Mar 19, 2021 | Focolari nel Mondo, Sociale
Nella periferia orientale di Lima in Perù la comunità dei Focolari assiste ogni giorno la gente che vive in estrema povertà, condividendo cibo, aiuti materiali, alfabetizzazione ed esperienze del Vangelo. Huaycán si trova nella periferia orientale di Lima (Perù). Dei 200.000 abitanti, il 90% sono immigrati dalle Ande, in fuga dalla povertà. Conservano le loro tradizioni e la loro lingua, il quechua, l’antica lingua degli Incas. Nelle parti più alte delle colline, la gente vive in estrema povertà. Le loro case hanno pavimenti in terra battuta e una sola stanza (i letti accanto alla cucina), mancano di acqua potabile, elettricità, fognature…. La maggior parte di loro sono venditori ambulanti. Alcune donne fanno le pulizie in casa e alcuni uomini sono operai edili o raccoglitori di rottami. La comunità di Lima ha guardato e scelto questa “ferita di Cristo” per amarla con predilezione. “Siamo arrivati a Huaycán – ricorda Elsa – nel 1998, quando Tata, Carmen, Maria e Milagros ed io portammo la Parola di Vita ad una comunità vicina alla “Scuola Fe y Alegría” delle Suore Francescane. Poi si sono aggiunti Elba, Mario, Lula, Yeri, Fernando e Eury, Cristina… Siamo andati nelle zone alte delle colline e abbiamo condiviso con i più poveri dei poveri le esperienze del Vangelo. Hanno sofferto di malattie, violenza familiare, promiscuità, disoccupazione, droga, fame”. “Ci sedevamo sulle pietre – dice Elba – poi, man mano che diventavano più sicuri, tiravano fuori le loro sedie. In inverno, ci invitavano nelle loro umili stanze. Lì abbiamo incontrato Olinda, la cuoca della scuola, che ha aperto la sua casa per incontrarci. Una bella persona, il nostro punto di riferimento locale. La morte di suo figlio prima e la sua morte improvvisa poi, ci hanno causato molto dolore”.
Per alleviare i bisogni, la comunità di Lima ha lanciato diverse iniziative: aiuti materiali, sostegno educativo per i bambini, formazione e alfabetizzazione per gli adulti, sostegno psicologico, follow-up e assistenza sanitaria, vendita di vestiti di seconda mano. “Ogni anno festeggiamo insieme il Natale e la festa della mamma, organizziamo gite e alcuni partecipano alla Mariapoli annuale – ricorda Mario -. Una coppia, dopo essersi preparata, si è sposata durante una delle Mariapoli, in presenza dei loro cinque figli e parenti. È stato un evento che ha segnato la loro vita, come la vita di tanti altri che hanno incontrato il Dio dell’Amore”. “Con la pandemia – continua Cristina – molti hanno perso il lavoro e non hanno abbastanza per nutrire i loro figli. Ci siamo organizzati con alcune famiglie per procurare il cibo necessario e distribuirlo ai più bisognosi. Una donna ha installato un forno, che era rimasto inattivo, per produrre pane. Da marzo a giugno, abbiamo distribuito 140 cesti di cibo e 12.720 pani. Abbiamo incontrato la comunità più povera Granja Verde, bisognosa di una sala da pranzo dove preparare il cibo. Ci siamo organizzati: hanno offerto un pezzo di terra e hanno posato il pavimento di cemento. Abbiamo fornito la cucina con gli utensili necessari e un serbatoio di 2.500 litri di acqua potabile. La sala da pranzo è stata inaugurata il 15 novembre 2020 e ha iniziato a funzionare il giorno seguente. Oggi produciamo 100 pasti al giorno. Sappiamo, come ci ricorda Papa Francesco, che se ci dimentichiamo dei poveri, Dio si dimenticherà di noi. Huaycán, il punto dolente di Cristo, è il nostro preferito e la nostra grande opportunità di ottenere la benedizione di Dio”.
