrito da sempre, divenne ancora più forte quando, anni fa, mio padre e mio fratello ebbero un grave incidente. L’ospedale diventò la nostra seconda casa, per una serie di operazioni alle gambe che mio padre dovette affrontare. In quei momenti compresi la difficoltà dei pazienti, specie quelli che non avevano sufficienti risorse economiche, a ricevere cure adeguate. “Sarò un medico – mi dissi – per offrire a tutti la speranza di una cura”. Anche la mia famiglia aveva una situazione economica molto precaria. Mio padre, per una disabilità permanente causata dall’incidente, non poteva più lavorare. Al termine della scuola, il mio desiderio di studiare medicina si infranse quando mia madre mi disse: “Non abbiamo i mezzi”. Piansi amaramente, poi però pensai: “Se Gesù vuole così, allora lo voglio anch’io”. Eravamo stati sempre in contatto con il Focolare, e loro sapevano del mio grande desiderio. Alcuni giorni dopo, mi telefonarono per dirmi che avevano trovato, attraverso le organizzazioni AMU e AFN, il modo di sostenermi economicamente. Ero così felice! Un segno dell’amore di Dio. Cominciai gli studi all’università. Non era tutto facile. Ogni giorno dovevo avere una buona dose di pazienza e perseveranza. Nella mia classe c’erano studenti di religioni e culture diverse, e alcuni di loro erano prepotenti con me, che avevo un carattere più morbido e remissivo. Cercavo ugualmente di essere amica di tutti e di restare unita a Gesù, e da Lui ricevevo la forza per affrontare ogni difficoltà. Dormivo anche solo due ore al giorno a causa delle tonnellate di pagine da memorizzare. Non facevo altro che studiare, eppure sperimentai anche l’insuccesso a un esame, o la tristezza di non poter uscire con gli amici. E poi mi mancava tanto la mia famiglia. Ma ero certa che Dio aveva dei piani su di me. Durante il tirocinio lavoravamo in reparto, con i pazienti, con turni anche di 30-36 ore consecutive, ed era veramente faticoso. Bisognava fare molte cose insieme, sincerarsi che tutti i pazienti ricevessero le cure e contemporaneamente dovevo studiare per gli esami. L’incontro con ogni paziente era sempre un’occasione per amare. Nonostante fossi stanca e assonnata, cercavo di presentarmi a loro con energia, di ascoltarli con un sorriso e con sentimenti di vera compassione. In ospedale, gli infermieri tendevano ad essere bruschi con noi stagisti e ci impartivano ordini. Tuttavia, cercavo di mettere a tacere il mio orgoglio e di costruire con loro un rapporto amichevole. Dopo qualche tempo, hanno cambiato atteggiamento. Nel mio gruppo, c’era una studentessa sempre scontrosa, che alzava la voce contro di noi, suoi compagni di corso, anche davanti ai pazienti. Nessuno la sopportava. Ho pensato: “Se non le voglio bene io, chi lo farà?”. Ho imparato a capire lei e le sue difficoltà, a volerle bene. All’inizio era difficile, voleva sempre ottenere qualcosa. Ho pregato Gesù di darmi il coraggio e la forza, perseverando in questo atteggiamento di comprensione. Alla fine, anche lei ha cominciato a capire me, e siamo diventate amiche. Se c’è una cosa che ho imparato, è che le cose possono anche diventare meno facili, ma tu puoi diventare più forte. Ho avuto paura tante volte di non farcela, ma “ricominciare” era il segreto che avevo imparato da Chiara Lubich. Ora sono un medico, il mio sogno si è realizzato, e ho tante più opportunità per amare Dio servendo i miei pazienti, ricordando quella frase del Vangelo “Qualunque cosa avete fatto al più piccolo dei miei fratelli, lo avete fatto a me”». Chiara Favotti (altro…)