Venerdì 9 maggio presso il Focolare meeting point, nel cuore di Roma (Italia) e attraverso una diretta online, si è tenuta la premiazione del concorso per le scuole dal titolo “Una città non basta. Chiara Lubich cittadina del mondo”. Il concorso è dedicato alla figura della fondatrice del Movimento dei Focolari, una donna che ha saputo unire educazione, politica e dialogo per la pace.
Il tema proposto per la quinta edizione è stato: “Esplorare il concetto di pace, in relazione al pensiero di Chiara Lubich”. Sono pervenuti 118 elaborati (individuali e di gruppo) presentati da 35 Istituzioni scolastiche di 15 Regioni italiane.
Il concorso è promosso da New Humanity, Centro Chiara Lubich e Fondazione Museo storico del Trentino ed è realizzato in collaborazione con il Ministero italiano dell’Istruzione e del Merito. Si conferma come occasione per docenti ed alunni nel riflettere sui valori della fraternità, dell’accoglienza e del dialogo tra culture, temi centrali nel pensiero e nell’azione di Chiara Lubich.
I lavori premiati
Scuola secondaria di II grado
1° posto: Costruire l’infinito, dalla classe 5^ A Linguistico, Liceo A. Maffei – Riva del Garda (Trento). Con immagini pertinenti, le alunne e gli alunni hanno saputo presentare con creatività la loro riflessione sul tema della pace coniugandolo con elementi caratteristici del pensiero di Chiara Lubich che tanto rilievo ha dato alle relazioni di prossimità̀: dove c’è amore c’è unità e dove c’è unità c’è pace.
2° posto ex aequo: Vivere la pace, della classe 2^ H, Liceo classico Quinto Orazio Flacco – Bari. Nell’elaborato scritto, si apprezza il particolare accento che la riflessione pone sulla pace, come un’opera da vivere quotidianamente. Significativi i riferimenti scelti dal pensiero di Chiara Lubich che lascia un’eredità di fraternità e impegno concreto per un mondo più̀ unito.
2° posto ex aequo: Sguardo, di Elena Scandarelli 3^ AU, Liceo Maria Ausiliatrice – Riviera San Benedetto (Padova). In modo semplice ed efficace l’immagine comunica esplicitamente l’importanza che Chiara Lubich dà nel saper guardare al Mondo oltre le umane sfide del mondo, vivendole con uno sguardo di speranza.
Scuola secondaria di I grado
1° posto: 1920-2011, di Alessia Tombacco 3^ C, IC Elisabetta “Betty” Pierazzo – Noale (Venezia). Il testo presentato offre un’originale riflessione in cui emerge l’attualità del pensiero di Chiara Lubich e la possibilità di un incontro vitale con lei, anche in un tempo diverso da quello vissuto da Chiara. Ricca di fiducia nel presente e speranza per il futuro, è l’immagine dell’uomo cellula: portatore di nuove relazioni per un mondo senza frontiere.
2° posto: Voci di fraternità, della classe 3^ D, IC Giovanni XXIII – Villa San Giovanni (Reggio Calabria). Nell’elaborato multimediale si apprezza in modo particolare il coinvolgimento attivo degli allievi, primi testimoni di un frammento di mondo più unito e fraterno. Particolarmente significativo il riferimento alla possibilità di essere “operatori di pace” a partire dalle relazioni più prossime.
Scuola primaria
1° posto: Un seme di unità, Aurora Pellegrino 5^ A, IC Radice-Alighieri – Catona (Reggio Calabria). La composizione poetica esprime un’originale riflessione sul tema della pace alla luce del contributo specifico di Chiara Lubich, donna del dialogo.
2° posto: Una città non basta, classe 4^ A, IC Antonio Gramsci – Tissi (Sassari). L’elaborato multimediale presenta, in modo originale ed efficace, spazi e valori di un mondo ideale in cui, con l’amore, si può superare ogni forma di discriminazione.
