Feb 2, 2015 | Centro internazionale, Cultura, Focolare Worldwide, Focolari nel Mondo
Il prof. Sergio Mattarella è dal 31 gennaio 2015 il nuovo Presidente della Repubblica italiana. Politico siciliano, di anima cristiana, la sua storia è legata alla lotta alla mafia e alle battaglie per la giustizia. Più volte ha detto di essere ispirato nelle sue scelte anche dal fratello Piersanti, presidente della Regione Sicilia, ucciso dalla mafia nel 1980. «Il pensiero va soprattutto e anzitutto alle difficoltà e alle speranze dei nostri concittadini. È sufficiente questo», sono state le sue prime parole. E a lui Maria Voce nel suo messaggio assicura «di poter contare sull’impegno del Movimento dei Focolari in Italia, che è proiettato ogni giorno, su tanti fronti, a dare il proprio contributo al bene del Paese». A nome dei Focolari gli rivolge «i più sentiti e calorosi auguri per l’alto compito a cui è stato chiamato, in una cruciale stagione della nostra comunità nazionale». La notizia dell’elezione di Sergio Mattarella è stata accolta «con grande gioia», «certi che le Sue riconosciute doti politiche, umane, culturali e spirituali Le permetteranno di essere vicino “alle difficoltà e alle speranze” di tutti i cittadini e di servire in modo straordinario il Paese». Il Movimento dei Focolari in Italia – dove è nato – è attivo in vari campi: dal cantiere legalità, al lavoro sull’emergenza educativa, dal fronte dell’immigrazione e del dialogo interreligioso a quello dei diversi ambiti della cultura. In campo politico la riflessione e l’azione si esprimono attraverso il Movimento Politico per l’Unità. Ed è «sulla scia di quel patto di fraternità per l’Italia» proposto da Chiara Lubich ai parlamentari italiani nel palazzo di San Macuto il 15 dicembre 2000, che Maria Voce conclude il suo messaggio al Presidente della Repubblica, assicurando l’impegno dei Focolari, insieme ai cordialissimi «auguri di buon lavoro!».
Feb 2, 2015 | Chiara Lubich, Cultura, Famiglie, Spiritualità
«La spiritualità di Chiara Lubich ci dice di aprirci alla comunione prima di tutto in famiglia e, costruita l’unità, aprirla ad altre famiglie. Nessuna famiglia è un’isola. Abbiamo bisogno di condividere beni spirituali e materiali, propositi, conoscenze, tempo, competenze, per costruire reti in grado di porsi a servizio del mondo, il quale aspetta di vedere testimoniato un amore che può sempre ricominciare». È con gioia che Anna e Alberto Friso commentano l’apertura della causa di beatificazione di Chiara Lubich, martedì scorso [27 gennaio] a Frascati. Hanno conosciuto personalmente la fondatrice del Movimento dei Focolari (e nel 1967 di “Famiglie nuove”, una delle prime realtà associative per la famiglia, di cui loro sono stati responsabili per 12 anni) quando erano ancora freschi di matrimonio: da Padova hanno raggiunto Rocca di Papa per partecipare a un congresso di famiglie con il loro primo figlio neonato. «Ci ha colpito il fatto che una consacrata avesse così tanto a cuore la famiglia e che il suo ideale potesse essere applicato anche alla nostra vocazione di sposi», ricordano. Non solo: «Chiara era una donna moderna, bella senza essere appariscente, elegante ma non affettata, con un parlare accattivante e armonioso – fanno notare i Friso –. Noi venivamo dalla provincia, due semplici impiegati, abbastanza imbranati. Con semplicità e convinzione ci ha detto che Gesù contava anche su di noi, come persone e come famiglia». La Lubich, infatti, era convinta che la spiritualità dell’unità fosse particolarmente adatta alla famiglia, perché, nel suo disegno originario, è una piccola comunità di persone unite dall’amore». Oggi Alberto e Anna si occupano della onlus “Azione per famiglie nuove“, impegnata nel Sud del mondo e nelle adozioni a distanza. Quando erano responsabili di “Famiglie nuove”, incontravano periodicamente la fondatrice: «Ascoltava difficoltà e progetti, ma soprattutto ci dava quel coraggio senza il quale sarebbe troppo complicato per due povere creature portare avanti un movimento di famiglie così numeroso e a dimensione