Storia del Genfest
https://youtu.be/zGVMkJYcm1U (altro…)
https://youtu.be/zGVMkJYcm1U (altro…)
Promosso dal Centro Evangelii Gaudium (CEG) dell’Istituto Universitario Sophia (Loppiano – Italia), in collaborazione con il Centro di spiritualità di comunione per sacerdoti, diaconi e seminaristi diocesani “Vinea Mea” (Loppiano – Italia), dal 13 al 30 luglio 2017. Per informazioni: cfs.sophia@gmail.com Dépliant-Corso-Loppiano-2017
«È del 25 marzo scorso la ricorrenza del 60° dei Trattati di Roma, che diedero vita concretamente a quella “comunità di popoli” di cui Robert Schuman aveva già piena visione. Il 7 maggio 1950, infatti, aveva proposto ad Adenauer “una solidarietà di produzione” di carbone ed acciaio, che rendesse impossibile ogni forma di guerra tra Francia, Germania e gli altri Paesi che vi avrebbero aderito. Un atto straordinario per riconciliare popoli prostrati dal più terribile conflitto fino ad oggi sperimentato. L’Europa era devastata, oltre 35 milioni di morti, non solo macerie, ma anche distruzione sociale, politica, morale. Senza leggi, senza ordine pubblico, senza servizi… In quei giorni sconvolgenti sarebbe stato già molto mettere in sicurezza i confini e vigilare sugli accordi di pace. Come si è arrivati, invece, ad immaginare di guarire così profondamente le ferite da fare di tanti popoli contrapposti un solo popolo europeo? Chi ispirava Schuman, Adenauer, De Gasperi e altri ancora? Vogliamo pensare che a suscitare le idee e la forza per l’Europa sia stato Dio. Dio che ha testimoniato il suo amore per gli uomini fino a morire per loro di una morte atroce e infamante, che lo ha identificato con tutti i dolori dell’umanità, compresi quelli derivanti da violenze e guerre. Dio che anche oggi può sollecitare i popoli a riconciliarsi e divenire un’unica famiglia universale. I fondatori dell’Europa ne hanno fatto l’esperienza. Non si sono lasciati schiacciare dalla assurdità del male, dalla disumanità delle dittature, del conflitto, della Shoah… Diceva Chiara Lubich, la fondatrice del Movimento dei Focolari, a proposito della cultura che nasce da una profonda riconciliazione: “…ogni persona può portare un contributo suo tipico in tutti i campi: nella scienza, nell’arte, nella politica, nelle comunicazioni e così via. E maggiore sarà la sua efficacia se lavora insieme con altri uniti nel nome di Cristo. È l’Incarnazione che continua, incarnazione completa che riguarda tutte le membra del Corpo mistico di Cristo. Nasce così, e si diffonde nel mondo, quella che potremmo chiamare “cultura della Risurrezione”: cultura del Risorto, dell’Uomo nuovo e, in Lui, dell’umanità nuova” . E se questa fu in certo modo l’avventura dei fondatori dell’Europa, possiamo – e vorrei dire: dobbiamo – aspirare a continuare la loro opera. Vi siamo chiamati tutti. L’unità dei popoli dell’Europa è un percorso al contempo educativo, culturale, spirituale, ed anche politico, economico, sociale, comunicativo. Ecco, dunque, qualche possibile ulteriore passo: innanzitutto è richiesto a noi cristiani non solo la riconciliazione ma un cammino di comune testimonianza, cammino che ha visto recenti incontri storici: a Lund, in Svezia; a Lesbo, in Grecia; a Cuba. A noi tutti il compito di contribuire ai passi verso la piena e visibile comunione, sapendo quanto ciò sarà determinante per l’unità dell’Europa e per servire meglio l’umanità.
