Feb 26, 2019 | Focolari nel Mondo
Un Brasile impregnato di dispute politiche e ideologiche è l’immagine che rischia di prevalere oggi nel mondo, grazie anche alla lettura mediatica. Luís Henrique Marques, redattore capo di Cidade Nova ci accompagna in un viaggio nella società brasiliana, alla scoperta della realtà, spesso sconosciuta, dei tanti che agiscono per il bene comune. A giudicare da ciò che i media commerciali divulgano quotidianamente, il Brasile sembra immerso nella polarizzazione politico-ideologica, come del resto accade in altre regioni del globo. Ma ciò che i media mainstream non mostrano è che la realtà brasiliana non è fatta solo di dispute politiche e ideologiche. La performance silenziosa di molti “pionieri” di questa democrazia ancora giovane e inesperta rivela che c’è un potenziale capace di rendere le relazioni politiche uno spazio di dialogo e un luogo per la costruzione della cittadinanza. La rivista Cidade Nova è uno dei veicoli impegnati a svelare quest’altra faccia della realtà brasiliana, ancora piuttosto timida, limitata a fatti isolati, ma che, nel complesso, mostra un Brasile al di là della polarizzazione politico-ideologica. Spazi per il dialogo Per cominciare dobbiamo riconoscere che nonostante la crisi creata dalle posizioni polarizzate nel dibattito politico-ideologico, molti analisti tendono a guardare con ottimismo e speranza all’attuale scenario brasiliano. Il motivo principale è che molti cittadini brasiliani si sono interessati a comprendere e discutere di questioni politiche e relative alla pubblica amministrazione, convinti della necessità di assumere il proprio ruolo di cittadini, consapevoli e partecipativi nei confronti della “cosa pubblica”. Si sono moltiplicati e intensificati i cosiddetti gruppi di dialogo, promossi da parrocchie o gruppi pastorali della Chiesa cattolica, gruppi di altre Chiese cristiane e altre religioni (comprese iniziative ecumeniche e interreligiose), organizzazioni non governative, collettivi e altre entità della società civile. L’obiettivo è promuovere la riflessione politica attraverso il dialogo e lo scambio di esperienze, intensificatosi soprattutto nella seconda metà del 2018 a seguito del periodo elettorale. Sono piccole “isole”, ma riflettono il potenziale di partecipazione democratica dei cittadini brasiliani. È il caso dei gruppi del Movimento dei Focolari sparsi in diverse regioni del Brasile. Motivati da un tema specifico, giovani e adulti di diverse convinzioni religiose e politiche e di diverse condizioni sociali hanno iniziato un processo di confronto sullo scenario politico attuale, i suoi ostacoli e le sue possibilità. Molte di questi incontri sono andati oltre la discussione sul processo elettorale e si sono aperti ad azioni concrete per la promozione di politiche pubbliche che favoriscano la comunità locale.
La “Scuola della Cittadinanza”, promossa sempre dai Focolari, è un corso online i cui temi rispondono alla domanda diffusa di una nuova cultura democratica e partecipativa. Il primo blocco di lezioni è stato proprio sul tema del dialogo. (www.focolares.org.br/escoladecidadania). Un’altra iniziativa è stata frutto dell’azione congiunta di diverse organizzazioni della società civile brasiliana, tra cui il Movimento Politico per l’Unità (MPpU): il “Patto per la democrazia”. L’iniziativa nasce con l’obiettivo di affermare il pluralismo, la tolleranza e la convivenza con la diversità nello spazio pubblico, e opera in tre direzioni: riaffermare il dialogo per uno confronto virtuoso delle idee; difendere elezioni pulite che possano rappresentare efficacemente la cittadinanza e restituire le basi di fiducia e legittimità al contesto politico; realizzare un’ampia riforma politica al termine del processo elettorale. Infine, la tradizionale Campagna di Fraternità, promossa annualmente dalla Conferenza episcopale dei Vescovi del Brasile (CNBBB) durante la Quaresima, si configura anche come spazio di dialogo e promozione di azioni concrete nelle comunità parrocchiali su questioni religiose, culturali, sociali, economiche e politiche della società brasiliana. Per quest’anno, la Campagna propone che i fedeli riflettano sul tema “Politiche pubbliche e fraternità”. (continua)
Luís Henrique Marques
(altro…)
Feb 24, 2019 | Nuove Generazioni
Il progetto “Why fai il bullo?” forma gli adolescenti perché aiutino i loro coetanei ad affrontare questo fenomeno con azioni e prevenzione partendo dalle cause che lo generano.
Una sistematica prevaricazione, con offese e soprusi messi in atto dai ragazzi nei confronti dei loro coetanei. Questo è il bullismo, un fenomeno dilagante tra gli adolescenti, sia a livello personale che attraverso il web. Esso coinvolge i ragazzi-bulli, chi ne è vittima e gruppi di amici che spesso assistono impauriti o compici. Che fare? Un progetto dell’associazione bNET, capofila della “Rete Progetto Pace”, una rete internazionale di scuole, enti ed associazioni che collaborano per promuovere una cultura di pace, punta sulla responsabilizzazione dei ragazzi: che siano loro stessi, opportunamente formati, ad aiutare i loro coetanei ad uscire dal bullismo. Ne parliamo con il Presidente dell’associazione Marco Provenzale. – Che cosa è il progetto “Why fai il bullo”? Ogni episodio di bullismo nasce da un conflitto. Noi crediamo che far capire ai ragazzi la sua origine e dare loro gli strumenti per capire i conflitti e risolverli aiutandosi tra pari sia la strada migliore per risolvere il fenomeno. Il cuore del progetto è la creazione in ogni scuola di un gruppo di studenti, il “Gruppo di Mediazione fra Pari”, nel quale i ragazzi acquisiscono competenze per la gestione e la risoluzione dei conflitti. I ragazzi, formati attraverso lezioni e giochi di ruolo, diventano capaci non solo di risolvere, ma anche di prevenire i conflitti, riconoscendo nella vita quotidiana della classe il verificarsi di potenziali situazioni di pericolo prima che degenerino in tensioni più gravi. Il Gruppo offre poi un servizio di mediazione attraverso uno “sportello” concordato con ogni scuola. I ragazzi con i quali lavoriamo vanno dagli 11 ai 15 anni. Si tratta di un progetto europeo, nato nel 2015 dopo la partecipazione di alcune associazioni al bando “Joining Forces to Combat Cyber Bullying in School”, ma che potrebbe essere attuato anche in altri Paesi.
– Il progetto prevede anche attività parallele? Sì, attraverso incontri formativi mensili ed eventi annuali tra i quali un viaggio interculturale e umanitario. Sono previsti momenti di formazione anche per docenti e genitori. Questa compartecipazione tra associazione, scuola e famiglie riteniamo sia uno dei valori aggiunti dell’iniziativa. – Il progetto è promosso dall’associazione bNET, capofila della “Rete Progetto Pace”, quali gli obiettivi di essa? La “Rete Progetto Pace” da quasi trent’anni porta avanti una formazione integrale per i ragazzi. Favorisce la collaborazione tra istituti scolastici e associazioni, a livello locale e internazionale; sviluppa la riflessione dei giovani su tematiche di attualità; promuove esperienze di volontariato; valorizza i talenti artistici ed espressivi, le capacità di leadership e le abilità tecnologiche anche nell’uso positivo dei media. Per maggiori informazioni: visitare il sito www.reteprogettopace.it o scrivere a direttivo@reteprogettopace.it.
A cura di Anna Lisa Innocenti
(altro…)
Feb 20, 2019 | Vite vissute
Era un uomo di grande equilibrio e di buon senso. Essendo quasi cieco, Klaus Purkott realizzava la sua donazione a Dio offrendo a tanti il suo ascolto. Era quasi cieco ed era un uomo di poche parole, ma era dotato di una grande capacità di ascolto, di un ascolto profondo. Era così che Klaus Purkott creava rapporti, aiutava ed accompagnava le persone, insomma, viveva la sua donazione a Dio da focolarino. Lo faceva in modo particolare attraverso il lavoro che per oltre 20 anni ha svolto a Berlino come giurista in un ufficio statale presso la Corte Civile. Accoglieva persone, soprattutto povere, che non potevano permettersi un’assistenza legale ed era stimato ed amato dai clienti e dai colleghi, perché riusciva a risolvere anche casi difficili in modi inaspettati e non convenzionali. Aveva infatti un’attenzione speciale per chi si trovava in situazioni apparentemente senza via d’uscita. Questo amore preferenziale per chi si trovava nei guai, Klaus lo aveva ereditato dal suo passato comunista. Era nato il 31 dicembre 1936 nell’alta Slesia, terra a maggioranza tedesca, che, dopo la guerra, fu assegnata alla Polonia. Nonostante la sua cecità congenita (aveva una capacità visiva del 5 percento circa) è riuscito a superare la maturità e ha proseguito gli studi all’università, seguendo i corsi di filosofia marxista. Come suo padre, cestaio di professione e uno dei fondatori del Partito Comunista polacco, anche Klaus sperava di trovare nel Comunismo la vera vita. “Ma Dio – come ha raccontato una volta – attraverso la mia cecità, mi ha fatto presto capire l’inutilità di tutti questi miei sforzi e mi ha preparato all’incontro con Lui”. Pur nel buio della sua vita, Klaus ha trovato una luce nell’incontro con la figura di Gesù sulla croce, che, proprio nel massimo dell’oscurità, si affida al Padre. Questa scoperta, avvenuta attraverso l’incontro con la spiritualità dei Focolari, gli cambia la vita e lo porta ad un’altra scelta radicale: quella di vivere da focolarino consacrato con una vita spesa per gli altri. Oltre all’ambito lavorativo vive questa scelta anche in altri campi: nell’accompagnare le persone che facilmente si affidavano a lui, nell’offrire la sua profonda e sapienziale conoscenza della Bibbia attraverso temi e articoli, oppure nel raccontare semplici esperienze dalla sua vita. Era stimato per la sua vasta cultura, il suo linguaggio estremamente semplice, ma anche per un suo tipico umorismo con il quale riusciva facilmente a scogliere le tensioni. Nel 1999, ormai in pensione, Klaus è chiamato a Ottmaring nella Cittadella ecumenica dei Focolari in Germania. Anche lì godeva di un’autorità morale. “Era un fratello maggiore, – così lo definiscono i focolarini – costruiva rapporti spesso in modo discreto”. Altre sue caratteristiche erano l’equilibrio, il buon senso, la sincerità e un profondo rapporto con Dio. Nel 2008 Klaus torna a Berlino. Un po’ più di due anni fa rimane ferito in un grave incidente, tanto che si rende necessario il suo trasferimento in una casa di riposo. Anche lì continua la sua testimonianza di una vita vissuta secondo la Parola di Dio. Presto si forma intorno a lui un gruppo della “Parola di Vita”[1] e viene in luce il suo vivere bene il momento presente; uno stile di vita che gli ha aperto la strada per arrivare degnamente all’incontro col Padre il 18 gennaio 2019, inaspettatamente e senza clamore, durante il solito pisolino dopo pranzo.
Joachim Schwind
[1] Si tratta di gruppi di persone che si incontrano periodicamente per leggere e condividere il commento mensile ad una frase del Vangelo. Inizialmente il commento era di Chiara Lubich, oggi si sono aggiunti contributi diversi. (altro…)
Feb 19, 2019 | Sociale
Piccoli gesti possono trasformare la società in cui viviamo Condominio Nel mio condominio si era creata una forte tensione da quando un mio vicino, assente all’ultima riunione, aveva mandato a tutti una diffida per contestare dei lavori che erano stati effettuati nel palazzo, secondo lui in maniera illegale. Per chiarire la situazione, ho provato a convincere l’amministratore a convocare nuovamente l’assemblea. Finalmente, dopo non poche difficoltà, l’assemblea si è riunita e in quell’occasione la questione è stata risolta. Da allora la situazione è cambiata, il vicino saluta tutti e nel condominio si è creata una nuova intesa. (Alessandra – Italia) Il nonno Abbiamo accolto in casa il nonno, che ha un problema agli occhi e ogni mese necessita di un controllo. Un giorno, mentre siamo dal medico, apro la borsetta e mi accorgo di aver dimenticato il portafoglio a casa. Non sapendo come fare per pagare la visita, mi affido a Dio. Uscendo, il medico mi prende da parte e mi dice: “Questa volta non dovete pagare”, e mi offre anche delle medicine campione. Ho capito che se agisco per amore, Dio non mi abbandona. (Arze – Libano) Il pacco Nello studentato dove abitavo mi era arrivato un pacco contenente marmellate, conserve e vari capi di vestiario. I miei non avevano accennato ad un invio del genere. D’accordo con altri studenti, con cui condividiamo il desiderio di vivere il Vangelo, abbiamo deciso di destinare tutto a chi nello studentato ci sembrava più bisognoso. Giorni dopo, in portineria, ho sentito casualmente uno studente che chiedeva di un pacco a lui destinato. Ho capito l’errore, dovuto al fatto che abbiamo un cognome simile. Gli ho raccontato tutto e ne abbiamo riso insieme. Avendo raccontato l’episodio alla mia famiglia, mi hanno inviato un pacco ancora più grande per lui. Quel giorno è nata tra noi una vera amicizia. (C.d.F. – Repubblica Ceca) I carrelli Dopo aver fatto la spesa al supermercato, mentre ci accingevo a riporre il carrello, mi sono accorta che dentro altri carrelli erano rimasti guanti e sacchetti della verdura non utilizzati. Mi è venuto in mente che avrei potuto raccoglierli e buttarli nella spazzatura. Un piccolo gesto d’amore per i clienti successivi. (Annalisa – Svizzera)
Chiara Favotti
(altro…)
Feb 17, 2019 | Nuove Generazioni
Con l’azione “End Poverty Week” i Giovani per un Mondo Unito promuovono azioni concrete e una campagna Social per un mondo più equo. “La tendenza di oggi vede il rallentamento della riduzione della povertà estrema e l’aumento della concentrazione della ricchezza nelle mani di pochi. Pochi hanno troppo e troppi hanno poco. Molti non hanno cibo e vanno alla deriva, mentre pochi annegano nel superfluo. Questa perversa corrente di disuguaglianza è disastrosa per il futuro dell’umanità” Queste le parole che Papa Francesco ha indirizzato la settimana scorsa al Fondo Internazionale per lo sviluppo agricolo e che descrivono bene la situazione mondiale della lotta alla povertà. Infatti, le cifre dettate dal rapporto Onu 2018 sulla piaga della povertà sono impietose: 821 milioni di persone nel mondo sono state vittime della fame nel 2017, 6 milioni in più rispetto al 2016 e una persona su dieci vive in condizioni di povertà estrema, cioè con meno di 1,25 dollari al giorno. Ma la povertà si può sconfiggere se si operano delle azioni tempestive. Le cause? Conflitti, malattie siccità e disoccupazione. Dal 17 al 23 febbraio 2019, nell’ambito del percorso “Pathways of Economy, Work and Communion”, i Giovani per un Mondo Unito hanno indetto la “End Poverty Week”, una settimana di sensibilizzazione per l’eliminazione della povertà. Inserita all’interno di United World Project, essa prevede la promozione di azioni volte al superamento delle disuguaglianze a favore dei poveri di un territorio; momenti di sensibilizzazione ad una maggiore consapevolezza nel consumo; la promozione di una finanza etica. “Sogniamo un mondo in cui nessuno sia più nel bisogno e tutti abbiano la possibilità di sviluppare pienamente il proprio potenziale umano, spirituale, economico e lavorativo” – spiega Andres Piccinini, argentino, dei Giovani per un Mondo Unito. È in programma anche la formazione di persone che vogliono impegnarsi nel progetto. Al Polo Lionello Bonfanti (Loppiano, Italia) si svolgerà una serie di incontri dal titolo Economia, Lavoro e Comunione. La proposta punta a promuovere personalmente o collettivamente anche piccoli gesti quotidiani, azioni già in atto che localmente possano incidere sull’opinione pubblica. Il metodo: agire e poi condividere le azioni sui social, usando gli hashtag #Pathways4unitedworld, #pathway2018, #endpoverty, #unitedworldproject, scrivono i Giovani per un Mondo Unito sulla loro pagina Facebook e Instagram.
Patrizia Mazzola
(altro…)
Feb 16, 2019 | Centro internazionale
Due giornate di visite per il Consiglio Generale dei Focolari nei luoghi santi: dalla grotta della Natività di Betlemme al Cenacolo, dall’orto degli olivi al Calvario. Insieme ad incontri con personalità per approfondire questioni di grande attualità per la Terra Santa.

il rabbino Ron Kronish e il vescovo luterano emerito, Munib Younan
Il 14 e 15 febbraio è stata la volta di una full immersion nella situazione politica e religiosa della Terra Santa. Il Consiglio Generale si è messo in marcia, insieme alle migliaia di pellegrini che affollano quotidianamente Gerusalemme, per visitare alcuni dei luoghi santi. Ma non solo: queste giornate sono state dedicate anche ad approfondire la situazione politica e religiosa di questa terra. Ad accompagnare questo percorso, due personalità d’eccezione: il rabbino Ron Kronish e il vescovo luterano emerito, Munib Younan. “La guerra tra ebrei e cristiani ormai è finita” ha osservato il rabbino Kronish parlando del dialogo ebraico-cristiano. Sia lui che il vescovo Younan hanno focalizzato poi il loro intervento sulle condizioni politiche necessarie per una convivenza pacifica, non solo tra Israele e Palestina, ma per l’intero Medio Oriente: “Due popoli – due stati” è lo slogan che esprime, secondo l’opinione concorde di questi due uomini di dialogo, amici da tanti anni, la base indispensabile sulla quale costruire una pace vera. “Solo con due stati – dice Kronish –riusciremo a porre fine alla violenza”. E una volta terminata la guerra – è la convinzione espressa dal rabbino Kronish fondatore di tante iniziative di dialogo – ci saranno anche le risorse economiche necessarie per una politica di educazione e formazione alla convivenza pacifica. Munib Younan, nato in una famiglia di profughi palestinesi, aggiunge altri elementi necessari, a suo avviso, per una pace duratura: una Gerusalemme che appartenga ugualmente alle tre grandi religioni (ebrea, musulmana e cristiana) e ai due popoli (ebreo e palestinese) e una soluzione per i profughi palestinesi. Anche lui è d’accordo che, dopo le scelte politiche, occorra una strategia di formazione soprattutto per i giovani. “Iniziate un Movimento laico come il vostro tra i cristiani palestinesi – è l’invito che rivolge ai Focolari – ce n’è tanto bisogno”. Pierbattista Pizzaballa, Amministratore Apostolico in Terra Santa, ha ricevuto il Consiglio Generale giovedì scorso nella sede del Patriarcato Latino. Nel suo saluto ha messo l’accento sulla forza di ciò che è piccolo. “Noi cristiani in Terra Santa siamo pochi, deboli e fragili – ha spiegato – E proprio per questo possiamo fare la proposta provocatoria di una Gerusalemme non solo celeste, ma anche terrestre, che ha, come dice l’Apocalisse, tutte le porte aperte.” Il compito dei cristiani sarebbe quello di seminare, senza pretendere di vederne gli effetti. Gettare semi, anche piccoli, e lasciare alla Divina Provvidenza di farli crescere e fruttificare. Questo invito dell’Arcivescovo è sembrato realizzarsi poche ore dopo: accanto alla Chiesa San Pietro in Gallicantu, adiacente alla scaletta sulla quale Gesù, secondo la tradizione, avrebbe espresso la sua preghiera per l’unità, Maria Voce, Presidente dei Focolari, ha deposto nella terra una piccola medaglia. È il primo seme di un “Centro Internazionale per l’Unità e la Pace” a Gerusalemme che sta per nascere proprio qui, quale realizzazione di un sogno che Chiara Lubich, fondatrice dei Focolari aveva espresso già durante una sua visita in Terra Santa nel 1956. “Chiara – ha affermato Maria Voce – dal Cielo benedirà questo progetto e lo porterà avanti”. Un momento profondo, a cui erano presenti anche 170 membri delle comunità dei Focolari in Terra Santa. Testimoni, questi ultimi, che il piccolo seme gettato in questa terra lungo il corso gli anni, mostra già i primi germogli.