mondiale. Lei ci orientava, ci confermava, sognava con noi. Ma più spesso esprimeva la sua fiducia in noi sposati». Membri del Pontificio Consiglio per la famiglia, i coniugi Friso erano invitati dalla Lubich all’attenzione verso i separati, i divorziati e i risposati, definiti da lei stessa «il volto di Gesù crocifisso e abbandonato». Il carisma di Chiara continua ad annunciare alla famiglia e alle famiglie del Movimento l’amore divino per ciascuno, «una convinzione che scaturisce non solo dalla Scrittura, ma per averlo provato personalmente, nel nostro vissuto. Un annuncio che risulta efficace anche per chi ormai non spera più o ha perso la fede, o pensa che la separazione sia ormai inevitabile. E se Dio ama me, se ha dato la vita per me, anch’io devo – posso! – rispondere a questo amore, amando il prossimo che mi sta accanto. E chi più prossimo del coniuge, dei figli, dei familiari?», si chiedono Alberto e Anna, argomentando: «Se con onestà ci mettiamo nel raggio di un amore che attinge all’Assoluto, tutto diventa possibile: accoglienza, servizio, ascolto, amore disinteressato, gratuità, perdono…». Fonte: La scuola di Chiara Lubich: nessuna famiglia è un’isola (altro…)
Feb 1, 2015 | Cultura, Famiglie, Focolare Worldwide, Focolari nel Mondo, Spiritualità
Le due voci si intrecciano in un crescendo di sofferenza e di speranza, di commozione e di meraviglia. Fino a farci scoprire il segreto che li ha portati a ricomporre quell’unità che sembrava irrimediabilmente spezzata. Ad iniziare il racconto è Fili: «Con Nacho siamo sposati da 24 anni e abbiamo due figli. Io sono la sesta di undici fratelli. C’erano dei dolori nella mia famiglia, come il sapere che mio padre aveva un’altra moglie ed altri figli e questo mi faceva tanto soffrire». «Anch’io da piccolo – interviene Nacho – ho sofferto per l’assenza di mio padre e la poca attenzione di mia madre. A prendersi cura di me è stata la mia nonna materna. Con Fili ci siamo sposati innamorati, ma con un vuoto esistenziale molto grande nel quale ciascuno di noi si identificava con l’altro. Abbiamo unito le nostre solitudini, ma non ci conoscevamo interiormente e presto ci siamo accorti di non saper amare e neppure cos’è l’amore». «I nostri problemi sono cominciati fin dall’inizio del matrimonio – prosegue Fili –. Io ero molto gelosa e possessiva, al punto da far sì che Nacho cambiasse continuamente lavoro». «Un atteggiamento il suo – prosegue Nacho – che provocava in me rancore, ira e frustrazione e le discussioni fra noi non finivano mai. In questo ambiente così poco ospitale sono nati i nostri figli. Sia io che Fili avevamo un amore molto forte per loro, ma non essendoci amore fra noi due, pensavamo di sopperire con cose materiali, invece avremmo dovuto dare loro ascolto, tenerezza. Così sono passati 15 anni. Deluso da questa situazione, sono andato via di casa. L’avevo fatto altre volte, ma ogni tentativo di tornare e ricostruire il nostro rapporto falliva. Come fare, mi domandavo, quando una relazione è completamente spezzata?». Riprende Fili: «Infatti per me era impossibile ricostruirla, tant’è vero che ho accettato che tornasse, soltanto perchè vedevo la sofferenza dei figli che avevano bisogno di lui». «Un sabato sera – riprende Nacho – guardavo alla TV un programma di boxe. Non mi sembrava così interessante così ho cambiato canale. Sono capitato in un programma religioso e per curiosità sono rimasto a guardare. C’era una donna (dopo ho saputo che era Chiara Lubich) che parlava dell’Amore. Le sue parole hanno avuto un forte impatto su di me. Alla fine del suo discorso, hanno fatto scorrere alcune immagini della cittadella del Movimento dei Focolari in Messico, che si trovava vicina al nostro paese, ma che non conoscevo». «Così, all’indomani – incalza Fili – siamo andati a Messa a El Diamante (è questo il nome della cittadella) con tutta la famiglia. Ci ha colpito il modo in cui ci hanno ricevuto, era come se ci avessero conosciuti da sempre. Mancava soltanto una settimana alla Mariapoli, un convegno che si sarebbe svolto proprio lì, e