Gustavo E. Clariá
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Mar 13, 2021 | Focolari nel Mondo, Sociale
Dall’impegno di una piccola comunità dei Focolari verso i più vulnerabili, nasce, in un paese della selva peruviana, un Centro per gli anziani intitolato alla fondatrice del Movimento.
Quattro anni fa, io Jenny con mio marito Javier e le nostre 3 figlie, arrivammo dall’Argentina con l’intenzione di abitare nel profondo Perù. Portavamo dentro di noi l’Ideale dell’Unità. Appena arrivati a Lámud, paese immerso nell’Amazzonia, sapendo che il Vescovo della Diocesi vi si trovava di passaggio, corremmo a salutarlo e ci presentammo come membri del Movimento dei Focolari. “Che bello che i focolari sono arrivati in Amazzonia!”, ci disse e ci diede la sua benedizione, con l’augurio di andare avanti. Allora ci mettemmo d’accordo con il parroco, il quale ci chiese di farci carico della Pastorale Sociale e della Catechesi Familiare dei paesi che fanno parte della parrocchia. Quindi, andammo in periferia per prendere contatto con la realtà sociale del posto, alcune volte accompagnati anche dalle nostre figlie. Scoprimmo una Lámud nascosta, piena di tanta sofferenza.
Decidemmo di cominciare dagli ultimi e ci accorgemmo che erano gli anziani, della terza età. Alcuni di loro non avevano nemmeno un letto degno, dove morire. Avevamo presente la meditazione di Chiara Lubich: “Una città non basta”. Facemmo il giro delle periferie del paese cercando quelli che erano soli, abbandonati, per portare loro una carezza, una parola di speranza, alimenti, vestiti e chiedevamo loro di pregare per noi, poiché iniziavamo la nostra avventura in questi luoghi, del tutto nuovi, per noi. Trascorso un po’ di tempo, abbiamo cominciato a sognare di poter dare agli anziani una casa degna, un pasto caldo e, la cosa più importante, che si sentissero accompagnati e non più da soli. Un sogno che, se da una parte sembrava lontano, dall’altra ci sembrava quasi a portata di mano, tanto che ci dicevamo: “Sì, noi possiamo! Dobbiamo fare qualcosa di più concreto che una semplice visita”. Insieme elaborammo un progetto: poche linee, ma ogni frase ci incoraggiava di più ad andare avanti. Pensammo anche al nome da dare alla casa. Ci guardammo negli occhi e decidemmo che si sarebbe chiamata: “Hogar y Centro de Día para Adultos Mayores, Chiara Lubich” (“Casa e Centro diurno per anziani, Chiara Lubich”).
Intanto, il nostro sogno prendeva forma. Ci sono stati tanti fatti e contatti con alcune persone che erano entusiaste del progetto. Jenny, intanto, aveva fatto diverse esperienze di volontariato in Argentina. Per lei si offrì l’opportunità di essere assunta dal Comune del Distretto di Lámud, per lavorare proprio per gli anziani della terza età! Infine, ci sentimmo animati dalle parole del Papa che invitava noi laici a lavorare in favore dei più vulnerabili, ancor di più in questo tempo di pandemia. Ci furono, insomma, tante belle coincidenze che ci fecero pensare che Gesù sarebbe stato contento di vedere nascere un’Opera per gli ultimi, nella Selva Peruviana. Cioè una casa degna, per gli anziani della terza età di questa provincia amazzonica. Nel frattempo, vedemmo che tutto avveniva in modo vertiginoso. Così, confidando pienamente nella Provvidenza di Dio e nella forza della preghiera, fummo sempre più consapevoli che Gesù non ci avrebbe lasciato