Joachim Schwind
(altro…)
Feb 15, 2019 | Centro internazionale
Al ritiro del Consiglio Generale in Terra Santa si sono conclusi i tre giorni di lavoro su comunione dei beni, nuove generazioni e Assemblea generale 2020.
“Quel Gesù che era sepolto qui ed è risorto, ora vuole vivere in mezzo a noi ed essere portato da noi in tutto il mondo”. Ha espresso così il Copresidente del Movimento dei Focolari Jesús Morán la sua emozione davanti al Santo Sepolcro dove ha celebrato l’Eucarestia insieme al Consiglio Generale. Una giornata intensa, ricca, quella del 13 febbraio iniziata con un risveglio all’alba per poter entrare in questo luogo straordinario che sembra avere molti punti in comune con la settimana di ritiro che il Consiglio Generale sta vivendo in Terra Santa. Al Santo Sepolcro ci si è trovati infatti davanti alla tomba lasciata vuota da Gesù Risorto. E, come essa provocò nei seguaci di Gesù tante domande sul futuro, così in questi giorni anche il Consiglio Generale si è lasciato interrogare facendo spazio alle domande sull’avvenire: dove il Risorto – anche attraverso i Focolari – vorrà arrivare oggi? Dove si dovrebbero, di conseguenza, concentrare le forze, le energie e le risorse?
Domande che hanno pervaso i tre grandi argomenti affrontati in questi giorni a Gerusalemme. Riguardo all’aspetto “comunione dei beni, economia e lavoro”, il Consiglio Generale ha costatato in tutte le articolazioni del Movimento un grande desiderio di tornare alla radicalità dei primi tempi e di vivere con nuovo impegno e nuova coerenza la comunione dei beni. Ci si è interrogati su come dare concretezza a questo desiderio. La riflessione sulle nuove generazioni dei Focolari, secondo argomento trattato, è stata arricchita dalla retrospettiva sul Genfest a Manila e sulla recente GMG a Panama, due tappe che hanno evidenziato tutta la potenzialità di ragazzi e giovani. Lo dimostrano anche alcune iniziative che si stanno ampiamente diffondendo come il progetto “Pathways for a United World” oppure l’impegno verso “Fame Zero” per sconfiggere la fame entro il 2030. Tra gli argomenti di riflessione, come dare continuità alle singole iniziative in atto per aderire a questi impegni.
E infine il terzo tema: la preparazione della prossima Assemblea Generale del 2020. Particolare attenzione del Consiglio è stata posta, da un lato, su come fare in modo che l’Assemblea rispecchi la varietà geografica, culturale e di vocazioni presente nel Movimento; dall’altra, ci si è chiesti come conciliare le esigenze di continuità e quelle di novità che caratterizzano il momento attuale del Movimento. A breve sarà costituita una commissione preparatoria che avvierà il lavoro partendo da queste due piste. Così descritto, però, potrebbe apparire un ritiro fatto di tante domande, ma senza risposte. Non è stato così. E’ venuto in luce un cammino già in atto, frutto della vita del Movimento presente in tutto il mondo. Porsi domande su questo cammino, lasciarsi interrogare dalle grandi questioni dell’umanità di oggi e cercare nuove risposte, attingere al percorso fatto per guardare al futuro, può produrre effetti inaspettati, può far incontrare il Risorto su strade inattese, proprio come è accaduto a quei due discepoli che, lasciata la tomba vuota, si erano incamminati verso Emmaus.
Joachim Schwind
(altro…)
Feb 14, 2019 | Famiglie, Focolari nel Mondo
Esther è Maori e Tom è di origini irlandesi e scozzesi. Una storia, la loro, che ribalta il principio dell’incomunicabilità tra culture molto diverse. Figlio di madre irlandese e di padre scozzese, Tom ha 26 anni quando arriva in Nuova Zelanda, un arcipelago dove il popolo Maori è approdato per primo, seguito da numerose migrazioni, tanto da renderlo un Paese multiculturale. Ci è arrivato con uno dei voli low-cost che i governi britannico e neozelandese offrivano a giovani disposti a fermarsi almeno due anni nelle terre d’oltremare. Esther, invece, è Maori ed è la più grande di 13 fratelli. I due si sono conosciuti in discoteca ed è stato amore a prima vista. “Non ho mai notato che venivamo da due culture diverse”, esordisce Tom, “E io non ci ho proprio fatto caso che lui fosse bianco”, replica lei. “Quando l’ho vista mi sono semplicemente innamorato”, conclude lui. Le complicazioni sono arrivate dopo, quando hanno annunciato alle rispettive famiglie che volevano sposarsi. La madre di lui gli ricorda che non potrà portarla in Inghilterra perché non è bianca e anche la nonna di Esther non era per nulla convinta di Tom. Aveva già scelto un uomo per lei, come aveva fatto prima per sua figlia, la madre di Esther: le tradizioni nella comunità Maori sono forti e difficili da trasgredire. Tuttavia, dopo lo shock iniziale, i genitori di Tom imparano a voler bene alla nuora Maori e anche lui viene accolto dalla numerosa famiglia di Esther. Di comune accordo, i figli vengono battezzati ed educati nella Chiesa Cattolica della quale Esther fa parte e nella quale Tom sente il desiderio di inserirsi. Il primo contatto con i Focolari avviene nel 1982 attraverso padre Durning, il catechista di Tom, un sacerdote scozzese,
missionario presso la comunità Maori. Invitati a trascorrere un weekend con le focolarine, Esther e Tom partono con i figli e non poco batticuore. “Mi sforzavo di leggere la Bibbia – ricorda Tom –, ma non ne traevo beneficio. Mi ha colpito piuttosto una frase che una di loro ha detto: “Cerca di cogliere la presenza di Gesù in chi ti passa accanto”. Le ho risposto che se lei avesse conosciuto il mio posto di lavoro, le ferrovie, avrebbe concordato con me che non era possibile. Era un ambiente difficile, ma lei ha insistito. Ci ho provato e la mia fede ha ripreso forza e ho trovato quello che cercavo: la possibilità di farla diventare vita”. Alla loro prima Mariapoli[1] Esther e Tom si ritrovano ad ascoltare persone che condividono esperienze e vicende personali “lette” alla luce del Vangelo e ne rimangono colpiti. “La nostra, però, non era una vicenda semplice da raccontare – spiega ancora Esther – perché Tom aveva iniziato a bere, un’abitudine presa sul lavoro”. “Una sera, mentre stavo per prendere una birra – continua Tom – Esther mi ha chiesto cosa stessi per fare. Ho capito che non potevo continuare a vivere così; avevo una moglie e quattro figli. L’alcolismo stava distruggendo la nostra famiglia, così ho deciso di smettere”. Ma la vita di una famiglia come la loro non era mai monotona e succedeva che, superata una sfida, se ne presentava subito un’altra. Accade così che, in seguito ad un incidente, Tom è costretto a lasciare il lavoro e decidono quindi di scambiarsi i ruoli: “Esther andava a lavorare e io restavo a casa a badare ai bambini”, racconta Tom. “Ho dovuto imparare a fare tante cose e anche la difficile ‘arte’ di amare a casa propria. Per gli amici la nostra era una scelta totalmente contro corrente e non possiamo dire che sia sempre andato tutto liscio, ma pur tra alti e bassi, ci siamo sempre trovati uniti. Anche quando abbiamo punti di vista diversi, o quando mi impunto su un’idea, mi ricordo che Chiara Lubich ci ha insegnato ad amare sempre per primi, a chiedere scusa e a non perdere il coraggio di amare”. “Da 46 anni la spiritualità dell’unità è diventata il nostro stile di vita quotidiano” – conclude Esther. “Ho capito che Dio ci aveva dato una vita bella, mostrato una meta alta e donato la fedeltà per raggiungerla; a noi, ora, andare avanti”.
Gustavo E. Clariá
[1] L’appuntamento storico dei Focolari: un incontro di più giorni per tutti, bambini, giovani, famiglie, per conoscere e fare esperienza della spiritualità dell’unità. (altro…)
Feb 13, 2019 | Famiglie
A volte sono le relazioni più prossime quelle più difficili. È l’esperienza di Miso Kuleif e del suo papà. “Con mio padre ho sempre avuto un rapporto difficile, né io né il resto della famiglia siamo mai riusciti ad andare d’accordo con lui e ne abbiamo sofferto moltissimo. Eppure, in un preciso momento della mia vita, ho fatto una scoperta: lui mi voleva bene veramente e anche io gliene volevo”. Esordisce così, Miso Kuleif, 24 anni, nata in Giordania, che da oltre venti anni vive in Italia con la sua famiglia. Il padre di Miso per molto tempo ha avuto gravi problemi di salute, ma la svolta avviene circa tre anni fa quando apprende di dover fare con urgenza un trapianto di fegato. Poiché in Giordania, a differenza che in Italia, è possibile fare questo tipo di operazioni anche con un donatore vivente, il padre sceglie di operarsi nella sua terra d’origine. “Il problema – continua Miso – era trovare un donatore e quindi persone disposte a fare i controlli di compatibilità. Quando l’ho saputo, non ci ho pensato molto. Sono partita con lui per sottopormi agli esami”. “Dove ho attinto forza? Mi ha aiutato il vivere da alcuni anni la spiritualità dell’unità – spiega -. Ho conosciuto i Focolari nella mia città attraverso il Movimento Diocesano, che porta questa spiritualità in tante Diocesi e parrocchie, tra le quali la mia. Negli incontri molte volte ci proponevamo di amare come insegna il Vangelo, pronti anche a dare la vita gli uni per gli altri. Adesso non potevo tirarmi indietro. Se abbiamo la possibilità di salvare una vita, non possiamo non farlo”. Miso lascia quindi l’Italia e interrompe l’Università senza sapere quando sarebbe potuta tornare. Arrivata in Giordania, l’esperienza è dura. “Ero lì, sola, circondata da una famiglia alla quale mi sembrava di non appartenere. Se avessi subìto l’intervento, tutte le persone che avrei voluto vicine non sarebbero state con me”. Ma va avanti. Dagli esami risulta però che Miso non è compatibile. Poco tempo dopo si trova un donatore: è il fratello del padre, l’unico che dopo Miso ha accettato di fare i controlli. “Mi ci è voluto un po’ per metabolizzare questa esperienza. Anche grazie a tante persone del Movimento che mi sono state vicine, sono riuscita a sviluppare la consapevolezza del bene che voglio a mio padre, anche se mi è difficile ammetterlo. Odiare qualcuno è molto più facile, ma molto più deleterio. Il vero problema non era la situazione in sé, ma come io l’ho affrontata. Ho imparato che si può essere felici sempre, che dipende da noi. Nel Vangelo si legge: “Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date”. Ora mi rendo conto dell’importanza di queste parole. Se la mia vita fosse stata diversa, magari sarebbe stata solo più semplice, ma io non sarei quella che sono oggi”.
Anna Lisa Innocenti
(altro…)
Feb 12, 2019 | Sociale
“Bisogna lavorare insieme e avere il coraggio di far funzionare bene le cose”. Ne è convinto Loris Rossetto che al recente convegno “Co-Governance, corresponsabilità nelle città oggi” ha raccontato dell’ostello “Bella Calabria”, ricavato da una struttura confiscata alla ‘ndrangheta. “Forse a volte una mentalità all’insegna del ‘tanto non cambierà nulla’ o ‘meglio non rischiare’ danneggia la nostra terra. Quando invece ci si rimbocca le maniche e si fa lavoro di squadra i risultati arrivano”. È l’esperienza di Loris Rossetto e di sua moglie, calabresi emigrati negli anni ’90 in Veneto e poi in Trentino che tornati nella loro terra, nel 2005, hanno avviato attività in strutture confiscate alla ‘ndrangheta (così si chiama la malavita organizzata in questa terra). Sperimentata l’efficienza del nord Europa, hanno pensato di coniugarla con il calore e le risorse naturali e culturali del sud, sviluppando un “turismo del tutto particolare, quello dell’amicizia e dell’accoglienza calabrese”. Il loro obiettivo è promuovere la crescita economica del territorio, ma soprattutto di creare legami di amicizia con persone di altri Paesi e incoraggiare la popolazione locale a operare per il Bene comune, nella legalità, credendo nella possibilità di rinascita del territorio. Dati alla mano infatti, in Calabria attualmente sono 35 i Consigli Comunali sciolti per mafia, compreso il capoluogo, e attraverso la Regione passa la metà della
droga che arriva in Italia. Ma la piaga della mafia – dimostra l’esperienza dei Rossetto – non ha l’ultima parola se si ha il coraggio di proporre un modello di relazioni diverso. “Iniziamo fondando l’associazione ‘Amici del tedesco’ – racconta Loris – con l’idea di promuovere scambi tra la nostra città e i Paesi di lingua tedesca. La prima esperienza è la creazione di un centro di aggregazione. Poi decidiamo di aprire l’ostello ‘Bella Calabria’ in uno stabile confiscato a Cutro, in provincia di Crotone”. L’11 aprile del 2015 si inaugura la struttura. “Ci inventiamo un programma per le classi – continua Loris – ‘48 ore all’ostello all’insegna del motto: Chi rispetta le regole è felice’. Sottotitolo: ‘Fai agli altri ciò che vorresti fosse fatto a te!’. Gli alunni interiorizzano l’idea che lavorare in squadra è bello. Apprendono le lingue straniere attraverso simulazioni e dialoghi in lingua”. Ma i primi passi di questa avventura sono in salita. E non solo perché i Rossetto non si intendono di economia né di turismo. In estate nella zona viene a mancare l’acqua. Si supplisce con una cisterna, ma non basta. La Provvidenza vuole che l’anno seguente venga eletto un Sindaco che si dà da fare per aiutarli. “È un segno del cielo” pensano i coniugi, incoraggiati ad andare avanti. E intanto il progetto cresce. Arrivano classi dal nord Italia e ospiti dall’Europa, la squadra di Hockey di Hamm, una classe di Dresda, la Croce Rossa tedesca. Tutti sperimentano il calore dell’accoglienza calabrese, e le persone del posto, prima diffidenti, si aprono all’iniziativa. “La gente di Cutro risponde in modo stupendo – osserva Loris – Spesso capita che il turista, sorpreso, ci dica ‘sono andato al bar e mi hanno offerto il caffè’, o che un vicino d’estate porti frutta fresca. Gli ospiti rimangono così colpiti che si innamorano del paese e dell’ostello, così chi viene una volta spesso ritorna. Capiamo che siamo sulla strada giusta”. Seguirà un secondo ostello a Crotone e un progetto che coinvolge tre parchi: “A Cropani Marina, proponiamo con delle mini car educazione stradale, a Isola un percorso per mountain bike, a Cirò un percorso botanico. Anche qui i problemi non mancano, ma alla fine funziona”. A fare da comun denominatore una motivazione forte e un invito: “Non smettere mai di sognare stando con i piedi per terra, con lo sguardo rivolto al cielo, per amare e migliorare il proprio territorio”.
Claudia Di Lorenzi
(altro…)
Feb 11, 2019 | Cultura
Si chiama “Together fo a new Africa” la prima scuola di leadership per giovani leader del continente africano organizzata dai Focolari. Hanno partecipato in più di cento da 12 Paesi. “Trova la tua passione, qualunque essa sia, assumila e fa che essa diventi te e vedrai accadere grandi cose per te, a te e grazie a te”. Questa citazione di Allan T. Armstrong riassume bene il senso della scuola di leadership a cui hanno partecipato oltre 100 giovani leader provenienti da 12 paesi dell’Africa dell’Est e della Repubblica Democratica del Congo agli inizi di gennaio. Il corso si è svolto alla Mariapoli Piero, la cittadella dei Focolari in Kenya e si tratta della prima di una serie di Summer School dal nome promettente “Together for a new Africa”, insieme per un’Africa nuova.
Melchior Nsavyimana, giovane politologo burundese e ora docente e coordinatore pressol’Institute for Regional Integration/Catholic University of Eastern Africa è uno dei pionieri del corso. Spiega che lo scopo di questo primo appuntamento è “approfondire e sperimentare un’idea di leadership che, radicata nei valori del continente africano, risponda alle sfide di oggi. Una leadership che si esprima in modi comunitari e costruisca comunità, con gli strumenti e i linguaggi della fraternità universale: Se questa è la domanda che interroga il nostro futuro, questo dev’essere il nostro impegno oggi. Facendo tesoro dei fondamenti della cultura dell’unità”. Ad organizzare questo primo appuntamento, un vero e proprio network composto dall’Istituto Universitario Sophia, con il supporto del Movimento politico per l’unità, con l’Ong New Humanity e la cooperazione dell’Unesco, e il sostegno di Caritas e Missio. Tutto è cominciato alcuni anni fa per iniziativa di un gruppo di studenti africani dell’Istituto Universitario Sophia che hanno deciso di impegnarsi per un’Africa nuova, partendo dalla trasformazione e dal rinnovamento culturale della sua leadership. Venti docenti dell’Africa orientale, della Repubblica Democratica del Congo e di Sophia hanno dato il via al primo ciclo di una formazione triennale interdisciplinare e interculturale sui temi della cittadinanza responsabile, della leadership e di una cultura di fraternità, per affrontare con lucida consapevolezza le ferite del continente. “Il viaggio è appena agli inizi”, si legge sulla pagina Web della scuola, dove i giovani promotori spiegano l’intento del progetto: “L’Africa (in particolare quella orientale) è sottoposta a una serie di cambiamenti demografici, politici, sociali e culturali molto complessi. Uno degli effetti è il clima di incertezza che incalza. Ai giovani spesso mancano gli strumenti necessari per comprendere i cambiamenti in corso e restano passivi di fronte alle domande confuse di politici, gruppi armati, multinazionali, ecc. È per questo che noi giovani africani, diplomati dell’Istituto Universitario Sophia abbiamo capito che è nostra responsabilità, insieme ai giovani africani, decidere quale Africa vogliamo per il futuro, come proposto dall’Agenda dell’Unione Africana per il 2063. Vogliamo dare ai giovani africani una formazione integrale sulla leadership responsabile e creare una rete tra di loro per agire insieme per l’africa che vogliono”.
a cura di Stefania Tanesini
(altro…)
Feb 11, 2019 | Centro internazionale
Quest’anno il Consiglio Generale dei Focolari ha scelto per il suo ritiro annuale un luogo di grande valore simbolico: Gerusalemme e la Terra Santa. L’istituto ecumenico Tantur, situato al confine della Città Santa con Betlemme, vuole essere una oasi di ospitalità e comunione per chi desidera immergersi nella realtà assai complessa di Gerusalemme, con il suo intreccio di culture, popoli, religioni e confessioni. È per questo che si presenta adatto per il ritiro annuale del Consiglio Generale del Movimento dei Focolari, in corso, dal 10 al 17 febbraio. “Il pr
ogramma di questi giorni comprende, in un certo senso, il passato, il presente e il futuro”, spiegano Friederike Koller ed Ángel Bartól, delegati centrali del Movimento e coordinatori di questo ritiro. “Un viaggio in Terra Santa è sempre un pellegrinaggio che invita a guardare il passato, e cioè i luoghi storici della fede cristiana e le sue radici nella religione ebraica. Il presente si toccherà nei momenti di lavoro su uno dei temi principali dell’anno 2019: l’aspetto ‘comunione dei beni, economia e lavoro’. L’intento è di recuperare nel Movimento una radicalità di vita evangelica rispetto alla comunione dei beni, anche materiale, e, a partire da uno stile di vita alternativo impregnato dal carisma dell’unità, trovare risposte alle sfide economiche di oggi. Volgeremo poi lo sguardo al futuro trattando due argomenti importanti: il lavoro per e con le nuove generazioni e la preparazione della prossima Assemblea Generale del 2020”. Ángel Bartól sottolinea quanto sia esigente applicare il metodo di lavoro scelto, considerato il numero dei partecipanti (62 persone): “Sia che lavoriamo in plenaria o in piccoli gruppi, siamo in pellegrinaggio; ci sentiamo sempre in cammino con Gesù che vuole essere presente, vivo e attivo in mezzo a noi. Ciò è possibile quando ognuno di noi è pronto ad offrire il suo punto di vista senza esservi attaccato”. E Friederike Koller aggiunge: “In questo modo possiamo dare anche noi un piccolo contributo alla pace, alla quale ci invita la Parola di Vita di questo mese e di cui il mondo, e soprattutto questa città, hanno tanto bisogno”.