Vogliamo poi allargare lo sguardo all’intera Europa – dall’Atlantico agli Urali – e ciò significa riconoscimento reciproco dei valori e spazi di collaborazione tra Nord e Sud, tra Est e Ovest. Le guerre, i regimi totalitari, le ingiustizie, hanno lasciato ferite da risanare. Per essere davvero costruttori di unità europea, dobbiamo riuscire a riconoscere che ciò che oggi siamo è frutto di una vicenda comune e di un destino europeo da prendere interamente nelle nostre mani. Se una conseguenza fosse rinnovare le relazioni tra Unione europea e Paesi europei ad essa non aderenti, ciò sarebbe un importante passo per la pace, in particolare per il Medio oriente. In Europa vi è anche una forte necessità di partecipazione dei cittadini alla vita delle città e dell’intero continente. In altre parole di rigenerare la democrazia che è nata in Europa, ma oggi ha bisogno di una nuova dimensione, più effettiva, più densa, più adatta a questo secolo. E ancora: in un contesto europeo multiculturale e multireligioso c’è grande bisogno di una nuova capacità di dialogo. Dialogo che può poggiare sulla “Regola d’oro“, che dice: “Fa’ agli altri ciò che vorresti fosse fatto a te” (cfr Lc 6,31) ; regola comune a tutte le principali religioni della terra e accolta volentieri anche da chi non ha riferimento religioso. Occorrerebbe poi rivedere e applicare, anche a livello istituzionale, il motto scelto dall’Unione Europea “unità e diversità”. Sarebbe un dono anche per i popoli che in altri continenti cercano vie per unirsi. Nella visione dei fondatori l’Europa non è mai stata pensata chiusa in se stessa, ma aperta all’unità della famiglia umana. Ed è significativo riaffermarlo qui a Malta, lo Stato europeo più a sud, immerso per cibo e lingua e, innanzitutto, per vocazione nel Mediterraneo, che da tomba azzurra deve ri-essere “Mare nostrum”: di un’Europa, di un’Africa e di un Medio Oriente uniti. Le tante crisi internazionali in corso ci danno la nitida percezione di quanto sia lunga la strada per arrivarvi veramente. Diceva ancora Chiara Lubich: “Occorre uno studio paziente, occorre sapienza, occorre soprattutto non dimenticare che c’è Qualcuno che segue la nostra storia e desidera – se collaboriamo con la nostra buona volontà – attuare i Suoi disegni d’amore sul nostro continente e su tutto il nostro pianeta”. Possiamo concludere che per un fine così alto vale senz’altro la pena di impegnare la nostra esistenza. Che anche questo Forum contribuisca a mettere in piedi quella “Europa famiglia di popoli” che, secondo papa Francesco, è “capace di dare alla luce un nuovo umanesimo basato su tre capacità: la capacità di integrare, la capacità di dialogare e la capacità di generare”». Maria Voce Malta, St John’s Cathedral, 7 maggio 2017 (altro…)
Si viaggia per vari motivi: curiosità, sete di conoscenza, spirito d’avventura, per trovare delle risposte o per conoscersi. Non così Gianni Ricci, autore insieme a Delfina Ducci di un volume edito da Città Nuova, Il lungo cammino del “farsi uno”, che di chilometri ne ha percorsi tanti. La sua è una “vita in viaggio”, si potrebbe dire, ma per accostare le infinite modulazioni dell’umanità sofferente. Nato a Ripalta Cremasca, nel Nord Italia, in una famiglia semplice ma dignitosa, cresce nell’autenticità dei valori cristiani. A vent’anni conosce l’ideale dell’unità di Chiara Lubich, che rivoluziona il suo modello di vita cristiana, tanto da fargli capire che quella del focolare è la strada da percorrere per tutta la vita. Nel 1964 parte per Loppiano (Firenze, Italia), cittadella nascente del Movimento, cui si dedica per oltre vent’anni con grande dedizione. Dopo Loppiano, la sua adesione ai piani di Dio lo porta a spostarsi, prima in Turchia, per seguire gli sviluppi della nascente comunità, quindi Libano, Terra Santa, Algeria, Giordania, Iraq, Egitto, Siria, Tunisia, Marocco … «Quante mutazioni impreviste in me! Sono in Turchia. Che cosa mi manca qui, di occasione e di grazia, per farmi santo? Qui c’è tanto lavoro da fare». Gianni Ricci, globe trotter dell’anima, annota tutto ciò che incontra, forse glissando sulle difficoltà incontrate, specie nel relazionarsi con popoli così diversi. Pur mostrando la tragedia delle guerre, che causano ferite profonde nella popolazione e ne smorzano le speranze in un possibile futuro di stabilità e pace, non cerca soluzioni o possibili spiegazioni nella storia. Semplicemente vive accanto a chi incontra, con cuore libero e aperto verso un’umanità “allargata”, che parla la stessa lingua del cuore e della