


Quel martedì a Bruxelles io c’ero
«Prima d’ora, non mi era mai capitato di trovarmi così vicino al luogo di un attentato. Il mio ufficio, infatti, è a 300 metri dalla fermata della metro Maelbeek. Siamo ormai abituati a vederci passare davanti disastri e catastrofi durante notiziari quotidiani, ma la sensazione di essere passati davanti a quella fermata della metro in bici pochi minuti prima dell’attentato, di sentire tutto così vicino e di non sapere di preciso cosa fare e come comportarsi è tutt’altra cosa. Credo fermamente che un mondo di pace è possibile. Con il mio impegno nel Movimento dei Focolari, ma soprattutto attraverso le piccole azioni quotidiane cerco di agire con quello spirito di fraternità che è espresso anche nella Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo. Eppure man mano che le notizie arrivavano e gli ululati delle sirene si facevano più insistenti, mi sono trovato spiazzato. D’accordo, tutto era così vicino, ma ugualmente io intanto che potevo farci? Rimanere a rispondere ai tantissimi messaggi di amici e parenti che chiedevano notizie? Scendere in strada e andare ad aiutare chissà chi e in che modo? Continuare a lavorare come nulla fosse? Una situazione surreale nelle quale mi trovato impotente e disorientato. Mi veniva anche da interrogarmi sul senso di tutto ciò. Sui motivi che potevano spingere alcuni giovani come me ad odiare così tanto da essere pronti a sacrificare le loro vite pur di dare la morte a tanti passeggeri indifesi colti a caso nel momento di viaggiare insieme pigiati su un convoglio metropolitano. Mi domandavo che colpa avrei avuto io per morire se fossi stato lì insieme a loro. Domande alle quali tutte le teorie apprese durante l’università in scienze politiche non riuscivano a trovare una risposta soddisfacente. Ad illuminarmi è stato il ricordo della sera precedente, trascorsa insieme a diversi giovani che si impegnano anch’essi nel Movimento dei Focolari, con i quali avevamo rinnovato la promessa di essere insieme strumenti di fraternità e di dialogo laddove viviamo. Provando a mettere da parte il disorientamento, ho capito che se in quei momenti stavo vivendo (quasi) sulla mia pelle la guerra, a maggior ragione dovevo essere io in prima persona un artefice di pace ed ho cercato di darmi da fare, ad iniziare da quanti avevo accanto in quel momento. Colleghi, amici, conoscenti… nonostante lo sconcerto ed il terrore, mi ha colpito rendermi conto di non essere l’unico a pensarla così. Per quanto ognuno a modo suo, nessuno trovava parole di odio per l’accaduto, ma era convinto invece che fosse la via del dialogo l’unica strada possibile per rispondere ad atti tanto folli. Ho trovato vere come non mai quelle parole pronunciate da Chiara Lubich in occasione del conferimento del Premio UNESCO per l’Educazione e la Pace, il 17 dicembre 1996: “Chiunque desideri oggi superare le montagne dell’odio e della violenza, si trova di fronte a un compito pesante ed immenso. Ma ciò che è impossibile a milioni di individui isolati e divisi, sembra possibile a quanti hanno fatto dell’amore vicendevole, della comprensione reciproca e dell’unità la dinamica essenziale della loro vita”».

Armi? No, grazie
Di fronte alla situazione sempre più insostenibile di conflitto armato diffuso, ampie frange della società civile continuano a far rumore per frenare l’azione dei governi che sostengono con le loro scelte il traffico delle armi, individuata come una delle cause che impediscono la soluzione dei conflitti. Su questo tema è da tempo impegnato anche il Movimento dei Focolari in Italia, che attraverso la rivista Città Nuova e il Movimento politico per l’Unità, in particolare con le sue scuole di partecipazione politica, continuano a smascherare il coinvolgimento dell’Italia nella produzione bellica. Il Paese, infatti, sede di basi militari strategiche, continua a produrre armi di alta tecnologia che arrivano anche nei Paesi del Medio Oriente, come riportato da Città Nuova. Dai porti della Sardegna transitano bombe destinate all’Arabia Saudita, Paese interessato al conflitto siriano e alla guida di una coalizione impegnata nella guerra in Yemen, con migliaia di vittime, condannata dall’Onu.