da soli e fummo certi che, insieme alla nostra piccola comunità, non saremmo stati mai soli. In quei giorni, firmammo il contratto di affitto per la casa e portammo avanti le pratiche legali per costituirci in un’Associazione senza fini di lucro. Un gruppo di persone della comunità volontariamente si era già unita al progetto. Avevano risposto con un “Sì” fortissimo, all’impegno di lavorare per il bene delle persone più vulnerabili del paese di Lámud e della Provincia di Luya (Dipartimento di Amazonas). Preparammo subito il luogo per poter cominciare ad offrire agli anziani un pasto caldo al giorno, fornito dal Comune. E così ora, pian piano, valutiamo ogni passo da fare per raggiungere la meta, e cioè offrire agli anziani, a rischio di solitudine e abbandono, non solo gli alimenti ma anche la possibilità di risiedere stabilmente, nel Centro. Ma più che titoli, nomi e statuti, il nostro desiderio è che nella casa regni quel clima di unità, di armonia e di famiglia che Chiara Lubich ci ha lasciato come eredità, ed è per questo motivo che il Centro porta il suo nome. https://youtu.be/bqRSzfxmLS8 Jenny e Javier, con la comunità di Lámud (Dipartimento Amazonas, Perù)
Esperienza raccolta e tradotta da Gustavo E. Clariá
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Mar 11, 2021 | Focolari nel Mondo, Sociale
Microcredito e microfinanza comunitari per sostenere la crescita dei progetti in espansione. La testimonianza di Rose sull’importanza dell’iniziativa sostenuta dall’Amu. BIRASHOBOKA in kirundi significa “SI PUÒ FARE”. È da questa convinzione che è nato in Burundi (Africa) il progetto di Microcredito e Microfinanza comunitari. Nonostante le grandi difficoltà in cui versa ancora il Paese – è il secondo più densamente popolato in Africa ed è uno dei cinque Paesi con gli indici di povertà più alti al mondo – l’Amu, Azione per un Mondo Unito-Onlus, organizzazione non Governativa di Sviluppo che si ispira alla spiritualità del Movimento dei Focolari, sostiene da diverso tempo le capacità delle comunità locali. Dal 2007 infatti, in piena sinergia con l’organizzazione senza scopo di lucro CASOBU (Cadre Associatif des Solidaires du Burundi) aiuta le famiglie locali in un percorso di formazione e miglioramento delle proprie condizioni di vita.
Con il progetto “Si può fare!” mira a creare gruppi di microcredito comunitario i cui membri possano auto-sostenersi per la creazione di attività lavorative e, nella seconda fase, creare un gruppo di microfinanza comunitaria per sostenere la crescita dei progetti in espansione. “Nel mio gruppo abbiamo iniziato 13 anni fa – racconta Rose -. Con il primo credito ottenuto, ricordo benissimo di non aver fatto niente di particolare, ho comprato vestiti e beni che mi servivano, ma il resto l’ho sprecato. All’inizio non sapevo come intraprendere un’attività e quello che succedeva spesso era di avere difficoltà a ripagare i crediti ricevuti. Poi ho capito che non potevo continuare a prendere un prestito senza un progetto concreto e ho finalmente deciso di avviare il progetto del ristorante con i primi 300.000 Fbu (150 €). Ho iniziato a comprare le pentole, i piatti e poco a poco ho aperto il ristorante. Era il 2009, non avevo ancora nessun lavoratore. A quel tempo i miei figli mi aiutavano in cucina e io prendevo l’autobus per portare il cibo in città dove avevo i miei clienti.
