Ott 26, 2014 | Cultura, Focolari nel Mondo, Spiritualità

La protagonista al workshop dell’EdC a Loppiano
«L’anno scorso ho avuto il piacere di partecipare ad un workshop dell’Economia di Comunione a Loppiano. Lì mi si sono aperti gli occhi: fino a quel momento ero proiettata nel capire “cosa faccio”, senza pormi la domanda di “chi sono”. Ho capito che il lavoro è una vocazione: dovevo trovare, quindi, la mia vocazione, ciò che mi avrebbe resa felice. Ero alla conclusione del mio percorso universitario in ingegneria biomedica. A ottobre 2013 mi sono laureata al Politecnico di Torino, dopo aver fatto una tesi al Politecnico di Losanna in Svizzera. 5 anni trascorsi all’interno del Politecnico, 8 ore al giorno di lezione. Studiavo di notte, passando intere giornate senza instaurare relazioni vere tra colleghi. In ambienti di una certa fama è molto forte l’individualismo, la paura di essere scavalcati e anche i professori trasmettono l’ “ansia da primato”. Dopo tanti sacrifici mi stavo per laureare in tempo e anche col massimo dei voti. C’era una buona probabilità che stessi per vincere il dottorato in Svizzera con uno stipendio alto, casa sul lago e ottimi amici che mi attendevano. Era un momento fondamentale della mia vita, dove potevo decidere grandi cose. Ma qualcosa mi faceva paura: l’attaccamento alla carriera, ai soldi. Desideravo avere gli strumenti per poter iniziare a lavorare, direi, “controcorrente”. In tempo di crisi tanti giovani come me hanno difficoltà a trovare lavoro ed io non volevo chiudermi nella carriera senza guardare nessuno. Così sono arrivata al workshop EdC con tante domande. Non ho trovato tutte le risposte, ma un clima di apertura, dove imprenditori, professori e giovani erano tutti insieme, alla pari, a guardare l’Italia di oggi con le sue sfide. Ho capito che i tanti soldi sarebbero stati il primo ostacolo per la mia felicità, per me fatta di altro. Conferma l’ho avuta quando sono andata nelle Filippine, prima di iniziare il dottorato che, in aereo, ho saputo di aver vinto! Si trattava di un viaggio sociale che avevo già organizzato, in cui ho toccato con mano una cultura ben diversa dalla mia.
Lì mi sono trovata sotto il tifone più forte del mondo, il tifone Yolanda, nel novembre 2013. Il popolo filippino, seppur spesso abbattuto da simili tragedie, aveva quella dignità che faceva sentire anche a me… di avere tutto per essere felice! Ho capito la differenza tra “povertà” e “miseria”. La “povertà” era quella che avevo visto nelle Filippine, la “miseria” è una povertà senza fiducia, senza speranza, che avevo visto nei volti di molti amici italiani in seguito a questa crisi. Qui in Europa entrano in gioco la depressione e gli psicologi… È vero, c’è la crisi. Ma c’è la casa sopra la testa e il pasto quotidiano pure. La dignità che ho scoperto nelle Filippine è una lezione che servirà per la mia carriera lavorativa. Per questo ho rinunciato alla carriera in Svizzera ed ora lavoro a Loppiano, in un’azienda di Economia di Comunione nata per formare giovani non solo a livello relazionale-sociale ma anche attraverso il lavoro. Qui non faccio l’ingegnere, ma la manovale, dove non esistono macchine automatiche. Lavoro la creta con le mie mani. E sento che, per essere un bravo ingegnere, dopo anni vissuti sui libri, serve anche mettersi dalla parte dell’operaio. Magari a qualcuno sembrerà che stia perdendo tempo, ma vorrei essere quell’ingegnere che, quando guarda gli operai, sa di guardare delle persone con una loro dignità, mettendole al centro del proprio lavoro». (Maria Antonietta Casulli, 25 anni, Italia) (altro…)
Ott 25, 2014 | Chiesa, Famiglie, Focolare Worldwide, Focolari nel Mondo, Spiritualità