abbiamo deciso di andarci. La proposta del primo giorno era la frase del Vangelo: “Perdona fino a settanta volte sette”. Mi sono chiesta: ma come è possibile perdonare sempre? La spiegazione l’ho avuta quando ci hanno parlato di Gesù nel suo abbandono: Egli non solo perdonò, ma diede la sua vita per noi. Mi sono accorta che di fronte ad un tale amore, i miei dolori erano molto piccoli. Non è stato facile ricominciare, ma la Parola “Perdona settanta volte sette” mi ha sempre aiutata a farlo». «Anche a me – confida Nacho – quella Mariapoli ha capovolto la vita. Ho imparato ad avere fiducia in quel Dio a cui tutto è possibile. Con Fili abbiamo imparato ad amarci nella diversità. Poco a poco ci siamo innamorati l’uno dell’altro. Abbiano scoperto una pienezza d’amore mai sperimentata, neanche quando eravamo fidanzati, perché ora ci amiamo nella libertà, in Dio». (altro…)
Gen 31, 2015 | Cultura, Focolare Worldwide, Focolari nel Mondo, Spiritualità
Teresa Ganzon e il marito hanno acquistato le azioni di maggioranza del Bangko Kabayan nel 1989, quando la banca aveva una sola filiale, mentre ora si posiziona come una delle più grandi banche rurali nelle Filippine. I Ganzon hanno dovuto affrontare l’alto “rischio aziendale” tipico di un Paese in via di sviluppo in un modo inusuale, perché fanno parte dell’Economia di Comunione: una rete internazionale di oltre 800 imprese impegnate a mettere in pratica la Dottrina Sociale della Chiesa. In una conferenza stampa durante il suo recente viaggio nelle Filippine, il Papa ha condannato la corruzione, parlando perfino di dare un calcio “dove non batte il sole”ai funzionari corrotti. La signora Ganzon ha parlato con il Risk & Compliance Journal su come il Bangko Kabayan sia cresciuto pur rimanendo fedele a questa dottrina, in una delle nazioni più corrotte del mondo. Quali sono i principali punti di frizione per un’impresa condotta secondo i principi della Dottrina Sociale cattolica nelle Filippine? «Il rispetto alle leggi è il primo punto di cui parliamo. Per esempio, la gente giustifica l’evasione dicendo che abbiamo politici corrotti che rubano, oppure che non si vedono benefici proporzionati per i cittadini, e quindi perché si dovrebbe sostenere il Governo con le proprie tasse? Pagare le tasse da noi è un segno di contraddizione, specialmente tra le piccole e medie imprese. Concussione e corruzione sono crescenti e purtroppo sono diventate prassi in alcuni uffici pubblici; così per un imprenditore sembra che l’unico modo per far sopravvivere la propria impresa sia fare come tutti e semplicemente considerare la tangente tra i “costi normali”». Questo contraddice la Dottrina Sociale e Papa Francesco. Come affrontate la corruzione congenita? «Un’azienda di Economia di Comunione sostiene l’adesione a standard etici ed è cosciente di avere una vocazione a cambiare il modo in cui le cose vengono fatte, per essere più in linea con i valori cristiani. Per esempio, alcuni anni fa, eravamo pronti per offrire un certo tipo di prestito che, eravamo sicuri, avrebbe avuto una grande domanda, buoni margini di guadagno, facile riscossione ecc… Ma quando ci siamo trovati davanti ad un burocrate del Governo la cui firma e collaborazione erano indispensabili per il processo di riscossione, e lui ci ha chiesto una percentuale sugli interessi che avremmo riscosso, abbiamo dovuto pensare ad un altro tipo di prestito. Inoltre, nelle Filippine, il pagamento delle tasse per le imprese grandi e piccole è sempre stato quasi inesistente. Abbiamo ricevuto un premio che ci certifica come una delle prime 5 aziende contribuenti, in una regione dove ci sono alcune industrie manifatturiere molto più grandi della nostra banca». Quindi avete rinunciato ad una opportunità di affair piuttosto che cedere alla corruzione? «Sì, ma allora abbiamo scoperto la microfinanza. Ci si orienta ai bisogni finanziari di un segmento della società considerato “fuori dal giro delle banche” e degli istituti di credito. Abbiamo sviluppato così un programma di microcredito e scoperto un segmento ancora più