Quando hanno iniziato a conoscermi e sono aumentati i clienti, ho potuto assumere i lavoratori. Sono orgogliosa che attraverso lo stipendio che ricevono anche io partecipo alla realizzazione dei loro sogni.” Rose, felice di aver intrapreso questo percorso, oggi riesce ad assicurare uno stipendio ad altre 5 famiglie oltre la sua. Ora vorrebbe migliorare e far crescere la sua attività, prendendo ad esempio in affitto una casa più grande, dove potrebbe cucinare e ridurre i costi del ristorante e degli spostamenti. È una decisione molto coraggiosa perché c’è da sostenere un investimento importante e Rose non ha i requisiti e le garanzie necessarie per accedere ad un prestito da una qualsiasi banca. E proprio per Rose e per molte altre persone che come lei vorrebbero far crescere le loro attività, è nato il progetto di AMU e CASOBU, che sostiene l’avvio di un’istituzione di Microfinanza comunitaria per offrire servizi di risparmio e credito alle persone con grandi sogni ma ancora oggi non bancabili. Per sostenere il progetto clicca qui
Lorenzo Russo
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Mar 5, 2021 | Famiglie, Focolari nel Mondo
La storia di una famiglia “allargata” che si apre ad un amore non scontato Accogliere in famiglia un bimbo, un giovane o una persona adulta è sempre una sfida. Complessa, per nulla scontata. Tanto nel suo farsi quanto nei suoi esiti, mai conclusi. A guardarle da fuori queste “famiglie allargate” si prova un sentimento misto di stima e di stupore, quasi che la serenità che manifestano siano frutto di un’indecifrabile alchimia d’amore. Una visione quasi romantica. Difficilmente s’immagina quanto sia complesso mettere insieme sensibilità, culture e abitudini diverse, e, concretamente, esigenze, orari e linguaggi, in un amalgama dove i tanti “Io” si fondono in un “Noi fluido”. Senza attriti o, meglio, con ingranaggi ben oleati. Il sentirsi, poi, una sola famiglia è una conquista che non mette al riparo da fatiche, dubbi, delusioni. Accogliere in famiglia Therese – raccontano Sergio e Susanna, della comunità dei focolari di Vinovo, nel torinese (Italia) – non è stato affatto facile. Il loro è un racconto schietto, per nulla edulcorato, e per questo autentico. A sostenerli in questa scelta è stata la volontà di vivere il loro essere famiglia come dono per gli altri, e il sentire la presenza spirituale di Gesù come frutto dell’amore reciproco. La decisione di aprire la porta, e il cuore, ad una giovane mamma africana, giunta in Italia come profuga, è stata presa d’accordo con le loro figlie, Aurora e Beatrice, di 20 e 17 anni. Ed è nella combinazione delle reciproche esigenze che sono insorte le prime difficoltà. “Beatrice ama pianificare ogni cosa – dice Susanna. Al mattino ha i minuti contati ma ogni tanto Therese si alzava prima e occupava il bagno. Questo le creava un problema, ma pian piano ha imparato a ‘fare famiglia’ con lei, dicendole con semplicità di mettersi d’accordo per l’uso del bagno. Aurora invece ha subito deciso di dividere il suo armadio con Therese e l’ha aiutata nello studio”. La sfida, infatti, è anzitutto quella di superare la contrapposizione, silenziosa, corrosiva, fra “noi” e “l’altro”. E accogliere l’altro nella nostra dimensione intima, estendere il “noi”. Nel “fare famiglia” c’è la volontà di adoperarsi per “essere famiglia”: in effetti l’amore è una anzitutto una scelta. Per gli adulti non meno impegnativa. “Nel desiderio di essere accogliente con Therese, mi sono ritrovata molte sere a parlare con lei fino a tardi – ricorda Susanna – ma poi ho iniziato a patire la situazione, non riuscivo a spiegare che al mattino mi sarei dovuta alzare presto, temevo di ferirla. Sergio mi ha aiutato ad affrontare la cosa con gentilezza e fermezza”. Per Sergio le difficoltà nascevano quando alla sera, piuttosto che rientrare a casa dal lavoro doveva andare a prendere Therese che studiava in un comune vicino: “le lezioni finivano tardi, Therese non sapeva usare i mezzi pubblici, e mi ritrovavo a cenare dopo le 21”. Anche qui, scegliere di amare voleva dire accogliere le esigenze di Therese, ma anche aver cura del benessere della famiglia: “Abbiamo cercato di insegnarle ad essere autonoma, come facciamo con le nostre figlie, perché essere disponibili non diventi un peso troppo grande per noi e un ostacolo alla sua crescita. Poco per volta lei ha imparato a usare i mezzi pubblici”. L’essere famiglia – hanno scoperto – definisce anche il modo in cui ci si presenta all’esterno: “Nei primi mesi in cui Therese era con noi – spiega Sergio – avevo messo nel profilo di whatsapp una foto in cui ero con Susanna e le figlie. Therese mi ha detto che non era una foto della famiglia perché mancava lei! Ed è questo che scopriamo ogni giorno: siamo un’unica famiglia perché figli dello stesso Padre, ci preoccupiamo gli uni per gli altri e gioiamo per le conquiste di ciascuno”. È quel “noi” che per amore si estende e si arricchisce.
