Nov 7, 2022 | Dialogo Interreligioso, Testimonianze di Vita
A 25 anni dall’apertura del Focolare a Chiangmai (Thailandia), l’intervista a Metta Surinkaew, tra i primi membri buddisti del Movimento dei Focolari, oggi collaboratrice per il dialogo interreligioso. “Le religioni sono una variegata qualità di piante che sbocciano di continuo, conferendo bellezza e produttività in un equilibrio e un’armonia per tutta la terra”.
Un’immagine bellissima che ci conduce tra le vette della Thailandia e di cui ci fa dono Preyanoot Surinkaew, soprannominata Tom, ma meglio conosciuta come Metta, che nella lingua Buddha significa “compassione”. “Sono nata in una famiglia del nord del Paese. Qui il buddismo è la radice della nostra cultura e fin da piccola ho vissuto in una comunità basata sullo stile di vita buddista proprio vicino ai monaci del tempio del nostro villaggio”. Metta, quando è avvenuto l’incontro con la spiritualità del Movimento dei Focolari? Ho conosciuto il Movimento dei Focolari nel 1993. All’età di 19 anni vedevo il mio villaggio spopolarsi e la società cambiare radicalmente. Il tempio, che durante l’infanzia era un posto dove poter correre, giocare liberi e osservare gli anziani partecipare alle cerimonie si era trasformato in un luogo dove ‘cercar fortuna’ e chiedere un numero buono per la lotteria. Mi chiedevo: “come posso, nel mio piccolo, aiutare la società?”. Proprio nel periodo in cui quelle domande sorgevano nella mia mente, ho avuto l’opportunità di frequentare un campo giovanile con tanti ragazzi del Movimento dei Focolari. Ciò che mi ha colpito di più è stato il clima di armonia e il rapporto fraterno che si era creato tra tutti, anche se di religioni diverse. Ogni parola che udivo si trasformava in vita vera per quei giovani e immediatamente decisi che anche io avrei seguito quello stile di vita. Inoltre, scoprivo sempre di più con gioia che alcuni degli insegnamenti proposti dal Vangelo erano simili anche nel buddismo e che anche tra noi di religioni diverse era possibile stabilire quell’unità.
Cosa è necessario affinché questo avvenga anche nel quotidiano? Avere una mente aperta, desiderosa di accogliere l’identità altrui e imparare dalla bellezza degli insegnamenti e delle pratiche di altre religioni, con amore e rispetto. Questo fa nascere la consapevolezza che è possibile vivere insieme come “fratelli e sorelle”, superando le barriere che esistono tra le religioni stesse. L’evento organizzato il 12 e il 14 agosto 2022 per celebrare il 25° anniversario dall’apertura del primo Focolare a Chiangmai è stata un’ulteriore occasione per farne memoria. Che momento è stato? Una grande festa. Abbiamo organizzato un tour insieme alla nostra comunità composta da persone cristiane e buddiste nei posti visitati da Chiara Lubich nel 1997, un momento decisivo che ha aperto la strada per il dialogo interreligioso con gli amici buddisti in Thailandia. Fu durante quel viaggio, infatti, e grazie all’incontro con il Gran Maestro Phra Ajahn Thong, che Chiara Lubich intuì l’importanza che avrebbe avuto l’apertura del focolare: continuare a vivere e lavorare per il dialogo interreligioso. È stato bello durante quei giorni di festa vedere ciascuno pregare secondo la propria religione e, nel segno del rispetto, assistere alla preghiera dell’altro. È la conferma che quel legame di profonda amicizia nato tra Chiara e Phra Ajahn Thong e stato consegnato a tutti noi e, come un filo d’oro, continua ancora oggi a tenerci uniti. Papa Francesco nel suo recente viaggio in Kazakhstan ha affermato: “Abbiamo bisogno della religione per rispondere alla sete di pace del mondo”. Cosa ne pensi alla luce della tua esperienza? Ogni religione, diversa dalle altre e a seconda della cultura e dell’origine, mira a consentire agli esseri umani e alla società di raggiungere l’obiettivo finale della verità e della pace, ma gli insegnamenti e le varie pratiche devono trasformarsi in vita per essere una testimonianza affidabile. Il significato chiave dell’esistenza umana è questo: “Pace nel cuore delle persone e pace nella società”. La vera via del dialogo è prima di tutto comprendere appieno gli insegnamenti della propria religione per poi lavorare insieme agli altri, fraternamente, ad un progetto di vera pace.