Joachim Schwind
Qui il saluto di Maria Voce, presidente dei Focolari, in partenza per Gerusalemme. (altro…)
Feb 10, 2019 | Chiara Lubich
In occasione della “Giornata mondiale del malato” proponiamo una breve riflessione di Chiara Lubich sulla malattia e sulla comunità del Movimento nelle quali vivono persone ammalate. Voi sapete che tutta la nostra vita, perché cristiana, è una rivoluzione. È una rivoluzione del modo di pensare, è un andare controcorrente. Ora, se noi guardiamo come sono considerati gli ammalati nel mondo, osserviamo che, specie se la malattia si prolunga o è incurabile, essi sono in certo modo, considerati diversi dai sani, come una categoria a parte. La società di oggi infatti, non comprendendo il valore del dolore e volendolo dimenticare, così come si vuole fare con la morte, emargina gli ammalati. È una cosa anticristiana, gravissima, perché il primo emarginato dovrebbe allora essere Gesù Cristo in croce. Perciò queste comunità particolari in cui vivono persone ammalate, se sono senz’altro come le altre, sono anche speciali per il bene che fruttano e perché hanno la possibilità di testimoniare al mondo che cosa è il dolore per un cristiano. Il dolore è un dono che Dio fa ad una creatura. E questo non è soltanto un modo di dire per consolarci o per consolare gli ammalati. Tutti coloro che stanno poco bene sono veramente amati da Dio in modo speciale, perché più simili a suo Figlio. (Chiara Lubich, Perchè mi hai abbandonato?, 1997, pp.108-109) (altro…)
Feb 8, 2019 | Vite vissute
Mite ma deciso, con la convinzione che il Vangelo è una delle pagine più rivoluzionarie della storia, capace di cambiare il mondo. Per questo ha vissuto Marco Aquini. Ci ha lasciati un mese fa, il 4 gennaio scorso. L’incontro con Marco lasciava un segno: era una di quelle persone di rara schiettezza che con lo sguardo profondo si rivolgeva direttamente al tuo cuore, e con poche parole, senza divagare, rispondeva con gesti concreti alle tue necessità, ti dava un consiglio ma senza importi niente, anzi, suscitandoti la risposta dal di dentro. Nato nel 1958 è stato uno dei primi giovani della sua regione, il Friuli, ad aderire ai Focolari; una terra dove la gente è tutta d’un pezzo: seria, laboriosa, disciplinata. Conosce presto la crudezza che a volte ti consegna la vita quando gli viene tolto il padre in seguito a un grave incidente. Ma l’incontro con la spiritualità dei Focolari dà una svolta alla sua storia. Durante un campus con i Gen (i giovani dei Focolari) nel 1978, avverte la chiamata a donarsi a Dio come focolarino e aderisce all’invito di Chiara Lubich di sottoscrivere un impegno di fedeltà a Dio fino alla morte. Si tratta del “Patto del fino alla fine”, rimasto storico e scrive a Chiara in quell’occasione: “Prima di conoscere l’Ideale* ero chiuso nel mio mondo dorato. Vivendolo sto uscendo da me stesso. Torno conscio di avere la forza potenziale di cambiare il mondo in cui vivo”. Offre con passione il suo contributo prima in Germania, poi di nuovo in Italia, al centro del Movimento dei Focolari, specialmente nella fondazione di due organismi a servizio degli ultimi e della pace: l’AMU, “Associazione Mondo Unito”, e “New Humanity”, la ONG del Movimento accreditata presso l’ONU. Per anni opera anche in qualità di consigliere centrale per l’aspetto della “Comunione dei beni, Economia e Lavoro”; diventa corresponsabile del movimento Giovani per un Mondo Unito. Dall’anno 2000 è accanto a Chiara e a Eli Folonari nella conduzione del Collegamento CH, la video-conferenza che dal 1980 raccoglie periodicamente la famiglia dei Focolari nel mondo. Ma la vita gli riserva un’altra inaspettata esperienza, l’inspiegabile scomparsa della sorella Chiara, già fragile di salute. Soffre molto insieme alla mamma, mentre si susseguono le ricerche fino al ritrovamento del corpo. In questa tragedia Marco riesce a cogliere l’amore di Dio che gli dà la forza di sostenere la sua famiglia. Con la mamma Franca, Marco collabora poi alla nascita di una casa d’accoglienza intitolata alla sorella, per l’inserimento sociale dei disabili fisici e psichici e, seppur a distanza, mantiene sempre i rapporti con l’associazione. Si dedica anche all’insegnamento accademico presso la Pontificia Università di San Tommaso d’Aquino di Roma e sempre nell’ambito dell’economia all’interno dei Focolari assume la carica di membro dell’attuale Consiglio di amministrazione della rivista Città Nuova. Il suo amore verso gli ultimi lo impegna pure nell’offrire un’assistenza competente presso un gruppo di ascolto della Caritas. Nel novembre 2018 condivide con i tanti amici la scoperta di una grave malattia e affronta questa nuova tappa con una rinnovata scelta di Dio, che gli dà profonda gioia, nonostante le forti sofferenze fisiche. Maria Voce, nel telegramma inviato alle comunità dei Focolari nel mondo, mette in risalto la sua vocazione di focolarino, il suo stile sobrio, chiaro e diretto che si rispecchia nella parola del Vangelo che gli propone Chiara da vivere: “Sia il vostro parlare: «Sì, sì», «No, no»” (Mt 5,37), e di come abbia vissuto in maniera straordinaria la malattia. L’ultimo tratto di vita di Marco ha lasciato tutti senza parole, nell’apparente impossibilità di stare al passo con il rapido peggioramento della salute che in soli due mesi lo ha portato, la mattina del 4 gennaio, a raggiungere la meta del Cielo. Al suo funerale c’erano persone di ogni genere, tutti legati a lui e tutti, in qualche modo, “in cordata” con lui a scalare non più solo le sue amate montagne, ma le vette della vita, accompagnati dal suo esempio autentico e luminoso.
Patrizia Mazzola
*La spiritualità dei Focolari (altro…)
Feb 8, 2019 | Cultura
Cosa hanno in comune Medellin, Katowize e Kingersheim? Nonostante la distanza culturale, ciò che le accomuna è il progetto sociale e civile. Sono geograficamente situate in due continenti diversi e in tre aree culturali distanti. Si tratta di Medellin (Colombia), Katowize (Polonia) e Kingersheim (Francia). Sono città che hanno accolto la sfida di porre al centro il bene comune nel senso più autentico e non come somma di interessi privati. Amministrazioni e cittadinanza hanno lavorato per trovare una via per rompere egoismi, povertà, solitudini e riconoscersi fratelli. I protagonisti sul campo sono rispettivamente Federico Restrepo, Danuta Kaminska e Jo Spiegel che al Convegno “Co-Governance. Corresponsabilità nelle città oggi” hanno raccontato le loro tre storie, diverse ma con un unico leitmotiv. La prima storia è raccontata da Federico Restrepo, ingegnere e già direttore dell’EPM – Imprese Pubbliche di Medellin (Colombia) che, insieme ad altri amici, non si è arreso dinanzi all’ineluttabilità della situazione che sembrava più grande delle sue forze. Medellín – città che conta quasi tre milioni di abitanti –, come tante altre città sudamericane dimostra una forte tendenza di crescita delle aree urbane a scapito della popolazione rurale.
“In alcuni quartieri di Medellin si trovano popolazioni che cercano di costruire una loro città nella periferia della città”racconta Restrepo. Da alcuni anni è partita un’esperienza-pilota nei quartieri nati da migrazioni forzate per attuare progetti urbani integrali. L’immigrazione, in aumento in Colombia anche a causa della crisi venezuelana, non si risolve costruendo muri: “Abbiamo la responsabilità – continua – di costruire relazioni tra le città per poter risolvere questo problema sociale che la nostra società sta attraversando”,. Ma non è soltanto una questione di urbanistica, altre sfide si presentano per riscoprire il cuore della città e farlo pulsare. L’esperienza che racconta Danuta Kaminska fa da tramite tra il continente americano e l’Europa. Amministratrice pubblica nel Consiglio della Slesia
Superiore, in Polonia, lei presenta storie quotidiane, ma nello stesso tempo straordinarie, di accoglienza da parte dei cittadini di Katowize per favorire l’inserimento immigrati dei migranti, in maggioranza ucraini. Soltanto lo scorso anno essi hanno raggiunto il numero di 700.000. “Per attivare la co-governance nella nostra città abbiamo capito che occorre sostenere i cittadini. Si collabora con le comunità religiose e le organizzazioni non governative per l’integrazione, come ad esempio il sostegno alle comunità ebraica e musulmana”. Katowize, due milioni di abitanti, ha subìto in questi anni una profonda mutazione, trasformandosi da città industriale a sito UNESCO, ed è stata sede della La Conferenza delle Parti sul Clima del 2018 (COP24) .
Se la città è uno spazio di trasformazione, se la democrazia deve essere fraterna, occorre coltivare la partecipazione e la spiritualità. Stiamo parlando di amministratori che diventano facilitatori dei processi decisionali e Jo Spiegel, sindaco di Kingersheim, cittadina francese di circa 13.000 abitanti, continua a spendersi con tutte le forze per restituire alla sua città un volto multiforme dove possano coesistere culture e generazioni diverse. “Venti anni fa – racconta il sindaco – abbiamo fondato un ecosistema democratico partecipato, dando vita alla “Casa della Cittadinanza, un luogo privilegiato dove di impara a vivere insieme, cittadini e politici”. Più di quaranta i progetti portati a termine come la revisione del piano urbanistico locale, la pianificazione del tempo del bambino, la creazione di un luogo di culto musulmano. “La fraternità non si delega, non si decreta. È dentro di noi, è tra noi. Si costruisce”
Patrizia Mazzola
(altro…)
Feb 6, 2019 | Cultura
Il complesso racconta l’esperienza in Gran Bretagna e Lussemburgo e poi in Panama per la GMG. Il loro viaggio continua a Cuba, Guatemala ed El Salvador. Nel vostro ultimo album “From the inside outside” emerge uno sguardo positivo sulle persone: ognuno ha la possibilità di trovare in sé quella luce che può portare agli altri. È così?
Adriana: Spesso sentiamo dire che oggi la società sta passando una notte culturale, dove c’è tanto “buio” e le divisioni vengono più in risalto. Vogliamo che il messaggio di questo album sia un invito a tirare fuori quella speranza che magari è nascosta sotto la cenere, riaccendendola. L’album nasce dall’esperienza fatta con migliaia di giovani durante i nostri tour. Grazie al progetto “Start Now”, un programma con laboratori artistici e un concerto conclusivo, abbiamo la possibilità di vivere a stretto contatto con le nuove generazioni. Ci rendiamo conto delle sfide che affrontano, ma anche delle loro bellezze. Spesso offriamo la nostra esperienza, ma mai dall’alto come qualcuno che ha già risolto tutto. Piuttosto insieme a loro guardiamo in faccia le sfide, cerchiamo di affrontarle e dare una risposta. Diversi ci hanno detto: “Quando torno a casa le circostanze esterne non saranno cambiate, ma sarà diverso come io le affronto”. Secondo voi la musica, il canto, la danza funzionano per entrare in contatto con i giovani? Sally: Le discipline artistiche hanno proprio queste caratteristiche: facilitano il dialogo, l’apertura e i risultati spesso sorprendono. Una volta in una scuola un’allieva era affetta da mutismo selettivo, aveva cioè deciso di non parlare più. Quando si è iscritta al gruppo di canto ci siamo chieste: che cosa farà? Il primo giorno non ha aperto bocca. Il secondo ha ringraziato, il terzo si è offerta lei stessa per cantare una seconda voce. Tornando a casa in lacrime ha confidato alla madre: “Ho ritrovato la mia voce”. Anche le insegnanti erano commosse: “È da non credere, stava sempre sola, adesso comincia a parlare con gli altri e raccontarsi…”. Questo è solo un esempio, ma come questo ce ne sarebbero tantissimi altri. Nella canzone “Not in my name” affrontate i rapporti tra cristiani e musulmani. Come è nata? Adriana: Abbiamo voluto esprimere solidarietà ai nostri amici musulmani e mettere in luce i valori che condividiamo, sapendo che tanti di loro soffrono, perché si sta diffondendo una rappresentazione sbagliata dei mussulmani e perché il cuore della loro religione non è quello che viene diffuso dai media. Inoltre la stessa esperienza di creare la canzone è stata all’insegna del dialogo: ci siamo anche ispirate alle parole del Dr. Mohammad Ali Shomali, Direttore dell’Istituto Internazionale per gli Studi Islamici di Qum (Iran) che abbiamo conosciuto a Loppiano. Egli afferma che siamo tutti gocce che riflettono il volto di Dio e insieme possiamo essere un oceano d’amore. Quando lui ha letto le parole della canzone ha detto di sentirsi espresso. Per l’arrangiamento del brano abbiamo coinvolto Rassim Bouabdallah, membro dei Focolari di religione musulmana, che nella registrazione ha suonato il violino.
Adesso vi trovate in Centro America dove avete partecipato anche alla GMG, come sta andando il vostro viaggio? Alessandra: A Panama nelle città di Chitré e di Colón abbiamo realizzato il concerto con i giovani per migliaia di pellegrini in occasione della GMG: essere sul palco con loro è stato sentire e dire a tanti che si può sperare insieme. Forte anche l’esperienza nell’Istituto Penale femminile di Panama City. Le donne lì vivono veramente una vita difficile, ma c’era un ascolto incredibilmente profondo: quanti applausi spontanei, quante lacrime durante le canzoni…Alla fine tante ci hanno detto che sembrava avessimo vissuto le stesse esperienze e che insieme potevamo rialzarci e guardare al futuro, in un posto nel quale sembrerebbe impossibile. È stato sperimentare la misericordia di Dio che opera nelle nostre vite al di là di qualsiasi circostanza.
a cura di Anna Lisa Innocenti
(altro…)
Feb 5, 2019 | Sociale
Agire in prima persona e ridare vita a rapporti feriti nel tessuto della città. Pestaggio Da quando in Messico è cominciata la lotta al narcotraffico si contano moltissime vittime, e non si tratta sempre di delinquenti. Tempo fa tornavo a casa da scuola, quando si è avvicinato un ragazzo per chiedermi una sigaretta. Proprio in quel momento sono sopraggiunti degli agenti di polizia e ci hanno perquisito. Poi hanno cominciato a picchiare il ragazzo e ad insultarlo, lasciandolo in mezzo alla strada ferito e sanguinante. Io avevo assistito impotente. Quindi l’ho aiutato ad alzarsi e gli ho dato i pochi spiccioli che tenevo in tasca. E lui, abbracciandomi, mi ha detto: “Con questi soldi oggi la mia famiglia mangerà”. (Abraham – Messico) Scambio di lettere Con i ragazzi ai quali faccio un percorso di catechesi, ho trattato le opere di misericordia. Per metterle in pratica abbiamo pensato di scrivere a delle donne detenute. Ho esposto il progetto al direttore del carcere, che subito si è detto contrario. In seguito, però, consultandosi con altri, si è convinto della bontà del progetto, che avrebbe potuto avere effetti positivi su quelle donne. Così lo scambio è stato approvato e da allora i ragazzi si sono messi all’opera, preparando disegni e letterine da consegnare alle detenute. (Prisca – Svizzera) Bazaar I knew a few poor families and wanted to help them. In the office, a colleague asked me if I was interested in some good quality clothing she no longer needed and toys that belonged to her children who were now grown up. I told her about the families I wanted to help and she decided to get others involved. Very soon we had collected a great many things that we kept in a garage. Some we gave away and the rest we sold at a bazaar. With the proceeds we were able to help a lot of families in difficulties. After this experience another colleague, who is often very grumpy, said we couldn’t stop there so we keep looking around to see who else we can help. (R.A.R. – Brasile)
A cura di Chiara Favotti
(altro…)
Feb 4, 2019 | Focolari nel Mondo
Molti progetti umanitari cercano di alleviare le difficoltà della popolazione. Dal 2012, anche il Movimento dei Focolari offre sostegno e assistenza attraverso il lavoro delle onlus AMU e AFN. Forte svalutazione della moneta, aumento inarrestabile del costo della vita a fronte di una costante contrazione dei servizi pubblici. Sono solo alcune delle voci che vanno a comporre il bilancio sociale e civile di sette anni di guerra in Siria. Tra la popolazione gli effetti sono sempre più pesanti. Chi ha perso il lavoro è stato costretto a spendere tutti i propri risparmi per sopravvivere e curarsi, in un Paese dove medici, insegnanti e molti professionisti sono dovuti emigrare all’estero. In questa situazione di estrema difficoltà, come scrivono i referenti dei progetti portati avanti in Siria dalla comunità dei Focolari, attraverso le onlus AMU e AFN fioriscono “valori meravigliosi come la solidarietà, l’accoglienza, la generosità, la fraternità. Dio è all’opera portando ad ognuno sostegno e coraggio”. Grazie al progetto “Emergenza Siria”, più di 200 famiglie sfollate di Damasco, Homs, Aleppo, Kafarbo e del litorale, sono state visitate con regolarità da “squadre” di volontari che nei vari momenti, dalle nascite ai compleanni e alle varie fasi della vita scolastica, hanno fatto arrivare il loro sostegno, sempre nel rispetto della loro sensibilità e dignità. Con l’aiuto del progetto, hanno potuto pagare le spese scolastiche, acquistare degli elettrodomestici necessari, coperte, cibo. Ma soprattutto si sono sentite accompagnate in questa difficile fase della loro vita.
Ai programmi nei campi dell’assistenza sanitaria, dell’istruzione e del sostegno al reddito famigliare, già attivi da oltre sei anni, altri si sono aggiunti più recentemente, specie nel settore della formazione professionale e dell’istruzione. “Questo impegno nasce, oltre che per venire incontro alle necessità materiali urgenti delle persone assistite, anche per offrire occasioni di lavoro a tante altre, specialmente giovani che, altrimenti, nell’attuale situazione del Paese sarebbero disoccupate”. A Dueilaa, durante lo scorso anno, oltre 90 bambini hanno frequentato il dopo scuola conseguendo ottimi risultati. Nei mesi estivi, il centro è rimasto aperto per accogliere fino a 115 bambini. “Alcune mamme ci dicono che i loro figli, anche se sono malati o hanno un altro programma famigliare, preferiscono venire qui”. A Homs un altro centro per bambini e ragazzi ha preso il nome “Generazione della speranza”. Gli studenti che lo frequentano hanno superato brillantemente gli esami nelle loro scuole di provenienza. Qui viene offerta anche la possibilità di un accompagnamento psicologico rivolto sia ai bambini che ai loro genitori. “Lavoriamo in particolare sui traumi subiti a causa della guerra. Questi momenti aiutano a far rinascere la fiducia e a trovare soluzioni a tanti problemi”. Sempre a Homs, ma anche a Kafarbo, da più di due anni un progetto di assistenza sanitaria ha consentito di avvicinare finora oltre un centinaio di persone con necessità di cure mediche specialistiche. “Cerchiamo di collaborare con altri organismi per poter aiutare i pazienti anche quando il costo delle cure o degli interventi chirurgici supera le nostre possibilità”.
