Gen 16, 2000 | Spiritualità
Il brano che segue, preparato di recente da Chiara Lubich per un incontro con amici ebrei, rispondeva ad una domanda sul significato del dolore, e del dolore legato all’amore. “È un argomento difficile, il più difficile da affrontare specialmente per me, ora, davanti a persone che fanno parte di un popolo che ha sperimentato come nessuno in questo secolo la sofferenza, il dolore indescrivibile della Shoah, quell’immane tragedia che è stata forse la prova più grande che abbia mai dovuto subire il popolo ebraico o qualsiasi altro popolo. Tanto che uno dei vostri grandi pensatori, Martin Buber, ha potuto coniare la metafora dell’Eclissi di Dio, perché Auschwitz ha messo in discussione la fede stessa. “Il problema del dolore è antico quanto l’uomo che ha cercato di dargli una quantità di risposte attingendo alla sapienza umana, alla filosofia, alla psicologia. Ma il problema rimane e soprattutto rimane la realtà del dolore. Cercherò di dirvi come noi lo abbiamo affrontato, premettendo che la nostra è stata un’esperienza fatta nel solco della tradizione cristiana. “Non sono stati i duri tempi di guerra che ci hanno portato ad una riflessione sul dolore. Anzi dobbiamo dire che la fede nell’amore di Dio era così luminosa e gioiosa da farci quasi scomparire gli orrori della guerra, anche se vivevamo gomito a gomito con tutti e condividevamo le tragedie di chi ci stava accanto. Finché un giorno la nostra attenzione fu richiamata su quel grido in aramaico di Gesù sulla croce: Elì, Elì, lemà sabactàni?, Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?, che è l’inizio del Salmo 22. Ci fu detto che quello era stato il più grande dolore di Gesù, perché abbandonato da tutti si sentì abbandonato anche da Dio. “Ora questo fatto ci ha fatto pensare. Come mai, abbiamo detto, il Padre ha permesso che Gesù provasse un dolore così grande? Non amava egli il Figlio infinitamente? Ed abbiamo capito: l’ha permesso perché c’era su Gesù un disegno d’amore particolare: Egli doveva soffrire per tutti gli uomini e poi risorgere. E gli uomini, che avrebbero creduto in lui, sarebbero risorti con lui. Gesù, asceso al Cielo, avrebbe goduto per tutta l’eternità anche di ciò che lui aveva fatto in terra. La storia di Gesù ci ha così illuminato su ogni storia umana dolorosa. Anche noi siamo figli di Dio. Anche su di noi c’è uno splendido disegno. Merita soffrire per raggiungerlo. “Mi sembra che la meditazione sul dolore che ha provato Gesù nell’abbandono non sia estranea nemmeno alla vostra tradizione e alla vostra storia. Mi ha molto colpito infatti un passo del Talmud che mi permetto di riportare: “Chiunque non prova il nascondimento del volto di Dio, non fa parte del popolo ebraico” (TB, Hagigah 5b). In tutta la storia ebraica, da Abramo in poi, ci sono momenti e situazioni che sembrano segnati dal “nascondimento del volto di Dio”. Non per nulla nei Salmi spesso si esprime angoscia sull’esperienza che “Dio nasconde il suo volto”. “Ma nascondimento di Dio non vuol dire assenza di Dio. Forse su questa terra rimarrà sempre un mistero perché Dio ha permesso questo buio, ma l’eclissi non permane. La Shoah, questo trauma che ha segnato la storia dell’umanità, oltre a quella del popolo ebraico, non è stata la vittoria definitiva del male. Allora è possibile la nascita di una nuova vita? E che appaia nuovamente il volto di Dio dopo un’eclissi così spaventosa? Con questa speranza “il ricordo”, che è così importante, può servire a dare una svolta alla storia e a costruire un mondo nuovo. “Il mio augurio e la mia preghiera è che si ricordi la Shoah sempre di più come un passaggio e come la fine di un’epoca e l’inizio di una nuova, proprio per quell’alleanza da Dio mai revocata con il Suo popolo. E noi vi saremo accanto ogni giorno in questo vostro cammino che è anche nostro”. (Da Città Nuova n.2 – 2000) (altro…)
Gen 9, 2000 | Spiritualità
Se osservo ciò che lo Spirito Santo ha fatto con noi e con tante altre “imprese” spirituali e sociali oggi operanti nella Chiesa, non posso non sperare che Egli agirà ancora e sempre con tale generosità e magnanimità. E ciò non solo per opere che nasceranno ex-novo dal suo amore, ma per lo sviluppo di quelle già esistenti come la nostra. E intanto per la nostra Chiesa sogno un clima più aderente ad essa come Sposa di Cristo; una Chiesa che si mostri al mondo più bella, più una, più santa, più carismatica, più conforme al suo modello Maria, quindi mariana, più dinamica, più familiare, più intima, più configurata a Cristo suo Sposo. La sogno faro dell’umanità. E sogno in essa una santità di popolo, mai vista. Sogno che quel sorgere – che oggi si costata – nella coscienza di milioni di persone d’una fraternità vissuta, sempre più ampia sulla terra, diventi domani, con gli anni del 2000, una realtà generale, universale. Sogno con ciò un retrocedere delle guerre, delle lotte, della fame, dei mille mali del mondo. Sogno un dialogo d’amore sempre più intenso fra le Chiese così da vedere ormai vicina la composizione dell’unica Chiesa. Sogno l’approfondirsi d’un dialogo vivo e attivo fra le persone delle più varie religioni legate fra loro dall’amore, “regola d’oro” presente in tutti i loro libri sacri. Sogno un avvicinamento ed arricchimento reciproco fra le varie culture nel mondo, sicché diano origine ad una cultura mondiale che porti in primo