Ott 13, 2015 | Focolare Worldwide, Focolari nel Mondo, Sociale
«È mattino molto presto, dopo una notte di pioggia, al confine (labile) tra Thailandia e Myanmar. Stiamo facendo colazione con uova sode ed un po’ di caffè. È l’inizio della nostra avventura: quattro giorni a Mae Sot, insieme ad un sacerdote che si occupa dei profughi, tra gli ultimi degli ultimi, quelli che non entrano nei campi ufficiali delle Nazioni Unite, di cui nessuno si occupa e che spesso non vengono pagati dai datori di lavoro per il loro lavoro settimanale: non hanno documenti e non possono protestare con nessuna autorità, perché nessuno li difenderà. Molti di loro sono stati per anni nella foresta e finalmente ce l’hanno fatta a venirne fuori. Stanno tra le fosse ed i muri delle fabbriche, in capanne di fortuna e sono vivi per miracolo. Di loro non si parla, ma qui si conosce questa realtà: valgono oro! Sono una forza lavoro a bassissimo costo, persone disposte a lavorare anche a poco prezzo: quanto basta per vivere. Ed è per questa ragione che Mae Sot diventerà una zona economica speciale, con la presenza di molte industrie. Noi vogliamo essere qui almeno per alcuni di loro. Abbiamo iniziato un progetto per aiutare i bambini di una scuola che fino a poco tempo fa non esisteva, se non nei sogni dei bambini di Latina e dei loro compagni rifugiati a Mae Sot.
Ora questa scuola esiste e si chiama ‘Goccia dopo goccia’. Un gemellaggio incredibile tra Latina ed il fango di Mae Sot: ingiustizie, malattie, soprusi, stupri e via dicendo; chi sta bene e chi ringrazia Dio d’essere vivo ogni mattina… ed ogni sera! Come uno dei bimbi della scuola. Chiedo alla sua mamma : “Come si chiama il tuo bambino?” e lei: “Chit Yin Htoo, che vuol dire Se mi ami rispondimi”. “E la data di nascita?” domando. “Forse 3 o 4 anni fa, forse 5 o 6. Era la stagione del raccolto, nel pieno dell’offensiva militare, dovevamo scappare: solo scappare”. A questo punto io mi fermo e non riesco più a scrivere, ma prego solo di non piangere di fronte a questa mamma. Com’è possibile? Questo progetto è una “pazzia d’amore” che solo dei bambini potevano pensare. E l’amore è così: fa fiorire il deserto, ti fa fare cose impossibili e ti fa felice! Noi grandi seguiamo questi bimbi, con rispetto e sacro timore, direi: “I loro angeli vedono il Padre nei cieli”. Stando con “Se mi ami rispondimi”, difficilmente riesco a farlo sorridere. È schivo, riservato e solo dopo molto tempo riesco a prenderlo in braccio: 6 anni, o forse 5…nessuno lo sa di preciso; fragile e leggero che sembra una foglia. Questi occhi… cos’hanno visto? Con un filo di voce riesce a registrare un messaggio. Sembra un cristallo. Distribuiamo cibo, latte, e soprattutto pupazzetti e giochi a tutti i presenti: lanterne, poi anche vestiti che fanno felici tutti. “Non ne abbiamo per tutti, ma chiediamo un miracolo”, dico ai presenti “che riusciamo ad amarci e a preoccuparci degli altri, come di noi stessi” Gli occhi si illuminano quando vedono il pallone e le tute da calcio offerte da una Scuola calcio di Priverno (LT). Quanto amore che arriva; e questi bimbi sono felici perché sentono il ‘calore’ che c’è sotto. Quello cambia i loro occhi tristi.