Chiara Favotti
(altro…)
Feb 4, 2019 | Focolari nel Mondo
A 70 anni dalla prima Mariapoli ritorna l’evento sulle Dolomiti in Italia, per tutto il continente europeo. Intervistiamo Peter Forst, delegato del Movimento dei Focolari per la zona dell’Europa centrale e uno degli organizzatori dell’evento L’Europa di oggi appare molto divisa (Brexit da un lato, muri contro l’accoglienza dall’altro). Che senso ha fare una Mariapoli europea? È stata proprio la costatazione di quanto sia divisa l’Europa che ha fatto nascere l’idea della Mariapoli Europea. Ci siamo resi conto che abbiamo opinioni molto diverse, in parte contrarie, sugli sviluppi in Europa, sulle migrazioni, sui valori, …e il primo scopo della Mariapoli è di rinsaldare i rapporti, creare spazi di comunione e di condivisione, incoraggiare l’umanità ad andare decisamente sulla strada della fraternità universale e dell’unità di uomini e popoli. Speriamo così di poter dare una testimonianza che è possibile rimanere uniti anche se le differenze sono tante. Dalla prima nel 1949 ad oggi: come sono cambiate le Mariapoli? Le prime Mariapoli erano molto spontanee. Forse oggi ci vuole un po’ più di organizzazione logistica e di preparazione del programma. Ma lo spirito della Mariapoli europea vuole essere lo stesso di quello di 60 o 70 anni fa: sperimentare e testimoniare che l’umanità è una famiglia. La via per arrivarci? Un amore incondizionato. Perché proprio sulle Dolomiti? L’idea di fare la Mariapoli nello stesso posto dov’è nata ha subito convinto tutti. Lì Chiara Lubich 70 anni fa, faceva le vacanze con le prime e i primi focolarini, ed è proprio lì dove con loro e con il parlamentare italiano Igino Giordani nell’estate del ’49 hanno vissuto un’esperienza di luce, di particolare unione con Dio e di profonda unità tra di loro che ha segnato la fondazione del Movimento nascente. Non è la nostalgia che ci ha spinti a scegliere le Dolomiti, ma la convinzione che proprio nel “dopo Chiara” è importante tornare alle radici per poter trovare i modi e le risposte per oggi. Chi vi parteciperà? Quale il programma? Cosa intendete con il titolo “Puntare in alto”? La Mariapoli è aperta a tutti. Ci sono 600 posti ogni settimana. L’iscrizione è possibile fino al 31 gennaio (www.mariapolieuropea.org). Nel programma ci saranno gite, sport, giochi, musica, spiritualità, preghiere, workshop creativi e forum tematici – tutto vuole essere un’occasione d’incontro vero. “Puntare in alto” ci sembrava un’immagine adatta per lo scopo di vivere rapporti di alta qualità spirituale ed umana. E poi: essendo in montagna automaticamente si punta in alto.
Lorenzo Russo
LE DATE:
(altro…)
Feb 1, 2019 | Sociale
La Parola di Vita di questo mese è un invito all’accoglienza e alla generosità verso tutti Ascoltare Ultimamente, a causa di una malattia, ho delle difficoltà nell’uso della parola, e per me comunicare è vitale! Non posso fare più di tanto ma, questo sì, posso accogliere e ascoltare profondamente chi viene a trovarmi. A volte le persone mi raccontano tanti dolori, ma andandosene sembrano sollevate. E allora ringrazio Dio di questa mia condizione. (Marisa – Italia) Pullover Mio marito si stava preparando a partire per un congresso e aveva bisogno di un paio di scarpe e di un pullover. Le scarpe siamo riusciti a comprarle, ma per il pullover non c’era stato il tempo, perché ci è sembrato più importante andare ad un incontro con un gruppo di famiglie, dove condividiamo le nostre esperienze di vangelo vissuto. Ebbene, proprio lì, nel gruppo, una signora ha portato due pullover per chi ne avesse bisogno. Provandoli, con nostra grande sorpresa, sono toccati entrambi a mio marito. (D. M. – Serbia) Preghiera Mio marito ed io stavamo cercando un alloggio per mio fratello che doveva sposarsi, ma prezzi e condizioni rendevano difficile la scelta. Il tempo passava e in me cresceva la preoccupazione. Come avrei voluto aiutarlo! Un giorno il nostro bambino più piccolo ci ha suggerito una cosa a cui non avevamo penato: chiedere a Dio ciò che ci stava tanto a cuore. Così abbiamo fatto. Poche ore dopo mio fratello mi ha chiamato tutto contento: aveva trovato l’appartamento giusto! (M. N. – Libano) (altro…)
Gen 31, 2019 | Focolari nel Mondo
Quello che li spinge a partire per dar vita ad un focolare temporaneo è il desiderio di condividere la scoperta che ha dato senso e gioia alla loro vita. Perché altri possano sperimentare che vivere per la fraternità universale è la più bella delle avventure.
Sono giovani, adulti e famiglie, che in piccoli gruppi partono verso paesi lontani, dove li aspettano comunità e villaggi per percorrere insieme un pezzo di strada e fare l’esperienza dell’accoglienza e dello scambio fra culture diverse, del donarsi all’altro e “farsi uno” nelle gioie e nei dolori. Perché – ne sono certi – l’uomo realizza pienamente sé stesso amando il suo prossimo. E la fraternità è possibile anche fra persone di fedi e convinzioni differenti: “Fai all’altro ciò che vorresti fosse fatto a te” è la Regola d’oro che tutti gli uomini possono far propria. Questi piccoli gruppi sono i cosiddetti “focolari temporanei”, traduzione itinerante dei tradizionali focolari, centri nodali del Movimento sul territorio e cuore pulsante della vita al suo interno. Negli ultimi anni ne sono nati a decine. Nel solco dei “pionieri” del Movimento dei Focolari, che a partire dagli anni ’50 furono inviati da Chiara Lubich nei diversi continenti per portare il carisma dell’unità. Come moderni apostoli. In Nepal, punto di incontro tra le popolazioni mongole dell’Asia e quelle caucasiche delle pianure indiane, con una
spiritualità profonda che al buddismo affianca il cristianesimo e l’induismo, un gruppo di focolarini ha compiuto il suo viaggio. Dal 20 ottobre al 7 novembre, dalla capitale Kathmandu a Dharan, nel sud, e poi più a nord fino a Pokhara. Soprattutto creando legami. Provenienti da India, Italia e Gran Bretagna, fin da subito i membri del focolare si sono immersi nella cultura nepalese. Al loro arrivo era in corso il Dashain Hindu festival, il più grande festival indù che coinvolge l’intero Paese, e hanno partecipato al rito della Tika, ricevendo la tradizionale benedizione. A Daharan il gruppo è stato accolto in alcune parrocchie, ha raccontato della storia del Movimento e dell’impegno per la fraternità universale. Grande l’entusiasmo delle persone incontrate come dei sacerdoti. Nella capitale, al gruppo si sono uniti due giovani nepalesi che hanno partecipato al Genfest 2018 di Manila, condividendo la loro esperienza con gli studenti di una scuola guidata da padri gesuiti. A Pokhara l’incontro con alcune famiglie indù, povere e senza mezzi: armonia e dignità riempivano quelle case. I focolarini hanno parlato dell’ideale dell’unità, prima di essere invitati a pranzare insieme ascoltando musiche tradizionali.
Il gruppo ha poi fatto visita al Vescovo Paul Simick, Vicario apostolico del Nepal, che si è detto felice per la loro presenza nel Paese e li ha invitati ad incontrare i sacerdoti. Un viaggio di arricchimento reciproco, quello in Nepal, dove l’ideale dell’unità ha incontrato la cultura locale. Un detto buddista lo descrive efficacemente: Coloro che hanno pensieri “alti”, non sono felici di restare nello stesso posto, ma come i cigni lasciano la loro casa e volano verso una casa più alta.
Claudia Di Lorenzi
(altro…)
Gen 30, 2019 | Sociale
Il 24 gennaio Moon Jae-in, Presidente della Repubblica di Corea, ha fatto visita alla Panetteria Sung Sim Dang che aderisce al progetto Economia di Comunione. 
Per un imprenditore la visita del Presidente della Repubblica nella propria azienda è un evento a dir poco eccezionale, ma se la visita avviene proprio nel giorno del suo compleanno, ancora di più! È quello che è successo a Daejeon ad Amata Kim e Fedes Im, imprenditori dell’Economia di Comunione (Edc) coreani della nota Panetteria Sumg Sim Dang. Moon Jae-in, presidente della Corea del Sud dal maggio 2017 noto in occidente per esser riuscito a dare il via al processo di pace con la Corea del Nord dopo quasi 70 anni di guerra fredda, ha festeggiato il suo compleanno alla Sung Sim Dang con una magnifica torta ed ha potuto conoscerne da vicino la storia e la realtà. Il suo post su Instagram ha raccolto in poche ore oltre 76.000 like. Interessante il suo commento alla foto: “Sono stato sorpreso oggi di festeggiare il mio compleanno al panificio Sung Sim Dang di Daejeon. Durante la guerra del 1950 mio padre e il fondatore della panetteria (padre di Fedes ndr) erano sulla stessa nave di evacuazione, la Victoria, per fuggire dal Nord Corea. È per noi oggi molto caro e prezioso ricordare questo momento di storia. Il giorno del mio compleanno è un giorno come un altro ma oggi mi ricarico di nuova forza per gli auguri di molti. Grazie!” L’evento ha avuto una grossa eco sui media, anche per il grande valore – riconosciuto universalmente – che l’ azienda Edc Sung Sim Dang rappresenta per l’intera città di Daejeon. Clicca qui per vedere le immagini video dei momenti salienti della visita. Fonte: www.edc-online.org
Antonella Ferrucci

(altro…)
Gen 28, 2019 | Sociale
A Trieste (Italia) storie di accoglienza nel quotidiano. Il racconto di chi la vive in prima persona. “Insieme a Caritas e al Consorzio Italiano di Solidarietà (ICS) ci occupiamo soprattutto di famiglie di migranti e profughi con i loro bambini, ospiti presso una struttura di prima accoglienza nella nostra città, Trieste, e in provincia. Da tre anni, ogni settimana, con continuità, abbiamo attivato delle azioni concrete: un gruppetto di noi insegna italiano alle mamme in modo da far loro completare i corsi di studio per aiutarle ad affrontare meglio la quotidianità; altri giocano con i bambini e li seguono nei compiti. Sono passate dal centro ormai tante famiglie e con quasi tutte è rimasto un rapporto, anche dopo il loro trasferimento in altre case.
In collaborazione, poi, con AFN – Associazione Famiglie Nuove, abbiamo avviato un progetto, autofinanziato da alcune persone della comunità, per aiutare in particolare una famiglia di nazionalità curda in difficoltà che, dopo due anni di sostegno, ora ha raggiunto la sua autonomia, permettendo loro di abitare in un appartamento in affitto grazie al lavoro che ha finalmente adesso il padre. Con altri piccoli progetti stiamo sostenendo le esigenze di altre famiglie, facendo in modo che le mamme possano seguire dei corsi di specializzazione per un possibile lavoro e i bambini possano integrarsi nelle varie attività con i loro compagni, per esempio nelle attività sportive. Li seguiamo nelle visite e cure mediche, nella ricerca della casa, abbiamo trovato alcuni lavoretti per le mamme, abbiamo potuto iscrivere un papà alla scuola guida e oggi lavora guidando i camion presso una ditta del porto. Con l’aiuto di alcune famiglie abbiamo potuto far partecipare ad una “vacanza famiglie” anche una mamma vedova africana con due bambini, che ne aveva necessità. Cerchiamo di vivere con loro momenti di vita quotidiana come i compleanni, le gite ai parchi la domenica, una gita in barca, il capodanno, il carnevale ma anche momenti di preghiera come in occasione del Ramadam con chi è di religione musulmana. Domenica 25 novembre 2018 abbiamo voluto rispondere concretamente all’appello di Papa Francesco che ha indetto la giornata mondiale dei poveri: “Questo povero grida e il Signore lo ascolta” e invitava così ogni cristiano e le varie comunità ad ascoltare questo grido e a cercare di offrire risposte con gesti concreti. Aggiungeva: “Affinché questo grido non cada invano”. Abbiamo pensato di organizzare così un pranzo – denominato “Festa dell’Amicizia” – all’insegna della condivisione con persone in difficoltà: rifugiati, profughi, disoccupati, poveri della nostra città. Si è riusciti a coinvolgere anche la nostra comunità dei Focolari chiedendo un aiuto concreto sia per il pranzo che per l’aiuto in sala e anche agli amici stessi che sono stati invitati è stato richiesto, per chi poteva e disponeva di una cucina, di contribuire con un pugno di cibo tipico dei loro paesi di provenienza. Eravamo un’ottantina: dal Camerun, Nigeria, Egitto, Tunisia, Russia, Pakistan, Kurdistan, Kossovo. Con nostra sorpresa, per la Caritas stiamo diventando un punto di riferimento, un “progetto” che va oltre l’assistenzialismo. Ci chiamano per condividere programmi, progetti e, in alcune occasioni anche per cercare soluzioni. Ci sembra siano rimasti coinvolti da questo nostro modo di fare accoglienza che, conclusa la fase di emergenza, punta alla reciprocità. Sentiamo che, in mezzo a questo caos, dove ciascuno magari non trova un punto di riferimento valoriale, quale quello dell’accogliere gli ultimi, non possiamo fermarci ma dobbiamo continuare a dare speranza”.
Paola Torelli Mosca, a nome del gruppo accoglienza migranti Trieste
Fonte: www.focolaritalia.it (altro…)
Gen 26, 2019 | Dialogo Interreligioso
Ricordare Alberta Levi Temin attraverso il racconto della sua storia, parlare della Shoah con i ragazzi di una scuola media e lanciare la Regola d’oro per costruire da subito un mondo più in pace, più unito.

Alberta Levi Temin
Il sole splendido ha fatto da cornice ad una giornata speciale ad Ischia – un’isola del golfo di Napoli (Italia) – dove il 23 gennaio scorso alcuni ragazzi della Scuola Media “Giovanni Scotti” hanno potuto conoscere la storia di Alberta Levi Temin, ammiratrice di Chiara Lubich e testimone diretta della tragedia dell’olocausto, attraverso la presentazione del libro “Finché avrò vita parlerò”(Ed. L’Isola dei Ragazzi). Alla presenza di un gruppo di amici dei Focolari tra docenti, alunni e genitori, ma anche dell’autore del libro Pasquale Lubrano Lavadera e della prof.ssa Diana Pezza Borrelli (legata ad Alberta da un rapporto fraterno, alimentato anche nell’Associazione “Amicizia Ebraico-Cristiana” di Napoli), i ragazzi hanno ascoltato il racconto emozionante della sua storia. “Alberta un giorno venne a parlare nella mia scuola, – dice Pasquale – lei, di religione ebraica, insieme alla sua carissima amica Diana, di fede cattolica. Era stata invitata a raccontare a tutti i ragazzi e a noi docenti l’orrore della Shoah, ma anche a testimoniare che il dialogo è possibile fra tutti gli uomini senza distinzione di razze, di fedi o di convinzioni. Mi colpì la sua frase: –La famiglia umana è una e siamo tutti fratelli.”
Alberta è morta nel 2016, ma durante la sua vita ha sempre avuto un unico pensiero che l’ha sorretta e le ha dato sempre gioia: è la Regola d’oro “Fai agli altri ciò che vorresti fosse fatto a te, non fare agli altri ciò che non vorresti fosse fatto a te”. Si è sempre battuta per il dialogo nella società a tutti i livelli. “Oggi più che mai capisco che bisogna avere un amore più grande – sosteneva Alberta – e, come dice Chiara Lubich, bisogna Amare la patria altrui come la propria. Dobbiamo avere amore per tutta l’umanità, solo in questo humus può nascere il dialogo”. “Ogni scuola dovrebbe dedicare in ogni classe una o due ore a settimana per insegnare il bene relazionale, quel bene che può aiutare i ragazzi a stare tra loro con serenità e a studiare insieme in uno spirito di collaborazione e di ricerca comune. Puntare a fare dell’esperienza scolastica, che è la prima e fondamentale esperienza sociale dell’uomo, una vera esperienza di aiuto reciproco”. Di tutto questo Alberta era convinta.
Al termine del racconto, ai ragazzi è stato proposto di vivere la Regola d’oro, strumento di pace e di dialogo, comune a tutte le religioni. A sigillo della giornata, la Dirigente Scolastica, prof.ssa Lucia Monti, ha posto una targa all’ulivo della pace dedicato a lei, per dirle grazie e perché la sua testimonianza continui a parlare. “Grazie – ha detto anche Chiara, un’alunna della scuola – per il messaggio di fratellanza che ci avete trasmesso, mi ha colpito molto che i cattolici si incontrano con ebrei e persone di altre religioni per costruire il mondo unito.” “Sento di ringraziare Alberta per la sua vita, la sua sapienza – ha affermato Pasquale Lubrano – e vorrei che ciascuno di noi, leggendo la sua storia, ora che lei non è più tra noi, possa partecipare pienamente a quella ‘bellezza’ interiore che l’ha resa unica, per poterla poi donare a tanti.” E ha concluso: “Ho provato oggi una grande emozione nell’ascolto attento dei ragazzi, nella loro vivace reazione, nei loro sguardi indagatori, nell’avere intravisto in ogni studente l’esigenza di vivere l’Amore per ogni uomo nella consapevolezza che la famiglia umana è una sola.”
