Dilexi te, “ti ho amato” (Ap 3,9) è la dichiarazione d’amore che il Signore fa a una comunità cristiana che, a differenza di altre, non aveva alcuna risorsa, particolarmente disprezzata e esposta alla violenza ed è, al contempo, la citazione che dà il titolo alla prima Esortazione apostolica di Papa Leone XIV, firmata il 4 ottobre, festa del Santo d’Assisi. Il documento rimanda al tema approfondito da Papa Francesco nell’Enciclica Dilexit nos sull’amore divino e umano del Cuore di Cristo ed è un progetto che l’attuale Pontefice ha fatto suo, condividendo con il Predecessore il desiderio di far comprendere e conoscere il vincolo tra quella che è la nostra fede e il servizio ai vulnerabili; il legame indissolubile tra l’amore di Cristo e la sua chiamata a farci vicini ai poveri.
Alla conferenza stampa di presentazione della “Dilexi te” sono intervenuti (da sinistra): Fr. Frédéric-Marie Le Méhauté, Provinciale dei Frati Minori di Francia/Belgio, dottore in teologia; Em.mo Card. Konrad Krajewski, Prefetto del Dicastero per il Servizio della Carità; Em.mo Card. Michael Czerny S.J., Prefetto del Dicastero per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale; p.s. Clémence, Piccola Sorella di Gesù della Fraternità delle Tre Fontane di Roma (Italia).
121 i punti in cui il “fare esperienza” di povertà va ben oltre la filantropia. “Non siamo nell’orizzonte della beneficenza- afferma il Papa agostiniano- ma della Rivelazione: il contatto con chi non ha potere e grandezza è un modo fondamentale di incontro con il Signore della storia. Nei poveri Egli ha ancora qualcosa da dirci” (5).
Leone XIV invita a riflettere sui vari volti della povertà: quella di “chi non ha mezzi di sostentamento materiale”, di “chi è emarginato socialmente”; la povertà “morale”, “spirituale”, “culturale”; la povertà “di chi non ha diritti, non ha spazio, non ha libertà” (9). Ma nessun povero – continua- è “lì per caso né per un destino cieco e amaro” (14). “I poveri sono una garanzia evangelica di una Chiesa fedele al cuore di Dio” (103).
“Diciamo subito che non è facile per la Chiesa, e per i papi, parlare di povertà. Perché, in primo luogo, il modo e la sostanza della povertà della Chiesa non sono quelli dell’ONU né degli Stati. La parola povertà – ci spiega il Prof. Ligino Bruni, economista e storico del pensiero economico, Professore Ordinario di Economia Politica alla Lumsa (Roma) e direttore scientifico di Economy of Francesco– ha nel cristianesimo uno spettro molto ampio, che va dalla povertà cattiva perché non scelta e subita fino alla povertà evangelica, a quei poveri che Gesù ha chiamato ‘beati’. La Chiesa dovrebbe muoversi all’interno di questo spettro ampio perché, se lascia fuori una delle due forme di povertà si esce dal Vangelo”.
Il documento denuncia in particolar modo la mancanza di equità definendola radice dei mali sociali (94), così come l’agire di sistemi politico-economico ingiusti. La dignità di ogni persona umana dev’essere rispettata adesso, non domani (92) e, non a caso, durante la conferenza stampa di presentazione, svoltasi in Vaticano il 9 ottobre 2025, il Card. Michael Czerny S.J., Prefetto del Dicastero per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale, con riferimenti specifici al testo, ha riflettuto molto su quelle che vengono definite di ‘strutture del peccato’: “l’egoismo e l’indifferenza si consolidano nei sistemi economici e culturali. L’economia che uccide (3) misura il valore umano in termini di produttività, consumo e profitto. Questa ‘mentalità dominante’ rende accettabile lo scarto dei deboli e degli improduttivi, e merita quindi l’etichetta di ‘peccato sociale’”.
