Movimento dei Focolari

“L’arte di amare” di Chiara Lubich

Attingendo al vasto patrimonio di scritti e discorsi di Chiara Lubich, questo nuovo libro, “L’arte di amare”, pubblica testi scelti e ordinati secondo un paradigma da lei adottato negli ultimi anni. «Amare tutti». «Amare per primi». «Amare come sé», e così via. Un’originale serie di punti di genuina derivazione evangelica che l’Autrice definisce «Arte di amare», perché armoniosa sintesi delle esigenze dell’amore e anche richiamo all’impegno continuo per renderlo realtà viva e operante. L’essenzialità di linguaggio e la totale adesione all’insegnamento di Cristo ne fa scoprire le molte applicazioni nei rapporti interpersonali. Di rilievo il riconoscimento dell’amore quale valore universale, presente nelle più grandi religioni del mondo, con la cosiddetta “regola d’oro”: «Fa’ agli altri ciò che vorresti fosse fatto a te». E non solo. Perché esso lo si ritrova pure in persone senza alcun riferimento religioso, spesso attente e operose nella linea della “fraternità universale”. Un libro quasi piccolo vademecum per il quotidiano, per rispondere alla più alta vocazione dell’uomo: l’amore. Chiara Lubich, L’arte d’amare, Collana ‘Verso l’unità’, Città Nuova Editrice, Roma, ottobre 2005

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Dalla prefazione di Sergio Zavoli

Il libro – esile di pagine ma denso e compatto come andrebbe invidiato a chi scrive o stampa – viene opportunamente alla luce in tempi assai difficili. Credo non vi sia stato, in questo recente scorcio d’anni, un momento che abbia prodotto, nel mondo, un così profondo e sconcertante sentimento di precarietà. (…) Sarebbe in atto – così si pretende – uno scontro aperto, di natura non solo religiosa, ma anche civile ed etica, che coinvolge l’identità complessiva di due civiltà. (…) La domanda che da più parti viene posta è se il cristianesimo rappresenti ancora una pretesa “civiltà superiore” in grado di moderare le contraddizioni del mondo. Mentre si dà per certo che l’Islam, tutto quanto, è un insieme di obbedienze e di intolleranze imbevute di ritualità e fanatismo, ignorando i tesori di armonia e di saggezza che la sua religione continua a riservare anche alle dimensioni civili e culturali via via insorgenti. (…) Riflettevo su queste cose scorrendo L’arte di amare, di Chiara Lubich. Penso al bene che ne verrebbe – non in senso virtuoso, edificante, ma proprio per suoi significati concreti – se la lettura di queste pagine, disadorne e amorevoli, avesse la forza di contrastare le grandi, plateali, sulfuree esternazioni concesse, su pagine ben più influenti, a chi si esalta nel proclamare purezze, distanze, primati e, appunto, inconciliabilità. (…) Chiara Lubich, come altri mistici della Chiesa, è insieme annuncio e ascolto, parola e traduzione, segno e senso. Ecco perché è una possibile congiunzione tra profezia e cammino, volta a mettere insieme ciò che inclina a separarsi; e lo fa in nome di ogni uomo, di ogni cultura, di ogni religione. Dove è stata voluta e ascoltata, cioè in ogni parte del mondo, ha provocato un’idea di Dio riconducibile alla sua essenza unica e univoca, non mutuabile, né separabile, né ripetibile; facendo rivivere, in sostanza, lo “Spirito di Assisi”, secondo cui non c’è un inginocchiatoio dal quale una preghiera possa pretendere di salire più in alto di tutte le altre. E proprio qui la testimonianza di Chiara spegne i fuochi delle solitudini ardenti – invaghite dei propri privilegi, a cominciare dal Dio personale – in cui si prega e si spera ciascuno per sé, non tenuti a condividere il bene e il male che attraversano tutti e ogni cosa. Radicata in un secolo colpevole di tanti orrori, ma al quale va riconosciuta la più morale e sociale delle scoperte antropologiche, quella del primato del noi sull’io – il primato non solo etico, ma anche reale, dell’esser nati per la condivisione – Chiara ci mostra che gli uomini non solo vivono, ma esistono, insieme. (…) Chiara Lubich non a caso ci interpella sul da farsi per rimettere insieme l’etica dell’unità, cioè riunire i frammenti dell’indivisibile, l’uomo, ricomponendo le strutture del condivisibile, la comunità. (…) Ma con quali mezzi? E’ una contraddizione, secondo Chiara, che si scioglie sulla Croce, dove c’è un uomo che non misura più le distanze, non cerca più il colpevole, non si fa più giustizia, ma assume su di sé la tua vita, con tutte le sue ferite; dove, con le sue braccia larghe, e inchiodate, in realtà stringe al petto le divisioni del mondo. Non dunque un’altera, incontestabile, dogmatica professione religiosa: al contrario, è partendo da qui che si compie il salto rischioso della fede, come lo chiama Kierkegaard, dove si lanciano i dadi di Pascal, dove si svolge la partita a scacchi del “Settimo sigillo” di Bergman. Ciò che lacera gli uomini e la loro relazione è l’idea che la nostra vita dimori in un arcipelago di innumerabili isole in ciascuna delle quali c’è uno di noi che vede l’umanità nella propria ombra, fidandosi di quella soltanto. Pronto a cogliere in quella del vicino qualcosa di sospetto, di ostile, da dover controllare e magari colpire. Le guerre di religione, e di civiltà, nascono dal vedere e amare quelle ombre. Chiara Lubich, ‘L’arte di amare’, Editrice Città Nuova, Roma 2005