Cosa fare allora? Il lavoro di un anno, accompagnato da esperti di geopolitica internazionale, ha portato alla stesura di un appello dalle richieste concrete, presentato ai deputati e senatori disponibili: • Il rispetto della legge 185/90, sul «controllo dell’esportazione, importazione e transito dei materiali di armamento». In particolare si chiede di interrompere l’esportazione e il transito sul territorio nazionale di armi dirette a Paesi in conflitto o che stanno commettendo gravi violazioni dei diritti umani. • Lo stanziamento di fondi per la riconversione a fini civili dell’industria bellica, con riferimento a quanto stabilito nell’art. 1 comma 3 della legge 185/90. • La trasparenza e il controllo delle transazioni bancarie relative ad importazioni, esportazioni e transito di armamenti. A queste si aggiungono anche la richiesta dell’inserimento nell’agenda politica dei temi dell’integrazione e dell’accoglienza, e dell’investimento di maggiori risorse nella cooperazione internazionale. I giovani promotori dell’incontro del 16 marzo sono ben consapevoli dei poteri in gioco e dell’apparente giudizio, anche benevolo, di ingenuità che accompagna le loro istanze, ma, come dicono, «riteniamo di avere una responsabilità, dovuta proprio agli ideali che ci muovono, e quindi non possiamo tacere né guardare passivi la realtà che ci circonda. Lavoriamo nel nostro quotidiano per costruire la fraternità e da qui partiamo per interpellare i governanti». La riflessione in Parlamento è stata arricchita dal contributo di Pasquale Ferrara, diplomatico e docente universitario di relazioni internazionali, di Shahrzad Houshmand, teologa islamica che insegna alla Pontificia università gregoriana, del direttore di Città Nuova Michele Zanzucchi, e del professor Maurizio Simoncelli, cofondatore dell’Istituto di ricerche internazionali archivio disarmo.
Alle radici c’è la spiritualità di Chiara Lubich, che ancora nella sua Trento ha visto gli orrori della seconda guerra mondiale, e che in tutta la sua vita, attraverso il dialogo con persone di fedi e culture diverse, ha gettato semi di una convivenza pacifica. Chiara, appena 28enne, aveva messo piede nel Parlamento italiano per incontrare Igino Giordani, nel 1948. «L’augurio è che i giovani possano incidere sull’agenda politica, come abitanti del presente e del futuro» dichiara Silvio Minnetti, presidente del Movimento politico per l’Unità in Italia (MPPU). «I giovani ci pongono delle domande, provocatorie, esigenti, e chi è sul campo politico vuole accoglierle, impegnandosi in prima persona nelle proprie scelte di voto, ma anche avviando una riflessione seria per dare concretezza alle risposte». Per incidere ancor di più sull’agenda politica, l’MPPU Italia ha in programma di organizzare a Montecitorio nei prossimi mesi, un Laboratorio di ascolto reciproco e condivisione sull’appello dei giovani, con la partecipazione di parlamentari, esperti, giovani e rappresentanti del Governo. Leggi anche: Non possiamo tacere davanti alla guerra Costruire la pace, ogni giorno (testo dell’appello) Produzione di armi. Una questione di coscienza Armi, utopia e principio di realtà (altro…)

Argentina: una comunità in periferia
Se dalla capitale dell’Argentina s’imbocca l’autostrada verso il sud, dopo mezz’ora di viaggio si arriva a Plátanos, barrio di periferia con circa 20.000 abitanti. Gente lavoratrice che ha costruito le proprie abitazioni con tanto sforzo e pochi soldi. La parrocchia, intitolata a Santa Elisabetta dell’Ungheria, è molto attiva. Quasi 30 anni fa don Francesco Ballarini, italiano, ha portato lì lo spirito dei Focolari. Oggi sono i laici che continuano a vivere questo spirito di unità insieme ad altre parrocchie della Diocesi. «All’inizio di quest’anno – raccontano – abbiamo organizzato una festa per i bambini della borgata più periferica di Plátanos, i cui abitanti non frequentano molto la parrocchia. Ciascuno era invitato a mettere in comune i propri talenti: chi insegnava a impastare il pane, chi a dipingere, un laboratorio di ceramica, un papà catechista mago, alcune signore del quartiere per preparare il mate (la tipica infusione che si beve nel Cono Sud)». In quest’occasione conoscono una quindicenne al termine di una gravidanza. «Aveva bisogno di tutto. È iniziata una gara di solidarietà per riuscire a soddisfare le necessità sue e del bambino, che è nato dopo pochi giorni. Arrivando a casa sua siamo rimasti impressionati dalla precarietà dell’ambiente: piccolo, senza pavimento, senza finestre, con la porta rotta, dove abitavano oltre lei ed il neonato, 6 fratellini e i genitori. Informata la comunità di questa situazione, sono cominciati ad arrivare tanti aiuti. Siamo già quasi pronti per collocare finestre, porta, una stufa e altre persone hanno offerto la mano d’opera. Alcune signore sono andate ad insegnare a M. come accudire il meglio possibile il bambino. M., che abbiamo conosciuto triste e irascibile, ha cominciato a sorridere. È la carità vissuta insieme che fa questi piccoli miracoli». «Un’altra iniziativa che stiamo portando avanti insieme – proseguono – è il progetto Sachetera: si tratta di fabbricare dei sacchi a pelo con dei sacchetti del latte, per i senza tetto. Come parrocchia vogliamo continuare a sostenere questo progetto e, anche se potremmo lavorare ognuno a casa, preferiamo lavorare insieme: ragazzi, giovani e adulti. In una giornata di forte pioggia, dubitavamo di riuscire a riunirci, ma il pensiero dei nostri senza tetto ci ha spinti a lavorare ancora più sodo».