«Quando ci siamo sposati avevamo tanti progetti, e tra questi il desiderio più grande era quello di avere un figlio. È stata una grande delusione scoprire che c’erano problemi che impedivano il concepimento. Io non l’accettavo, anzi ero convinta che una soluzione c’era e che avremmo presto risolto con l’aiuto della medicina, che ci dava buone speranze. Avevo 22 anni, quindi non ci è stato subito proposto di ricorrere alle tecniche di fecondazione in vitro (FIVET), ma di fare inizialmente delle cure meno invasive. In quel tempo, in attesa che qualcosa accadesse, ho cercato l’aiuto e il consiglio di un sacerdote della mia parrocchia che mi ha aiutata a considerare il vero valore della vita, dono prezioso che Dio ha voluto affidare alla responsabilità dell’uomo. La sofferenza che vivevo era causata dal mio forte desiderio di maternità da realizzare al più presto. C’era in me un conflitto sulla scelta della strada da seguire. Da una parte c’era il parere di alcuni medici che proponevano la FIVET come la soluzione giusta. L’altra strada era fidarci di Dio. Così abbiamo deciso con molta fatica di fermarci e non fare più nulla. La fecondazione omologa, infatti, pensiamo che smentisca alcuni aspetti importanti della verità dell’uomo. Noi crediamo che la vita è dono di Dio e non un “prodotto” da fabbricare in un laboratorio, senza la donazione d’amore tra gli sposi. Infatti, con questa tecnica il figlio non viene concepito nella loro carne, ma in una provetta. Avevo sempre considerato l’adozione come una esperienza bellissima, un grande atto d’amore, ma il mio forte desiderio di vivere la gravidanza mi portava a non prendere in considerazione questa via. La sofferenza mi ha aperto gli occhi per vedere oltre e capire che, come dice S. Giovanni Paolo II nella Familiaris Consortio, che “ la vita coniugale non perde il suo valore ma si può essere fecondi al di là della capacità procreativa, si può realizzare la paternità e la maternità in maniera splendida in tante forme di relazioni, di solidarietà verso chi ha bisogno”. Nasce, allora, in me l’idea di adottare un bambino e quando questa è stata condivisa con mio marito e accolta, ecco che avevamo appena “concepito” in maniera affettiva il figlio che Dio voleva donarci. Nell’autunno del 2004 abbiamo presentato al Tribunale per i minorenni la nostra dichiarazione di disponibilità all’adozione nazionale ed internazionale. Inizia l’attesa, il nostro bambino non era ancora nato ma era già nel nostro cuore, nei nostri pensieri. Non esisteva ancora, ma già pregavamo per lui. Samuele è nato in Vietnam e, il 19 aprile 2007, l’associazione a cui ci eravamo rivolti, ci comunicò che c’era un bimbo abbinato a noi. È stato l’inizio di una grande emozione che non è facile descrivere. Abbiamo subito condiviso questa gioia con familiari e amici; eravamo così felici che avremmo voluto gridarlo al mondo intero. Avevamo solo una sua fotografia che per noi genitori adottivi è come la prima ecografia, in cui vedi tuo figlio ma non puoi ancora abbracciarlo. Dopo aver affrontato un viaggio all’interno delle nostre emozioni, si trattava ora di affrontare il viaggio reale, salire a bordo di un aereo che ci avrebbe portato dall’altra parte del mondo per raggiungere nostro figlio. Il 29 maggio 2007 lo abbracciammo per la prima volta, e fu una gioia incontenibile. Questo giorno viene ricordato ogni anno come un secondo compleanno perché Dio ha benedetto la nostra famiglia con il dono di Samuele. Vogliamo ringraziare il Signore per tutti i doni che ci ha fatto: Dorotea, adottata nel 2012, e Michele, che abbiamo accolto in affidamento». (G. e G. – Italia) (altro…)
Ott 24, 2014 | Dialogo Interreligioso, Focolare Worldwide, Focolari nel Mondo, Spiritualità

Foto – EPA