“È questo un tema antico della dottrina sociale della Chiesa – aggiunge a tal proposito il Prof. Bruni- e, ancor prima, dei Padri e di molti carismi sociali, per non parlare dei francescani. In questi passaggi si sente la mano di Papa Francesco e lo spirito di San Francesco (64), ma anche dei carismi più recenti – fu Don Oreste Benzi a parlare per primo delle “strutture di peccato” -, fino all’Economia di comunione e all’Economy of Francesco. Importante è poi il riferimento – ancora in piena continuità con Papa Francesco – alla meritocrazia, definita una “falsa visione” (14). La meritocrazia è una falsa visione, perché prima attribuisce molte povertà ai demeriti dei poveri, e poi i poveri demeritevoli vengono definiti anche colpevoli. L’ideologia meritocratica è una delle principali “strutture di peccato” (nn. 90 ss.) che generano esclusione e poi provano a legittimarla eticamente. Le strutture di peccato sono materiali (istituzioni, leggi …) e immateriali come le idee e le ideologie”.
Prof. Luigino Bruni
Il documento volge naturalmente uno sguardo al tema delle migrazioni- Robert Prevost fa suoi i famosi “quattro verbi” di Papa Francesco: accogliere, proteggere, promuovere e integrare- senza dimenticare le donne, tra le prime vittime di violenza ed esclusione; sottolinea l’importanza dell’educazione per la promozione dello sviluppo umano integrale, la testimonianza e il legame con la “povertà” di tanti santi, beati e ordini religiosi e propone un ritorno all’elemosina come via per poter davvero “toccare la carne sofferente dei poveri” (119).
In Dilexi te Papa Leone ci “esorta” a cambiare rotta, pensare ai poveri non come un problema della società né, tantomeno, unicamente come “oggetto della nostra compassione” (79) ma attori reali a cui poter dare voce e “maestri del Vangelo”. È necessario che “tutti ci lasciamo evangelizzare dai poveri. Essi- scrive il Papa- sono una questione familiare. Sono dei nostri”. Pertanto “il rapporto con loro non può essere ridotto a un’attività o a un ufficio della Chiesa” (104).
“Prendere sul serio la povertà evangelica significa- aggiunge Luigino Bruni- cambiare punto di vista, fare metanoia, dicevano i primi cristiani. E poi, oggi, provare a rispondere ad alcune domande radicali: come chiamare “beati” i poveri quando li vediamo vittime dalla miseria, abusati dai potenti, morire in mezzo al mare, cercare il cibo tra la nostra spazzatura? Quale beatitudine conoscono? Per questa ragione, molte volte i primi e più severi critici di questa prima beatitudine sono stati e sono proprio quelli che spendono la loro vita accanto ai poveri, seduti insieme a loro, per liberarli dalla loro miseria. I più grandi amici dei poveri finiscono, paradossalmente, per diventare i più grandi nemici della prima beatitudine. E noi dobbiamo capirli e ringraziarli per questo loro scandalizzarsi. E poi provare a spingere il discorso su terreni nuovi e arditi, sempre paradossali. E quanti “ricchi epuloni” hanno trovato nella beatitudine dei poveri un alibi per lasciare Lazzaro (rif. Luca 16,19-31) beato nella sua condizione di deprivazione e di miseria, e magari auto-definendosi “poveri di spirito” perché davano le briciole ai poveri!? Ci deve essere qualcosa di stupendo in quel “beati i poveri”. Noi non lo capiamo più, ma cerchiamo almeno di non rimpicciolire la sua profezia paradossale e misteriosa. Papa Leone ha cercato di indicarci alcune dimensioni di questa bellezza paradossale della povertà, soprattutto nei lungi paragrafi dedicati alla fondazione biblica ed evangelica, ma c’è ancora molto da scoprire e da dire. Mi auguro che i futuri documenti pontifici includano anche il magistero laico sulla povertà, che da almeno 50 anni ci viene donato da personaggi come A. Sen, M. Yunus o Ester