«Ci siamo poi incontrati a Bernal (altro barrio) con persone di altre parrocchie e con i giovani dei Focolari che portano avanti progetti di aiuto ai bisognosi. Per noi è importante condividere le nostre esperienze con altre parrocchie, anche per non chiuderci solo nella “nostra” periferia e, invece, imparare dagli altri». Quando a settembre si è incendiata – distruggendo tutto – la casa di una famiglia di un quartiere vicino, «ci siamo messi in moto per aiutare, portando il necessario dalle nostre case. Con la comunione dei beni comunitaria abbiamo contribuito alla costruzione delle pareti. Così, con molto entusiasmo, hanno potuto ricostruire la loro casetta. Solo più tardi abbiamo saputo che la famiglia appartiene alla chiesa pentecostale, e lui ne è Pastore. Ci siamo commossi perché l’Amore non ha guardato, ancora una volta, nè alla confessione religiosa, nè alle altre differenze». Nei giorni successivi il Pastore, muratore di professione, si è offerto di intonacare la parete della chiesa destinata alla costruzione di un altare per l’immagine della Vergine di Luján. «Vi ringrazio per l’amore che che avete dato senza chiedere niente – ha detto il Pastore alla comunità cattolica riunita per la messa domenicale alla quale hanno voluto partecipare – mi avete aiutato a vincere i pregiudizi che molti di noi (pentecostali) abbiamo verso i cattolici; anche voi siete miei fratelli». (altro…)

Vangelo vissuto: frammenti di fraternità
«Reinhard, un 55enne austriaco, ci racconta la sua esperienza: «Alcuni anni fa – durante il turno di lavoro alle poste –, vengo accoltellato da un giovane con disturbi psichici: sono 27 i colpi con cui mi ferisce. Il giovane ha smesso solo quando guardandolo negli occhi ormai certo di morire gli ho detto: “Io ti perdono”. Solo allora il giovane ha lasciato cadere il coltello che aveva tra le mani. Gli psicologi sostengono che non ho subito alcun trauma. Mi hanno dovuto operare, ho perso un polmone e cammino grazie alle stampelle, ma sono miracolosamente vivo. Sono in molti oggi che mi invitano a raccontare l’accaduto e il perché ho perdonato: insegnanti, sacerdoti, giovani, cristiani, musulmani e atei. Ho incontrato circa duemila persone finora. E ogni volta non posso non parlare dell’arte di Amare, perché da anni, compreso quel fatidico giorno, ogni mattina lancio il dado dell’amore. Tanti giovani, dopo gli incontri, mi chiedono di approfondire questo modo di vivere. Ogni volta che mi invitano è un’occasione meravigliosa per diffondere l’ideale della fraternità, la Regola d’oro, nella regione del Vorarlberg in cui vivo. Un giovane ateo, qualche tempo fa, mi disse: “Sai, a me la religione non interessa. Ma il tuo modo di vivere mi interessa moltissimo!”». (Feldkirch, Austria) «Una sera, al telefono, abbiamo sentito Lina, una nostra amica che abita a Damasco (Siria). Ci raccontava la difficoltà di vivere in un contesto di guerra: i rischi per i frequenti colpi di mortaio; le difficoltà dovute a carenza di cibo, acqua e vestiti; la continua mancanza di energia e di riscaldamento… insomma, lei non ci chiedeva nulla. Ma ascoltando le sue parole, sentivamo in cuore che quel grido di dolore non poteva rimanere inascoltato… anche se lontani, dovevamo fare qualcosa! Abbiamo subito condiviso questa idea con altri amici… Sin da subito, ci ha sorpreso la quantità di contributi che arrivavano… ciascuno contribuiva come poteva! Famiglie, giovani coppie, adolescenti, bambini, comunità, parrocchie, altre associazioni… Senza accorgercene, era partita una gara d’amore. Ad esempio, una signora ha venduto alcuni oggetti d’oro e ha condiviso l’equivalente in denaro; un ragazzo ha festeggiato il suo compleanno e al posto dei regali ha chiesto un contributo per i suoi fratelli siriani; una famiglia ha condiviso i risparmi di una vita perché “li conservavamo per una occasione speciale! Aiutare qualcuno, lo è!”… Insomma, in poco tempo, abbiamo raccolto €20.000! Grazie a questa cifra, abbiamo potuto aiutare tante famiglie siriane in difficoltà portando loro cibo, vestiti, beni di prima necessità… ma, soprattutto, abbiamo portato loro un abbraccio grande quanto il mondo facendoli sentire non abbandonati a sé stessi, ma parte di una grande famiglia!». (Rossana ed Emanuele, Italia) Fonte: United World Project (altro…)