A soffrire dell’assurda violenza degli estremisti islamici sono anche i musulmani. Non è il vero islam, sostengono infatti, quello che istiga all’odio. Le comunità dei Focolari presenti nei Paesi arabi vogliono mettere in pratica l’amore evangelico, come stanno affrontando l’avanzata dell’Is? La risposta di Rita al microfono di Adriana Masotti, per Radio Vaticana: «In questa situazione, l’amore e l’unità vengono purificati dal dolore che si vive. Eravamo scioccati davanti ad un’ultima tragedia, quando i terroristi sono entrati nei villaggi del nord dell’Iraq e da un giorno all’altro abbiamo visto migliaia di persone arrivare, senza niente. Un dolore molto grande! Ti domandi cosa sta succedendo e se è ancora vero quello in cui crediamo. Ma poi forse è proprio questo il momento della verifica. Quello che ci ha dato la certezza è uscire da noi stessi e andare incontro a queste persone. Una nostra famiglia in Iraq, ad esempio, ne ha accolto 40 in casa propria e ad un certo punto il padre, dopo aver sistemato tutti, rendendosi conto che non c’era più un angolo libero nella casa, si è ritrovato a dormire in macchina. Una quarantina di persone, invece, si erano rifugiate in un’altra zona del nord dell’Iraq, dove abbiamo due o tre famiglie, che hanno aperto loro le proprie case. Vedendo che erano angosciati e turbati si sono radunati, tutti insieme, a pregare il Rosario: adesso sono in 60 e ogni sera si aggiunge qualcuno del villaggio e pregano per la pace, ma pregano anche per i terroristi. Rendendosi conto che qualcuno aveva bisogno di coperte, hanno messo insieme un po’ di soldi per andare a comprare una cosa e poi un’altra; ma poi mancava ancora dell’altro e la Provvidenza ha fatto arrivare altri soldi… Dicevano: “La piccola somma che noi abbiamo messo, pur non avendo granché, ne ha attirata un’altra e un’altra e questa somma piccola non finiva più! Mi rendo conto che questo amore autentico, forse distillato dal dolore, ci fa vedere che l’amore è più forte. Personalmente ho visto gente che non aveva più niente, ma aveva mantenuto la fede e, sentendo la solidarietà degli altri, ha ritrovato il senso della vita, dell’amore, della pace vera e ci crede. Anzi ora sono testimoni ancora più forti». I rapporti tra le comunità dei Focolari nei Paesi che tu conosci e i musulmani come sono attualmente? «Adesso in Iraq è più difficile, perché le parti sono un po’ divise: dove sono i cristiani, ci sono praticamente pochi musulmani. Non abbiamo tantissimi contatti. Però la gente si vuole bene: ha sempre vissuto insieme. È questa politica che viene a manipolare i rapporti. In Giordania, invece, c’è un gruppo di musulmani che condivide la nostra spiritualità. Ricordo che quando sono arrivate in Giordania alcune famiglie irachene sfollate, abbiamo raccontato alla nostra comunità quanto stesse accadendo in Iraq. Erano presenti anche una decina di musulmani – noi eravamo un centinaio – e la prima reazione, immediata, veniva proprio dai musulmani che hanno detto: “Non è possibile quanto sta accadendo! Questi sono nostri fratelli: apriamo noi per primi le nostre case!”. C’è un dolore grande, in loro, per quanto sta accadendo a causa della violenza degli estremisti. Non osavano dirlo, perché si vergognavano, ma volevano farci capire che questa non è la loro religione. Questo è sfruttare la religione per la violenza, per l’odio… Con alcuni abbiamo dei rapporti molto belli, nella verità. Anzi, ancora di più tu senti di dover essere vero cristiano per entrare in rapporto con un musulmano: non ci sono compromessi, non c’è confusione. Ognuno di noi cerca con l’altro di essere il meglio di sé, di essere un vero cristiano; e il meglio di sé, per loro, è avere il coraggio di far cadere ciò che non è per l’uomo, che non è amore, che loro dicono “misericordia”». Fonte: Radio Vaticana (altro…)
Ott 23, 2014 | Focolare Worldwide, Focolari nel Mondo, Nuove Generazioni, Sociale, Spiritualità

Per non interrompere le attività quotidiane gli studenti hanno organizzato delle aree di studio all’aperto per poter continuare a studiare.