Maria Grazia Berretta
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Feb 24, 2022 | Dialogo Interreligioso
Il ruolo delle comunità di fede nel guidare il cambiamento climatico e la costruzione del futuro. Le potenzialità e l’umiltà. Il programma Faith Plans. Il ruolo dei Focolari. Intervista a Martin Palmer
La Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (COP 26) a Glasgow si è conclusa a novembre 2021. Martin Palmer, ex segretario generale dell’Alliance of Religions and Conservation (ARC) e attuale CEO di FaithInvest ci aiuta a svelare il potenziale che le comunità di fede hanno nel guidare il cambiamento climatico e il ruolo che i Focolari possono giocare in questo contesto. Martin Palmer è un esperto internazionale delle maggiori tradizioni e culture religiose e autore di più di 20 libri su temi religiosi e ambientali. Collabora regolarmente con la BBC ed è un predicatore laico della Chiesa d’Inghilterra. Qual è il ruolo specifico delle comunità di fede di fronte a una crisi ecologica senza precedenti? “Le grandi fedi non sono solo fonti di antica saggezza spirituale. Sono anche tra gli attori più importanti del pianeta. Senza il lavoro educativo, medico, assistenziale e caritatevole delle comunità di fede attraverso le scuole, gli ospedali, il lavoro con i giovani, le agenzie assistenziali ecc. la società civile crollerebbe in poche settimane.
Così, mentre l’aspetto spirituale è vitale perché ci dà la prospettiva più ampia del tempo, dello spazio e del significato, se ignoriamo il nostro ruolo come azionisti per la costruzione del nostro futuro finiamo a stare in disparte a gridare e sperare che qualcuno ci stia a sentire.” È importante un ruolo attivo delle comunità di fede nel guidare il cambiamento. Ha notato un cambiamento di atteggiamento negli ultimi anni? “Vedo un enorme cambiamento. Per la prima volta tutti i principali gruppi ambientali religiosi come GreenFaith, Eco-Sikh, Daoist Ecological Temple Network, Hazon – il più grande gruppo ambientale ebraico e naturalmente ora il Vaticano attraverso il Movimento Laudato Si’ e i Focolari – stanno lavorando insieme, fianco a fianco portando il meraviglioso pluralismo di diverse credenze, valori e reti insieme, specialmente attraverso il programma Faith Plans”. Nell’ottobre 2021, in occasione della festa di San Francesco d’Assisi, papa Francesco e altri leaders religiosi tra cui l’arcivescovo di Canterbury Justin Welby e il patriarca ecumenico di Costantinopoli Bartolomeo, hanno lanciato un appello sul cambiamento climatico e un impegno pubblico a creare piani per l’ambiente. Perché è importante fare un piano? “Affinché le fedi siano davvero efficaci, abbiamo bisogno non solo delle meravigliose parole e della saggezza tratta dalle grandi correnti spirituali, ma abbiamo anche bisogno di sapere dove potrebbero essere artefici del cambiamento. Questo significa sapere quanto è esteso il loro ruolo nell’educazione in ogni luogo o paese; quante cliniche e ospedali hanno; dove sono i loro investimenti; quanta terra possiedono; quale gamma di competenze professionali ci sono nella comunità di fede e così via”. Qual è, secondo lei, il contributo specifico dei Focolari nel realizzare questa conversione ecologica? “Il ruolo dei Focolari è unico. Non solo siete una grande organizzazione di laici in una delle fedi più gerarchizzate del mondo, ma siete un’ispirazione che va ben oltre i vostri membri. Per decenni avete lavorato attraverso l’Economia di Comunione sulla realtà di vita e di lavoro della fede nella pratica del mercato. Creare nuovi modelli e iniziative sembra essere connaturale per voi, il vostro stile di condividere quello che fate è un’ispirazione. Avete decenni di lavoro interreligioso e una profondità e integrità che non si trova facilmente nel mondo interreligioso, spesso superficiale. I vostri legami con altre fedi mostrano una gioia per il pluralismo che non si trova spesso in organizzazioni religiose della portata e dell’impatto dei Focolari. Infine, sembra che abbiate già coinvolto alcune delle persone più carismatiche, altamente motivate, abili e premurose per il mondo, che sono già in azione”.