Duflo, insigniti del Premio Nobel per l’Economia. Questi studiosi con molti altri ci hanno insegnato che le povertà non sono mancanza di denaro o di redditi (flussi) ma mancanza di capitali (stock) – sanitari, educativi, sociali, famigliari, capabilities … – che poi si manifesta in una carenza di reddito; ma è solo lavorando sui capitali oggi che domani potremo fare uscire i poveri dalle trappole di povertà. Come ci ha spiegato Sen, la povertà è trovarsi nell’impossibilità oggettiva di “poter svolgere la vita che vorremmo vivere”, ed è quindi una mancanza di libertà. I carismi lo hanno sempre intuito, che nelle missioni e prima ancora in Europa e ovunque hanno riempito il mondo di scuole e di ospedali, per migliorare i ‘capitali’ dei poveri. Anche l’elemosina, di cui parla alla fine del documento Papa Leone (nn. 76 e ss), va orientata in ‘conto capitale’, e non dispersa in aiuti monetari che finiscono spesso per aumentare quelle povertà che vorrebbero ridurre. La Dilexi te è un punto di partenza, per un cammino ancora lungo dei cristiani nel terreno ancora in parte sconosciuto delle povertà – di quelle brutte da ridurre e di quelle belle del vangelo, da aumentare.
Alla luce delle ultime positive notizie sull’accordo per la Striscia di Gaza, esprimo la speranza che si tratti di un primo passo per una pace giusta, complessiva e sostenibile.
La strada da percorrere è sicuramente ancora tanta, ma in questo momento il mio pensiero va agli ostaggi, ai prigionieri palestinesi e agli abitanti della Striscia che, confidiamo, possano ricominciare a intravedere una speranza di vita degna di essere definita tale.
Ci auguriamo inoltre che coloro che hanno in mano le sorti dei popoli possano continuare a fare scelte nell’interesse del bene più grande che possediamo: la vita.
Ci impegniamo ad unire le nostre forze concretamente e spiritualmente con tutti coloro che instancabilmente lavorano per un mondo migliore e ci uniamo alla Giornata di Preghiera per la Pace indetta da Papa Leone XIV l’11 ottobre prossimo.
Il terzo e ultimo giorno della Conferenza Raising Hope si è sviluppato con nuove relazioni, momenti di riflessione, preghiera, musica e un momento chiave: i contributi dei partecipanti e gli impegni assunti, presentati come pilastri fondamentali per l’azione a favore della giustizia climatica.
Sul sito raisinghope.earth/it/impegno/ , i partecipanti alla conferenza, sia in presenza che online, sono stati invitati a condividere i propri contributi: Come risponderai al grido della terra e al grido dei poveri? Questi People-Determined Contributions (PDC) sono una coraggiosa iniziativa globale della società civile per presentare gli impegni di persone e comunità di base verso la trasformazione ecologica.
L’acqua di Raising Hope arriverà alla COP30
La commovente apertura guidata da Papa Leone XIV mercoledì 1 ottobre — quando ha benedetto un blocco di ghiaccio della Groenlandia — ha raggiunto il suo culmine questo pomeriggio, quando i partecipanti hanno raccolto l’acqua, frutto dello scioglimento del ghiaccio, da portare alle proprie case e comunità.
La dott.ssa Lorna Gold, direttrice esecutiva del Movimento Laudato Si’, ha espresso con emozione: «Un blocco di ghiaccio benedetto dal Papa è diventato virale in questi giorni. Ora quest’acqua benedetta si trasformerà in qualcosa di molto potente, perché arriverà alla COP30, in Brasile.»
Ogni partecipante ha potuto portare con sé, in una ciotola, parte di quest’acqua benedetta — in parte proveniente dal ghiaccio glaciale, mescolata con l’acqua dei fiumi del mondo offerta da diversi rappresentanti all’inizio della conferenza. Non è stato solo un dono, ma un segno dell’urgenza dettata dalla crisi climatica, allo stesso tempo contrassegnato dalla speranza della benedizione papale.