La scuola non ha veri muri: le lavagne un po’ rotte; i maestri, sono volontari ai quali riusciamo a dare solo 50 € al mese di stipendio; poi la rete, i gabinetti…Mi sembra d’essere in un santuario d’amore, in una cattedrale forse come la sogna anche Papa Francesco? Anni fa feci una promessa: che questa era la mia gente e che non l’avrei abbandonata, mai. Di fronte a questa scuola, a questa ‘Goccia d’amore’ nell’oceano del male che ci circonda, rinnovo quella promessa». Luigi Butori https://vimeo.com/140569827 (altro…)
Ott 12, 2015 | Cultura, Focolare Worldwide, Focolari nel Mondo, Sociale, Spiritualità
«In questi anni penso di aver visitato da solo almeno 50mila pazienti». A parlare è Carlo Montaguti, focolarino medico, direttore del Centro Medico Sociale della cittadella dei Focolari a Man, in Costa d’Avorio. «Nel mio Paese, l’Italia, facevo il medico, ma non in un modo così intensivo. Chi mi ha preceduto, c’era ancora la guerra, prima di partire mi ha detto: Carlo, se tu non li curi, non c’è nessuno che lo fa». I pazienti arrivano anche di notte. Si compila il libretto sanitario nell’apatam (la tettoia) antistante, e poi si entra per la visita medica, presso uno dei tre dottori del centro, di cui uno musulmano. I medici prescrivono gli esami di laboratorio e in circa due ore si hanno i risultati. In una seconda visita si fa la diagnosi e si prescrive la terapia. Nel giro della mattinata si riesce a fare tutto. «Non è scontato avere un laboratorio di analisi come questo in un piccolo centro di periferia», continua Carlo. «Ho lavorato 4 anni senza laboratorio ed è stato davvero difficile». Luc Dro, responsabile del laboratorio, spiega che essendo in una zona tropicale, è molto richiesta la ricerca del parassita della malaria e altre malattie endemiche, ma il laboratorio è in grado di fare un vero check-up completo. Nel centro c’è anche una piccola farmacia, dove sono state registrate oltre 100mila consultazioni. «Facciamo ogni sforzo possibile per mettere il paziente al cuore del nostro lavoro – dice il dott. Alavo Bazini – ed è questo che spiega l’affluenza. Non è sufficiente dire “i medicinali sono gratuiti”, se poi le persone non sono contente. È questo che fa l’originalità del nostro centro». Quando è possibile c’è anche un mediatore culturale che traduce in lingua locale. «Siamo dotati anche di internet con connessione wi-fi – spiega il dott. Eliassa Sow – Così possiamo fare delle ricerche e collaborare con altri medici a distanza». «Sono arrivato nel 2004 – continua il dott. Montaguti nel suo racconto – quando il centro era costituito da due piccole stanze per le consultazioni e una per fare delle medicazioni. Le persone ci apprezzavano soprattutto perché durante la guerra del 2002, nel momento più difficile quando tutti gli stranieri partivano, abbiamo deciso di restare rischiando la vita. Hanno capito che eravamo lì per loro e questo ha generato la fiducia». «Qualche volta ci capita che il lunedì, dopo la chiusura del weekend, i pazienti dicano: “Dottore, ho tenuto la malattia per te”. A meno che non si tratti di situazioni molto gravi, preferiscono aspettare un giorno e soffrire un po’, ma venire qui!». Uno dei punti forti del centro è anche l’équipe sanitaria, coinvolta in tutto il processo di cura. Quando la crisi politico-militare è finita e la situazione nella regione si è calmata, il centro si è ingrandito e nel 2008 si è trasferito in una nuova struttura. «Sembrava già un sogno – ricorda Carlo – ma dopo due anni con l’affluenza dei pazienti – oltre 80 al giorno più gli accompagnatori: una piccola folla! -, non reggeva più. E abbiamo continuato a sognare». Ed è così che lo scorso 10 ottobre si è inaugurato il nuovo Centro Medico Sociale Focolari a Man, a pochi passi dalla Mariapoli Victoria, operativo dallo scorso 7 settembre. Un’architettura moderna per una struttura di oltre 1000 mt2, con l’aggiunta di nuovi servizi: 15 posti letto, lo studio dentistico, la sala di fisioterapia, nuove apparecchiature per la diagnostica (ecografia, elettroforesi dell’emoglobina e microbiologia). In questi ultimi giorni è stato ultimato il trasferimento del centro nutrizionale, per la cura della malnutrizione infantile, precedentemente situato nel quartiere di Libreville. All’inaugurazione, insieme a 300 persone, erano presenti il dott. Mabri, Ministro della pianificazione e dello sviluppo che è anche il presidente della Regione delle Montagne, il Nunzio apostolico Mons. Joseph Spiteri e il vescovo di Man Mons. Béby Gnéba, il prefetto (che qui rappresenta il presidente), il sindaco, l’ex ministro dell’istruzione, il direttore regionale della sanità, la tv ivoriana, le radio e i giornali. Un clima di festa grazie anche alle prestazioni della compagnia di danza tradizionale “Tro Afrique. ” I capi tradizionali hanno presieduto una cerimonia nella quale, in lingua locale, il popolo assegnava ai Focolari la terra degli avi per il centro medico e lo benediceva. Ma l’evento ha avuto anche un respiro internazionale grazie ai tanti messaggi di sostegno ricevuti. Una pagina Facebook con foto e commenti permetteva di seguire l’evento in tempo reale. Una grossa partecipazione quindi, e un augurio, giunto dalla presidente dei Focolari, Maria Voce: «che il nuovo centro medico contribuisca a portare avanti il progetto di Dio della fratellanza universale».