Nino Puglisi per cittanuova.it
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Gen 27, 2022 | Dialogo Interreligioso
Un incontro capace di superare grandi ostacoli; un salto nell’amore che avvicina e generà unità. Bella Gal, ebrea che vive vicino a Tel Aviv, racconta della sua amicizia speciale con E., cristiana palestinese. Qualche anno fa ho avuto un incontro molto interessante e profondo con una donna palestinese, cristiana, docente universitaria, durante una conferenza a Gerusalemme dove stava tenendo un discorso. Il suo nome è E. Ha cresciuto i figli da sola, mentre suo marito è stato in una prigione israeliana per 10 anni. E’ stato rilasciato a causa di problemi di salute e poco tempo dopo, purtroppo, è morto. Pur soffrendo, E. non ha rinunciato a vivere e ha educato i suoi figli che oggi sono professionisti, ognuno nella propria area di competenza. Il suo intervento era molto interessante ma, allo stesso tempo, molto triste. Alla fine del discorso, non aspettando la sessione di domande e risposte, ho lasciato la sala. Non potevo sopportare di sentire la sua storia. Mi ha ricordato la mia sofferenza, la mia prima infanzia e i miei genitori, morti durante l’Olocausto. Forse è stato molto egoista da parte mia, ma E. mi ha dato un esempio e una lezione molto importante per “rendere ogni incontro proficuo”. Dopo essere uscita dalla sala, sono andata a sedermi in caffetteria. All’improvviso ho sentito qualcuno che mi ha messo una mano sulla spalla. Era E. che mi ha detto: “Ti ho vista alla mia conferenza e ti ho vista anche uscire alla fine. È successo qualcosa? Ti ho offesa?”. Anche se E. aveva tutte le ragioni del mondo per essere ostile nei miei confronti, ci siamo avvicinate con grande compassione, rendendoci conto che entrambe avevamo sofferto, ma avevamo trovato la nostra forza interiore, raccolto i pezzi e abbracciato quella situazione. Dopo aver parlato e pianto, io e E. ci siamo subito sentite legate, ed abbiamo avvertito un grande amore e reciproco apprezzamento l’una per l’altra. Siamo state in grado di unirci profondamente come donne e di vedere oltre le differenze della nostra nazione. Nel corso degli anni, E. ha anche ricoperto cariche politiche importanti e questo a livello storico è un risultato importante per una donna cristiana che vive in quel contesto. Oggi, devo ammettere, E. è la mia anima gemella oltre il muro.