Lorenzo Russo
(altro…)
Gen 25, 2019 | Chiesa
A Panama è in corso la XXXIV Giornata Mondiale della Gioventù. Intervista alla giornalista panamense Flor Ortega, della comunità dei Focololari. Nel logo della XXIV Giornata Mondiale della Gioventù, incentrata sul tema “Ecco la serva del Signore; avvenga per me secondo la tua parola” (Lc 1,38), la sagoma “a ponte” rappresenta il piccolo istmo di Panama e ne simboleggia lo spirito di accoglienza. Un sottile braccio di terra di appena 75 mila chilometri quadrati, bagnato da due oceani, l’Atlantico e il Pacifico, che mette in contatto non solo le due Americhe, ma tutti i continenti, attraverso il canale che può essere oltrepassato dalle navi in transito. Un Paese ospitale, dalle porte aperte, specie per i numerosi migranti che lo hanno sempre attraversato da Nord o da Sud. Come avete lavorato alla preparazione di questo evento? “Quando il 31 luglio 2016, nel ‘Campus Misericordiae’ di Cracovia, in Polonia, Papa Francesco ha annunciato che la XXXIV Giornata Mondiale della Gioventù 2019 si sarebbe svolta a Panama, immediatamente il Movimento dei Focolari della zona del Mesoamerica, di cui Panama fa parte, ha aderito con entusiasmo”. Flor Ortega, giornalista panamense, ha seguito da subito l’aspetto della comunicazione. “All’inizio non avevamo molte notizie e abbiamo formato delle commissioni per informare tempestivamente tutti sui vari aspetti della preparazione. Ora la presenza sui media e sui social è molto forte”. Il 17 maggio, a Panama City, durante una celebrazione eucaristica con migliaia di partecipanti, l’Arcivescovo José Domingo Ulloa ha proposto delle giornate di preghiera, il 22 di ogni mese, fino a dicembre, in preparazion alla GMG. Lo stesso Arcivescovo, alcuni giorni dopo, nel suo ufficio, ha chiesto ai giovani del Movimento dei Focolari di occuparsi della prima, il 22 giugno. Come hanno aderito i giovani a questa proposta? “Con entusiasmo e impegno. Carmen Cecilia, di Panama, ci ha poi detto che questo impegno le ha fatto rivalutare la preghiera, la partecipazione all’Eucaristia, la recita del Rosario ‘come occasioni per stare faccia a faccia con Gesù’”. Molti giovani dei Focolari, sia di Panama che di altri Paesi, stanno lavorando da mesi al progetto di un evento di due giorni, al termine della GMG, dal 29 al 31 gennaio, per circa 400 partecipanti. “Gli adulti li hanno supportati provvedendo all’organizzazione dei pasti e degli alloggi, con diverse iniziative per raccogliere risorse. I giovani, da parte loro, hanno creato un programma per la registrazione on line e aperto un servizio di consultazione e di ‘call center’, per raccogliere i contributi anche da altri Paesi. Il focolare femminile di Panama è diventato per tutti un punto di riferimento anche logistico. Keilyn, del Costa Rica, l’ha definita ‘un’occasione per conoscere la comunità del Panama, molto unita e laboriosa, un vero modello’”. Dall’Italia sono arrivati a Panama anche Jesus Moran, vicepresidente dei Focolari, e il complesso internazionale del Gen Verde, che ha preso parte a due eventi introduttivi, il primo a Chitré, capoluogo della provincia di Herrera, sul Golfo di Panama, e il secondo a Colón, sulla costa atlantica. La band sarà presente anche la sera del 26 gennaio, durante la veglia in preparazione della messa conclusiva con Papa Francesco. “Pro mundi beneficio”, “a beneficio del mondo”, è scritto sullo stemma ufficiale di Panama. Cosa significa? “Il motto è legato alle finalità di servizio assolte dal canale. Ma siamo certi di poterlo estendere ora, idealmente, al messaggio che partirà da questa GMG”.
Chiara Favotti
(altro…)
Gen 24, 2019 | Cultura
L’iniziativa è stata promossa dalla «Cattedra Ecumenica Internazionale Patriarca Athenagoras-Chiara Lubich», istituita a seguito del dottorato honoris causa conferito allo stesso Patriarca Bartolomeo nel 2015. “Continuate il percorso che avete intrapreso sulla via del dialogo, perché esso è riconciliazione, è incontro, è capacità di comprendere, è filantropia divina, è accoglienza del diverso, è trasfigurazione del mondo, è accogliere Dio nella storia umana. Portate questo messaggio a tutti coloro che a qualsiasi titolo partecipano alla opera del Vostro Istituto, abbracciando fraternamente la Presidente del Movimento dei Focolari, Maria Voce e tutti i fratelli e sorelle del Movimento. Il Patriarcato Ecumenico è anche la Vostra casa, questa città di Costantino è anche la vostra città, perché non siete stranieri ma siete amici per noi”. È l’augurio finale che il Patriarca Ecumenico di Costantinopoli, Bartolomeo I, ha rivolto a 30 tra docenti e studenti dell’Istituto Universitario Sophia (Loppiano) di diversi Paesi che, insieme al preside, Mons. Piero Coda, si sono recati alla sua sede al Fanar (Istanbul – Turchia).
La visita della delegazione di Sophia al Patriarcato ecumenico si è svolta dall’8 al 12 gennaio ed è stata promossa dalla “Cattedra ecumenica internazionale Patriarca Athenagoras – Chiara Lubich”, istituita a seguito del dottorato h.c. conferito al Patriarca Bartolomeo il 26 ottobre 2015 per “far memoria e rilanciare lo spirito profetico che animò la straordinaria sintonia di cuore e di mente tra il Patriarca Athenagoras I e Chiara Lubich, a ridosso del Concilio Vaticano II e dello storico incontro del Patriarca con Papa Paolo VI”. La trasferta accademica prevedeva tra l’altro, insieme all’udienza col Patriarca, l’incontro col Metropolita Gennadios Zervos, presente in questi giorni a Istanbul per il Santo Sinodo, e col Metropolita Elpidophoros di Bursa presso il Monastero della Santa Trinità nell’isola di Halki (Turchia), avvenuta il 10 gennaio. Da questo incontro sono nate feconde prospettive di cooperazione tra il Seminario e l’Istituto Universitario Sophia, tra cui una Summer School, da realizzarsi probabilmente nella tarda primavera del 2020. La visita ha assunto particolare rilievo nel delicato momento di tensione che attraversa oggi il mondo ortodosso, perché intende riproporre l’impegno a percorrere con tenacia la via della reciproca conoscenza e del reciproco scambio di doni per promuovere la fraternità e la comunione. (altro…)
Gen 22, 2019 | Cultura
Si è concluso il convegno “Co-Governance, corresponsabilità nelle città oggi” con un documento che propone a cittadini e amministrazioni pubbliche la pratica della partecipazione e della costruzione di reti di cittadini, attori sociali e città. “La politica è l’amore degli amori che raccoglie nell’unità di un disegno comune la ricchezza delle persone e dei gruppi, consentendo a ciascuno di realizzare liberamente la propria vocazione” si è da poco concluso con le parole quantomeno sfidanti di Chiara Lubich, fondatrice dei Focolari, “Co- Governance, corresponsabilità nelle città oggi”, il convegno dedicato al governo partecipato delle città promosso da Movimento Umanità Nuova, Movimento Politico per l’Unità e Associazione Città per la Fraternità, espressioni dell’impegno sociale e politico dei Focolari. E’ stata la prima edizione dell’evento che tra due anni verrà replicato in Brasile. All’appuntamento hanno partecipato oltre 400 amministratori pubblici, politici, imprenditori, accademici e cittadini di 33 Paesi. Al centro dei lavori c’è stata la partecipazione, presentata nelle sue numerose applicazioni, come hanno mostrato le storie e le prassi condivise dagli oltre 60 esperti nei campi dell’urbanistica, comunicazione, servizi, economia, politica, ambiente.
“Siamo convinti che la partecipazione sia una scelta strategica, il modo più consono di vivere bene dentro la città – spiega Lucia Fronza Crepaz, già parlamentare, formatrice presso la “Scuola di preparazione sociale” a Trento e membro del comitato scientifico dell’evento. “Una partecipazione non concepita come sostituzione della procedura della rappresentanza, ma scelta come una modalità efficace per affrontare la complessità dei problemi e ridare quindi corpo alla delega democratica”. Frutto dei lavori è l’approvazione e la firma del “Patto per una nuova Governance” con il quale i partecipanti s’impegnano a “contaminare” le proprie comunità e amministrazioni pubbliche. I 400 firmatari del patto si sono impegnati a comporre tre reti per aggregare le diversità e rispondere alla complessità del reale. Sono reti di cittadini: “Coloro che abitano il territorio urbano mantengono diversità di funzioni e compiti, ma sono ispirati dalla stessa responsabilità”; reti di attori collettivi, cioè gruppi professionali ed economici, soggetti del volontariato e dell’ambito religioso, della cultura e dell’università, della comunicazione, ecc.”; reti tra le città: “… che si propongono di far collaborare prima di tutto la cittadinanza con la creazione di piattaforme accessibili a tutti e di facile uso. Cooperano superando gli interessi particolari e i pregiudizi che minano la fiducia, fondamento indispensabile alla costruzione di una rete.
Stefania Tanesini
Info e testi del convegno: www.co-governance.org (altro…)
Gen 21, 2019 | Chiara Lubich
Oggi 22 gennaio il Movimento dei Focolari ricorda la nascita di Chiara Lubich avvenuta in questo giorno nel 1920. Una data che cade al cuore della “Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani” (celebrata in Europa). Un’occasione per ricordare la Fondatrice dei Focolari e la sua passione per l’unità attraverso la “preghiera ecumenica” da lei pronunciata nel 1998 ad Augsburg (Germania). Se noi cristiani diamo uno sguardo alla nostra storia di 2000 anni ed in particolare a quella del secondo millennio, non possiamo non rimanere ancora addolorati nel costatare come essa è stata spesso un susseguirsi di incomprensioni, di liti, di lotte. Colpa certamente di circostanze storiche, culturali, politiche, geografiche, sociali…; ma anche del venir meno fra i cristiani di quell’elemento unificatore loro tipico: l’amore. (…) Ma, se Dio ci ama, noi non possiamo certo rimanere inerti di fronte a tanta divina benevolenza; da veri figli e figlie dobbiamo contraccambiare il suo amore anche come Chiesa. Ogni Chiesa nei secoli si è, in certo modo, pietrificata in se stessa per le ondate di indifferenza, di incomprensioni, se non di odio reciproco. Occorre perciò per ognuna un supplemento di amore. Amore, dunque, verso le altre Chiese e amore reciproco fra le Chiese, quell’amore che porta ad essere ognuna dono alle altre, poiché si può prevedere che nella Chiesa del futuro una ed una sola sarà la verità, ma espressa in maniere diverse, osservata da varie angolazioni, abbellita da molte interpretazioni. Amore reciproco però che è veramente evangelico, e quindi valido, se praticato nella misura voluta da Gesù: amatevi gli uni gli altri – egli ha detto -, come io vi ho amato. “Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri fratelli.” (cf Gv 15,13). (..) So, anche per esperienza, che, se noi tutti vivremo così, ci saranno frutti eccezionali, si avrà soprattutto un particolare effetto: vivendo assieme questi diversi aspetti del nostro cristianesimo avvertiremo di formare, sin d’ora, in certo modo, un solo popolo cristiano che potrà essere un lievito per la piena comunione tra le Chiese. Sarà quasi l’attuarsi di un altro dialogo, dopo quello della carità, quello teologico e della preghiera: un dialogo della vita, il dialogo del popolo di Dio. Dialogo più che urgente ed opportuno se è vero, come la storia insegna, che vi è poco di garantito in campo ecumenico, quando non vi è coinvolto il popolo. Dialogo che farà scoprire con maggior evidenza e valorizzare tutto il grande patrimonio già comune fra noi cristiani, costituito dal battesimo, dalla Sacra Scrittura, dai primi Concili, dai Padri della Chiesa, ecc. Attendiamo di vedere realizzarsi questo popolo, popolo che già qua e là nel mondo cristiano sta apparendo e che abbiamo fiducia che apparirà pure qui. (Chiara Lubich, Augsburg-Germania, 29 novembre 1998) Fonte: Centro Chiara Lubich (altro…)
Gen 18, 2019 | Sociale
A La Colmena, in Paraguay, Alejo, della comunità dei Focolari, trasmette attraverso la musica la passione per l’ideale della fraternità. «Japay, nella lingua guaranì, significa “sveglia!”» ci spiega Alejo Rolon. La Colmena, dove abita e lavora come insegnante di musica in un prestigioso collegio, è una città del dipartimento di Paraguarí, 130 km da Asunción, capitale del Paraguay, proprio nel cuore dell’America Latina. Da alcuni anni ha dato vita ad una interessantissima esperienza con oltre un centinaio di giovani che coinvolge in una serie di concerti pop. Dal palcoscenico, il messaggio che vola sulle note è un invito a costruire una società più fraterna e solidale. Il guaranì è una lingua di antichissima origine, parlata soprattutto in Paraguay, e riconosciuta nel 2011 come lingua ufficiale, insieme allo spagnolo, al termine di un processo legislativo molto complesso, durato decenni. «Japay, “sveglia!”, è per me una parola-simbolo, che indica l’atteggiamento che dovremmo avere nei confronti della vita. Il mio obiettivo è quello di rendere più consapevoli tutti, ma in primo luogo i giovani, che dobbiamo svegliarci e prendere l’iniziativa, perché il cambiamento che vogliamo vedere nella nostra città e nella società comincia da noi. Ogni iniziativa, anche piccola, in questa direzione può essere alla base di un nuovo modo di vivere. Questa è la sfida di Japay». In un momento estremamente delicato per il Paese sudamericano, alle prese con la necessità di una svolta per combattere la corruzione dilagante, la criminalità, la povertà endemica, la disuguaglianza sociale, la crisi economica, cosa propone concretamente Alejo con le sue canzoni? Ce lo spiega lui stesso: «La nostra filosofia è questa: dobbiamo cambiare mentalità. Ad esempio, nei testi che cantiamo proponiamo di vivere onestamente, anziché rubare o praticare la corruzione, una piaga purtroppo molto diffusa; di praticare una cittadinanza attiva, anziché l’arte dell’arrangiarsi, ognuno per conto proprio; di abbandonare la mentalità rassegnata del “così è sempre stato” e andare alle origini della nostra cultura salvando la sua parte migliore: l’intraprendenza, la creatività, la generosità nei confronti di chi ci vive accanto, il coraggio di affrontare i limiti, la capacità di convivere armoniosamente tra persone diverse. Il nostro è davvero, come dice la Costituzione del Paraguay, “un Paese multiculturale e bilingue”, ricco di tradizioni e valori. Ma ci sono problemi e ferite profonde, anche recenti. Lavoriamo sul potenziale delle persone, facendo leva sui loro sentimenti più veri». Alejo trasmette con la musica quello che ha ricevuto a sua volta dal carisma dell’unità: «Japay per me – spiega – ha anche un altro significato: JA (Jesùs Abandonado) e PAY (Paraguay). Nei problemi della mia gente e della società riconosco un volto sofferente di Gesù sulla croce: è per Lui che ho dato vita a quest’esperienza. E chissà dove ci porterà».
Chiara Favotti
Vedi anche japayparaguay.org e www.youtube.com/watch?v=wqByefcq1Yc (altro…)
Gen 16, 2019 | Sociale
In dialogo con Liliane Mugombozi, giornalista congolese, del focolare di Nairobi. Lavora presso il Jesuit Refugee Service della capitale keniota: “I migranti africani? La maggior parte di loro non va in Europa, ma si sposta nel continente africano”. “Per i media internazionali l’Africa è il continente dell’esodo di massa, ma questa non è la realtà. I migranti si muovono soprattutto dentro il continente. Tra il 2015 e il 2017 in Africa si sono spostati quasi 19 milioni di persone”. Liliane Mugombozi parla con cognizione di causa di questo fenomeno poco raccontato ma che lei conosce a fondo non solo per la professione giornalistica che esercita da molti anni, ma soprattutto per esperienza diretta. Da due anni e mezzo lavora al JRS (Jesuit Refugee Service), il Servizio per i rifugiati gestito dai Padri Gesuiti a Nairobi (Kenya).
“Dal settembre 2017 più di mezzo milione di rifugiati vive in Kenya. Vengono soprattutto dalla Regione dei Grandi Laghi, dal Corno d’Africa e dall’Africa Centrale, ma anche dal Myanmar, dall’Afghanistan, ecc. . La maggior parte vive nei campi profughi di Dadaab e Kakuma; circa 64.000 rifugiati risiedono a Nairobi”. Racconta che nel dicembre scorso hanno organizzato un workshop per 48 ragazzi rifugiati, provenienti da tanti paesi africani: dal Sud Sudan alla Somalia. Lo scopo era guardare insieme alla loro situazione di rifugiati e offrire strumenti per affrontare le sfide di tutti i giorni: dai diritti umani alle difficoltà culturali. ‘Quando vi guardo – ho detto loro – non vedo dei rifugiati, vedo il futuro di questo continente, vedo il futuro del mondo. Tutti voi avete sperimentato la sofferenza, chi meglio di voi potrà costruire delle istituzioni forti e giuste?’ ”. “Dal primo momento in cui sono arrivata al JRS di Nairobi, dove mi occupo degli studenti delle scuole secondarie e degli universitari che possono studiare grazie a borse di studio, avevo intuito che il mio servizio richiedeva una grande flessibilità e di andare oltre le mansioni tecniche. Mi sono sentita chiamata a condividere il dolore che c’è dietro ogni storia, per incontrare davvero la persona. Ho capito che la chiave era costruire rapporti veri, di reciprocità con tutti.
A contatto con tanta speranza e altrettanto dolore Liliane ha capito che occorreva fare attenzione a non cedere alla tentazione di confondere la persona con il suo bisogno: “Una tentazione pericolosa che mi avrebbe chiuso il cuore ad un incontro vero con i ragazzi, le loro famiglie, gli insegnanti, con chiunque”. Anche la comunità dei Focolari in Kenya, soprattutto a Nairobi, ha collaborato con i Padri Gesuiti. Ha organizzato raccolte di vestiario, viveri e generi di prima necessità, libri, giocattoli e indumenti presso amici, famigliari e nelle parrocchie. “Abbiamo capito che prima di tutto dovevamo superare i pregiudizi, conoscere le storie dei rifugiati per creare una cultura dell’incontro, dell’accoglienza. Siamo coscienti che ci sono problemi che non possiamo risolvere, ma possiamo farci fratelli e sorelle di tutti loro. Certo, siamo ancora alle prime armi, ma crediamo che con Gesù fra noi, troveremo la risposta a questo grido di Gesù sulla croce oggi, in questa nostra terra”.
Stefania Tanesini
(altro…)
Gen 13, 2019 | Focolari nel Mondo
Clima freddo e grandi distanze per una popolazione che unisce nativi e migranti. È la Patagonia, nell’estremo sud dell’Argentina, dove vivono varie comuntà del Movimento e dal 2010 si è aperto un focolare.
Un paesaggio incantevole con fiumi, laghi, mare, montagne e ghiacciai, popolati da tante specie di animali: balene, pinguini, mara o lepri della Patagonia, guanaco (camelidi diffusi in Sud America) e gli struzzi tipici di questa regione chiamati choique. In questo scenario dal clima freddo e secco, nel 2010 si è aperto a Trelew il focolare più a sud del mondo. La città è quasi “porta” naturale per il vasto territorio della Patagonia (1.768.165 km²), nel quale c’era già un vivace gruppo del Movimento.