Video di presentazione del Centro Medico (in francese) https://vimeo.com/141902777 (altro…)
Ott 9, 2015 | Chiesa, Dialogo Interreligioso, Ecumenismo, Focolare Worldwide, Focolari nel Mondo, Sociale
Difficile quantificare le cifre – fonti Misna riferiscono 60 morti e 300 feriti – e descrivere il susseguirsi dei fatti in un Paese che da marzo 2013, quando un gruppo di ribelli ha rovesciato il presidente in carica, è sprofondato in una grave crisi politica che periodicamente mostra una recrudescenza. Come in questi giorni. «La situazione socio-politica è peggiorata – scrive Geneviève Sanzé, originaria della Repubblica Centro Africana – Famiglie cristiane vivono tra la casa e il bosco, per non farsi trovare in casa (si rischia la vita). Un sacerdote, che vive nel nord dove la situazione è molto tesa, ospita 12.000 rifugiati nella sua parrocchia, al riparo dai proiettili che fioccano da ogni dove. Non sa come curarli e dare loro da mangiare. Nella regione non c’è più nessuna autorità amministrativa, politica o militare e c’è anche il rischio di bombe nei posti affollati». E dal Focolare di Bangui scrivono: «Ci stavamo preparando a fare qualcosa di concreto per la mobilitazione per la pace di cui anche il nostro Paese ha tanto bisogno: una competizione sportiva con squadre miste composte da cristiani e musulmani insieme; una marcia per la riconciliazione, fatta da tutti i gruppi, di etnie, confessioni e religioni diverse; un concerto con vari gruppi musicali, tra cui il nostro, per sensibilizzare l’opinione pubblica sull’esigenza e la necessità della pace per il bene di tutti; proseguire le visite ai rifugiati qui a Bangui, e nella prigione. A queste azioni ad altre ancora, avevamo invitato i nostri amici musulmani, e di varie chiese cristiane per realizzarle insieme ed avevano aderito con entusiasmo». «Il primo appuntamento, fissato per il 26 settembre, non c’è stato, perché quel giorno qui a Bangui è scoppiato un massacro – racconta Bernardine, che lavora in Nunziatura -. Tutto è cominciato con la scoperta di un corpo senza vita di un giovane musulmano in un quartiere abitato dai cristiani. Ma finora non si sa chi l’ha ucciso, in quali condizioni. Nel giro di qualche ora, le case dei non musulmani sono state assalite e molte persone uccise». Morti, saccheggi, distruzione di case, chiese, scuole, uffici degli organismi internazionali, e tanti sfollati, tra i quali alcuni della comunità dei Focolari. C’è chi ha perso parenti vicini. «Ci incoraggiamo a vicenda – scrivono – a continuare ad amare, ognuno dove si trova, pronti a “morire per la nostra gente”. Pregate anche voi con noi, per noi e per tutti quelli che vivono nelle situazioni simili». Per giorni la città è sembrata morta. «Non si andava al lavoro – scrive ancora Bernardine – i negozi chiusi, le uniche macchine sulla strada, quelle delle nazione unite e dei militari francesi. La popolazione ha organizzato una manifestazione richiamando tutti alla disobbedienza civile, chiedendo il ripristino di un’armata nazionale che difenda la popolazione. Durante la manifestazione sono morte altre persone e si è fermato tutto. In questi giorni la situazione è migliorata un po’, abbiamo ripreso le attività, anche se le scuole sono ancora chiuse. Siamo nelle mani di Dio e crediamo sempre al Suo amore, presto o tardi ci sarà la pace anche nella RCA». E questa speranza è sostenuta dall’attesa della visita del Papa alla fine di novembre: «Tutta la popolazione infatti – racconta Fidelia, del focolare di Bangui – senza distinzione di etnie, religioni, aspetta con gioia la sua venuta. Si sente nell’aria che la gente lo attende come portatore di speranza. Tutti si stanno preparando materialmente e spiritualmente per avere il cuore disposto ad accogliere tutte le grazie che la visita di Francesco porterà». (altro…)
Ott 6, 2015 | Cultura, Focolari nel Mondo, Sociale, Spiritualità