Bella Gal
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Ott 16, 2021 | Cultura, Dialogo Interreligioso
A pochi giorni dalla chiusura del “Tempo del Creato”, alcune riflessioni ed esperienze sul contributo che noi, cittadini del mondo, appartenenti a diverse religioni, possiamo offrire per la salvaguardia del nostro pianeta e dell’umanità, vedendo nella creazione un punto di incontro. Come “una sorella, con la quale condividiamo l’esistenza, e come una madre bella che ci accoglie tra le sue braccia”. Sono le parole con le quali il Santo Padre, nel descrivere il nostro pianeta, ci introduce all’interno della sua Esortazione Apostolica Laudato Si. Un appello, quello del Papa, rivolto a “tutti gli uomini di buona volontà” e ai credenti di ogni fede: “la maggior parte degli abitanti del pianeta si dichiarano credenti, e questo dovrebbe spingere le religioni ad entrare in un dialogo tra loro orientato alla cura della natura, alla difesa dei poveri, alla costruzione di una rete di rispetto e di fraternità”.[1] La nostra casa è in pericolo e la gravità della crisi ecologica che stiamo vivendo necessita di una via da percorrere per il bene comune. Scavare in profondità, fino a giungere all’essenza di ciascuna fede, è il modo per scoprire, con meraviglia, di essere uniti nel creato. È il modo di ritrovarci, nella bellezza della diversità, come fratelli che vivono sotto lo stesso tetto. “L’ebraismo insegna che siamo partner di Dio nella creazione” spiega Emily Soloff, Direttore Associato per le relazioni interreligiose e intergruppi presso l’American Jewish Committee. “Non siamo proprietari della creazione – continua – ma abbiamo la responsabilità di custodire e curare il mondo. (…) Lo Shabbat è un giorno in settimana in cui riduciamo intenzionalmente il nostro consumo di energia spegnendo completamente computer, telefoni e altri dispositivi elettronici. Non guidiamo una macchina o facciamo acquisti durante lo Shabbat. È un giorno di riposo”. La modernizzazione ci ha allontanati, progressivamente, dal vedere la terra come una manifestazione del divino, lasciando trionfare l’uomo sulla natura. Mostafa El-Diwany, medico musulmano del Dipartimento di Medicina dell’Università di Montréal-Canada racconta: “Nell’Islam, come nelle altre fedi abramitiche, l’asse dell’essere è l’Unità di Dio; il Creatore è la fonte di tutto ciò che esiste (…). Come tale, ogni organismo vivente e la materia stessa sono impregnati del Sacro, e di conseguenza sono sacri. Questa nozione non ostacola in alcun modo lo studio oggettivo del mondo fisico e dell’uomo al suo interno. (…) Dio ha dato dignità all’uomo sul resto della Sua creazione affidandogliene la vicegerenza. Questo non è un ruolo di dominio e di sfruttamento, ma una posizione di responsabilità (…)”. Quella che, dunque, sembra essere una crisi ambientale, potrebbe essere vista come una crisi spirituale, l’incapacità di riconnettersi con il divino e vivere in armonia con la natura. Ristabilire l’ordine con il creato “è alla base dei precetti buddisti” dice Wasan Jompakdee, Membro cofondatore ed ex Segretario Generale della Fondazione Dhammanaat per la Conservazione e lo Sviluppo Rurarale in Thailandia. Nel raccontare l’opera intrapresa da Phra Ajahn Pongsak Techadhammo, monaco fondatore, racconta: “Circa trent’anni fa egli iniziò ad osservare la perdita di alberi e di terreno sulle montagne della Thailandia settentrionale. I bacini idrici d’alta quota che alimentavano i torrenti e i fiumi sottostanti venivano danneggiati, causando il lento prosciugamento dei fiumi. (…) Egli fece un passo radicale per invertire la desertificazione, mobilitando gli abitanti per rigenerare le loro terre sterili e ripristinare i bacini idrici. (…) Oggi, le aride terre gialle desertificate che aveva protetto sono state rinverdite con alberi da frutto”. È una logica di compassione per ciò che ci circonda, per quello spazio che ci è stato donato e che dobbiamo condividere. Secondo l’induismo “la natura – dice Meenal Katarnikar, membro della Facoltà di Filosofia dell’ Università di Mumbai – appartiene a tutti, agli animali, agli uomini, agli dei e alle piante e ama tutti allo stesso modo”. “In India – continua – le rime della nostra infanzia rispecchiano la nostra amicizia con gli animali come le mucche, i passeri e i corvi. Ogni boccone con cui la madre nutre il bambino è associato a ‘fratello passero’ o ‘caro corvo’, o ‘fratello pavone’ ”. Questa fratellanza, che tanto ricorda il “Cantico delle creature” di San Francesco d’Assisi, è possibile solo se ci riscopriamo follemente innamorati della creazione. Uno slancio che riguarda indistintamente tutti, anche in ambito cristiano, dove ci sono varie Chiese. Il Patriarca Ecumenico di Costantinopoli Bartolomeo I al Vertice di Halki (Turchia) nel 2012 dice: “Noi cristiani siamo chiamati ad accettare il mondo come sacramento di comunione, come modo di condividere con Dio e con il prossimo in una scala globale. È nostra umile convinzione che il divino e l’umano s’ incontrino nel più piccolo dettaglio della veste senza cuciture della creazione di Dio, persino nell’ultimo granello di polvere del nostro pianeta”[2].