Tornare al cuore e alzare la voce
Un altro momento chiave della chiusura si è avuto quando la dott.ssa Lorna Gold ha condiviso alcuni degli impegni assunti dai partecipanti. Tra i più significativi: il potere della collaborazione, l’importanza delle alleanze, l’impegno a tornare al cuore e a promuovere il Programma degli Animatori Laudato Si’, sviluppato dal MLS.
Ha sottolineato l’importanza dell’attuazione: «Non possiamo aspettare che siano gli altri a farlo. Dobbiamo realizzare i cambiamenti che sono nelle nostre mani,» ha affermato la dott.ssa Lorna. E ha incoraggiato ad alzare insieme la voce a Belém, in Brasile (prossima COP), dove verrà lanciata anche una nuova alleanza per la non proliferazione dei combustibili fossili.
Ringraziamento per i 10 anni del MLS
Un momento particolarmente toccante è stato il ringraziamento per i dieci anni di storia del Movimento Laudato Si’, fondato nel gennaio 2015. La dott.ssa Lorna Gold ha ricordato quando, nello stesso anno, conobbe Tomás Insua, cofondatore, e rimase colpita dal suo entusiasmo ed energia nel voler diffondere i valori dell’enciclica.
«La cosa più straordinaria del nostro movimento è la gioia,» ha dichiarato, esortando tutti a «portare questa gioia alla COP30.» Ha ricordato le parole di Papa Francesco che ci invitava a «cantare lungo il cammino,» perché «la nostra preoccupazione non deve toglierci la gioia né la speranza.»
Yeb Saño, presidente del Consiglio Direttivo del Movimento Laudato Si’, ha esortato i presenti a imprimere nella memoria quanto vissuto durante la conferenza, affinché «tutte queste ragioni ci spingano ad alzarci dal letto ogni mattina.»«Abbiamo molto lavoro davanti a noi, ma Papa Leone è dalla nostra parte. Non si tratta di correre avanti, ma di avanzare tutti insieme.»
Laudato Si’, per comunità coraggiose
La mattinata si è aperta con l’intervento di Kumi Naidoo, presidente del Trattato di Non Proliferazione dei Combustibili Fossili, che si è definito un «prigioniero della speranza.» Ha sottolineato che dobbiamo prenderci cura del nostro ambiente perché «non ci sono lavori né esseri umani su un pianeta morto.»
«Le comunità cattoliche, attraverso la Laudato Si’, hanno dimostrato coraggio,» ha affermato Naidoo, esortando ad agire con saggezza e fede, con urgenza. «La speranza non è amore; la speranza è resilienza, la speranza è una missione.»
La resilienza dei popoli
Il pannello successivo, intitolato «La fede e la missione condivisa per un pianeta resiliente,» è stato moderato da Josianne Gauthier, segretaria generale di CIDSE (Coopération Internationale pour le Développement et la Solidarité). Tra i temi principali: il finanziamento ai paesi in via di sviluppo e la resilienza come motore per andare avanti.
La dott.ssa Maina Vakafua Talia, ministra dell’Interno, del Cambiamento Climatico e dell’Ambiente di Tuvalu, ha sottolineato che, sebbene nella sua lingua madre non esista la parola resilienza, il suo popolo ha imparato a «passare dalla vulnerabilità alla forza» dopo aver affrontato molteplici catastrofi climatiche. Ha inoltre ribadito l’importanza della spiritualità per costruire un futuro resiliente.
La dott.ssa Svitlana Romanko, fondatrice e direttrice di Razom We Stand, ha parlato del suo paese, l’Ucraina, e di come la dipendenza dai combustibili fossili, aggravata dalla guerra, abbia devastato il popolo. Ha affermato che la resilienza oggi li mantiene in piedi, insieme alle energie rinnovabili e alle economie verdi, dimostrando che vivere di energia pulita è possibile.