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Quell’amore “speciale” che rivoluziona

La carità è virtù importantissima, è tutto. Dice un pensatore: “Amare è bene; saper amare è tutto”. Sì, saper amare, perché l’amore cristiano è un’arte e occorre conoscere quest’arte. Ha detto un grande psicologo del nostro tempo: “La nostra civiltà molto raramente cerca d’imparare l’arte di amare e, nonostante la disperata ricerca di amore, tutto il resto è considerato più importante: successo, prestigio, denaro, potere. Quasi ogni nostra energia è usata per raggiungere questi scopi e quasi nessuna per conoscere l’arte di amare”. La vera arte di amare emerge tutta dal Vangelo. E metterla in pratica è il primo imprescindibile passo da compiere per poter scatenare quella rivoluzione pacifica, ma così incisiva e radicale che cambia ogni cosa. Tocca non solo l’ambito spirituale, ma anche quello umano, rinnovandone ogni espressione: culturale, filosofica, politica, economica, educativa, scientifica, ecc. È il segreto di quella rivoluzione che ha permesso ai primi cristiani di invadere il mondo allora conosciuto. Arte impegnativa, con forti esigenze… È un’arte che vuole si superi il ristretto orizzonte dell’amore semplicemente naturale diretto spesso quasi unicamente alla famiglia, agli amici. Qui l’amore va indirizzato a tutti: al simpatico e all’antipatico, al bello e al brutto, a quello della mia patria e allo straniero, della mia o di un’altra religione, della mia o di un’altra cultura, amico o avversario o nemico che sia. Occorre amare tutti come fa il Padre del Cielo che manda sole e pioggia sui buoni e sui cattivi. È un amore che spinge ad amare per primi, sempre, senza attendere d’essere amati. Come ha fatto Gesù Cristo, il quale, quando eravamo ancora “cattivi” e quindi non amanti, ha dato la vita per noi. È un amore che considera l’altro come se stesso, che vede nell’altro se stesso. Diceva Gandhi: “Tu ed io siamo una cosa sola. Non posso farti del male senza ferirmi”. Quest’amore non è fatto solo di parole o di sentimento, è concreto. Esige che ci si faccia “uno” con gli altri, che “si viva” in certo modo l’altro nelle sue sofferenze, nelle sue gioie, nelle sue necessità, per capirlo e poterlo aiutare efficacemente. Quest’arte vuole che si ami Gesù nella persona amata. Infatti, anche se questo amore è diretto a quell’uomo, a quella donna particolare, Cristo ritiene fatto a sé quanto di bene e di male si fa loro. Lo ha detto e lo ha ripetuto, parlando della grandiosa scena del giudizio finale: “L’hai fatto a me. L’hai fatto a me” (cf. Mt 25, 40). Quest’arte di amare vissuta da più persone porta poi all’amore reciproco: in famiglia, sul lavoro, nei gruppi, nel sociale; amore vicendevole, perla del Vangelo, comandamento nuovo di Cristo, che costruisce l’unità. Queste sono le caratteristiche dell’amore vero. Le esigenze che lo rendono speciale, e che cogliamo dal Vangelo. Pubblicato in “L’arte di amare”, Chiara Lubich – Città Nuova, 2005