piano quei valori che sono sempre stati la vera ricchezza dei singoli popoli e che questi s’impongano come saggezza globale. Sogno che lo Spirito Santo continui ad inondare le Chiese e potenzi i “semi del Verbo” al di là di esse, cosicché il mondo sia invaso dalle continue novità di luce, di vita, di opere che solo Lui sa suscitare. Affinché uomini e donne sempre più numerosi s’avviino verso strade rette, convergano al loro Creatore, dispongano anima e cuore al suo servizio. Sogno rapporti evangelici non solo fra singoli, ma fra gruppi, Movimenti, Associazioni religiose e laiche; fra i popoli, fra gli Stati, sicché si trovi logico amare la patria altrui come la propria. E logico il tendere ad una comunione di beni universale: almeno come punto d’arrivo. Sogno un mondo unito nella varietà delle genti con una sola autorità alternantesi. Sogno perciò già un anticipo di Cieli nuovi e terre nuove come è possibile qui in terra. Sogno molto, ma abbiamo un millennio per vederlo realizzato. da Città Nuova 10/1/2000 (altro…)
Mag 29, 1998 | Chiesa, Spiritualità
«Dovrei esporle, Beatissimo Padre, una mia testimonianza sul Movimento dei Focolari o Opera di Maria. Ma giacché lei conosce molto bene, da decenni, questa realtà ecclesiale, permetta che la consideri dal suo cuore, che la veda con i suoi occhi. Lei ha individuato nell’amore la “scintilla ispiratrice” di tutto quello che si fa sotto il nome del Focolare. Ed è proprio così, Santo Padre. E’ quella la forza del nostro Movimento. Essere amore e diffonderlo è lo scopo generale dell’Opera di Maria. Un’invasione d’amore, infatti, essa è chiamata a portare nel mondo. Anzi lei, Santità, ha affermato di individuare qui, ricordando altri Movimenti spirituali della storia, un “radicalismo dell’amore”. E come non può essere così se lo sguardo di tutti coloro che fanno parte del Movimento è sempre puntato, come a modello, su Gesù crocifisso nel suo grido d’abbandono? L’amore più radicale è proprio lì, dove è il culmine del suo patire. E’ in Lui – che abbandonato dal Padre si riabbandona al Padre, che sentendosi disunito dal Padre con Lui si riunisce – il nostro segreto per ricomporre in unità ogni divisione, ogni separazione, dovunque. In un’altra circostanza mi sono permessa di chiederle, Santo Padre, come vede il nostro Movimento, quale la sua finalità. E lei mi ha risposto senza esitazione (sottolineando il nostro scopo specifico “ut omnes unum sint”): “Ecumenico”, dando a questo aggettivo il senso più vasto. Ed è così. Per poter raggiungere il nostro scopo: “Che tutti siano uno”, tipici per noi sono i 4 dialoghi: quello all’interno della nostra Chiesa fra singoli, fra gruppi, Movimenti, ecc., dialogo questo che rafforza pure l’unità dei fedeli con i Pastori e fra di loro. Poi il dialogo con cristiani non cattolici, che vuol concorrere alla piena comunione fra le varie Chiese. Il dialogo interreligioso, che intreccia rapporti con i fedeli delle varie religioni. E, infine, quello con uomini senza un preciso riferimento religioso, ma di buona volontà. Nessuno poi, Santo Padre, potrà toglierci dal cuore la sua visione del nostro Movimento espressaci in quella memorabile visita al nostro Centro di Rocca di Papa dell’agosto 1984. Dopo che i membri del Consiglio dell’Opera avevano presentato il loro servizio specifico alle sue 17 diramazioni, che raccolgono ogni specie di vocazione laica e religiosa; dopo aver descritto i vari aspetti di quest’Opera (spirituale, apostolico, culturale e altri) ed aver parlato delle quattro segreterie per i dialoghi, lei ha affermato che in questo Movimento scorgeva la fisionomia della Chiesa post-conciliare: “Voi – ha detto – intendete seguire autenticamente quella visione della Chiesa, quella autodefinizione che la Chiesa ha dato di se stessa nel Concilio Vaticano II”. E la nostra gioia è stata immensa. Più volte ancora, venendo a conoscenza della consistenza e della diffusione mondiale di questo Movimento, lei ha esclamato: “Siete un popolo!” Sì, Santo Padre, siamo un popolo, un piccolo popolo, parte del grande popolo di Dio. E quando, specie i nostri giovani, hanno comunicato a lei il loro desiderio di concorrere a far dell’umanità una sola famiglia, anzi di sognare e lavorare per un mondo unito, lei li ha sempre compresi e sostenuti in questo ideale, che a molti sembrava utopico. Più volte, ancora, ci ha parlato di Maria. Una, indimenticabile, è stata quando volle spiegare a me il “principio mariano” della Chiesa, in rapporto a quello petrino. “Principio mariano” di cui anche il nostro Movimento poteva essere un’espressione. Lei certamente non sapeva, quel giorno, che nei nostri Statuti è scritto che l’Opera di Maria “desidera essere una presenza di Maria sulla terra e quasi una sua continuazione.” Grazie, Santo Padre, di tutte le conferme che ci ha dato nel tempo. E, per concludere, una promessa. Sappiamo che la Chiesa desidera la comunione piena fra i Movimenti, la loro unità che, del resto, è già iniziata. Ma noi vogliamo assicurarle, Santità, che, essendo il nostro specifico carisma l’unità, ci impegneremo con tutte le nostre forze a contribuire a realizzarla pienamente. Che Maria, da lei tanto amata, la ricompensi adeguatamente di tutto quello che ha fatto per i Movimenti: è uno dei capolavori del suo Pontificato». Intervento di Chiara Lubich Piazza San Pietro, 30 maggio 1998 (altro…)