Oggi il focolare accompagna le comunità di Neuquen, Rio Negro, Chubut, Santa Cruz e Tierra del Fuego. È composto da cinque focolarine: Angela Correia del Brasile, Emma Murillo del Messico e tre argentine, Silvia Deramo, Mónica Reina e Maria Ángel. “Sono molto contenta di essere qui – spiega Mónica – dove Don Bosco inviò missionari salesiani, dopo aver visto in sogno una terra che riconobbe essere proprio la Patagonia”. Il territorio di Trelew, abitato dai popoli nativi mapuche-tehuelche, conobbe l’arrivo nel 1865 di immigrati gallesi. “Per me incontrare il Movimento dei Focolari – dice Emma presentandosi – è stato sperimentare l’immenso amore di Dio. Più conoscevo Dio, più volevo amarlo, fino a seguirLo per portare l’Amore fino ai confini della terra. E infatti…proprio agli estremi confini sono arrivata! Come viviamo qui? Cercando di mettere in pratica l’amore evangelico: al lavoro, per la strada, in parrocchia e nelle comunità del Movimento sparse in tutta la Patagonia”. “Nell’ambiente di lavoro – spiega Angela, docente di lingua portoghese all’Università statale – ho sperimentato che, cercando di trasmettere non a parole ma con la vita, i valori in cui credo, si é creato, con i colleghi e gli allievi, un rapporto di amicizia e fiducia. Ho visto cambiare tante atteggiamenti individualisti”. Servizi negli spazi pastorali della Chiesa locale, nel dialogo tra le Chiese e con persone di convinzioni non religiose, ed attività di sostegno a famiglie bisognose, sono tra le attività del Movimento in questo ambiente culturalmente ricco e in una società molto varia. La popolazione infatti è costituita da persone di diversi Paesi e culture: in molti vi si trasferiscono da regioni e Paesi limitrofi in cerca di lavoro e di un futuro migliore. Un punto di forza dunque , ma anche una sfida poichè molte di queste persone, si fermano solo per un periodo della loro vita, e poi rientrano nei loro luoghi d’origine. (altro…)
Gen 11, 2019 | Vite vissute
Mons. Armando Bortolaso ci ha lasciati l’8 gennaio scorso dopo quasi 70 anni trascorsi nella “sua” amatissima terra, il Medio Oriente. Per 10 anni aveva ricoperto la carica di Vicario apostolico in Siria. Come si fa a resistere quasi settant’anni in una terra così martoriata? “Per il religioso non è una questione di luogo, ma di missione; bisogna esserci là dove le persone hanno più bisogno di essere amate”[1]. Mons. Armando Bortolaso descriveva così, nel 2013, il senso più profondo delle sue scelte come uomo, sacerdote e poi vescovo. Ci ha lasciati l’8 gennaio scorso a 91 anni nella Casa Salesiana El Houssein di Beirut dopo quasi 70 anni vissuti nella “sua” terra, il Medio Oriente. Nato in Veneto (Nord Italia) nel 1926, è approdato a Gerusalemme nel ’48. Entrato a far parte della famiglia Salesiana, ha celebrato la sua prima messa nel 1953 proprio nella Basilica del Santo Sepolcro per poi ricoprire incarichi diversi in Terra Santa, Libano e Siria. “Uomo del dialogo”, “vescovo in prima linea”, “tessitore di unità”: sono molti gli appellativi con
i quali lo si sta ricordando in questi giorni e che da soli offrono uno spaccato di quest’uomo umile, trasparente e con una fede incrollabile nell’unità, da lui vissuta e predicata quale unico destino dei popoli, in particolare dell’amatissimo popolo siriano, con cui ha vissuto ventidue anni, dieci dei quali svolgendo il servizio di Vicario apostolico. “La Siria è la mia seconda patria”, affermava in un’intervista. “Sapere che la ‘mia’ gente è straziata dal dolore, vedere Aleppo, terra benedetta, ridotta a un cumulo di macerie, e le chiese, le care antiche chiese cristiane distrutte, mi fa male al cuore. Anche perché è una tragedia che si svolge nell’indifferenza generale”[2]. Per la vasta conoscenza delle terre del Medio Oriente, Mons. Bortolaso aveva al contempo una capacità d’analisi lucida e disincantata sulle cause e le possibili vie di soluzione dei conflitti, ma anche una visione profetica e illuminata, frutto della sua fede incrollabile in un Dio d’amore, che non abbandona i propri figli anche nelle condizioni più disperate. Dal Libano, scriveva così a don Arrigo, sacerdote di Vicenza, all’indomani della guerra del 2006: “Tra le tante rovine di questa guerra stiamo assistendo ad una meraviglia nuova: tanti musulmani cercano e trovano un rifugio proprio presso i cristiani che, dimenticando le dolorose cicatrici della guerra civile passata, hanno accolto i rifugiati, fraternizzando con loro. Questa convivenza fraterna è un fatto nuovissimo, inimmaginabile fino a pochi anni fa: per ora è solo un piccolo seme, che però può diventare domani un cedro gigante, tale da estendere i suoi rami su tutto il Paese dei cedri”[3]. Mons. Bortolaso aveva conosciuto la spiritualità dei Focolari in Belgio alla fine degli anni ’60 e si può dire che l’unità e il dialogo siano stati la bussola della sua vita. Per molti anni è stato impegnato nella vita di comunione dei vescovi amici dei Focolari, tanto che è nato attorno a lui, in Libano, un gruppo di vescovi del Medio Oriente desiderosi di approfondirne la spiritualità dell’unità. Sempre in un’intervista sull’intricata situazione del conflitto siriano, affermava: “Ho sempre pensato che chi indirizza la propria vita all’unità, ha centrato il cuore di Gesù. Così, mi dicevo: “Tu non sei il vescovo dei latini soltanto, tu sei il vescovo di Gesù, e Gesù qui in Siria ha 22 milioni di anime”. Ho cercato di vivere l’unità sempre e con tutti: con i miei sacerdoti, con i religiosi, con i fedeli, con i vescovi e i cristiani delle altre Chiese, ortodosse e protestanti, con i musulmani”[4].
Stefania Tanesini
[1] http://www.famigliacristiana.it/articolo/mons-bortolaso.aspx [2] Idem. [3] http://www.webdiocesi.chiesacattolica.it/cci_new/PagineDiocesi/AllegatiTools/222/mons.%20Bortolaso.htm [4] http://www.famigliacristiana.it/articolo/mons-bortolaso.aspx (altro…)
Gen 8, 2019 | Cultura
Dal 17 al 20 gennaio 2019, 400 amministratori, cittadini, economisti, esperti e professionisti di tutto il mondo si incontreranno a Castel Gandolfo (Roma): quattro giorni di confronto e approfondimento sulla gestione delle città, fare rete e imparare modelli di sostenibilità e convivenza. Interverranno, tra gli altri, pensatori e protagonisti del lavoro nelle città, che rifletteranno sul loro significato in quest’era ‘post-democratica’ come Emilce Cuda, argentina, politologa e profondamente conoscitrice del pensiero di Papa Francesco o l’ on. Sunggon Kim (김성곤) – buddista, già Segretario Generale dell’Assemblea Nazionale Coreana. Sarà presente l’architetto Ximena Samper, colombiana, l’on.Ghassan Mukheiber, libanese, Chairman dell’Arab Region Parliamentarians Against Corruption. Da segnalare anche la presenza del Sindaco di Katowice (Polonia) dove si è appena conclusa la COP 24, il responsabile dell’accoglienza ai rifugiati della Catalogna, Angel Miret e il Presidente della Comunità islamica di Firenze e della Toscana, Izzedin Elzir. Se governare le città è sempre stata un’arte complessa, oggi lo è ancora di più. Occorre rispondere a una società che cambia senza sosta, attraversata da problemi locali e globali e da un ritmo di sviluppo tecnologico convulso che rischia di aprire abissi economici e zone inedite di nuove povertà. Occorre decidere per oggi e programmare a lunga distanza. È per questo che le città sono strategiche dal punto di vista politico e culturale perché sono “casa” per più della metà della popolazione mondiale (fonte Onu) e non è una scelta libera, ma spesso legata a mancanza di cibo e lavoro. In questa epoca di sovranismi, le città stanno emergendo come veri e propri hub sociali, distributori di infinite connessioni: civili, politiche, antropologiche, economiche, comunicative. Le città, dunque, come espressione di un nuovo modello identitario, dove identità non fa rima con localismo o nazionalismo esasperati, ma con partecipazione, condivisione dell’appartenenza a una vicenda comune, perché siamo parte della famiglia umana, prima ancora di prendervi parte. Co-governance è organizzato dal Movimento Umanità Nuova, Movimento Politico per l’Unità e Associazione Città per la Fraternità.
Stefania Tanesini
Per maggiori informazioni: www.co-governance.org (altro…)
Gen 7, 2019 | Focolari nel Mondo
Da tre anni, nell’arcipelago Wallis-Futuna, la comunità dei Focolari sostiene, in sinergia con le autorità locali, un’iniziativa ecologica per riportare l’isola di Wallis alla sua originaria bellezza. Wallis, insieme a Futuna, Alofi e altri venti isolotti più piccoli, nell’Oceano Pacifico meridionale, fa parte di un arcipelago che dal 1961 è territorio d’oltremare della Repubblica francese. L’isola, la più grande e popolata, è circondata a sua volta da alcuni piccoli isolotti e da un’enorme barriera corallina. Un territorio di incomparabile bellezza, minacciato però, da alcuni anni, da un allarmante aumento di rifiuti – cannucce, rottami, bottiglie di plastica, pneumatici, vetro, mobili – abbandonati in maniera indiscriminata, o trasportati dalle correnti del mare, diventati una causa di inquinamento delle spiagge e dei fondali marini. «La questione è sempre più preoccupante, e lo dimostra la crescente attenzione dei media locali, tra cui anche il noto canale televisivo RFO Wallis e Futuna, su questo tema» spiega Eva Pelletier, della comunità dei Focolari. «Dal 2015, come risposta all’Enciclica “Laudato sì” di Papa Francesco, abbiamo deciso di impegnarci per la nostra isola con un piano di sensibilizzazione al rispetto dell’ambiente e alla raccolta dei rifiuti, mediante una serie di iniziative che hanno coinvolto adulti, giovani e anche bambini. Questa azione ecologica ci ha dato anche l’opportunità di costruire sinergie con le istituzioni locali e occasioni di dialogo a molti livelli». Il problema, continua Eva, è infatti motivo di divisione anche tra i tre Domìni in cui è ripartito il territorio, e persino all’interno dell’Assemblea che lo governa. «Con nostra grande sorpresa, nel novembre 2017, in occasione dell’apertura della Settimana dedicata in tutta Europa alla riduzione dei rifiuti (SERR), il Prefetto, in accordo con il Dipartimento dell’Ambiente, ha voluto partecipare ad una nostra iniziativa nell’isolotto di Nukuloa, a nord di Wallis. Date le circostanze, si sono uniti anche altri ministri, il capo del distretto settentrionale e i capi dei villaggi Vaitupu e Vailala. Dopo i discorsi di benvenuto e una cerimonia iniziale, con l’offerta di ghirlande di fiori e piatti tradizionali, una bambina ha distribuito spontaneamente i guanti per raccogliere la spazzatura, cominciando proprio dal Prefetto e dal Primo Ministro. Quel giorno abbiamo ripulito le spiagge da 500 chili di spazzatura». Dal 2016 il Dipartimento per l’Ambiente supporta l’azione mettendo a disposizione barche, camion e personale. A maggio 2018, l’operazione non si è limitata alla raccolta di rifiuti («più di 2.600 chili»), ma si è rivolta anche al contrasto dell’epidemia “dengue”, che si trasmette attraverso la puntura di zanzare infette. «Ci siamo dedicati alla pulizia di canali, grondaie, bordi delle sorgenti e di un pozzo molto profondo». «Su questa terra conviene che ognuno faccia la propria parte – conclude Eva, citando una frase di Chiara Lubich – e anche se l’altro non risponderà facendo la sua, non perderti d’animo. Nell’amore, ciò che conta è amare».
Chiara Favotti
(altro…)
Gen 6, 2019 | Focolari nel Mondo
Da mesi seguiamo con apprensione l’evolversi della situazione della prima cittadella africana. Abbiamo raggiunto Margaret Long ed Etienne Kenfack, che a nome della comunità ci fanno il punto. “Il 2018 è stato per Fontem un anno difficile per gli scontri tutt’ora in corso nella regione nordoccidentale e sudoccidentale del Paese e che non accennano a placarsi. Molti degli abitanti hanno dovuto lasciare le case e mettersi al riparo nella foresta o nelle città vicine, il college è chiuso da tempo e l’ospedale funziona a regime ridotto. “Da quando noi focolarini siamo partiti da Fontem nell’ottobre scorso, – decisione non facile ma presa insieme nella certezza che era la cosa giusta – spiega Margaret Long, molti altri si sono trasferiti, soprattutto famiglie che volevano dare ai propri figli la possibilità di frequentare le scuole, cosa che nella cittadella non era più possibile. Purtroppo non siamo in grado di dire quando la vita potrà riprendere come prima. Siamo in contatto quotidiano con chi è rimasto: Aracelis Nkeza e Mbe Tasong Charles portano avanti lì la vita della comunità del Focolare”. “Per quanto riguarda l’ospedale – continua Etienne Kenfack – l’attuale stato di pericolo non ci permette di garantire protezione e sicurezza a chi vi lavora. Ci siamo quindi rivolti alle autorità sanitarie per capire come andare avanti e in base ai loro consigli abbiamo condiviso la situazione con i dipendenti e concluso il rapporto lavorativo secondo la normativa vigente in Camerun. Quelli che hanno voluto continuare il lavoro, lo hanno deciso liberamente, sotto la propria responsabilità personale; è per questo che la struttura continua a garantire un servizio minimo di base alla popolazione. Alla domanda su come sarà il futuro della cittadella, Margaret risponde che c’è in tutti una grande speranza che la vita riprenda e che la gente torni alla normalità. “La vicinanza dei tanti che pregano in tutto il mondo o ci scrivono ci dà tanta forza”. Potrebbe sorgere il dubbio se il conflitto, oltre a distruggere vite umane, beni materiali e sogni, non stia compromettendo anche la missione di Fontem quale faro di unità e dialogo interculturale per il continente africano, così come Chiara Lubich l’aveva vista. Etienne precisa che fin dai primi anni ’60 Chiara paragonava la cittadella a una luce che scaturiva dall’amore scambievole vissuto da tutti: “Oggi, cinquant’anni dopo, l’impressione è che questo amore e la solidarietà tra tutti siano cresciuti, anzi si potrebbe dire che più pericolo e precarietà c’è, più aumentano”. Margaret aggiunge che molte cose sono cambiate in Africa da quegli inizi: “In quei tempi la spiritualità dell’unità era arrivata solo a Fontem, mentre oggi ha raggiunto tutti i Paesi del Continente. C’è la cittadella di Man (Mariapoli Vittoria) in Costa d’Avorio che testimonia il dialogo interculturale e anche la Mariapoli Piero in Kenya, centro di formazione alla spiritualità dell’unità per tutto il Continente Africano; inoltre, tanti focolarini che erano a Fontem, ora stanno partendo per rafforzare altri focolari del continente. “Nonostante le continue sfide, l’incertezze di ogni giorno, il non sapere come andranno a finire le cose siamo certi che il disegno di Dio su Fontem non si è interrotto, ma come dice Papa Francesco, siamo solo all’inizio e lo Spirito Santo, che fa nuove tutte le cose, sicuramente farà nuova anche Fontem”.
A cura di Stefania Tanesini
(altro…)
Gen 4, 2019 | Chiara Lubich
I bambini per l’Epifania sono soliti ricevere dei regali. E al bambino Gesù, chi ci pensa? Un fatto veramente accaduto, raccontato da Chiara Lubich ai piccoli della Cittadella Internazionale di Loppiano (Italia). https://vimeo.com/151760194 Io devo raccontarvi una storia vera, che è successa a Natale. In un paese anzi, in una città che si chiama Vicenza. E lì c’era un parroco, un sacerdote che era arrivato da poco tempo nella parrocchia e lui aveva insegnato a questi bambini e bambine l’arte di amare. Ma, si avvicinava Natale e allora il parroco ha detto a questi bambini: “Guardate che presto è Natale, bisogna che voi facciate per Gesù bambino tanti, tanti, tanti atti di amore”, e i bambini hanno detto: “Va bene”, e hanno incominciato a far tanti atti di amore. La vigilia di Natale, ancora Gesù bambino non era nato, il parroco ha messo fuori la mangiatoia vuota, vuota perché Gesù bambino non era nato. In quella stessa sera vede arrivare dai bambini un pacco grosso, grosso, grosso così, con dentro tanti rotolini gialli, tanti rotolini gialli; erano 277, 277. E erano 277 atti d’amore. Allora il parroco cosa fa? Prende tutti questi rotolini li mette in un sacco, ha riempito un bel sacco così, e mette il sacco nella mangiatoia. Dice che appena nasce Gesù bambino avrà come cuscino, ma anche come materasso, gli atti d’amore vostri. E i bambini di Vicenza sono stati contentissimi. Allora viene Natale e siamo verso, penso, mezzogiorno, forse alle 11, forse alle 10 e mezzo, e il parroco dice: “Adesso cosa facciamo di tutti questi atti di amore? Sapete bambini cosa facciamo? Li leghiamo in tanti pacchettini e questi pacchettini li leghiamo a tanti palloncini, anzi – dice – facciamo così: due serie di palloncini, un gruppo di palloncini qua, un gruppo di palloncini qua e, legati, questi pacchettini di atti di amore. Così – dice – li mandiamo in cielo e vanno su da Gesù”. I bambini tutti ad aiutare, naturalmente, bisognava comperare i palloncini, bisognava legare i pacchettini, bisognava legare i pacchettini ai palloncini, e bisognava farli partire. E il parroco li ha aiutati e ha fatto partire questi palloncini per il cielo. Erano contenti i bambini. Guardano, guardano e li vedono ma sempre più piccoli, sempre più piccoli, sempre più piccoli finché non ci sono più. Hanno detto: saranno scoppiati; qualcuno diceva: saranno scoppiati; qualcuno diceva: chissà? E invece no. Su in alto, in alto, in alto, ecco il vento, arriva il vento, e il vento cosa fa? Butta i palloncini di qua, poi butta i palloncini di là, poi davanti qua, e poi di qua, poi di là, poi di qua; per un’ora, per due ore, per tre ore, per quattro ore, per cinque ore, sempre su con il vento che li mandava, che li mandava, che li mandava; sei ore, sette ore, otto ore, nove ore. Alle nove di sera – dovete sapere che il parroco insieme agli atti d’amore aveva messo dentro anche il suo numero di telefono, l’aveva messo dentro così – arrivano le nove di sera ed ecco che in una città, che si chiama Reggio Emilia, lontana, lontana forse duecento chilometri, duecento chilometri sono tantissimi, come da qui, quasi, a Roma, ecco, ad una dato momento in questa città a Reggio Emilia, c’era una casa ed era circondata da un bel parco, da un giardino e in questo giardino stavano sei bambini che non conoscevano l’arte di amare, erano sei bambini che stavano fuori nel giardino e giocavano. Ad un dato punto, erano lì tristi tristi, perché c’era una festa della Befana che a loro non è piaciuta per niente. E allora erano tristi trsti. Ad un dato punto, anche se era già notte, alzano gli occhi e vedono cader giù dei palloncini e insieme ai palloncini tanti pacchettini lì per terra. Questi bambini a veder arrivare dal cielo tutti questi pacchettini: in festa, contenti, altro che la befana! In festa: qui è Gesù bambino che ci manda tutti questi palloncini. E pensate che sono arrivati per miracolo, perché se passava un aeroplano rompeva tutti i palloncini; oppure, addirittura, quei palloncini se erano forti con dei fili grossi, entrando nei motori dell’aeroplano avrebbero messo in pericolo, forse, dicono, l’aeroplano, e invece no: non hanno incontrato l’aeroplano. Per cui sono arrivati lì. I bambini subito: “Papà… mamma, papà, mamma, guarda cos’è successo: piovono dal cielo tanti pacchettini, guarda cosa c’è dentro.” Allora il papà e la mamma escono fuori – forse c’erano anche i nonni, non lo so – e vedono tutti questi pacchettini, questi rotolini tutti gialli così, e allora li aprono e incominciano a leggere. Allora uno apre uno di questi rotolini e trova: “Ho chiesto scusa ad una mia compagna per amore di Gesù”; uno. Un altro: “Ti offro gli sforzi che ho fatto questa mattina per alzarmi per fare il chierichetto”. Un altro: “Ho fatto un piacere anche se mi è costata molta fatica”. E poi un altro: “Io dico sempre scusa a Dio, quando il mio nonno bestemmia”, dice parolacce. E poi un altro: “Io in questa settimana ho aiutato i miei genitori a preparare la tavola e a portare le borse della spesa, e a pulire i pavimenti, e a spazzare per terra”. Questo ha fatto tante cose. E poi senti quest’altro: “Ho asciugato le posate senza che la mamma me lo chiedesse, e l’ho anche aiutata a fare le pulizie.” Un altro atto di amore. E un altro: “Quando mio fratello Sebastiano non vuole dormire, io lo prendo e lo porto nel letto o mio o dei miei genitori, e lo addormento cantandogli canzoni o raccontandogli storie”. E un altro: “In piscina ho prestato la cuffia al mio fratellino perché era senza”. Aspetta che ce n’è un altro. Ne ho soltanto alcuni, ve ne ho portati, perché sarebbero 277, sono tantissimi! Senti questo qui: “Ho sbucciato i mandarini al nonno perché ho visto che aveva male alla mano e ho legato le scarpe alla mia cugina Alessia perché la nonna aveva male alla schiena”. Questo è stato attento a tutto, eh? Un altro ancora, è l’ultimo: “Ho ascoltato il consiglio del dado: amare per primo, siccome sono andato a confessarmi e c’erano tanti bambini, li ho lasciati andare per primi loro a confessarsi, e la mia mamma non sapeva neanche niente”. Ecco alcuni esempi di questi bambini. Cosa hanno fatto allora di questi rotolini? Li hanno portati – come ho detto – dai genitori e i genitori vedono che c’è dentro fra i rotolini scritto il numero di telefono di quello che li ha spediti che era quello del parroco, il numero di telefono del parroco. Allora cosa fanno? Erano le nove di sera, era tardi e si mettono al telefono e fanno quel numero, e risponde il parroco. E dice: “Ma lei è il reverendo tal dei tali?” “Sì, sì, sì, sì sono io il reverendo…”. “Ma qui sono arrivati tutti questi, questi atti di amore da parte dei suoi bambini, cosa ne facciamo?”. E lì si mettono d’accordo che i bambini portano a scuola tutti questi 277 atti di amore, parlano con il loro catechista, e insieme adesso stanno rispondendo ai bambini di Vicenza. E loro non sanno che i bambini di Vicenza e anche questi sei bambini impareranno a fare gli atti di amore. Ecco. Qui finisce la storia. Fonte: Centro Chiara Lubich (altro…)
Gen 3, 2019 | Focolari nel Mondo
Lubumbashi, importante città mineraria di un milione e mezzo di abitanti, nel Sud del Congo, ospita il focolare femminile. Amisa Tabu vive qui, e ci racconta la vita di questa comunità che irradia la sua azione su otto province nel Katanga e nel Kasai. Amisa, come è nata la comunità dei Focolari in questo territorio? Trenta anni fa per opera di alcuni missionari a Lubumbashi ha preso vita una piccola comunità che, distante 2000 km da Kinshasa, nel 2011 ha richiamato la presenza del focolare. Quando il Movimento si è dato le tre linee d’azione: “uscire, insieme, opportunamente preparati”, con l’invito di papa Francesco ad andare verso le “periferie esistenziali”, ci siamo sentiti interpellati, perché ”eravamo sempre gli stessi”. Abbiamo capito che alla gente non bastava dire che Dio è amore, ma dovevamo passare a dare concretezza. Qui sono stati importanti gli stimoli di “Umanità Nuova”: testimoniare il Vangelo vissuto nei vari ambiti del lavoro, quali la sanità, l’educazione, l’esercizio della giustizia, il commercio, ecc. Così facendo ci siamo accorti che la comunità iniziava a crescere. L’ideale di vita che proponevamo diventava attraente. Come si pone il focolare con una comunità in crescita? Con le porte sempre aperte. Chiara Lubich ci ha lasciato come testamento “essere sempre famiglia”. La gente deve poter fare l’esperienza di essere una famiglia il cui legame soprannaturale è ancora più forte di quello naturale. L’accoglienza da noi è parte viva della cultura. In focolare non abbiamo orari fissi e tutti vengono quando possono. Qual è il servizio alla Chiesa locale? Nel luglio 2017 abbiamo realizzato due scuole nei Seminari minore e maggiore, con 140 partecipanti. Ne è seguito un ritiro/scuola per 104 sacerdoti provenienti da diverse Diocesi del Congo. Ci sentiamo sostenuti dalla Chiesa. Alcuni sacerdoti promuovono lo spirito di comunione del Movimento nelle loro parrocchie. E in ambito sociale? Puntiamo a sviluppare il progetto dell’Economia di Comunione. Sono 44 gli imprenditori che hanno frequentato incontri di formazione, come quello a Nairobi nel 2015, e che hanno iniziato ad impegnarsi. La situazione sociale e politica in Congo non è delle più rassicuranti: c’è violenza e corruzione. È necessario quindi insistere sulla formazione di “uomini nuovi” con gli strumenti maturati nell’esperienza del Movimento dei Focolari. Quando il focolare è arrivato a Lubumbashi la comunità contava un centinaio di persone, ora sono circa 500 con un fiorire di vocazioni delle varie espressioni dell’Opera.