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In America Latina ci sono 826 popoli indigeni, con una popolazione di circa 50 milioni, l’8% della popolazione totale, e si stima che altri 200 vivano in isolamento volontario. In questo contesto, fin dall’arrivo del Movimento dei Focolari in queste terre, è stata data importanza alla ricerca del dialogo tra persone e gruppi appartenenti alle tre grandi matrici culturali che compongono la regione: le culture originarie del continente americano, le culture ispano-portoghesi-francesi e le culture africane delle popolazioni che furono portate nelle Americhe. I numerosi membri del Movimento che appartengono a questi gruppi etnici ne sono la prova.
Un centinaio di persone, in rappresentanza di quasi tutti i Paesi dell’America Latina e dei Caraibi, si sono riunite ad Atuntaqui, nel nord dell’Ecuador, dal 1° al 4 maggio 2025, per partecipare al “Rimarishun”, un’esperienza di interculturalità basata su un esercizio di dialogo tra la cosmovisione andina e caraibica dei popoli nativi e il carisma dell’Unità. Questo spazio è nato qualche anno fa in Ecuador e si sta gradualmente diffondendo in tutti i Paesi dell’America Latina.
“Siamo consapevoli del dolore che, nel corso della storia, ha segnato le nostre relazioni come latinoamericani – spiegano – a causa del razzismo e della separazione che hanno ostacolato la relazione simmetrica tra le culture e hanno portato alla rottura delle relazioni tra persone di diversi gruppi culturali, dando origine a rapporti sociali ingiusti. Per questo, in Ecuador, nel 2017, abbiamo dato vita a un percorso di fraternità, che in lingua quichwa chiamiamo “Rimarishun” (Dialoghiamo), facendo dell’interculturalità un’opzione di vita e utilizzando il dialogo fraterno come metodo”.
Il Congresso, concepito come un viaggio, un “pellegrinaggio” vitale, è iniziato con il trasferimento dei partecipanti nella comunità quichua di Gualapuro. È stato subito chiaro che l’obiettivo era quello di creare spazi interculturali che costruiscano ponti tra gruppi di popoli, nazionalità o culture diverse, dove fondamentale è incontrare l’altro, accogliersi e prendersi cura l’uno dell’altro come fratelli e sorelle. Manuel Lema, della comunità quichua, ha dato il benvenuto ai partecipanti sotto una grande tenda allestita per l’occasione: “Possiamo generare un modo di pensare diverso, di vedere il mondo in modi diversi, ma, allo stesso tempo, essere uno”. E Jesús Morán, Copresidente dei Focolari, arrivato dall’Italia per partecipare al Congresso con un piccolo gruppo del Consiglio generale dei Focolari, portando a tutti il saluto della presidente Margaret Karram, ha aggiunto: “Stiamo costruendo qualcosa di nuovo. Di fronte a una società ipersviluppata, scopriamo qui che esiste una saggezza più profonda che proviene dai popoli nativi”. Così tutti saliti sulla collina per partecipare al “Guatchacaram”, il rito di ringraziamento alla Madre Terra. Più tardi, dopo aver condiviso il pranzo, tutto diventa momento di festa che esprime fraternità: musica, danze, balli. Alla fine della giornata, sono stati piantati alcuni alberi in memoria di coloro che hanno dato impulso a questo dialogo e che non sono più tra noi, tra cui uno dedicato a Papa Francesco.
Un’altra tappa di questo viaggio è stata la visita alla casa del vescovo Leonidas Proaño (1910-1988), “l’apostolo degli indios”. La sua dedizione alle popolazioni indigene più povere e sfruttate è un forte esempio di interculturalità. In questo ambiente cominciarono a svilupparsi le “mingas”, gruppi per sentire e pensare insieme, intendendo la reciprocità come principio centrale della relazione, su vari temi: economia, ecologia, educazione, spiritualità, cultura, razzismo.
Vengono condivisi, con grande rispetto e tenendo conto delle diversità, i riti degli afro-discendenti dei Caraibi e del Centro America e il rito maya, che si collegano al profondo rispetto per la natura, la “Madre Terra” e il trascendente. E in questo contesto, la condivisione di testimonianze come quella dei focolari nei territori dei popoli indigeni, delle scuole per il recupero delle conoscenze e della cultura ancestrale, o del sistema matematico amerindiano, permettono l’arricchimento reciproco.