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“Crudele dolcissimo amore”

“Con poesia sa parlare del dolore, con tocco leggero ti fa sorridere, pensare, riflettere, piangere. È un mistero come Chiara M. riesca ad arrivare così in profondità, a trasmetterci tutta quella serenità” – Cinzia TH Torrini, regista cinematografica. Il libro «Crudele dolcissimo amore»: diario di una lotta che rivela il mistero del dolore come dono Chiara M. ha lavorato per diversi anni come infermiera professionale. Aveva sogni e progetti. Una malattia spietata l’ha aggredita, ma senza vincere la sua voglia di vivere e gioire. Il libro «Crudele dolcissimo amore» è il diario lucido, antiretorico, a tratti ironico, di una lotta che rivela il mistero del dolore come dono. Le fragili dita, consumate dalla malattia, non le consentono nemmeno di scrivere la dedica autografa sul suo libro. Ma Chiara M. s’è inventata un timbro che riproduce la sua firma vicino ad una conchiglia ed una perla, «perché una lacrima, giorno dopo giorno, può trasformare il dolore in una perla». L’ha spiegato con la sua disarmante spontaneità ai quattrocento amici accorsi, giorni fa, a Trento, alla presentazione del suo libro-verità che porta i lettori a penetrare il mistero della vita, aprendolo con il grimaldello di un dolore vissuto sulla pelle – nella carne – e accettato col cuore. Diego Andreatta – Avvenire, 9 giugno 2005 Il coraggio di ogni giorno Quando si convive per anni con il dolore è inevitabile guardarsi dentro, ma anche – come confessa Chiara M. – «alzare lo sguardo verso l’alto». C’è una figura che in questo senso ha avuto una parte molto importante nella sua vita, quella di Chiara Lubich: «Mia madre era dirigente dell’Azione cattolica come mio padre e lì conobbe Chiara, che durante la guerra ebbe l’intuizione di iniziare un movimento, quello dei Focolari, che oggi è diffuso in 180 Paesi. Mia madre condivise questa nuova spiritualità e ce la trasmise. Durante l’adolescenza nacquero i primi interrogativi e le prime verifiche. Volevo essere sicura di quello che stavo facendo e non seguire semplicemente le “tradizioni” di famiglia. Non ci è voluto molto a capire che la spiritualità dell’unità era quella che sentivo più vicina al mio modo d’essere: un Vangelo vivo, vitale, che si concretizzasse nella realtà quotidiana, che non restasse un piccolo libro impolverato nel cassetto». Renata Maderna – Famiglia Cristiana N. 21 – 22 maggio 2005  