«Trovo difficile che queste cose siano successe nella città dove sono cresciuta. Ho pensato tantissimo, ho un grande desiderio che ci sia la vera democrazia, vorrei fare qualcosa per questo motivo, ma allo stesso tempo lottando per essa, non riesco a pensare che non ci sia pace nella società». Le fa eco un’amica dei Giovani per un mondo unito: «Chiara Lubich ci ha sempre parlato del dialogo e l’ha vissuto in prima persona; per questa situazione a Hong Kong per raggiungere una democrazia c’è tanto bisogno di dialogo, ma è difficile, specialmente per noi asiatici. Noi giovani adesso abbiamo tante possibilità di conoscere le idee di tutti attraverso i mass media, ma quando ci troviamo di fronte a qualcuno che la pensa diversamente abbiamo paura di rompere il rapporto e quindi non sappiamo come fare. A parte pregare per questo visto che non siamo noi leaders, cosa possiamo fare?». Sono riflessioni emblematiche di giovani di Hong Kong che osservano perplessi il movimento di protesta nella metropoli cinese. Occupy central with peace and love, il movimento cominciato a fine settembre – dopo alcune settimane in cui i media internazionali hanno puntato la loro attenzione sulle piazze di Hong Kong – prosegue con minore intensità la propria battaglia, ma tenendo fermo l’obiettivo: ottenere un “vero” suffragio universale per le elezioni del 2017. I sentimenti a riguardo sono contrastanti. «In questi giorni anche io sono andata a partecipare alla protesta anche se non sarei un tipo così attivo, ma sento fermamente che come giovane che vive per un mondo unito e come una studente di HK di fronte a un sistema sociale così ingiusto dobbiamo esprimere e far sentire le nostre richieste». E continua: «Ho sperimentato in prima persona cosa vuol dire disarmonia; fino adesso pensavo che questi fatti succedessero solo in nazioni in guerra e lontane da HK, ma quando ho visto la polizia che lanciava i gas lacrimogeni sugli studenti, scatenando una certa violenza, mi sono resa conto che questo problema era vicino a me. Tutta questa situazione nella città che amo mi fa male. Quello che posso fare è solo continuare a pregare e continuare a credere che Dio avrà cura di HK». 
Gli studenti lasciano messaggi e impegni a vivere questo tempo nella pace.
«Durante questa dimostrazione anche io come studente ho partecipato, sono fiera di essere una giovane di HK. Ma in questi giorni la situazione è diventata incontrollabile. Questa protesta mi dimostra che nella nostra società mancano l’amore e la comprensione. Il mio impegno è ad amare ognuno e pregare per la pace nel cuore di ognuno, affinché la speranza arrivi a tutti». In una lettera comune, scrivono alla presidente dei Focolari, Maria Voce: «Leggiamo ogni giorno sui quotidiani e su internet tante notizie, da un lato delle cose belle – per esempio che i residenti di Hong Kong vivono la solidarietà, la pace e le loro azioni sono razionali, gli studenti vivono idealmente…– e dall’altro la mancanza di pace. Abbiamo visto la polizia nei primi giorni delle manifestazioni in tenuta antisommossa che cercava di sgomberare i manifestanti con i gas lacrimogeni. Tante persone di idee differenti si sono messe in conflitto le une contro le altre e diverse voci all’interno della società si sono fatte sentire con liti e disunità», ed esprimono il rinnovato desiderio di continuare con tutte le forze a essere messaggeri di unità anche in una situazione così difficile. In risposta, Maria Voce li incoraggia, dicendosi certa che con l’unità tra loro, potranno avere «la sapienza», e «trovare la luce per tacere o per parlare», essendo così «in mezzo a tutti una testimonianza di pace». (altro…)
Ott 22, 2014 | Cultura, Focolare Worldwide, Focolari nel Mondo, Spiritualità