Mons. Robert Vitillo, del Dicastero per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale e della Piattaforma Laudato Si’ Action, ha offerto un contributo dal Vangelo: «Ci viene insegnata la solidarietà e dobbiamo cambiare prospettiva per tradurla in azione nei nostri impegni.»
Ascoltare le periferie
Nel pomeriggio, l’ultimo panel è stato moderato da Bianca Pitt, fondatrice della Women’s Environment Network e cofondatrice di SHE Changes Climate. La discussione si è concentrata su ciò che il cuore ci dice riguardo all’esperienza vissuta in questi giorni.
Catherine Coleman Flowers, MacArthur Fellow e attivista per la salute ambientale, membro dei consigli del Natural Resources Defense Council, ha condiviso come le persone delle periferie siano quelle che soffrono di più e che vengono ascoltate di meno.
Mons. Ricardo Hoepers, segretario generale della Conferenza Nazionale dei Vescovi del Brasile, ha riflettuto sulla diversità del suo paese e su come sia necessario uscire ciascuno dal proprio luogo per ampliare gli orizzonti: «Il mio sogno per il Brasile è unire Laudato Si’ e Fratelli Tutti; e che la natura e gli esseri umani abbiano la stessa importanza: la natura è lo spazio che Dio ci ha dato per vivere come fratelli.»
E Margaret Karram, Presidente del Movimento dei Focolari, ha affermato: «Sono convinta che l’unico modo per realizzare un cambiamento duraturo sia quello di scegliere l’amore come principio guida della nostra azione ecologica. Nella Laudato Si’, la parola amore compare settanta volte! Un’indicazione potente di un cammino che tutti noi siamo invitati a percorrere. Un invito a passare da un’autentica fraternità umana — come quella che abbiamo sperimentato in questi giorni — ad una fraternità cosmica.»
Prima di concludere, i partecipanti hanno preso parte a una sessione finale di preghiera e riflessione, guidata da membri di Trócaire. Dopo la proiezione di un video riassuntivo dei tre giorni, tutti sono stati invitati a richiamare alla memoria i momenti più significativi e ad assumere solennemente l’impegno di continuare il cammino, difendendo la casa comune.
Immaginiamo che ripassino davanti ai nostri occhi alcune scene sintomatiche del mondo d’oggi. […]
Osserviamo […] in nazioni che hanno visto i recenti cambiamenti, gente che esulta di gioia per le ritrovate libertà; insieme persone impaurite e deluse, depresse per il crollo dei loro ideali. […]
E se vedessimo immagini di lotte razziali con stragi e violazione di diritti umani … O interminabili conflitti come quelli che avvengono in Medio Oriente, col crollo di case, feriti, morti ed il continuo micidiale cadere di bombe o di altri ordigni mortali? … Domandiamoci ancora: che direbbe Gesù di fronte a tanti drammi? “Ve l’avevo detto di volervi bene. Amatevi come io vi ho amati”.
Sì, così direbbe di fronte a questi ed alle più gravi situazioni del mondo attuale.
Ma la sua parola non è solo un rimpianto di ciò che non è stato fatto. Egli la ripete oggi per davvero. Perché Egli è morto, ma è risorto e – come ha promesso – è con noi tutti i giorni fino alla fine del mondo.
E ciò che dice è di un’importanza immensa. Perché questo “Amatevi a vicenda come io vi ho amati” è la chiave principale per la soluzione di ogni problema, è la risposta fondamentale ad ogni male dell’uomo. […]
Gesù ha definito il comando dell’amore “mio” e “nuovo”, perché è tipicamente suo, avendolo riempito d’un contenuto singolare e nuovissimo. “Amatevi – ha detto – come io vi ho amati”. E Lui ha dato la vita per noi.
È dunque in gioco la vita in questo amore. E un amore pronto a dare la vita è ciò che Egli chiede anche a noi verso i fratelli.
Non è sufficiente per Lui l’amicizia o la benevolenza verso gli altri; non Gli basta la filantropia, né la sola solidarietà. L’amore che chiede non si esaurisce nella non-violenza.