L’esperienza dell’Eucaristia nel Movimento dei Focolari

Nella vita dei membri del Movimento dei Focolari, il sacramento dell’Eucaristia ha sempre avuto ed ha un valore primario, importantissimo, privilegiato. L’Eucaristia, infatti, è considerata il nucleo centrale del cammino spirituale che essi intraprendono, il motore che spinge ed al quale converge l’intera loro giornata. Per questo motivo, quanti aderiscono alla spiritualità del Movimento, cominciano spontaneamente a frequentare ogni giorno la Messa e a nutrirsi costantemente dell’ Eucaristia. Cercheremo qui di evidenziare il profondo legame che intercorre tra l’Eucaristia e il carisma dell’unità tipico del nostro Movimento, attingendo ad alcuni dei numerosi scritti che Chiara Lubich ha dedicato a questo argomento. “Il fatto che il Signore – sono sue parole -, per dare inizio a questo vasto movimento, ci abbia concentrato sulla preghiera di Gesù, sul suo testamento, significa che Egli ci doveva spingere con forza verso Colui che solo lo poteva attuare: Gesù nell’Eucaristia” . Rivolgendosi al Padre, prima di morire, aveva chiesto la realizzazione dell’unità tra i suoi e fra quelli che lo avrebbero seguito: “ perché siano come noi una cosa sola” (Gv 17,22). E prima aveva creato le premesse perché questa potesse attuarsi. Veramente l’Eucaristia è il sacramento dell’unità. E lo è anzitutto perché essa opera in ciascuno di noi qualcosa di straordinario: la nostra personale trasformazione in Gesù. Nell’ Eucaristia, infatti, è Gesù stesso che viene in noi e ci trasforma in sé. Come insegna la Lumen Gentium – sulla scia dei Padri e dottori della Chiesa -, “la partecipazione al corpo e al sangue di Cristo, altro non fa se non che ci mutiamo in ciò che prendiamo”. Per cui diveniamo realmente, anche se in modo nuovo, concorporei con Lui. L’ Eucaristia però non produce solo la trasformazione di ogni singolo cristiano in Cristo, ma, da sacramento d’unità, produce anche l’unità tra gli uomini, la comunione tra fratelli. Compone, quindi, la famiglia dei figli di Dio dando vita così alla Chiesa nella sua essenza più profonda, nel suo essere tutta carità, tutta unità, nel suo essere cioè “casa e scuola di comunione” . Ma cosa significa, per i membri del Movimento, essere consapevoli di questi così grandi effetti che l’Eucaristia opera? L’essere trasformati in Lui, l’essere fatti altro Cristo, Corpo Suo, ci spinge, singolarmente ed insieme, a comportarci come Cristo stesso, a fare nostri i suoi modi di pensare, di agire, come pure tutti i suoi insegnamenti. In una parola, a vivere amando: amando Dio e il prossimo. Ma poiché l’Eucaristia – come si è detto – ci unisce tra noi in un corpo solo, essa suscita tra noi l’amore reciproco, con quelle caratteristiche tipiche con cui era vissuto dalle prime comunità cristiane: la condivisione dei beni, la preghiera in comune, lo spezzare il pane insieme attorno alla mensa eucaristica, l’ascolto della Parola trasmessa dagli apostoli. Un amore così è chiave di vita per ciascuno di noi. Dunque, è proprio l’Eucaristia che ci indica il modello dell’autentico amore cristiano. Chiara, infatti, in una sua conversazione, dice: “Venendo a contatto nei diversi paesi del mondo con razze diverse, con culture sconosciute, con religioni le più varie, con lingue estranee, che ti fanno sentire lontano dalla patria, colpisce vedere come in qualsiasi piccola chiesa, anche nelle più sperdute, è Gesù Eucaristia che vive nelle nostre grandi cattedrali. Gesù è lì, con tutto il suo amore, tutto intero per tutti, tutto intero per ciascun uomo della terra. Da Lui si impara come gli uomini sono veramente tutti uguali, tutti figli di Dio, tutti possibili suoi seguaci, tutti candidati al suo Corpo mistico. Egli non ha preferenze di persona, non fa discriminazioni…. E, col suo esistere, ci dice fin dove il nostro amore deve arrivare, aprendoci alla fratellanza universale”. Ed è ancora Gesù Eucaristia che, sentiamo, ci indica il modo in cui amare le persone che incontriamo: “farsi uno” con tutti; come dice San Paolo “… mi sono fatto tutto a tutti…” (1Cor 9, 19-22). Gesù ha esemplificato, in maniera stupenda, questo modo di fare, istituendo l’ Eucaristia. In essa, Egli si fa pane per entrare in tutti, si fa mangiabile per farsi uno con tutti, per servire, per amare tutti. “Farsi uno” fino a lasciarsi mangiare, dunque! Questo è l’amore. “Farsi uno” in modo che gli altri si sentano nutriti dal nostro amore, confortati, sollevati, compresi. E’ nostra esperienza che amare, con questa misura, chiama la risposta del fratello, porta all’amore vicendevole, consolida la realtà di una comunità unita nel suo nome. E’ quanto si verifica solitamente nei nostri convegni, negli incontri di formazione, nelle Mariapoli, dove la Messa è vissuta come centro e culmine di essi; dove tutto viene considerato preparazione all’incontro personale e comunitario con Gesù, al quale si accosta quasi l’unanimità dei presenti. Al termine della celebrazione, l’intera assemblea è invasa da un’ ardente gioia che la conduce a testimoniare l’unità con il Risorto. Per cui, quasi a prolungamento di essa, si va a portare tutto il giorno l’amore nelle famiglie, nelle case, nei posti di lavoro, dovunque, con l’ansia dell’evangelizzazione che infiamma i cuori, con la certezza che, in tal modo, si fa realtà, secondo la Sua promessa, la presenza del Risorto tra gli uomini. (cf Mt 18,20)

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