Maria Grazia Berretta
[1] Papa Francesco, Lettera Enciclica Laudato sì, 201. [2] Patriarca Ecumenico di Costantinopoli Bartolomeo I, Discorso Global Responsibility and Ecological Sustainability: Closing Remarks, I Vertice di Halki, Istanbul, Turchia, 20 giugno 2012. (altro…)
Ott 6, 2021 | Dialogo Interreligioso
Un Convegno alla Facoltà Teologica di Innsbruck (Austria) a conclusione di un percorso pluriennale d’attività intellettuale e esercizio esistenziale.
“Guardare tutti i fiori” un titolo insolito per un convegno teologico e, oltre tutto, in un contesto prestigioso come quello della Facoltà Teologica di Innsbruck che gli addetti ai lavori identificano con il nome di Karl Rahner, sepolto nella grande chiesa gesuita che divide le due ali dell’Ateneo. È stato significativo che proprio qui, nella prestigiosa Leopold Saal si sia svolto questo convegno, caratterizzato da una buona presenza (circa cento persone) con 150 punti di ascolto in altri continenti . Non si è trattato di un evento isolato, quanto della conclusione di un percorso iniziato quasi un decennio fa in occasione di un convegno islamo-cristiano organizzato dal Movimento dei Focolari e fondato su uno scambio di esperienze di dialogo della vita. Due professori della facoltà teologica austriaca – Roman Siebenrock e Wolfgang Palaver – presenti in quell’occasione mostrarono grande interesse a questa esperienza di dialogo. Nei mesi successivi a contatto con la spiritualità dei Focolari avevano visitato anche il nascente Istituto Universitario Sophia e il centro internazionale del Dialogo Interreligioso del Movimento. Da qui l’idea di formare un gruppo di ricerca con accademici delle due religioni per approfondire aspetti della spiritualità dalle due prospettive. Da allora, ogni anno, alla fine di agosto questo gruppo – chiamato cluster – e composto da una ventina di persone di diverse provenienze si è regolarmente incontrato per alcuni giorni. Fin da subito non è stata una semplice attività intellettuale ed accademica ma anche un esercizio esistenziale che ha via via costruito rapporti profondi a livello personale, culturale, religioso ed intellettuale. Negli ultimi anni l’interesse del gruppo si è concentrato su alcune pagine di carattere mistico di Chiara Lubich. I passi, fra i quali quello che ha dato il titolo alla conferenza, sono stati approfonditi sia nella sensibilità cristiana (cattolica e riformata) che in quella musulmana (sunnita e sciita). Al termine di questo percorso, si è deciso di organizzare un convegno accademico che potesse permettere la condivisione della ricchezza di queste riflessioni.