È qualcosa d’attivo, d’attivissimo. Domanda di non vivere più per sé stessi, ma per gli altri. E ciò richiede sacrificio, fatica. Domanda a tutti di trasformarsi […] in piccoli eroi quotidiani che, giorno dopo giorno, sono al servizio dei fratelli, pronti a donare persino la vita in loro favore. […]
Quest’amore reciproco fra voi porterà infatti delle conseguenze d’un valore – diciamo – infinito, perché dove c’è l’amore lì è Dio e – come ha detto Gesù: “Dove sono due o tre riuniti nel mio nome (e cioè nel suo amore), io sono in mezzo a loro” […]
Sarà Lui stesso che opererà con voi nei vostri paesi, perché Lui tornerà in certo modo nel mondo, in tutti i luoghi in cui vi trovate, reso presente dal vostro reciproco amore, dalla vostra unità.
E Lui vi illuminerà su tutto il da farsi, vi guiderà, vi sosterrà, sarà la vostra forza, il vostro ardore, la vostra gioia. […]
Amore, dunque, fra voi ed amore seminato in molti angoli della terra fra i singoli, fra i gruppi, fra nazioni, con tutti i mezzi, perché sia realtà l’invasione d’amore, di cui ogni tanto parliamo, e prenda consistenza, anche per il vostro contributo, la civiltà dell’amore che tutti attendiamo.
Nel pomeriggio del 1° ottobre, presso il Centro Internazionale Mariapoli del Movimento dei Focolari a Castel Gandolfo, Roma, si è inaugurata la Conferenza Raising Hope con la partecipazione di Sua Santità Leone XIV, accanto a figure di rilievo come Arnold Schwarzenegger, ex governatore della California, e l’on. Marina Silva, Ministra dell’Ambiente e del Cambiamento Climatico del Brasile.
La sessione ha unito testimonianze, momenti spirituali e artistici, in ringraziamento per il decimo anniversario dell’enciclica Laudato Si’. A rappresentare il Movimento Laudato Si’ sono intervenuti Christina Leaño, direttrice associata, e Igor Bastos, direttore per il Brasile, che hanno presieduto l’apertura della giornata.
Un momento simbolico è stato quando Papa Leone XIV ha toccato e benedetto un blocco di ghiaccio di oltre 20.000 anni, staccatosi a causa del cambiamento climatico da un ghiacciaio della Groenlandia, nonché acqua proveniente da diverse parti del mondo — gesti che hanno incarnato compassione e attenzione per il grido della Terra e dei poveri.
Laudato Si’: cosa resta da fare?
“Questa Enciclica ha profondamente ispirato la Chiesa cattolica e molte persone di buona volontà”, ha iniziato Papa Leone nel suo discorso su Laudato Si’, “ha aperto un forte dialogo, gruppi di riflessione e programmi accademici”. Il Papa ha sottolineato come l’enciclica del suo predecessore si sia diffusa “fino ai vertici internazionali, al dialogo ecumenico e interreligioso, ai circoli economici e imprenditoriali, agli studi teologici e bioetici”.
Rendendo grazie al Padre celeste “per questo dono che abbiamo ereditato da Papa Francesco”, Leone ha ribadito che oggi le sfide ambientali e sociali sono ancora più urgenti. In questo anniversario dobbiamo chiederci: “Cosa resta da fare? Cosa dobbiamo fare ora per garantire che la cura della nostra casa comune e l’ascolto del grido della terra e dei poveri non appaiano come mode passeggere o, peggio ancora, siano viste e sentite come questioni divisive?” ha domandato.
Ritornare al cuore: dalla raccolta dei dati alla cura
“Oggi più che mai è necessario ritornare al cuore, luogo della libertà e delle decisioni autentiche”, ha affermato il Pontefice, perché sebbene esso “comprenda la ragione”, allo stesso tempo “la trascende e la trasforma”. “Il cuore è il luogo in cui la realtà esterna ha il maggiore impatto, dove si compie la ricerca più profonda, dove si scoprono i desideri più autentici, dove si trova l’identità ultima di ciascuno e dove si forgiano le decisioni.”