Argentina: vacanze solidali “low cost”
El Espinal è un paese in provincia di Salta, al nord dell’Argentina. 35 giovani argentini e paraguaiani, tra i 18 e i 30 anni, si sono dati appuntamento lì, dal 3 all’11 gennaio, per fare insieme delle “vacanze low-cost, ma ad alto livello di unità”, come le hanno voluto chiamare. Hanno aderito, infatti, alla proposta della Pastorale del Turismo – Programma di Sviluppo del Turismo Solidale, portato avanti da quella regione. Si trattava, prima di tutto, di vivere con la comunità e con i giovani del posto, condividendo il lavoro nei campi di tabacco, con gli alveari e le filatrici, ma anche le difficoltà della vita quotidiana, tipiche di una zona rurale: l’acqua fredda, la mancanza di gas, il fango che sembra inseguirti… Primo punto: lasciare da parte comodità e pregiudizi. La Regola d’Oro: “Fai agli altri ciò che vorresti fosse fatto a te” racchiudeva in poche parole la proposta che i giovani dei Focolari volevano fare alla comunità del posto. Ma come trasmetterla? Prima di tutto attraverso un’infinità di semplici gesti d’amore concreti e poi con un incontro, un cineforum, una gita insieme, un momento di relax, e poi mangiare, ballare e cantare insieme… Ma il messaggio è stato veicolato anche attraverso una scena di teatro che mostrava come sarebbe El Espinal se tutti vivessero questa semplice regola.
E non si sa né come né perché – forse per quel “date e vi sarà dato” che si realizza sempre? – si è innescata una gara d’amore in cui tutti davano il meglio di sé. Racconta Maga: “Come dimenticare Pilar, la filatrice che ha portato il miglior servizio di piatti e posate che aveva per offrirci una buona minestra? E le signore che hanno lasciato da parte le loro faccende per venire a fare il pane con noi? O l’entusiasmo dei ragazzi che hanno voluto friggere per noi delle ciambelle fino a tardi? E le persone che ci hanno ospitato nelle loro case, dandoci tutto quello che potevano per farci sentire a casa? Quante facce nuove: in tutti era Gesù che mi veniva incontro ogni volta”. Ma la cosiddetta vacanza aveva anche un altro scopo, un progetto che porta avanti la Pastorale del Turismo e che consiste nell’aiutare la popolazione a riconoscere il potenziale turistico che possiede. È stato per questo che sono state organizzate delle attività che possono poi trasformarsi in proposte per i futuri visitatori: trekking lungo il fiume, cavalcate, gite in trattore, visite ai luoghi più incantevoli e nascosti de El Espinal. Tra i paesaggi mozzafiato, i bruschi cambi di clima, la pioggia, il sole, gli animali e gli insetti – a volte non tanto apprezzati – di tutti i tipi, hanno potuto realmente “sentire la presenza viva di Dio e il caloroso abbraccio della sua creazione” e anche il rapporto fra i giovani è stato molto arricchente. In poche parole, hanno fatto una vacanza diversa nella bella provincia di Salta, aderendo all’invito di Papa Francesco a vivere il Vangelo nelle periferie. Prima di tornare nelle loro città, si sono scambiati alcune impressioni: “Ho imparato molte cose: ad essere felice con le poche cose che avevamo, a non lamentarmi, a vivere la regola d’oro. Mi sono sentita molto amata e accolta. Tutto mi ha segnato profondamente”. “È stato il modo migliore di iniziare l’anno. Grazie, mi sono riavvicinata a Dio”. “Partiamo con il cuore colmo di storie, esperienze, i loro valori, vita, luce, gioia. Ho riscoperto che, se viviamo insieme per gli altri, tutto il resto viene in sovrappiù”. Ma anche i giovani del posto hanno voluto esprimere in parole quanto avevano sperimentato: “Voi siete i migliori amici che Gesù mi ha dato”; “Ci avete riempito di sorrisi, gioia e pace”. Dominga ha scritto una preghiera che ha voluto condividere con noi: “Grazie Gesù perché sei qui e mi hai fatto il regalo di darmi tanti fratelli. Ti ho scoperto in ognuno di loro. Gesù, insegnaci a sognare cose grandi, belle, cose che ci dilatino il cuore”. (altro…)