La “peregrinazione” prosegue presso l’Università Cattolica dell’Ecuador a Ibarra per un momento aperto alla comunità accademica e al pubblico. Alla tavola rotonda partecipano Custodio Ferreira (Brasile), laureato in pedagogia e didattica, specializzato in storia dell’Africa, che parla delle “ferite della realtà”: “il razzismo che esiste oggi in tutta l’America Latina e nei Caraibi è una ferita aperta che sanguina. La sua guarigione e il suo risanamento richiedono un dialogo fraterno e, in questo senso, l’interculturalità, come sperimentato da Rimarishum, è una risposta concreta per avviare questo processo di guarigione”.
Osvaldo Barreneche (Argentina), dottore in storia, responsabile del Centro dei Focolari per il dialogo con la cultura contemporanea, ha parlato di “fraternità e cura della terra attraverso alcuni scritti di Papa Francesco”.
Jesus Moran (Spagna), Copresidente del Movimento dei Focolari, che ha vissuto in America Latina per 27 anni, afferma: “Questo lavoro di interculturalità è molto importante e viene portato avanti con ammirevole fedeltà in varie parti dell’America Latina. Per noi che siamo cristiani, significa che nelle culture native possiamo scoprire aspetti della rivelazione di Cristo che finora non sono stati sufficientemente messi in luce”.
Maydy Estrada Bayona (Cuba), dottore in Scienze filosofiche e docente presso l’Università dell’Avana, ha portato i presenti nella “Cosmovisione afro-caraibica”. Monica Montes (Colombia), dottore in Filologia ispanica, docente e ricercatore presso l’Università di La Sabana, si riferisce alla “Fraternità e cura dal pensiero latinoamericano”. Jery Chavez Hermosa (Bolivia), fondatore, nella città di Cordoba, in Argentina, dell’organizzazione di migranti andini di cultura aymara, quechua e guaranì, ha concluso con una presentazione dinamica che ha coinvolto tutti i presenti.
L’incontro si chiude con una S. Messa inculturata, con danze, canti tipici e tamburi in una chiesa decorata con fiori e petali di rosa, celebrata da Mons. Adalberto Jiménez, vescovo del Vicariato di Aguarico, che ha partecipato attivamente all’incontro. Il Padre Nostro è stato recitato in 12 lingue in successione, a dimostrazione dell’interculturalità vissuta in questi giorni.
Nella sua omelia, il vescovo Adalberto, partendo dal racconto evangelico della moltiplicazione dei pani, invita tutti a guardare al futuro: “Questo Gesù, questo Dio che ci unisce nei diversi nomi, nei diversi riti, è la storia che dobbiamo raccontare, i riti della vita, dell’unità. Oggi ce ne andiamo con un po’ più di luce, che è fuoco, che illumina. E’ quello che ci hanno lasciato Chiara Lubich e Papa Francesco, che sono presenti e ci chiamano a curare l’interculturalità. Grazie Rimarishun”.
Qualche settimana fa, ho preso parte al progetto MED25, una nave-scuola per la pace. Eravamo 20 giovani provenienti da tutto il Mediterraneo — Nord, Sud, Est e Ovest — a bordo di una barca chiamata “Bel Espoir”. Siamo partiti da Barcellona, e il meteo non era come previsto, quindi ci siamo fermati a Ibiza prima di raggiungere Ceuta, e da lì abbiamo viaggiato via terra fino a Tetouan, per poi tornare a Malaga. Non è stato solo un viaggio — è stato un percorso dentro le vite, le menti e le culture degli altri.
Vivere su una barca con così tante persone diverse è stato bellissimo, ma non sempre facile. Ogni giorno abbiamo dovuto dividerci i compiti: cucinare, servire i pasti, pulire, lavare i piatti. Ci alternavamo in squadre, così ognuno ha sperimentato il ritmo completo della vita a bordo. Abbiamo anche imparato a navigare — cosa che all’inizio è stata un po’ folle. Vorrei poter dire che alla fine è diventato tutto naturale, ma in realtà è stato più difficile del previsto. Si inizia a capire quanto lavoro di squadra serva, realmente, per andare avanti.