Nancy O’Donnell ha lavorato come psicoterapeuta con tossico-dipendenti ed è stata responsabile di un centro medico per l’aiuto a donne alcolizzate e ai loro figli. La domanda sul significato del dolore è centrale nella vita delle persone e in particolare nella malattia. A lei chiediamo: è possibile affrontare il problema della sofferenza e trovare la speranza? «Il dolore fa parte di ogni vita umana e difficilmente siamo capaci di aiutare altri che soffrono se non abbiamo trovato il significato delle nostre sofferenze. È in questa ricerca la via alla speranza. La scienza offre nuovi trattamenti, nuove cure per migliorare la vita di molti. Il pericolo: che ci lasciamo ingannare credendo che troveremo il modo di non invecchiare, di non ammalarci, di non soffrire. Se si cerca solo la speranza di guarire, si rischia d’ingannare noi stessi, inganno che può portare alla disperazione, l’opposto della speranza. Ne abbiamo parlato di recente in un convegno lo scorso 27 settembre, al Polo Lionello Bonfanti, vicino Firenze, incentrato sulla sofferenza umana e su speranze di cura e ricerca di senso». Quale ruolo può avere la psicologia nell’esperienza di un malato, per aiutarlo a trovare la speranza? «Potremmo sintetizzarlo in quattro punti: il ruolo della personalità e la possibilità di modificarla, l’importanza dei rapporti sani nell’affrontare la malattia, la necessità di conoscere ed accettare i propri limiti, la capacità umana d’essere dono di sé. Sulla personalità: l’essere ottimista o positivo può diminuire il rischio di malattie e disturbi cronici. All’Università Davis di California, hanno scoperto che scrivere le cose per le quali si è grati ogni giorno ha portato ad un aumento di felicità. I risultati erano più significativi, confrontandoli con un gruppo cui era stato chiesto di annotare, invece, le cose che avevano provocato l’aumento di stress.
Il secondo punto: i rapporti. Abbiamo la capacità di stabilire rapporti sin dalla nascita. La salute mentale di ogni persona dipende dalla sua capacità di “coordinarsi” e “raccordarsi” con gli altri. La mente umana è sana quando possiede alcune strategiche competenze relazionali, che le permettono di “aprirsi” a una molteplice realtà sociale, cioè quando è in grado di “percepire” in modo adeguato gli altri e la loro diversità. Se la nostra identità è relazionale è logico che, quando restare nella speranza diventa una sfida, avere vicino persone con le quali si sono costruiti rapporti profondi, allora il sostegno di questi rapporti rinforza l’energia positiva necessaria per restare nella speranza. Ancora, la non accettazione dei propri limiti è una delle difficoltà più tipiche della persona di oggi. Il limite si manifesta alla persona attraverso la sua condizione e la sua storia, attraverso quelle esperienze che comportano il rischio della frustrazione. In un mondo che ci offre una vita “senza limiti” l’arrivo di una malattia in un momento inatteso, ci trova inpreparati. Invece, la capacità di assumere le molteplici espressioni del limite si mostra come il passaggio determinante per ottenere la propria autorealizzazione. Infine, essere dono per gli altri, anche quando vengono a mancare le forze fisiche, rende la persona protagonista sempre. E qui si trova una dignità che nasce da un punto in fondo al nostro essere».

La dott.ssa Nancy O’Donnell
Dott.ssa O’Donnell, si può intravedere un legame tra la psicologia e la spiritualità? «Sì, ma è un legame ambivalente. Io sono stata facilitata nel trovare la riconciliazione fra queste due dimensioni umane da una maestra di spiritualità e umanità: Chiara Lubich. Tutti, credo, cercano di trovare un’unità interiore, dove l’identità rimane una cosa sicura in mezzo ai vari conflitti attorno e dentro di noi. Per me, quest’unità viene dalla vita vissuta seguendo questa spiritualità. Ho lavorato per tanti anni con i tossicodipendenti, donne alcolizzate e poi con uomini senza tetto che avevano perso tutto per l’uso delle droghe. Si sentivano schiacciati dalla disperazione ed era difficile per loro capire perché vivere. Cercavo di comunicare la mia certezza, sia riguardante la loro dignità intrinseca, sia del valore della sofferenza. Usavo un’immagine che risultava utile. Nel corso della riabilitazione, avevano momenti liberi dove qualcuno faceva i puzzle. Allora, chiedevo se avevano mai finito un puzzle e scoperto che mancava un pezzo. Vedevo la vita di ciascuno un po’ così: ogni pezzo è unico e la bellezza finale si vede solo quando ognuno è al suo posto. Quindi ogni persona può trovare la propria bellezza e la coscienza di essere degna d’amore e insostituibile. Arrivare al punto di credere che sono stato creato come dono per l’altro come l’altro lo è per me». (altro…)