In questo senso, ha sottolineato che “solo ritornando al cuore può aver luogo una vera conversione ecologica”. “Dobbiamo passare dalla raccolta dei dati alla cura; e dal discorso ambientale a una conversione ecologica che trasformi gli stili di vita personali e comunitari.”
Leone ha ricordato ai presenti che questa esperienza di conversione ci orienta verso il Dio vivente: “Non possiamo amare Dio, che non vediamo, mentre disprezziamo le sue creature. Né possiamo chiamarci discepoli di Gesù Cristo senza condividere la sua visione del creato e la sua cura per tutto ciò che è fragile e ferito.”
Nessuno spazio per l’indifferenza o la rassegnazione
Prima di concludere, il Papa ha guardato con speranza ai prossimi vertici internazionali — la COP30 del 2025, la sessione del Comitato per la Sicurezza Alimentare Mondiale e la Conferenza sull’Acqua del 2026 — “affinché ascoltino il grido della terra e il grido dei poveri”.
Ha anche incoraggiato i giovani, i genitori e coloro che lavorano nelle amministrazioni e istituzioni a contribuire a “trovare soluzioni alle sfide culturali, spirituali ed educative di oggi, lottando sempre con tenacia per il bene comune.”
Infine ha riflettuto: “Dio ci chiederà se abbiamo coltivato e custodito il mondo che Egli ha creato e i nostri fratelli e sorelle. Quale sarà la nostra risposta?”
1,5 miliardi di cattolici possono impegnarsi
L’attore ed ex governatore della California, fondatore dell’USC Schwarzenegger Institute e della Schwarzenegger Climate Initiative, Arnold Schwarzenegger, ha iniziato il suo intervento congratulandosi con il Santo Padre per l’installazione dei pannelli solari sui tetti del Vaticano: “Sono accanto a un eroe”, ha dichiarato.
“Ci sono 1,5 miliardi di cattolici: quel potere e quella forza devono essere usati per impegnarsi nel movimento climatico”, ha affermato Schwarzenegger, invitando a concentrarsi di più sul parlare dell’inquinamento: “La persona comune non capisce quando parliamo di zero emissioni nette o di temperature in aumento. Invece di parlare alla testa, dobbiamo parlare al cuore. Possiamo porre fine all’inquinamento se lavoriamo insieme, perché Dio ci ha messi sulla terra per renderla un posto migliore.”
Verso la COP della speranza
Successivamente è intervenuta l’on. Marina Silva, Ministra dell’Ambiente e del Cambiamento Climatico del Brasile, copresidente della COP30. Nel suo discorso ha espresso di sentirsi ispirata dai valori cristiani nel partecipare alla conferenza.
Con convinzione ha affermato: “Sono certa che il Papa darà un grande contributo affinché la COP30 passi alla storia e diventi, come tutti desideriamo ardentemente, la COP della speranza, per preservare e coltivare tutte le forme di vita che fanno parte del meraviglioso giardino che Dio ci ha donato.”
Dalle lacrime alla speranza
Sul palco, il Papa è stato accompagnato dalla dott.ssa Lorna Gold, direttrice esecutiva del Movimento Laudato Si’ e presidente del Comitato Organizzatore della Conferenza; dalla teologa Margaret Karram, presidente del Movimento dei Focolari; da p. Jesús Morán; e da Yeb Saño, presidente del Consiglio Direttivo del Movimento Laudato Si’, che ha condiviso la sua esperienza nelle Filippine, a contatto diretto con molte catastrofi climatiche, introducendo le testimonianze principali.