sofferenza. «A fine gennaio 1986, con Aletta (focolarina dei primi tempi) intraprende il primo viaggio da Istanbul ad Ankara e da qui a Beirut, in Libano. L’aeroporto è quasi distrutto dalle bombe! Il Libano è travolto dalla guerra civile (…). I controlli sono implacabili, le autorità sospettano di tutto e di tutti. Ogni posto di blocco è presidiato da fazioni diverse. Dopo otto giorni, Gianni riparte per Istanbul. Lungo i 120 km che separano Beirut dal confine con la Siria, li aspettano ben 13 posti di blocco. Al primo rischiano la pelle. Gianni si ferma davanti a una garitta, dove un soldato armato fino ai denti gli chiede i documenti. Glieli consegna e riparte. Fatti pochi metri un ragazzo gli intima di tornare indietro facendo notare che la guardia ha il fucile puntato e non ha dato il permesso di procedere. Non ha premuto il grilletto, grazie ad Allah, gli dice». Non è un racconto politico, ma squisitamente e “solamente” umano. L’umanità di cui parla non ha colore o lingue, non ha passaporti, confini, leggi o usanze. In ogni luogo dove è destinato, Gianni ha una particolare cura per i rapporti con le Chiese locali, con l’Islam, con il mondo ebraico, con l’esigenza di sostenere tutte le persone che incontra a sconfiggere la paura, l’incertezza per il domani, la tensione provocata dalla guerra. Un susseguirsi di ricordi nella prospettiva dell’unità. Questa è la “logica” che ancora muove Gianni, stupito osservatore delle cose di Dio. Le citazioni sono tratte da “Il Lungo cammino del “farsi uno”. Esperienze in Medio Oriente, Città Nuova, 2016. (altro…)
Ogni vita ha in sé una speranza. Anche nel tunnel oscuro della dipendenza si può accendere una luce. Nel 1983, nella città di Guaratinguetá, nello Stato di San Paolo (Brasile), Nelson Giovanelli si avvicina a un gruppo tossicodipendenti, incoraggiato da Padre Hans Stepel, francescano tedesco. Il giovane Nelson si conquista la loro fiducia. Uno di loro, Antonio Eleuterio, chiede aiuto per uscire dal giro della droga. Sono i primi passi della grande famiglia della Fazenda da Esperança. Nel 1989, Iraci Leite e Lucilene Rosendo, due giovani ragazze della stessa parrocchia, seguendo l’esempio di Nelson lasciano tutto per dedicarsi totalmente a questa nuova missione. Nel 2007 papa Benedetto XVI visita la comunità di Pedrinhas, in Brasile, nei pressi del santuario di Aparecida. Da allora la proposta di vita della Fazenda da Esperança inizia a diffondersi in tutto il mondo. Gli operatori delle attuali 118 Fazende, sparse in 17 nazioni, sono persone volontarie, spesso reduci da un passato di droga e alcol, che dopo un cammino di recupero hanno avvertito la chiamata di Dio a diventare a loro volta portatori di speranza per quanti sono precipitati in quello stesso buio. Ai primi di maggio 2017, 60 volontari di varie Fazende del mondo si recano ad Assisi, la cittadella di San Francesco e Santa Chiara, e a Loppiano (Italia), per iniziare una nuova “missione di speranza” lungo le strade d’Europa. Per due settimane accanto a loro ci sarà anche il gruppo internazionale Gen Rosso. Germania, fine maggio. Raccontano alcuni componenti della band: «Ogni mattina una carovana di auto e minibus parte alla volta di una nuova destinazione, in un’area di 400 chilometri: scuole, comunità, gruppi, carceri. I ragazzi e le ragazze della Fazenda condividono la loro vita travagliata, suscitano interrogativi, rispondono a domande. Soprattutto accendono la speranza: se loro ce l’hanno fatta perché io no? Sono storie di droga, disperazione, solitudine, paura, crimini, carcere. Quando il buio è totale, una luce si è accesa nella loro vita: Dio mi ama, così come sono, così come mi sono ridotto. A cosa aggrapparsi per rinascere? Alla “Parola di vita”, all’amore scambievole, pane quotidiano per rialzarsi e ripartire». Un messaggio dirompente, che viaggia al suono delle parole, ma anche al ritmo della musica e su passi di danza, facendosi sempre più coinvolgente. Dapprima suscita semplice curiosità e momenti di sospensione. Poi la titubanza si scioglie, sulla bocca di tanti ragazzi si apre il sorriso. Fino ad arrivare a momenti di scambio profondo. «Anche oggi l’annuncio di speranza ha fatto breccia in molti cuori». Il tour “Every Life Has Hope” percorre chilometri, attraversa città e regioni diverse, testimoniando la presenza di Dio nell’oggi della società, e la possibilità per tutti, nessuno escluso, di ricominciare. Nel carcere di Bielefeld, la “carovana” incontra cento detenuti. Ad Arnsberg, città del nord-est della Germania, i