Ci sono molti modi per spingere il cambiamento oggi. A dimostrarcelo sono ancora una volta i giovani: da Occupy Wall Street, passando per le primavere arabe, fino al movimento “degli ombrelli” ad Hong Kong. Cambiano le epoche, gli strumenti, le armi e certamente le cause, ma la spinta a migliorare se stessi e il mondo, resterà sempre. È questo il messaggio lanciato il 20 ottobre scorso, dagli studenti dell’Istituto Universitario Sophia, alla cerimonia d’inaugurazione del settimo anno di vita. Dal popolo studentesco di questo piccolo ateneo toscano che si affaccia sul mondo – sono 115 di 30 Paesi – emergono alcune provenienze interessanti come Ucraina, Siria, Venezuela, Cuba, Camerun e Congo. Zone “calde”, ma in cerca di riscatto, a giudicare dalle scelte di tanti giovani, leve di questi popoli, non ultime quelle che frequentano Sophia. Vogliono conoscere, formarsi, prepararsi per agire in loro e attorno a loro. Oggi con la globalizzazione è senza dubbio più facile; esiste per questo la Fondazione “Per Sophia” che raccoglie fondi e distribuisce borse di studio che consentano a studenti indiani, brasiliani, ma anche europei e italiani di venirsi a formare ad una cultura dell’unità. A Sophia c’è grande impegno nel calibrare l’offerta accademica in base alle esigenze dell’umanità, dei mercati e del mondo del lavoro, come ha sottolineato il preside Piero Coda, ma non finisce qui. L’oro, il valore aggiunto di questo luogo è anche il “capitale umano”, gli studenti stessi, che hanno saputo fiutare la novità e la capacità rivoluzionaria dei corsi, siano essi di politica, economia o ontologia.
Samar Bandak ha 30 anni, è giordana di origini palestinesi. È tornata ad Amman da oltre un anno, dopo aver terminato nel 2012 il corso in politica allo IUS. Attualmente è uno dei dirigenti della Caritas nazionale, alla guida del dipartimento per il sostegno educativo del milione di rifugiati che sostano nel Paese su una popolazione totale di 5 milioni. Spiega così la propria scelta accademica, non proprio “ovvia”, se si considera che è laureata in Scienze della Nutrizione: «Ho scoperto che il principio della fraternità universale può essere una vera e propria categoria politica accanto alla libertà e all’uguaglianza. È una scelta, una risposta che ripara l’ingiustizia. A Sophia non si studia soltanto, si dà una grande importanza all’esperienza». C’è anche Patricio Cosso, attuale rappresentante degli studenti e proveniente dall’Argentina: «Cinque anni fa il mio obiettivo era specializzarmi in Finanza o Amministrazione per lavorare in banca o per fare qualcosa di simile di ciò che si fa a Wall Street”, racconta. “Poi, nel 2011, in una libreria ho trovato un testo che parlava di Economia di Comunione. Un binomio impossibile ai miei occhi, che pretendeva di coniugare egoismo e condivisione. Come potevano convivere? Mai avrei immaginato che oggi sarei stato qui, ad accordare formazione professionale e convinzioni etiche. Qui sto scoprendo che ogni domanda trova la luce giusta nella qualità fraterna che dò ai rapporti e nelle differenze culturali e religiose, nelle guerre, nelle crisi economiche dei nostri popoli”. “Immaginare e sperimentare una nuova cultura in tutti i campi della vita sociale: dalla famiglia alla politica, all’economia. Cioè la cultura delle relazioni”: stavolta sono parole di papa Francesco. Sì, perché nel sorprendente videomessaggio inviato per il 50° della Cittadella internazionale di Loppiano, ha voluto menzionare anche Sophia (in greco ‘sapienza’) tra le esperienze che vi hanno trovato casa, aggiungendo, e confermando così la via da percorrere, e cioè che “Principio della sapienza è il sincero desiderio di istruzione” e “la cura dell’istruzione è amore”. Galleria di foto su Flickr (altro…)