È seguito un momento spirituale simbolico in cui rappresentanti di diversi paesi — Timor Est, Irlanda, Brasile, Zambia e Messico — hanno portato acqua dalle loro terre, per versarla in un bacile comune sul palco. Hanno incarnato il grido dei popoli indigeni, della fauna selvatica, degli ecosistemi, delle generazioni future, dei migranti, dei poveri e della stessa terra.
Dalle lacrime alla speranza, con il pubblico in piedi, Papa Leone si è avvicinato al ghiaccio glaciale e ha proclamato la benedizione sull’acqua e su tutti i presenti: “Che possiamo lavorare per la fioritura di tutto il creato.” Le esibizioni musicali di Adenike, Gen Verde e dei Pacific Artists for Climate Justice hanno animato l’incontro con gioia ed energia.
Un blocco di ghiaccio dalla Groenlandia
Il ghiaccio ha percorso più di 5.000 chilometri dai fiordi di Nuuk, in Groenlandia, fino a Castel Gandolfo, Roma. L’artista Olafur Eliasson ha organizzato il trasferimento con il supporto del geologo Minik Rosing. Raccolto nel fiordo di Nuup Kangerlua, il blocco di ghiaccio si era staccato dalla calotta glaciale della Groenlandia a causa del cambiamento climatico e si stava sciogliendo nell’oceano. La vasta calotta glaciale della Groenlandia è uno dei regolatori climatici più importanti della Terra. Formata da neve compattata nel corso di decine di migliaia di anni, contiene strati di oltre 100.000 anni che custodiscono bolle d’aria antica che registrano la storia dell’atmosfera terrestre. L’Osservatorio della Terra della NASA stima che la calotta glaciale della Groenlandia stia perdendo circa 270 miliardi di tonnellate all’anno a causa del cambiamento climatico. Man mano che il ghiaccio rilascia acqua di fusione nell’oceano, ci ricorda che il nostro rapporto globale con le calotte glaciali è esistenziale: ci collegano al passato, plasmano il nostro clima attuale e — a seconda della nostra cura o negligenza — determineranno il nostro futuro comune. Se il ghiaccio dovesse sciogliersi completamente, la NASA prevede che il livello del mare potrebbe salire di circa sette metri, ridisegnando le coste e costringendo milioni di persone in tutto il mondo a spostarsi.
A tutti gli appartenenti del Movimento dei Focolari nel mondo
Noi, dirigenti del Movimento dei Focolari, riuniti a Roma, in rappresentanza degli appartenenti al Movimento nei 140 Paesi in cui è presente, esprimiamo il nostro grande dolore per il continuo aggravarsi dei conflitti armati che stanno devastando il Medio Oriente e tante altre parti del mondo.
Manifestiamo la nostra convinta e concreta vicinanza alle persone, ai popoli che soffrono, condannando altresì ogni forma di violenza, ingiustizia, oppressione.
Consapevoli che la pace comincia dai nostri gesti quotidiani, vogliamo invitare tutti ad abbracciare e sottoscrivere con la propria vita i seguenti impegni:
• essere “artigiani della pace”, disposti a superare ideologie e contrapposizioni;
• promuovere e sostenere reti di solidarietà per fornire sostegno materiale, psicologico e spirituale alle vittime di tutte le guerre;
• far sì che ogni nostra comunità diventi una “casa della pace”, dove si impara a disinnescare l’ostilità attraverso il dialogo e la comprensione reciproca, dove si pratica la giustizia e si costruisce il perdono;
• favorire programmi educativi per infondere, soprattutto nelle nuove generazioni, la cultura di pace, l’inclusione e la non violenza;
• incoraggiare ogni iniziativa locale e globale che genera l’incontro, il dialogo interreligioso e interculturale, fondamentali per la riconciliazione.
Ci impegniamo affinché perdono, dialogo, fraternità non siano parole, ma diventino vie reali che aprono il futuro e impediscono alla violenza di avere l’ultima parola.
Salga da ogni angolo della terra una preghiera incessante e fiduciosa al Dio della pace, perché illumini i cuori di chi può agire per fermare ogni conflitto.