Ott 3, 2015 | Centro internazionale, Focolari nel Mondo, Sociale, Spiritualità
La pace è il risultato di un progetto: un progetto di fraternità fra i popoli, di solidarietà con i più deboli, di rispetto reciproco. Così si costruisce un mondo più giusto, così si accantona la guerra come pratica barbara appartenente alla fase oscura del genere umano. E Giordani la guerra la conosceva bene: vi aveva partecipato, nel primo conflitto mondiale, meritando un’onorificenza per una grave ferita riportata sul fronte austriaco. Ma non è solo l’orrore per il sangue e per la morte che deve indurre l’uomo a rifiutare la guerra come strumento per risolvere per risolvere i problemi di ordine internazionale. La guerra può essere pensata come naturale da quelle povere menti che postulano l’uomo come una macchina assetata di potere e pronta a scagliarsi contro un qualsiasi nemico per realizzare i propri sogni di potenza. Ma non c’è niente di naturale nel procurarsi a vicenda sofferenza, miseria, morte. La guerre non producono vincitori, ma solo sconfitti. La storia ce lo insegna, e Giordani lo dimostra: i gravi problemi che ogni guerra lascia sul campo sono di gran lunga più angoscianti di quelli che si voleva risolvere ingaggiando il conflitto. È quindi già la ragione che ci suggerisce di deporre le armi e i sentimenti bellicosi e preparare un ordine pacifico. Ma per coloro che credono che l’uomo è creatura di Dio, l’offesa al prossimo deve rimanere estranea all’azione. Come si può compiacere Dio attentando alla vita delle sue creature? È trascorso mezzo secolo da quando Giordani scrisse i brani che riportiamo qui sotto, tratti da L’inutilità della guerra, edito da Città Nuova, eppure sembrano scritti per questa nostra attualità lacerata da conflitti così pericolosi. «La guerra è un omicidio in grande, rivestito di una specie di culto sacro, come lo era il sacrificio dei primogeniti al dio Baal: e ciò a motivo del terrore che incute, della retorica onde si veste e degli interessi che implica. Quando l’umanità sarà progredita spiritualmente, la guerra sarà catalogata accanto ai riti cruenti, alle superstizioni della stregoneria e ai fenomeni di barbarie. Essa sta all’umanità come la malattia alla salute, come il peccato all’anima: è distruzione e scempio e investe anima e corpo, i singoli e la collettività». «La storia conferma la logica cristiana, dacché l’allestimento d’armi porta alla paura, alla diffidenza, alla guerra. Sono falsi realisti quei tali che dicono: ‘Se vuoi la pace, prepara la guerra’. Basta aprire un manuale di storia per vedere a cosa conduce l’accumular armi e munizioni. La pace è difficile. Perché cristiani, noi non siamo ingenui. Noi vogliamo la pace e non l’illusione. La pace non cadrà dal cielo bell’ e fatta. La pace è un’azione paziente che dobbiamo fare insieme. Cioè la pace si ottiene con la pace». «Difende la guerra chi ha paura. Si fa la guerra perché si ha paura. Chi ha paura ingiuria e spara, per un istinto di liberazione. Ci vuole coraggio – un coraggio razionale – a sostenere la pace». Alberto Lo Presti L’inutilità della guerra, Città Nuova 2003 (pp. 7, 71-72, 83) (altro…)
Set 30, 2015 | Focolari nel Mondo, Nuove Generazioni, Sociale, Spiritualità
https://www.change.org/p/sign-up-for-a-global-petition-for-peace-now Di fronte al dramma umanitario dei rifugiati, i Giovani per un Mondo Unito dei Focolari si mobilitano appellandosi agli organismi internazionali e impegnandosi in prima persona insieme a tutto il Movimento.
- Ridurre i finanziamenti pubblici destinati agli armamenti
- Operare alla radice delle diseguaglianze per contrastare la miseria
- Rivedere i modelli di governance attuali
- Adottare un modello di legalità organizzata in opposizione ai fenomeni criminali
- Garantire un livello di istruzione primaria universale
Sono questi i 5 punti principali dell’appello dei Giovani per un Mondo Unito (GMU) dei Focolari, rivolto ai Parlamenti nazionali, a quello Europeo, alle commissioni nazionali dell’Unesco e alle Nazioni Unite. Firma anche tu per sostenere la petizione! https://www.youtube.com/watch?v=GdTA-8E3MJE&feature=youtu.be (altro…)