largo da servire, sebbene non così facile come il precedente. Spesso abbiamo dovuto rinunciare ad un’idea originale o ad un servizio che ci avrebbe dato buoni risultati solo perché qualcosa nel processo (come una “insignificante mazzetta”) sarebbe stata necessaria perché il prestito garantito fosse registrato. Ma così abbiamo avuto idee più originali su altri servizi in cui non è necessario corrompere qualcuno, finendo col servire un settore che altrimenti sarebbe rimasto scoperto. E questo solo perché abbiamo cercato a fondo altre alternative». Le critiche del Papa sulla finanza speculativa come hanno toccato la vostra impresa? «Lui parla di avere maggiore empatia per le persone più bisognose della società, e per noi, nell’area del microcredito, ci aiuta ad avere maggiore determinazione. È un campo di affari molto difficile, perché comporta molto lavoro sul campo e di solito i giovani, quando fanno domanda di lavoro in una banca, immaginano di venire a lavorare in un ambiente molto comodo, in una filiale con l’aria condizionata. Dopo alcuni mesi, decidono che non vogliono fare un lavoro così impegnativo. Così per noi, trovare le persone giuste che rimangano e amino il loro lavoro, proprio per l’empatia con i poveri, è una grande sfida. Non raggiungiamo gli standard di efficienza così facilmente ma, se si vuole rimanere nel mercato, non possiamo fare a meno di cercare almeno gli standard di una buona prestazione. Ma il messaggio del Papa è molto chiaro: il vero affare a cui non possiamo rinunciare è il servizio vitale per i poveri». Fonte: Wall Street Journal, dal blog di Gregory Millman Traduzione nostra (altro…)
Gen 30, 2015 | Cultura
Il volume di Chiara Andreola inaugura la nuova collana di narrativa “Passaparola”, rinnovata nel formato. Attraverso racconti autobiografici, temi scottanti e dolorosi della quotidianità: adolescenza, crisi di coppia, malattia, dipendenze, lutto, anoressia, trauma, si affrontano drammi, ferite e problemi attuali nei quali il lettore può ritrovarsi. Sono storie scritte con uno stile agile, piacevole e avvincente. Nella seconda parte del volume un esperto rilegge il racconto e fornisce chiavi di lettura utili, indicazioni pratiche, e prospettive concrete. Il primo della serie è “Fame d’amore”: come uscire dai disturbi del comportamento alimentare, sempre più frequenti, ma dannosi per la salute fisica e l’equilibrio psichico? «Ricordo il giorno in cui, vedendo la bilancia segnare 51 kg, ho chiamato mio fratello e l’ho abbracciato esultante saltellando per la gioia. Ecco, quello, se non l’inizio, è stato quantomeno una pietra miliare di questa storia». Chiara, neolaureata e aspirante giornalista, deve fare i conti con un senso di disagio nei confronti del cibo che diventa sempre più difficile da gestire e da comprendere. Girovagando su e giù per l’Italia e alle prese con coinquilini originali, evanescenti offerte di lavoro e una storia d’amore tutta da costruire, Chiara ci racconta, con autoironia e leggerezza, la storia della sua anoressia. Una storia che ci porta nel cuore di una piaga – quella dei disturbi del comportamento alimentare – sempre più diffusa e ancora poco conosciuta. Come si manifesta? Chi colpisce? Quali le cause più frequenti? Si può guarire? Il breve saggio di Silvia Della Casa, a corredo della storia di Chiara, aiuta a fare chiarezza sull’argomento. L’autrice: Chiara Andreola, veneta di nascita e friulana d’adozione, dopo aver vissuto in vari Paesi per studiare lingue straniere, la scuola di giornalismo a Milano e il lavoro a Roma a Città Nuova, ha lasciato la Capitale per andare a vivere a Udine con il marito Enrico. È giornalista professionista dal 2009. L’esperto: Silvia Della Casa. Medico Specialista in Endocrinologia e in Pediatria è Docente di Endocrinologia alla Scuola di Specializzazione e al Corso di Laurea di Dietistica dell’Università Cattolica. È autrice di numerose pubblicazioni scientifiche e diversi capitoli di libri e responsabile dell’Ambulatorio di Endocrinologia dell’alimentazione del Policlinico A. Gemelli di Roma.