componenti del Movimento Shalom. Il giorno di Pentecoste, a Colonia, il viaggio prevede una tappa in una comunità parrocchiale, e nel pomeriggio l’incontro con la Caritas. Su invito del Vescovo ausiliare, la band canta alla messa in Cattedrale, proponendo “Io ero lì”, composta appositamente per l’occasione. A Gut Hange si festeggiano i primi 5 anni di apertura di una Fazenda femminile. E ancora: visite a strutture di accoglienza per barboni, malati terminali, incontri con studenti e con ragazzi drogati ospiti di una struttura pubblica, con una congregazione di suore che si dedica all’accoglienza di ragazze in serie difficoltà. Il tour fa tappa anche in Belgio, presso la comunità di Peer, cittadina che vedrà a breve l’apertura di una nuova Fazenda. Dopo due settimane intense e gioiose, il gruppo della Fazenda prosegue per Berlino e la Polonia, mentre il Gen Rosso torna a Loppiano in vista delle prossime tappe del musical “Campus” in Puglia (sud Italia), dove vi sarà l’inaugurazione di una nuova Fazenda. Ancora insieme, per accendere nuova speranza. (altro…)
Quante volte si deve perdonare? «Tre anni fa il mio fratellastro più grande è venuto a casa nostra e ha offeso mia moglie mentre mi trovavo fuori al lavoro. Quando sono tornato a casa mi sono arrabbiato molto, ma insieme abbiamo deciso di non reagire. Abbiamo poi saputo che la figlia, che abitava con noi in quel periodo, era tornata a casa sua dicendo che doveva prepararsi da sola il pranzo. Inoltre, con nostra grande sorpresa, mio fratello ha iniziato a raccontare alle persone della nostra comunità che lo avevamo insultato e che ci avrebbe perdonato soltanto dopo le nostre scuse. A questo punto per noi era troppo e per un anno non ci siamo più rivolti la parola. Un giorno mi sono ricordato che Gesù ci ha insegnato che dovremmo perdonare settanta volte sette, qualunque sia la situazione che si presenti e perfino pregare per i nostri nemici. Così, l’ultimo giorno dell’anno, ho organizzato una riunione di riconciliazione fra di noi, alla presenza di tutta la famiglia allargata. Sono stato il primo a parlare. Ho detto ai membri della famiglia che non eravamo lì per fare lunghi discorsi, né per giudicare l’altro, ma semplicemente per chiedere scusa a mio fratello maggiore e che eravamo dispiaciuti per averlo offeso. Poi mi sono alzato e mi sono inginocchiato davanti a lui, un gesto che voleva significare umiltà e magnanimità, due virtù cristiane. I membri della famiglia, compreso mio fratello, sono rimasti storditi da questo gesto e nessuno di loro osava dire una parola. Dopo qualche momento lui ha detto che mi aveva perdonato. Siamo tornati a casa felici e sereni per aver ristabilito la pace fra le nostre famiglie». (Christopher e Perpetua Idu – Africa)
Perla di grande valore «Stavo vivendo un matrimonio davvero duro. Mio marito, che un tempo era un uomo gentile, intelligente e colto, era diventato alcolista per via del periodo in cui era stato sotto le armi. Poco dopo il suo ritorno in Inghilterra dal fronte ha ripreso la vita in modo normale, ma presto ha sviluppato un’ulcera duodenale che gli dava tanto dolore. Era incurabile e molto spesso non era in grado di lavorare. Fu allora che ha scoperto l’alcool come un efficace antidolorifico … Beveva in modo pazzesco. Ho vissuto con lui questo momento terribile. È stato un vero trauma sia fisico che mentale: non ce la facevo più! Mi sono consigliata con diversi medici e professionisti ma senza esito. Dopo qualche anno abbiamo incontrato il Movimento dei Focolari. Ho scritto a una persona verso cui avevo tanto rispetto e fiducia. La sua risposta mi ha stupito: «Grazie per aver condiviso con me la tua “perla di grande valore” …». Come poteva essere chiamata l’enorme difficoltà che stavamo vivendo: una “perla di grande valore”? Ci sono voluti anni per cominciare a capire come potevo trasformare la sofferenza in amore, a saper perdere tutto ciò che credevo fosse necessario per noi, essere accettati socialmente, e non fare più finta che tutto fosse a posto. In fondo si trattava di dire di “sì” piuttosto di “no”. Alla fine mi sono arresa permettendo a Dio di avvolgermi tra le Sue braccia. E Lui si è manifestato. Nell’ultimo periodo della vita, mio marito ha fatto un’esperienza profonda dell’amore personale di Dio per lui e non ha più bevuto. Anch’io sono riuscita a liberarmi della depressione. Certamente per giungere a questo traguardo ho impiegato un gran parte della mia vita. Ma era, ed è, la mia “perla di grande valore”». (Fonte: New City – Londra) (altro…)