Il convegno di questi giorni ha aperto questa esperienza ad un pubblico accademico, e non solo, di matrice tedesca (austriaci, svizzeri e tedeschi erano infatti la stragrande maggioranza dei partecipanti) esprimendo nello stile, nel linguaggio e nelle categorie di pensiero di questa parte di Europa un patrimonio spirituale recente (quello della Lubich) capace, però, di coagulare pensatori di diverse provenienze, sia etniche che culturali e soprattutto religiose o meno: cattolici, riformati, musulmani e marxisti. Ad una riflessione teologica sul passo che ha dato il titolo all’evento – un intervento del teologo riformato Stefan Tobler – hanno fatto seguito altre riflessioni e tavole rotonde da cui sono emerse le esperienze di comunione intellettuale e spirituale che questi accademici – cristiani e musulmani – vivono da anni. Come percepiva un’artista ginevrina intervenuta ai lavori, si notava una testimonianza chiara quando sul palco saliva un gruppo che offriva un contributo a più voci. Un aspetto che raramente si trova in ambito accademico e che in questi giorni ha caratterizzato il convegno con una dimensione importante: la comunione di pensiero e di spirito. Inoltre, la presenza di cattolici, riformati, marxisti e musulmani ha offerto uno spaccato notevole di scuole di pensiero, di sensibilità accademiche ma anche culturali e religiose che non è facile trovare nel mondo attuale che vive di forti polarizzazioni quotidiane anche nell’ambito accademico e culturale.
Roberto Catalano
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Set 11, 2021 | Dialogo Interreligioso
La solidarietà condivisa sull’11 settembre da cattolici e musulmani ad Indianapolis (Usa) continua. Nei giorni successivi agli attacchi terroristici dell’11 settembre 2001, molti musulmani americani hanno subito un contraccolpo aggressivo e talvolta violento da parte dei loro connazionali, perché gli uomini che quel giorno dirottarono gli aerei di linea erano estremisti musulmani. Il Nur-Allah Islamic Center di Indianapolis è stato oggetto di molteplici minacce di attentato nei giorni successivi all’11 settembre. Così, quando i musulmani del centro si sono riuniti per la preghiera il venerdì dopo gli attacchi, sapevano che potevano diventare loro stessi vittime di un attacco. Ma non erano soli.
Ad unirsi a loro quel giorno c’erano alcuni dei loro amici cattolici che erano membri dei Focolari, un movimento ecclesiale laico internazionale nella Chiesa che, tra le altre cose, promuove una maggiore unità nella più ampia famiglia umana. “È stata un’esperienza molto emozionante”, ha detto il membro di Nur-Allah David Shaheed, che ha anche servito come giudice della contea di Marion dal 1996. “Si sono sentiti legati a noi. Hanno sentito che eravamo amici e vicini di casa. Hanno messo a rischio la loro vita per essere con noi in un momento così storicamente tumultuoso e spaventoso”. John Mundell, un membro della parrocchia di San Pio X l’11 settembre, faceva parte del gruppo dei Focolari che venne a Nur-Allah il 14 settembre 2001. “Quell’esperienza è stata probabilmente uno dei momenti più sacri della mia vita”, ha detto. “Quando siamo entrati come gruppo e ci hanno visto, si poteva dire dallo sguardo sui loro volti che si rendevano conto che ciò che avevamo stabilito era reale. Non c’era niente di falso o superficiale”.