a cura di Gianna Sibelli
(altro…)
Gen 2, 2019 | Nuove Generazioni
Pensare in grande e iniziare dal piccolo, avere lo sguardo sul mondo e partire dal proprio quartiere In ogni parte del mondo i Ragazzi per l’unità stanno iniziando a riempire di idee e di vita il progetto “Fame Zero”, sostenuto dalla FAO che sta incoraggiando in particolare giovani e ragazzi ad impegnarsi in prima persona per realizzarlo. A Mumbai in India il punto di partenza è stato pensare a chi erano i poveri della città. Poveri non solo di beni, ma anche di salute, di amicizie. Dopo aver conosciuto un’ottantina di coetanei malati di Aids che vivono in condizioni di povertà, i ragazzi hanno scritto una lettera a 600 famiglie di varie religioni che abitano negli enormi condomini della zona, spiegando il loro sogno di un mondo senza fame e proponendo una raccolta di giornali vecchi che poi avrebbero venduto. Hanno aderito oltre 50 famiglie esprimendo la loro gratitudine per il progetto. L’operazione si è ripetuta, incoraggiata proprio dalle famiglie del quartiere. E se è possibile creare un’azione per un intero quartiere, perché non coinvolgere tutto un Comune? È quello che hanno pensato tre fratelli di Cesate in Lombardia, Italia, che hanno presentato alla Sindaca la loro idea: fare di Cesate un “Comune Fame Zero”! Insieme a lei hanno pensato di attivare una sinergia tra il Comune, la parrocchia e la scuola, estendendo il progetto anche ai Comuni vicini. I ragazzi hanno parlato del progetto “Fame Zero” al parroco e al sacerdote responsabile dell’oratorio che, contenti della proposta, hanno messo a punto una strategia per ridurre gli sprechi di cibo nella mensa. Per quanto riguarda le scuole invece si è pensato che ogni anno il 16 ottobre, giornata mondiale dell’alimentazione, si realizzi l’evento “Fame Zero Day” per ridurre gli sprechi durante i pasti. E proprio da sinergie tra organizzazioni nella città è nata l’azione portata avanti da un gruppo di ragazzi del Libano. Collaborando con la Caritas hanno riunito oltre sessanta anziani che vivono in situazioni di solitudine e difficoltà economiche. Hanno preparato e servito loro il pranzo organizzando danze e giochi. Alla fine una delle ragazze ha proposto all’animatrice che l’accompagnava di ripetere questa azione ogni settimana. “Ma occorre un budget non indifferente per farlo” le ha riposto. «”Voi adulti – ha ribattuto la ragazza – pensate sempre a grandi progetti, ma dobbiamo iniziare con piccoli gesti”. Coinvolgendo una coetanea e altri adulti, ha fatto così partire una piccola azione: insieme preparano un pasto ogni due settimane e lo portano ad una famiglia in difficoltà trascorrendo il pomeriggio con loro.
Anna Lisa Innocenti
(altro…)
Gen 1, 2019 | Centro internazionale
Pubblichiamo l’intervista alla Presidente del Movimento dei Focolari uscita nel numero di gennaio del bimestrale „Neue Stadt“ 1 – Che cosa ti fa ridere di gusto? Quando faccio qualche gaffe. Per esempio cammino, non vedo un gradino e mi ritrovo per terra. Faccio fatica a rialzarmi, perché rido veramente di cuore! 2 – Che cosa ti fa arrabbiare? Non sento nascere dentro di me sentimenti di rabbia. Al massimo sento che mi dispiace o per quello che è successo o per una parola che mi viene detta o per una cosa che può avermi dato fastidio. 3 – Qual è l’esperienza più importante della tua vita? L’incontro con un gruppo di giovani. Mi hanno affascinata per il loro essere uniti e per la loro testimonianza coerente del cristianesimo che vivevano amando e al servizio di tutti, senza mai giudicare nessuno. Questo mi ha portato a fare la conoscenza dei Focolari. La mia vita è cambiata nel momento in cui ho veramente ascoltato qualcuno pensando che quello era un mio fratello, che Gesù era in lui. 4 – Quali sono i tuoi lati deboli? La curiosità. Quando sento parlare due persone fuori della mia porta non posso fare a meno di tendere l’orecchio. Ogni volta è un passo il decidere di lasciarla da parte. 5 – Quali sono i tuoi lati forti? L’ottimismo e la fiducia: io mi fido di Dio e anche degli altri, anche se non li conosco, anche se mi accorgo di avere posto male la mia fiducia. E mi è facile rapportarmi con gli altri 6 – Qual è il tuo luogo preferito? Mi piace tutto il mondo. Poi come luogo preferito penso ad una casa confortevole, dove ci sono delle persone con me, con le quali posso avere una comunione vera, profonda. E possibilmente in un posto caldo, col sole; sul mare! Questa casa la vedo in una città, perché sono una persona socievole. 7 – Che cosa ti fa riprendere forza? Una buona dormita dopo aver vissuto bene il momento presente ed aver affidato le preoccupazioni all’Eterno Padre. 8 – Che cosa ti dà preoccupazione? Tutto quello che sa di conflitto, di opposizione: le guerre, un contrasto in famiglia, problemi non risolti. Tante volte non posso fare niente, ma se posso fare qualcosa cerco di trovare una soluzione o di aiutare gli altri a trovarla. 9 – Che cosa ti sta a cuore nella guida del Movimento dei Focolari? Che il Movimento sia un’autentica testimonianza del Carisma dell’Unità. Ci sono gruppi in tanti parti del mondo che in questo momento lo stanno vivendo. Questo mi dà tranquillità, mi dà la sicurezza. Perché da questi nasceranno idee nuove, forme nuove di incarnazione. Loro portano avanti il carisma dell’unità fino a raggiungere lo scopo per il quale Gesù ha pregato: “Padre, che tutti siano una cosa sola”. (altro…)
Dic 31, 2018 | Collegamento
In occasione della 52.esima Giornata mondiale della pace, e a sostegno del messaggio del Papa “La buona politica è al servizio della pace”, proponiamo un estratto di Chiara Lubich del 2002, intervenuta al Colosseo a Roma durante un incontro con i ragazzi per l’unità del Movimento dei Focolari. Qual è la chiave per promuovere la pace? Vivere la regola d’oro per costruire la fratellanza universale. https://vimeo.com/147830026 “[…] La pace. Ma è di così grande attualità la pace? Certamente sì, e forse più che mai. E non solo per le decine di guerre in corso qua e là sul nostro pianeta, ma anche perché oggi la pace è minacciata in modo diverso, più subdolo. […] La situazione, dunque, è seria. Perché, se le cose stanno così, non è sufficiente opporsi a tanto pericolo con le sole forze umane. Occorre impegnare le forze del bene con la B maiuscola. E voi tutti conoscete cos’è questo Bene: è anzitutto Dio e tutto ciò che ha radice in lui: il mondo dello spirito, dei grandi valori, dell’amore vero, della preghiera. […] La pace però è oggi un bene così prezioso che tutti noi, adulti e giovani, persone responsabili e semplici cittadini, dobbiamo impegnarci a salvaguardarla. […] Naturalmente, per sapere come comportarci, occorre conoscere bene le cause più profonde dell’attuale drammatica situazione. Anche a voi è noto come nel mondo non regni la giustizia, come vi siano Paesi ricchi e Paesi poveri, affamati, mentre il piano di Dio sull’umanità sarebbe quello d’essere tutti fratelli, in una sola grande famiglia con un solo Padre. […] E allora come creare maggiore uguaglianza? Come suscitare una certa comunione di beni? E’ ovvio che i beni non si muovono da sé se non si muovono i cuori. Occorre, quindi, diffondere l’amore, quell’amore reciproco che genera fratellanza; occorre invadere il mondo con l’amore! cominciando da noi stessi, così da voi, ragazzi. Ma, qualcuno dei presenti mi potrebbe chiedere: “E’ compatibile l’amore, l’amarsi, con lo stile di vita che le nostre culture ci hanno tramandato?” Sì, è possibile: andate a cercare nei vostri Libri sacri e troverete – è quasi dovunque – la cosiddetta “Regola d’oro”. Il cristianesimo la conosce così: “Fai agli altri ciò che vorresti fosse fatto a te” (cf Lc 6,31). E così Israele: “Non fare a nessuno ciò che non piace a te” (Tb, 4,15). L’Islam: “Nessuno di voi è vero credente se non desidera per il fratello ciò che desidera per se stesso” (Hadith 13, Al Bukhari). E l’induismo: “Non fare agli altri ciò che sarebbe causa di dolore se fosse fatto a te” (Mahabharata 5: 1517). Tutte frasi che significano: rispetta, ama il tuo prossimo. E se tu, ragazzo musulmano, ami; e tu, cristiano, ami; e tu, ebreo, ami; e tu, indù, ami; arriverete certamente ad amarvi a vicenda. E così fra tutti. Ed ecco realizzato un brano della fraternità universale. […] Amare dunque: è uno dei grandi segreti del momento. Amare con un amore speciale. Non certo quello limitato unicamente ai propri familiari o agli amici, ma l’amore verso tutti, simpatici e antipatici, poveri e ricchi, piccoli e grandi, della vostra patria e di un’altra, amici e nemici… Verso tutti. E amare per primi, prendendo l’iniziativa, senza aspettare d’essere amati. E amare non solo a parole, ma concretamente, a fatti. E amarsi a vicenda. […] Se così farete, se così faremo tutti, la fratellanza universale s’allargherà, la solidarietà fiorirà, i beni saranno meglio distribuiti, e potrà risplendere sul mondo l’arcobaleno della pace: su quel mondo che, fra pochi anni, sarà nelle vostre mani.” Chiara Lubich (Collegamento CH – 5 dicembre 2015) (altro…)
Dic 31, 2018 | Focolari nel Mondo
Perdere il lavoro a 53 anni e con tre figli avrebbe messo a dura prova chiunque. Mirco non si è scoraggiato, si è rimesso a studiare e ha dato vita ad un progetto basato sulla danza come veicolo per unire le persone e favorire lo scambio delle emozioni. «Qualcuno mi ha detto: “Perché non fai della tua passione un lavoro?”. È cominciata così la sfida, tutt’altro che semplice, di costruirmi una nuova identità lavorativa». Mirco Castello, classe 1955, oggi Art Counselor, dopo la perdita del lavoro («un buon lavoro nel mondo del tessile e dell’abbigliamento») e la cassa integrazione, nel 2008 ha iniziato a fare i conti con un bilancio famigliare sempre più precario. «Ho cercato di ascoltare i consigli che mi venivano dati, ma soprattutto una “voce” dentro di me, che mi suggeriva di rimettermi in gioco; da tanti anni facevo il mimo, attore e danzatore per passione. Ho cercato di trasformare questa passione in un servizio agli altri, specie ai bambini. Sono entrato con un progetto di danza dentro la scuola dell’infanzia e primaria, per giocare con la danza e con la musica». La danza – gli spiega una psicologa infantile – ha il potere di aiutare i bambini a ritrovare una nuova armonia. Ma non è sufficiente: per lavorare con le istituzioni occorre una qualifica, e così Mirco si rimette a studiare, si aggiorna, ottiene un diploma in Art Counselor e un master in mediazione famigliare, contatta le scuole pubbliche e private d’Italia, apre un sito (www.ledanzedimirco.it), in cui propone stage agli insegnanti e incontri con i bambini. «Dal 2008 con la mia famiglia viviamo “al limite”, sempre sperando che non capiti una spesa imprevista. Ma posso dire che non ci è mai mancato nulla. In profonda unità con mia moglie e con gli amici della comunità dei Focolari a cui appartengo e che mi sostengono, mi sono affidato a Dio. Lui mi indica i passi da fare e con il mio lavoro posso testimoniare che Lui mi ama e non mi abbandona. Lo considero il mio nuovo datore di lavoro». Attualmente Mirco porta avanti un progetto che coinvolge duemila bambini l’anno, non solo in Italia, ma anche in Europa: «Con la musica gioco coi bambini e mi accorgo subito dei loro disagi. Quanto soffrono oggi i bambini! Mancano loro i valori, le regole, l’autonomia, o vivono situazioni di separazione o conflitto dei genitori». Insieme alla moglie, porta avanti anche un progetto per gli adulti. «Parliamo di franchezza, assertività, comprensione, perdono». «E la sai la cosa più bella? Sono dieci anni che non andiamo in vacanza perché non ce lo possiamo permettere, e ora ci hanno offerto un viaggio in Kenya, a gennaio, per incontrare i bambini di due scuole ed un orfanotrofio, e un altro in Russia. Come non scorgere in tutto questo l’amore del mio nuovo datore di lavoro?».
A cura di Chiara Favotti
(altro…)
Dic 29, 2018 | Nuove Generazioni
Anche quest’anno nell’approssimarsi del Natale c’è un gran fermento fra i bambini del Movimento dei Focolari che prendono sul serio e testimoniano l’invito ad accogliere Gesù in chi è in difficoltà.