Claudia Di Lorenzi
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Mar 3, 2021 | Focolari nel Mondo
L’esperienza del Centro Mariapoli in Paraguay durante la pandemia, in aiuto dei bisognosi del proprio quartiere Il centro Mariapoli “madre dell’umanità” si trova in Paraguay a soli 20 km dalla capitale Asunción, in un quartiere dove vivono circa 200 famiglie con buone condizioni economiche. Al Centro Mariapoli vivono stabilmente tre focolarine insieme ad altre tre sposate. Appena è iniziata la quarantena per il Covid 19 “non volevamo essere chiuse all’interno del centro Mariapoli – raccontano -, così abbiamo incominciato a guardare i bisogni delle famiglie del nostro territorio”. Nel quartiere venivano organizzate delle “pentole solidali”, cioè ognuno porta quello che ha e tutti insieme fanno un grande pentolone per condividere con tutte le famiglie. Poteva essere quindi l’occasione buona per mettere a disposizione la grande cucina del Centro Mariapoli. “Abbiamo scritto delle lettere per coinvolgere tutti i clienti e i fornitori del centro Mariapoli. Sono arrivati subito tanti aiuti, così abbiamo cucinato una buona salsa bolognese con pasta e riso, distribuita a circa 4000 persone del quartiere. Questo ci ha fatto scoprire tanto disagio: bambini che non avevano una casa, o avevano problemi di salute, o ancora case senza un bagno o case senza finestre. Abbiamo così iniziato ad occuparci dei loro bisogni”. In contemporanea si è creato nel quartiere un gruppo di WhatsApp per condividere esperienze di aiuto ai poveri e richieste di ogni genere. “In poco tempo i vicini ci hanno aiutato portando latte, olio, indumenti, cellulari perché i bambini potessero seguire le lezioni a scuola, un frigorifero, del materiale di costruzione, così abbiamo potuto costruire 5 bagni alle famiglie che non ne avevano”. La pandemia si è prolungata e con essa anche i problemi di gestione e le spese del Centro Mariapoli. “La nostra forza era quella di avere una cucina ben organizzata pertanto abbiamo incominciato proporre in vendita un menù per piatti da asporto. Le principali richieste arrivavano dai nostri vicini: questo nuovo impiego ci ha dato la possibilità di conoscere più a fondo alcuni di loro. Un giorno ad esempio un vicino ci ha chiesto aiuto per confessarsi: erano 32 anni che non si accostava al sacramento della riconciliazione. Un altro vicino invece, ciclista professionista, ha voluto organizzare una maratona nelle tre città principali del Paraguay e con il ricavato abbiamo aiutato due etnie dei popoli originari nel far arrivare l’elettricità e l’acqua potabile nelle loro case”. La provvidenza non è mai a mancata. “Un membro della comunità dei Focolari ha donato una somma di denaro utile per coprire 4 mesi di stipendi, poi è arrivata una friggitrice industriale, tanta verdura, frutta e tante cose e quello che ci ha sorpreso di più è che è arrivata anche una macchina per poter fare la distribuzione dei cibi. Ma il regalo, il dono più grande che la pandemia ci ha fatto a noi focolarine è stata la possibilità di essere vicino ai nostri poveri e vivere in pienezza il nostro carisma dell’Unità. Siamo qui in questa spaccatura, dove possiamo generare questa comunione fra ricchi e poveri e portare questa cultura della fraternità”.