Ott 21, 2014 | Chiesa, Focolari nel Mondo, Spiritualità
Rispondere, insieme a tutto il Movimento dei Focolari, alle richieste della Chiesa e dell’umanità; sperimentare vie nuove per andare incontro a tutti, pienamente coscienti della propria identità e del contributo specifico che si è chiamati a dare: «Le periferie sono anche i nostri ammalati, gli anziani, quelli che hanno lasciato il ministero…; periferia è la Chiesa stessa quando è lontana da quella che Dio vuole». Questo, in sintesi, quanto emerso dai “cinque intensi giorni ricchi di comunione e di grande gioia”, come racconta uno dei presenti descrivendo l’esperienza vissuta al centro di Castelgandolfo con l’Assemblea dei sacerdoti focolarini. Il percorso prevedeva, dopo l’approvazione del regolamento e del programma, una giornata di ritiro e la relazione dei sei anni trascorsi e le nuove prospettive; quindi, i lavori per gruppi tematici e l’elezione del nuovo responsabile centrale. L’ultimo giorno è stato dedicato agli orientamenti per i prossimi sei anni, e al dialogo con la presidente dei Focolari, Maria Voce, e il copresidente, lo spagnolo Jesús Morán. Le meditazioni del mattino, con brani scelti di Chiara Lubich, sono stati momenti di approfondimento sullo specifico dei sacerdoti e diaconi focolarini. Si ricorda la figura di don Silvano Cola che ha aiutato Chiara a fondare questa branca del Movimento, quando ancora non era definita. Nel 1965, ad un primo incontro per sacerdoti diocesani focolarini, Chiara dà la sua visione del sacerdote focolarino, come di qualcuno che abbia sempre in cuore la preghiera di Gesù “Padre, che tutti siano uno”, e che «non si dà pace finché questo nella sua parrocchia non è fatto […]. Quindi bisognerebbe […] non rassegnarsi soltanto ai buoni che vanno in chiesa, ma tentarle tutte per avvicinare tutti […] bisogna muoversi, non si può star fermi». Chiara parla di focolari proiettati verso la Chiesa, come fermento d’unità, e spiega che il «focolare sacerdotale è come il sale che deve disfarsi nella diocesi per far diventare la minestra tutta salata, cioè la diocesi tutta “salata”. Ma se questo sale resta a sé stante è contro la propria vocazione». Nella presentazione della relazione dei sei anni trascorsi, si analizzano le priorità emerse nell’Assemblea precedente, fra le quali il rapporto con le nuove generazioni, la vita di famiglia con i sacerdoti anziani e malati, l’irradiazione della spiritualità di comunione nella Chiesa. Il dialogo che segue testimonia l’impegno e pone domande principalmente su tre aspetti: formazione, vita in comune, necessità di vivere “in uscita”. Ricordano le parole-chiave degli orientamenti scaturiti dall’Assemblea generale del Movimento: in uscita, insieme, opportunamente preparati, in forte sintonia con quanto augurato da papa Francesco nell’udienza del 26 settembre ai Focolari. Quindi, nei lavori di gruppi e nella plenaria, viene tracciato il cammino dei prossimi sei anni.
Con tutto questo in cuore si vota e la scelta converge su Antonio Bacelar, del Portogallo, il quale accetta «con la grazia di Dio, pronto a dare la vita per ciascuno di voi». È un momento di forte emozione. Don Antonio confida: «Ho nell’anima di scoprire sempre più il nostro sacerdozio mariano. Ci sono tanti “come sarà?”. Lasciamoci guidare da Dio, da Gesù tra noi e troveremo la strada. Umanamente mi viene da spaventarmi ma con voi sarà un’avventura straordinaria». In conclusione si ricorda un passaggio di santa Teresa d’Avila che lo stesso Bacelar aveva riportato il giorno prima: «Se noi siamo nell’amore, faremo tanto, in breve tempo, senza fatica». (altro…)