Ma non eravamo lì solo per cucinare e navigare. Eravamo lì per parlare — per parlare davvero. Abbiamo affrontato otto grandi temi: cultura, educazione, ruolo delle donne, religione, ambiente, migrazione, tradizioni cristiane e, naturalmente, la pace. Non erano discussioni teoriche. Erano tematiche profondamente personali. Abbiamo condiviso i nostri punti di vista e a volte ci siamo scontrati. A volte le discussioni si accendevano. Ci sono stati momenti di frustrazione. Alcune conversazioni si sono trasformate in veri e propri litigi.
Ma ecco la verità — su una barca non puoi semplicemente andartene. Non puoi tornare a casa e dormirci su. Vivi insieme. Mangi insieme. Navighi insieme. Sei letteralmente sulla stessa barca. Questo cambia tutto. Rende impossibile restare arrabbiati a lungo. Dovevamo parlarne. Dovevamo ascoltarci, e a volte dovevamo ammettere di avere torto.
Questa, per me, è stata la parte più potente di questa esperienza. Ho capito che la maggior parte dei conflitti — tra persone o tra Paesi — non nasce dall’odio. Nasce dalla mancanza di conoscenza, dagli stereotipi, dalla disinformazione. E proprio come noi abbiamo avuto la possibilità di conoscerci su quella barca, anche il mondo può farlo. Se noi siamo riusciti a superare anni di incomprensioni in sole due settimane insieme, immaginate cosa sarebbe possibile se le persone fossero davvero disposte ad ascoltarsi.
Ho anche scoperto tante cose inaspettate. Come il fatto che la Quaresima venga celebrata in modo diverso in Europa rispetto al Medio Oriente. O come la religione giochi un ruolo completamente diverso nella politica e nella vita pubblica, a seconda di dove ci si trova. In Europa, spesso è una questione privata, mentre in molti Paesi mediorientali, la religione plasma le leggi, le politiche e la vita quotidiana. Non erano solo nozioni — ho sentito la differenza attraverso le persone con cui ho vissuto.
Ciò che mi ha colpito di più è stato che, nonostante tutte le nostre differenze, avevamo così tanto in comune. Abbiamo riso tanto. Abbiamo ballato. Abbiamo avuto il mal di mare insieme. Abbiamo anche avuto l’occasione di digiunare insieme, visto che eravamo nel periodo della Quaresima e del Ramadan. Abbiamo fatto arte, letto libri, scherzato, pregato in tante lingue diverse allo stesso tempo, scoperto religioni come il Cristianesimo, l’Islam, l’Induismo, l’Ebraismo, dormito sotto il cielo aperto, e condiviso momenti silenziosi e sacri. E attraverso tutto questo, ho capito che la pace non è qualcosa di lontano o irraggiungibile. È qualcosa di molto umano. È caotica, e richiede impegno. Ma è possibile.
Sono tornata cambiata. Non perché credo che ora abbiamo risolto tutti i nostri problemi, ma perché ora credo che la pace non sia un sogno — è una scelta. Una scelta che inizia davvero con il vedere e ascoltare l’altro.
E se 20 sconosciuti sono riusciti a farlo su una barca in mezzo al mare, allora c’è speranza anche per il resto del mondo.
Bertha El Hajj, giovane ambasciatrice di pace.
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Agustín e Patricia e i loro due figli sono una famiglia argentina. In seguito ad un corso di Sophia ALC, la sede latino-americana dell’Istituto universitario con sede nella cittadella internazionale di Loppiano (Italia), sono andati alla ricerca delle loro radici tra i popoli originari ed è nato un forte impegno per il dialogo interculturale.
L’edizione 2025 del tradizionale festival dei giovani nella cittadella dei Focolari mette in scena le fragilità e i conflitti vissuti dai giovani di oggi e li trasforma in un’esperienza artistica immersiva e di speranza. Tanti workshop e uno spettacolo finale dal vivo per dire a tutti: «You are born to bloom», “Sei nato per fiorire”.