Papa Francesco, a Natale del 2017, ci invitava a far sì che: “Il nostro cuore non sia chiuso come lo furono le case di Betlemme”. Prendendo sul serio l’invito del Papa, coadiuvati dagli assistenti, coinvolgendo genitori, insegnanti, compagni di scuola, l’azione “Hanno sloggiato Gesù” (HSG) si sta orientando al sostegno di progetti di accoglienza, per aiutare coloro che non sono accolti e soffrono per mancanza di pace, di giustizia, non hanno casa o sono costretti a lasciare la propria terra. In quest’unica “cornice” dell’accoglienza, si allestiscono piccoli atelier per confezionare le statuine di Gesù Bambino da offrire nelle strade, nelle piazze, nei luoghi più disparati e dire a tutti che il vero significato del Natale è Gesù che nasce per ogni uomo, oggi come ieri, e aspetta che lo accogliamo in tutti quelli che hanno bisogno. L’azione HSG condotta dai più piccoli, porta con sé i valori profondi del Natale: il dono di sé, la gratitudine, l’amore disinteressato, la generosità. Indirettamente rinforza tali valori anche negli adulti, nelle famiglie. Promuove competenze manuali, creative, immaginative, di collaborazione, di programmazione, di espressione, attraverso la realizzazione delle statuine. Sviluppa nei bambini una cittadinanza attiva, la solidarietà, la fraternità, anche attraverso la raccolta fondi destinata a fornire risposte concrete ai bisogni di altri bambini in diverse zone del mondo. Stimola il desiderio di dare. Sono molti infatti coloro che lasciano spontaneamente un’offerta per sostenere tali iniziative e tante sono le esperienze raccontate dagli adulti che ricevono il messaggio da questi piccoli che con amore vorrebbero trovare una casa per Gesù almeno durante il Natale. “Entrare in un supermercato ed essere accolti da dei bambini così sorridenti che ti offrono Gesù Bambino è sconvolgente”, ha esclamato un signore di Firenze. “Pensiamo di poter trovare tutto in un supermercato, ma mai avrei messo in conto di poter tornare a casa portando con me Gesù!”.
a cura di Rosi Bertolassi
(altro…)
Dic 28, 2018 | Cultura
Un trimestrale rivolto a quanti operano a più livelli in ambito ecclesiale. «Sentieri di comunione e dialogo» è il sottotitolo che indica lo stile che caratterizza i contenuti. Nata in sinergia fra il Movimento dei Focolari e il Gruppo editoriale Città Nuova questa rivista, in edizione cartacea e digitale, esce con il suo primo numero in italiano e, prossimamente, con alcuni articoli in inglese. In futuro avrà edizioni anche in altre lingue. Si propone come strumento di formazione, sussidio per l’azione e fonte di ispirazione alla ricerca di vie e linguaggi nuovi per condividere il Vangelo con le donne e gli uomini del nostro tempo. Rivolta ad operatori e animatori pastorali, membri delle famiglie carismatiche (consacrati/e e laici), persone impegnate in parrocchia o in diocesi,in movimenti ecclesiali o aggregazioni, darà spazio anche ai rapporti tra le Chiese e fra le religioni, all’incontro tra convinzioni e culture diverse, al rinnovamento delle Chiese e della società. Ogni numero avrà un focus dedicato ad una particolare tematica. “L’espressione greca ekklesía significa ‘assemblea’, persone che si sanno chiamate a essere insieme protagoniste del cammino di un popolo. – si legge nell’editoriale del primo numero –Sentieri, come recita il sottotitolo, dice il carattere sperimentale e laboratoriale del progetto; comunione e dialogoindica la direzione in cui muove ma anche lo stile: vorremmo che le riviste, cartacee e digitali, nelle varie lingue in cui si concretizzerà, possano esprimere e servire una community”. Tra le sue firme:il teologo Piero Coda, Vincenzo Zani(Segretario della Congregazione per l’Educazione Cattolica), Tiziana Longhitano sfp, il cardinale Giuseppe Petrocchi(arcivescovo de L’Aquila), l’esegeta Gerard Rossé, Brendan Leahy(vescovo di Limerick, Irlanda), Jesús Morán (co-presidente Movimento dei Focolari), l’esperto di vita consacrata Fabio Ciardiomi, l’esperta di comunicazioni Susana Nuin, colombiana, il teologo anglicano Callan Slipper, il teologo evangelico Stefan Tobler. Informazioni e abbonamenti: www.cittanuova.it – e-mail: ekklesia(at)cittanuova.it- abbonamenti(at)cittanuova.it (altro…)
Dic 27, 2018 | Focolari nel Mondo
Venticinque anni di presenza dei Focolari in terra albanese “Noi che abbiamo seguito gli sviluppi del Movimento nel mondo e in Albania abbiamo notato la risposta concreta dei Focolari al bisogno di noi albanesi, alla nostra esigenza di unità”. Lo afferma Donika Omari, pubblicista e traduttrice albanese, di convinzioni non religiose, in occasione del venticinquesimo anniversario dell’arrivo della spiritualità dell’unità nel ‘Paese delle aquile’. Una terra, quella albanese, che ancora soffre per divisioni sociali, regionali, ideologiche e religiose: nel Paese vi sono musulmani, con la presenza della confraternita religiosa sufi dei bektashi; cristiani, in maggioranza cattolici e ortodossi; e molte persone che non si riconoscono in un credo religioso. “Il messaggio di unità di Chiara Lubich che supera divisioni di qualsiasi tipo tra le persone – continua Donika Omari – è stato salutare per la nostra terra”.
Il primo focolarino arrivato in terra albanese fu Gigi Franco e giunse a Durazzo nel 1991, accolto da una famiglia. Poi l’arrivo di un secondo focolarino, l’apertura del focolare maschile a Tirana e, alcuni anni dopo, anche di quello femminile. Da allora è andata formandosi una comunità della quale oggi fanno parte cristiani, musulmani e persone senza un credo religioso. “Lo spirito del ‘farsi uno con il prossimo’, la fratellanza tra le persone senza distinzione di categoria sociale, razza, nazionalità, ideologia – spiega ancora Donika Omari – sono messaggi che mi hanno attirato fin dall’inizio in questo Movimento. Si sente tale bisogno per il nostro Paese dove vecchi e nuovi sconvolgimenti, hanno ostacolato la normalizzazione delle relazioni umane”. Un cammino che ha conosciuto anche momenti molto dolorosi, come la guerra in Kosovo nel 1999. Allora tutto il Movimento nel mondo si mobilitò per raccogliere aiuti, contribuire all’accoglienza di oltre 500.000 profughi ed intervenire, dopo la guerra, per la ricostruzione. Per i venticinque anni dei Focolari, a Tirana è stato realizzato un evento pubblico nell’Aula Magna dell’università cattolica “Nostra Signora del Buon Consiglio” e si è presentata anche la traduzione albanese del volume di Chiara Lubich “Una via nuova”. Duecento i partecipanti con rappresentanze da Kosovo e Macedonia. Presenti il Nunzio Apostolico Mons.Charles Brown, l’arcivescovo della Chiesa cattolica Mons. Frendo, il vescovo Asti Bakallbashi della Cattedrale ortodossa di Tirana, il Prof. Shehu, musulmano, docente di Pedagogia all’Università di Skopje. “Questo anniversario è nel segno della continuità e dello sviluppo – dice Livio Brianza che ha vissuto nel focolare di Tirana per dodici anni –. Mi ha dato gioia vedere, nonostante la presenza invasiva del consumismo e l’ansia per un futuro precario che porta tanti a pensare di espatriare, l’attaccamento anche nei più giovani, ai valori familiari e sociali della società albanese”. La Presidente dei Focolari, Maria Voce, ha inviato un messaggio nel quale esprime alla comunità albanese dei Focolari l’augurio che: “alimentati e fortificati dal continuo amore reciproco contribuiate con accresciuto impegno a fare ‘risplendere d’oro’ le vostre città per la presenza sempre più intensa tra voi dell’amore degli Amori”. “Venticinque anni fa volevo cambiare il mondo – dice Madi Roço, albanese, esperta legale nelle legislazioni ambientali – era sicurissima che avrei visto il mondo unito con i miei occhi. Ho ancora lo stesso sogno, forte e chiaro. Vedere la ‘famiglia’ dei Focolari cresciuta e unita mi ha ‘armata’ di coraggio per andare avanti”.
Cristina Tomelleri
(altro…)
Dic 25, 2018 | Chiesa
Con una solenne celebrazione è stata avviata, il 10 dicembre, nella cattedrale di Teramo, in Italia, la fase diocesana del processo di beatificazione del giovane dei Focolari. Nell’anno in cui la Chiesa ha dedicato una grande attenzione ai giovani, il suo nome “da bambino” è risuonato, il 10 dicembre, sotto le volte della cattedrale di Santa Maria Assunta, nel cuore dell’antica Teramo, in Abruzzo, come un modello per tutti. Nello stesso giorno della sua nascita, la solenne e affollata celebrazione torna a far parlare di Pietrino Di Natale, studente liceale di soli 17 anni, scomparso nel 1984 in “concetto di santità”. Non era ancora maggiorenne quando annegò tra le onde di fronte a Silvi, paese costiero poco lontano da casa sua. Ma da allora, ogni anno, il 20 agosto, una folla sempre più numerosa si raduna nel piccolo cimitero di Colledara per ricordare e perpetuare, come un testimone che deve passare di mano in mano, il suo esempio di “piccola pietra” angolare, di cristiano pienamente realizzato. Ragazzo “della porta accanto”, portava il nome del padre, Pietro, morto per un incidente di lavoro prima ancora che lui nascesse. Cresciuto nel paese di Ornano Piccolo, che si era stretto, come la cresta protettiva delle montagne circostanti, intorno alla giovane mamma Adelina, a 11 anni Pietrino entra in contatto con la spiritualità dei Focolari. L’incontro, fondamentale nella vita del ragazzo, avviene attraverso due giovani parroci, don Gianfranco De Luca, attualmente vescovo di Termoli-Larino, e don Giovanni D’Annunzio, oggi responsabile del Movimento Diocesano. Ne ricava in dono una certezza illuminante, quella dell’amore di Dio, che lo porta a cercare intensamente Gesù nella vita di tutti i giorni. Di lui scriveva, recentemente, don Giovanni D’Annunzio: «Il cuore di Pietrino era solo per Dio. Una tappa fondamentale è stata la sua partecipazione al congresso dei ragazzi dei Focolari, nel 1978. (…) Al ritorno ho notato che era slanciato nel vivere in profondità ogni attimo. Era iniziata la corsa verso la santità». Nei prossimi mesi verranno raccolte le testimonianze di chi lo ha conosciuto. Intanto, un’agile biografia (Teresa D’Orsogna, Pietrino Di Natale. … sono scattato ad amare…, ed. Palumbi, 2018) ci avvicina ancora di più ad un ragazzo che continua a ispirare molti giovani, e non solo, a seguire Gesù nella strada dell’unità.
Chiara Favotti
(altro…)
Dic 21, 2018 | Centro internazionale
Auguri di Natale di Maria Voce, Presidente del Movimento dei Focolari https://vimeo.com/307656826 E’ Natale! Se io guardo intorno a me nelle città ma anche nei media in genere, mi domando: “Ma che cos’è Natale?”. E sento un frastuono, perché è pranzi, doni, addobbi, luci, mercatini…, e questo frastuono mi sembra che voglia coprire – senza riuscirci – il grido di dolore e di sofferenza di tanta parte dell’umanità che chiede solidarietà, rispetto, accoglienza, pace, giustizia. In definitiva chiede amore. E l’uomo non glielo sa dare; ma Dio sì, Dio lo sa dare e lo dà da Dio. E quel Bambino che vediamo nel presepe in questo Natale, come in tutti i Natali, ci dice proprio l’amore di Dio, un Dio che ama talmente l’uomo da farsi come lui, da farsi piccolo, indifeso, da affrontare tutte le sofferenze, non solo da affrontarle ma da viverle, tutte le sofferenze dell’umanità fino alla morte. Un Dio che in questo modo, venendo a vivere fra gli uomini, ridice il suo “sì” all’umanità per ricongiungerla ancora una volta a lui. Questo “sì” di Dio all’uomo è rappresentato in quel Bambino a Betlemme, in quel Bambino che gli uomini non vogliono più sentire neanche nominare. Sono stata in un Paese dove per mantenere tutto l’apparato del Natale senza riferirsi a Dio hanno inventato la “Festa dell’inverno” per fare tutto questo. Eppure questo Dio ama l’uomo, continua ad amare l’uomo e ce lo ridice ancora. E questo Bambino non solo ci mostra l’amore di Dio ma ci partecipa l’amore di Dio, ce lo dona, ce lo fa vivere, ci insegna come fare e ci invita a fare altrettanto, cioè ad essere per gli altri uomini la testimonianza dell’amore di Dio, e dare agli altri uomini l’amore di Dio, un amore come il suo, cioè un amore che non fa preferenze, un amore che arriva a tutti, un amore che non innalza steccati, che non ha pregiudizi, che non fa differenza fra nessuno; un amore che è capace di aprire il cuore, di aprire le mani, di aprire le braccia, di aprire la borsa, di aprire la casa. Se un amore così vive fra gli uomini allora è Dio stesso che vive fra gli uomini, e lui è l’unico capace di far casa a tutti, di far famiglia con tutti, di rendere tutti fratelli, di far veramente festa. E questo è Natale. Se noi viviamo così questo è il vero Natale per noi. E’ questo Natale che io vorrei vivere e che vorrei augurare a tutti. Buon Natale! (altro…)
Dic 20, 2018 | Cultura
Un premio a chi si impegna a fare azioni di fraternità nel territorio che amministra, a chi cerca di tradurre in azione politica e impegno civile questo valore universale. Sono aperte fino al 15 gennaio 2019 le iscrizioni o le proposte di candidatura al “Premio Internazionale Chiara Lubich per la fraternità” che ogni anno viene e assegnato ad Enti Locali (Province, Regioni, Comunità Montane, ecc.) di ogni parte del mondo e di qualunque dimensione. Vengono premiati progetti che istituiscono o diffondono, nel territorio principalmente locale, ma anche nazionale e internazionale, pratiche di fraternità universale, secondo le diverse accezioni di significato di tale principio; stimolano i cittadini a impegnarsi per il bene comune e a partecipare alla vita della comunità civile; favoriscono la crescita di una cultura della cittadinanza attiva e inclusiva. E che favoriscono sinergie: tra Amministrazioni, comunità locali e società civile organizzata (associazioni, gruppi, comitati, ecc.) con ricadute in tali realtà.Le azioni devono essere rappresentative di un modo di amministrare il territorio non episodico, consapevole del valore della fraternità. I progetti possono essere esposti attraverso elaborati di testo, elaborati ipertestuali e/o multimediali, elaborati audiovisivi. Tutte le candidature e/o le segnalazioni (con relativo materiale in allegato) devono essere inviate alla Presidenza dell’Associazione “Città per la Fraternità”, c/o Comune di Castel Gandolfo, Piazza Libertà, 7 – 00040 Castel Gandolfo – Roma (Italia). I materiali (se la dimensione ne consente l’invio digitale) possono essere spediti via mail a: associazionecittafraernita(at)gmail.com oppure info(at)cittaperlafraternita.org Nella domanda vanno indicati: nome del Comune/Ente/organizzazione, dati del Sindaco in carica, indirizzo completo e contatti; il nome del progetto o dell’iniziativa ed un abstract di massimo di tre cartelle A4; un allegato (nelle forme previste) che descriva il progetto e il suo processo. La premiazione avverrà a S. Maria Capua Vetere- Caserta (Italia) nel febbraio 2019. Per informazioni: Associazione Città per la fraternità – telefono +39 340 4182127 – +39 347 4573988; e-mail: associazionecittafraternita(at)gmail.com- info(at)cittaperlafraternita.org. (altro…)
Dic 19, 2018 | Focolari nel Mondo
La cittadella dei Focolari in Argentina compie 50 anni. Pat Santoianni, Cecilia Gatti, Adriana Otero e Israele Coelho ne raccontano la vocazione: i giovani. Ha da poco compiuto Cinquant’anni la cittadella di O’Higgings in Argentina, quella tra le 25 Mariapoli permanenti nel mondo dedicata alla formazione dei giovani. E non poteva nascere sotto una stella migliore, perché tutto è iniziato proprio nel 1968, l’anno della contestazione giovanile. Oggi O’Higgins è conosciuta nel mondo come Mariapoli Lia, in onore di Lia Brunet, ragazza coraggiosa e dalla mentalità aperta sul mondo, pioniera di questa cittadella dei Focolari in terra americana; è stata una delle prime che a Trento, fin dagli anni ’40, ha condiviso con Chiara Lubich ideali e vita. Fino ad oggi oltre 3.500 giovani da tutto il mondo hanno fatto la “experiencia”, cioè la scelta di trascorrere da alcuni mesi fino ad un massimo di due anni nella cittadella lavorando, studiando e sperimentandosi nella convivenza multiculturale, all’insegna della spiritualità dell’unità, per poi tornare alla propria vita, ma attrezzati di un bagaglio umano e di pensiero che apre mente e cuore su popoli e culture. “In questi anni abbiamo messo a punto un percorso formativo; – racconta Pat Santoianni, antropologa e corresponsabile della Formazione alla Mariapoli Lia – uno dei principi di questa proposta formativa riconosce che è l’intero corpo sociale che forma; è un percorso esistenziale-antropologico sul modo di percepire la vita, il pensiero, l’azione”. Adriana Otero, biologa, una delle coordinatrici del team di formatori, spiega che l’esperienza punta alla formazione integrale della persona: “Cerchiamo di essere costantemente sintonizzati sulle sfide e i rischi che le nostre società pongono ai giovani nei diversi campi: relazionalità, scelte, libertà, impegno sociale e civile, dialogo intergenerazionale e interculturale, tecnologia. Centrale è anche l’esperienza lavorativa che per molti è la prima”.
Al centro del percorso pedagogico della Mariapoli Lia c’è la relazione – interviene Cecilia Gatti, ricercatrice in Pedagogia: “L’educazione è relazione: è questo uno dei principi della Pedagogia che si ispira alla spiritualità dei Focolari e che ispira il nostro percorso. Di conseguenza è il rapporto con l’altro che mi permette di stringere legami, ripensare la mia vita, condividerla e costruire il tessuto sociale. Avere per scuola, una città fa sì che tutta la vita diventi occasione di apprendimento: ogni rapporto, ogni dialogo, ogni incontro”.
Infine, nell’epoca del Web 4.0 ci si domanda se la scelta di O’Higgins – piccolo borgo in mezzo alla Pampa argentina – funzioni veramente come luogo di formazione per questi giovani millennials. Israele Coelho, pedagogista brasiliano, corresponsabile per la Formazione e coordinatore del percorso per i giovani, risponde che è l’esperienza stessa a dimostrarne la validità: “Nonostante questo luogo lontano da tutto possa apparire un controsenso, continua a dimostrarsi adatto ai giovani, per andare in profondità con la propria storia, per far silenzio dentro e per interrogarsi sul proprio rapporto con Dio e con gli altri. Per molti di loro la ‘experiencia’ è un momento importante per fare o rifare le scelte fondamentali della vita”.
Stefania Tanesini
(altro…)
Dic 18, 2018 | Collegamento
Al laboratorio “L’Ecopesce” e al punto vendita “E Nustren” non si scarta nulla: è la filosofia di questo piccolo polo che a Cesenatico (Italia) lavora e vende il pesce del Mare Adriatico, utilizzando la sola tecnologia del freddo. Sulla tavola del cliente arriva così un prodotto che, diversamente, non sarebbe valorizzato o, addirittura, scartato. Il tutto, mettendo la comunione prima dell’economia. https://vimeo.com/301224075 (altro…)
Dic 17, 2018 | Sociale
Christopher Jiménez, della comunità dei Focolari del Messico, racconta il lungo esodo dei migranti partiti dall’Honduras e da settimane ai piedi del muro che li separa dagli Stati Uniti. «Il 12 ottobre, una chiamata a raccolta attraverso i social network – afferma Christopher Jiménez, che collabora con l’associazione Promozione Integrale della Persona (PIP) – è diventata in breve tempo virale. Più di mille honduregni sono partiti da San Pedro Sula», città che per anni, fino al 2014, è stata considerata tra le più violente del pianeta. Tutto il mondo, da allora, sta assistendo a quello che da molti è stato definito un esodo biblico. «Una settimana dopo, mentre la carovana oltrepassava il confine con il Messico, numerose organizzazioni della società civile e agenzie governative si erano già messe in campo per fornire assistenza umanitaria, prima in Chiapas, quindi a Oaxaca e Veracruz». A quel punto, non si trattava più di un singolo contingente di migranti, ma di diversi gruppi che procedevano a ondate, a piedi o con mezzi di fortuna, attraversando il Paese per migliaia di chilometri. «A fine ottobre – prosegue Christopher – quando era ormai imminente il loro arrivo a Città del Messico, nella capitale, a causa di un grave problema idrico, era stata programmata l’interruzione dell’acqua potabile per oltre quattro milioni di abitanti. Eppure, nonostante i disagi e il freddo intenso, molte organizzazioni civili e religiose hanno risposto all’invito della locale Commissione per i diritti umani, allestendo un campo umanitario a ovest della città. Anche i Focolari hanno aderito. Una trentina di persone, tra cui medici, infermieri, studenti, casalinghe, si sono prodigate nei punti di soccorso e di distribuzione di pasti e indumenti. Nel frattempo, un altro gruppo ha organizzato una raccolta di generi di prima necessità e una associazione civile che si ispira allo spirito del Movimento ha offerto collaborazione tecnica e logistica». La mattina del 5 novembre, circa cinquemila migranti sono arrivati nella capitale. Nei giorni successivi, quasi diecimila persone hanno ricevuto accoglienza, cibo, coperte, vestiario. «Nonostante la solidarietà di molti, il loro passaggio non è stato esente da attriti e toni di violenza. Alcuni incidenti sono stati sul punto di provocare episodi gravi di xenofobia. Ora l’ondata di migranti attende con impazienza sotto il muro invalicabile che separa la città messicana di Tijuana dagli Stati Uniti. Ci aspettiamo giorni di grande incertezza. Ma nel loro passaggio, pur tra le insidie di un percorso molto complesso, hanno indicato al cuore del popolo messicano la direzione verso cui muove il loro sogno».
Chiara Favotti
(altro…)