I membri dei Focolari sapevano che scegliere di stare con i loro amici del Nur-Allah dopo le minacce di bombardamento contro il loro centro poteva mettere in pericolo le loro vite. Ma la loro relazione reciproca era abbastanza importante per loro che hanno accettato quel rischio. “La nostra fede cattolica ci chiamava ad essere lì con loro”, ha detto Mundell, ora membro della parrocchia di Nostra Signora di Lourdes a Indianapolis. “Questo è stato il punto in cui la gomma ha incontrato la strada. Dentro di te, sai qual è la cosa giusta da fare, ma poi devi dire, ‘Sì, lo stiamo facendo’. “Per fortuna, quel giorno non ci sono stati attacchi. Ma alcuni membri di Nur-Allah hanno così apprezzato la solidarietà mostrata loro dai loro amici cattolici che si sono uniti a loro per la messa due giorni dopo nella chiesa di San Pio X. “Era amore reciproco”, ha detto Mundell. “Ti allungavi con amore e poi ricevevi questa specie di onda [d’amore] indietro. Era una sensazione sacra. In qualche modo c’era la presenza di Dio in questa relazione che avevamo stabilito”. Quella relazione era iniziata nel 1997 e seguiva l’esempio di Chiara Lubich, la fondatrice italiana dei Focolari, che aveva raggiunto W.D. Muhammed, il leader di un ramo dell’Islam negli Stati Uniti composto principalmente da neri americani. Negli anni che seguirono l’inizio della relazione a Indianapolis, i membri dei Focolari e Nur-Allah ospitarono incontri di cattolici e musulmani che attiravano persone da tutto il Midwest. Uno aveva avuto luogo a Indianapolis meno di due mesi prima dell’11 settembre. Ma gli eventi di quel giorno hanno rapidamente approfondito il loro rapporto in modi che non avrebbero potuto immaginare. “Ci sono momenti in cui Dio ci chiama all’unità attraverso il dolore”, ha detto Michael Saahir, l’imam residente di Nur-Allah. Questa, per lui, è una lezione duratura dell’11 settembre, che teme venga dimenticata con il passare degli anni. “Troppo spesso, quando il dolore si placa, noi dimentichiamo”, ha detto Saahir. “Tendiamo a dimenticare troppo facilmente. O non ci prendiamo nemmeno il tempo di studiare le lezioni che ne derivano. E l’unità della famiglia umana è la principale”. Negli ultimi anni, i membri del Focolare di Indianapolis sono diventati più consapevoli del dolore provato dai loro amici musulmani neri a causa della loro razza. “Non siamo perfetti come americani, come cattolici nell’abbracciare questa idea di fratellanza e sorellanza universale”, ha detto Mundell. “Abbiamo una lunga strada da percorrere. C’è un aspetto razziale su cui dobbiamo continuare a lavorare e ascoltare”. I membri dei Focolari e di Nur-Allah si stanno impegnando affinché le lezioni dell’11 settembre e altre lezioni siano ricordate. Nei mesi e negli anni che sono seguiti a quel giorno, persone di entrambe le comunità di fede sono state invitate nelle parrocchie di tutta l’arcidiocesi e oltre e nelle università per parlare della loro esperienza e relazione interreligiosa. Quando Mundell ha iniziato a ricevere questi inviti, ha cominciato a riconoscere un significato ai semplici legami personali che erano stati creati con i suoi amici musulmani nel 1997. “Ci ha fatto capire l’unicità di quella relazione e che non era più destinata solo a noi”, ha detto. “Era destinato ad essere condiviso con tutti”. “La gente ha bisogno di vedere un modello o un esempio”, ha detto Saahir. “Sono grato che la nostra relazione con i Focolari sia un modello, non solo per i musulmani e i cattolici, ma per chiunque possa vedere che questo è fattibile e ha una lunga durata”. Mundell e Saahir sperano che la longevità della relazione tra le loro due comunità continui nella prossima generazione”. “È come trasmettere la propria fede”, ha detto Mundell. “La prossima generazione deve assumerla come propria. Devono avere la loro esperienza. Questo è qualcosa che faremo per il resto della nostra vita. Le relazioni devono essere continuamente rinnovate e ricostruite”.
Di Sean Gallagher per “The Criterion”, 3 settembre 2021
Al servizio della Chiesa nell’Indianapolis centrale e meridionale (Usa) dal 1960
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