«Ricordati che sei nato per fiorire, per essere felice». È questo il messaggio che, nell’anno del Giubileo della speranza, i giovani organizzatori del Primo Maggio di Loppiano (Figline e Incisa Valdarno – Firenze, Italia) vogliono dare ai loro coetanei che parteciperanno all’edizione 2025 del tradizionale festival che si svolge, dal 1973, nella cittadella internazionale del Movimento dei Focolari, in occasione della Festa dei Lavoratori.
Il tema
Al cuore di “You are born to bloom, il coraggio di fiorire”, questo il titolo della manifestazione, ci sono le fragilità, le ferite e i conflitti vissuti dai ragazzi e dai giovani di oggi, sublimati in un’esperienza artistica, immersiva e di crescita.
«Crediamo che quel conflitto che spesso ci attraversa nelle fasi più difficili della vita possa diventare un’opportunità per rinascere più forti e consapevoli di chi siamo – spiegano Emily Zeidan, siriana e Marco D’Ercole, italiano, della squadra internazionale dei giovani organizzatori del festival –. Come ci diceva Papa Francesco, “il conflitto è come un labirinto”, non dobbiamo avere paura di attraversarlo, perché i “conflitti ci fanno crescere”. Ma “dal labirinto non si può uscire da soli, si esce in compagnia di un altro che ci aiuti”. Così, al Primo Maggio di Loppiano, vogliamo ricordare a tutti la bellezza gli uni e degli altri, anche nei momenti di vulnerabilità».
Un tema di stringente attualità quello del 1° maggio a Loppiano, se si considera che in Italia, 1 minore su 5 soffre di un disturbo mentale (depressione, ritiro sociale, rifiuto scolastico, autolesionismo, ansia, disturbi del comportamento alimentare, tendenze suicide), secondo i dati della Società italiana di Neuropsichiatria dell’Infanzia e dell’Adolescenza. Gli under 35, invece, vivono la precarietà lavorativa, sono sotto retribuiti, subiscono disuguaglianza territoriale e di genere (“Giovani 2024: il bilancio di una generazione”, EURES), non si sentono compresi dagli adulti nelle loro esigenze e nel vissuto, in particolare, quando si parla di paure e fragilità, aspirazioni e sogni.
«Papa Francesco aveva una grande fiducia in noi giovani. Non perdeva occasione per ricordarci che il mondo ha bisogno di noi, dei nostri sogni, di grandi orizzonti verso cui guardare insieme, per “porre le basi della solidarietà sociale e della cultura dell’incontro”», sottolineano Emily e Marco. Per questo “You are Born to Bloom” sarà uno spettacolo costruito insieme, dove il pubblico non sarà solo spettatore ma parte integrante della narrazione: chiunque vi partecipi sarà chiamato a diventare protagonista dello spettacolo, dando il meglio di sé con gli altri.
Il programma
Al mattino, i partecipanti al festival del Primo Maggio di Loppiano avranno l’opportunità di esplorare le proprie fragilità e bellezze attraverso workshop d’arte, motivazionali ed esperienziali guidati da psicologi, formatori, counselor, artisti e performer.
Tra questi, anche il Gen Verde International Performing Arts Group preparerà le giovani e i giovani a salire sul palco e a far parte del cast delle coreografie, dei cori, della compagnia teatrale e della band nello spettacolo finale. I workshop del Gen Verde sono svolti nell’ambito del progetto “M.E.D.I.T.erraNEW: Mediation, Emotions, Dialogue, Interculturality, Talents to foster youth social inclusion in the Mare Nostrum”, Erasmus Plus – Gioventù – partenariato di cooperazione.
Il festival culminerà al pomeriggio con la costruzione collettiva del live show: tutti i partecipanti saranno parte attiva della storia, non ci sarà distanza tra palco e pubblico.
Tra gli artisti che hanno confermato la loro partecipazione Martinico e la band AsOne.
