
Robert Chelhod, al centro, con i focolarini ad Aleppo
Come hai trovato le persone al tuo rientro? «Scoraggiate e deluse. Ma anche desiderose di andare avanti. C’è una stanchezza degli anni passati, delle condizioni di vita, ma allo stesso tempo la volontà di ripartire». Cosa si può fare per la Siria oggi? «Per chi ha una fede, continuare a pregare. E poi scommettere con i siriani che il Paese è vivo. In Siria abbiamo bisogno di sostegno. Non solo dal punto di vista economico, certamente importante , ma di credere con noi che questo Paese, culla di civiltà, può rinascere. Che ancora la pace è possibile. Abbiamo bisogno di sentire che il mondo sente la nostra sofferenza, quella di un Paese che sta scomparendo». Coordini sul posto i progetti sociali sostenuti attraverso l’Amu. Come vi muovete? «I progetti vanno dall’aiuto per il vitto all’aiuto alla scolarizzazione. Poi ci sono gli aiuti sanitari, perché la sanità pubblica, per mancanza di medici, medicinali e strumenti, non riesce a rispondere a standard minimi di accessibilità. Oltre gli aiuti alle famiglie, si sono strutturati alcuni progetti più stabili: due doposcuola, a Damasco e Homs, con 100 bambini ciascuno, cristiani e musulmani; due progetti sanitari specifici, per cure per il cancro e per la dialisi; e una scuola per bambini sordomuti, attiva già da prima della guerra. Questi progetti offrono una possibilità di lavoro a tanti giovani del posto. La questione lavoro è fondamentale. Stiamo sognando nel prossimo futuro la possibilità di lavorare sul microcredito per far ripartire le attività. Aleppo era una città piena di commercianti, che oggi ripartirebbero, ma manca il capitale iniziale».
Tanti invece continuano a partire… «L’esodo, soprattutto dei cristiani, è inarrestabile. Il motivo è l’insicurezza, la mancanza di lavoro. La chiesa soffre, questa è storicamente terra dei cristiani, prima dell’arrivo dell’islam. E cerca di fare il possibile per aiutare e sostenere. Ma le risorse sono molto poche. La maggioranza dei giovani è nell’esercito. Trovi qualche universitario, o ragazzi. Ma la fascia 25-40 non c’è. Nella città di Aleppo si calcola un calo dei cristiani da 130mila a 40mila, mentre sono arrivati tanti musulmani sfollati dalle loro città distrutte». Che riflesso ha questo sul dialogo interreligioso? «Ad Aleppo i cristiani si consideravano un po’ l’élite del Paese. Con la guerra, visto che le zone musulmane sono state colpite, tanti si sono rifugiati nelle zone cristiane. Quindi i cristiani si sono aperti ai musulmani, hanno dovuto accoglierli. Il vescovo emerito latino di Aleppo, mons. Armando Bortolaso, durante la guerra mi ha detto: “Adesso è il momento di essere veri cristiani”. Allo stesso tempo i musulmani hanno conosciuto più da vicino i cristiani. Sono stati toccati dall’aiuto concreto.C’è il positivo, c’è il negativo. Il positivo è che questa guerra ci ha uniti di più tra siriani». Fonte: Città Nuova

Pubblichiamo una sintesi dell’intervista di Città Nuova a Robert Chelhod, originario di Aleppo, in Siria, coordinatore locale dei progetti AMU. La sua speranza in una rinascita del Paese.


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