Lorenzo Russo
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Feb 27, 2021 | Famiglie, Focolari nel Mondo
“Abbiamo imparato ad amarci senza chiedere nulla in cambio, come fa Dio” “A poco a poco ci siamo innamorati l’uno dell’anima dell’altro. Ci troviamo in una pienezza d’amore mai sperimentata, neanche quando eravamo fidanzati, e questo è possibile perché ora ci amiamo nella libertà, senza chiedere nulla in cambio, come fa Dio”. Nacho e Fili vengono dal Messico, sono sposati da 30 anni e hanno due figli. Raccontano che il loro amore sia nato davvero solo dopo aver fatto la scoperta che Dio è Amore e che ha amato l’uomo fino a dare la vita per lui. Nel misurarsi con un dono così grande hanno compreso che avrebbero potuto superare i limiti rispettivi e sanare le ferite che avevano lacerato il loro rapporto. Una scoperta che ha dato senso al percorso di ciascuno e li ha resi capaci di amarsi reciprocamente fino a donarsi l’uno all’altra. La loro storia, fino ad un certo punto, somiglia a quella di tante coppie. Due persone che si sentono innamorate e decidono di sposarsi, portando “in dote” ciascuna un vuoto interiore che mina le fondamenta di ogni progetto. Un vuoto che sperano di colmare sommando le piaghe rispettive: è la premessa di un abisso che porta ulteriore disgregazione. “Mio padre aveva un’altra moglie e altri figli – racconta Fili – e soffrivo per questo. Desideravo quindi sposarmi e avere una famiglia stabile”. “Anch’io da piccolo ho sofferto per l’assenza di mio padre e la poca attenzione di mia madre – continua Nacho – Io e Fili abbiamo unito le nostre solitudini, ma volevamo comare questi vuoti senza aver conosciuto l’amore vero. Presto ci siamo accorti dell’assenza di questo amore fra noi”. I problemi infatti arrivano presto. Per la gelosia di Fili, Nacho è costretto a cambiare spesso lavoro e il rancore che questo causava portava tensioni. A farne le spese erano anche i figli: “L’amore per loro era grande ma non sapevamo educarli nell’amore, né far loro amare Dio”. A 15 anni dal loro matrimonio i due si separano: Nacho è deluso e sente che la relazione è spezzata; Fili non riesce a perdonare il marito. “Sembrava che niente ci unisse più – ricordano – che non c’era più amore”. Poi l’evento che cambia direzione alla storia. Una sera, guardando la tv, Nacho rimane colpito da una donna, Chiara Lubich, fondatrice dei Focolari, che parla di amore fraterno. Vede le immagini della cittadella del Movimento in Messico, chiamata El Diamante. È vicino casa loro, una domenica vanno a messa lì e vengono invitati alla Mariapoli, un incontro dei Focolari. Non immaginano che l’invito a seguire il Vangelo possa essere per loro rivoluzionario: “‘Perdona fino a settanta volte sette” (Matteo 18:21-22) è la frase che sono chiamati a vivere nel quotidiano. “Ci hanno parlato di Gesù abbandonato – racconta Fili – di come Egli perdonò e diede la vita per noi. Ho capito che di fronte a ciò i miei dolori erano piccoli. Dio aveva già perdonato mio marito, e la Sua volontà per me era che io perdonassi. L’ho fatto e ho sperimentato che è possibile rinascere”. “Siamo imperfetti e diversi – osserva infine Nacho – ma ho imparato ad avere fiducia in quel Dio che fa sì che tutto sia possibile”.
Claudia Di Lorenzi
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