“You are born to bloom, il coraggio di fiorire” è realizzato grazie al contributo di Fondazione CR Firenze.
Il Primo Maggio di Loppiano è un evento della Settimana Mondo Unito 2025 (1-7 maggio 2025), laboratorio ed expo globale di sensibilizzazione alla fraternità e alla pace.
Per informazioni e prenotazioni contattare: primomaggio@loppiano.it +39 055 9051102 www.primomaggioloppiano.it
Come “distributrice di incarichi”, in dieci anni ero riuscita, in collaborazione con il nostro parroco, a formare il Consiglio pastorale parrocchiale e il gruppo dei sagrestani. Con il passare del tempo, mi sono resa conto che il mio ruolo si stava ridimensionando. Molte persone, prima meno attive, si sono proposte per svolgere vari incarichi, e io ho scelto di farmi da parte per lasciare loro spazio. Inizialmente ho accettato con serenità il mio ruolo più defilato. In seguito, però, sentendomi esclusa, ho capito quanto sia facile legarsi ai propri ruoli, ma anche quanto sia importante saper lasciare andare. A volte, il Signore ci invita a fare un passo indietro per prepararci a qualcosa di nuovo. Non è facile, perché implica accettare il cambiamento e fidarsi. Oggi, pur sentendomi un po’ ai margini, rimango disponibile a dare il mio contributo se e quando mi verrà richiesto. Sono convinta che ogni servizio, anche il più piccolo, abbia un valore e che ogni fase della vita sia un’opportunità per crescere nella fede e nell’amore verso gli altri.
(Luciana – Italia)
Dio mi vede
Mi capitava a volte, quando abitavo a Bruxelles, di andare a messa nella chiesa del Collegio di St. Michel. Per arrivarci, si dovevano percorrere lunghi corridoi con ai due lati una serie infinita di classi. Sopra la porta di ciascuna, un cartello con la scritta: Dio ti vede. Era un mettere in guardia i ragazzi che rifletteva un pensiero del tempo passato, espresso al negativo: “Non fare peccati perché, anche se gli uomini non ti vedono, Dio ti vede”. Invece a me, forse perché nato in un’altra epoca o perché credo nel suo amore, risuonava in maniera positiva: “Non devo fare cose buone davanti agli uomini affinché mi vedano, per sentirmi dire bravo o essere ringraziato, ma vivere alla presenza di Dio”. Nel Vangelo di Matteo 23,1-12 Gesù, parlando a degli scribi e a dei farisei che amano mettersi in mostra, li invita a non farsi chiamare “maestri”, ad avere un’unica preoccupazione: agire sotto lo sguardo di Dio che legge nei cuori. Ecco, questo mi piace: Dio mi vede, come dicono i cartelli nel collegio; Dio legge nei cuori e questo mi deve bastare.
(G.F.- Belgio)
Fare il primo passo
Per una questione di eredità tra mia madre e sua sorella era caduto il silenzio. Non si frequentavano più da tempo, e la spaccatura venuta a crearsi non faceva che allargarsi, tanto più che noi abitavamo in città e la zia in un paesino di montagna piuttosto distante. Questo stato di cose si è protratto fino al giorno in cui ho preso il coraggio a due mani, provocata dalla Parola di Gesù: «Se tu stai per presentare la tua offerta all’altare, e lì ti ricordi che tuo fratello ha qualcosa contro di te, lascia lì la tua offerta davanti all’altare e va’ prima a riconciliarti con tuo fratello; poi torna e presenta la tua offerta». Cercando il momento adatto, ho affrontato l’argomento con la mamma e sono riuscita a convincerla ad accompagnarmi dalla zia. Durante il viaggio eravamo piuttosto silenziose; io poi non facevo che pregare perché tutto andasse bene. In effetti le cose si sono svolte nel modo più semplice: colta di sorpresa, la zia ci ha accolte a braccia aperte. Ma era stato necessario fare noi il primo passo.
(A.G. – Italia)
A cura di Maria Grazia Berretta
(tratto da Il Vangelo del Giorno, Città Nuova, anno X– n.1° marzo-aprile 2025)