Gen 30, 2015 | Chiara Lubich, Cultura

TV2000 intervista Jesús Morán e Patience Mollè Lobè sull’apertura della causa di canonizzazione di Chiara Lubich
Gen 30, 2015 | Parola di Vita
Volendo recarsi a Roma e da lì proseguire per la Spagna, l’apostolo Paolo si fa precedere da una sua lettera alle comunità cristiane presenti in quella città. In esse, che presto testimonieranno con un innumerevole numero di martiri la sincera e profonda adesione al Vangelo, non mancano, come altrove, tensioni, incomprensioni, e perfino rivalità. I cristiani di Roma presentano infatti una variegata estrazione sociale, culturale e religiosa. Vi sono persone provenienti dal giudaismo, dal mondo ellenico e dall’antica religione romana, forse dallo stoicismo o da altri orientamenti filosofici. Esse portano con sé proprie tradizioni di pensiero e convinzioni etiche. Alcuni vengono definiti “deboli”, perché seguono usanze alimentari particolari, sono ad esempio vegetariani, o si attengono a calendari che indicano speciali giorni di digiuno; altri sono detti “forti”, perché, liberi da questi condizionamenti, non sono legati a tabù alimentari o a rituali particolari. A tutti Paolo rivolge un pressante invito: “Accoglietevi perciò gli uni gli altri come anche Cristo accolse voi, per la gloria di Dio” Già precedentemente, nella lettera, era entrato nell’argomento rivolgendosi prima ai “forti”, per invitarli ad “accogliere” i “deboli”, “senza discuterne le opinioni”; poi ai “deboli” perché accolgano a loro volta i “forti” senza giudicarli, essendo stati loro stessi “accolti” da Dio. Paolo è infatti convinto che ognuno, pur nella diversità di opinioni e di usanze, agisce per amore del Signore. Non c’è dunque motivo di giudicare chi pensa diversamente, tanto meno di scandalizzarlo con un fare arrogante e con senso di superiorità. Quello invece che occorre avere di mira è il bene di tutti, la “edificazione vicendevole”, ossia la costruzione della comunità, la sua unità (cf 14, 1-23). Si tratta di applicare, anche in questo caso, la grande norma del vivere cristiano che Paolo aveva ricordato poco prima nella lettera: «Pienezza della Legge è la carità» (13, 10). Non comportandosi più «secondo carità» (14, 15), i cristiani di Roma erano venuti meno allo spirito di fraternità, che deve animare i membri di ogni comunità. L’apostolo propone come modello di accoglienza reciproca, quella di Gesù quando, nella sua morte, invece di piacere a se stesso, prese su di sé le nostre debolezze (cf 15, 1-3). Dall’alto della croce attirò tutti a sé, ed accolse l’ebreo Giovanni assieme al centurione romano, Maria Maddalena assieme al malfattore crocifisso con lui. “Accoglietevi perciò gli uni gli altri come anche Cristo accolse voi, per la gloria di Dio”. Anche nelle nostre comunità cristiane, pur essendo tutti «amati da Dio e santi per chiamata» (1,7), non mancano, al pari di quelle di Roma, disaccordi e contrasti tra modi di vedere diversi e culture spesso distanti le une dalle altre. Spesso si contrappongono tradizionalisti e innovatori – per usare un linguaggio forse un po’ semplicistico ma subito comprensibile –, persone più aperte e altre più chiuse, interessate a un cristianesimo più sociale o più spirituale. Le diversità sono alimentate da convinzioni politiche e da estrazioni sociali differenti. Il fenomeno immigratorio attuale aggiunge alle nostre assemblee liturgiche e ai vari gruppi ecclesiali ulteriori componenti di diversificazione culturale e di provenienza geografica. Le stesse dinamiche possono scattare nei rapporti tra cristiani di Chiese diverse, ma anche in famiglia, negli ambienti di lavoro o in quelli politici. Si insinua allora la tentazione di giudicare chi non la pensa come noi e di ritenersi superiori, in una sterile contrapposizione ed esclusione reciproche. Il modello proposto da Paolo non è l’uniformismo che appiattisce, ma la comunione tra diversi che arricchisce. Non a caso due capitoli prima, nella stessa lettera, parla dell’unità del corpo e della diversità delle membra, così come della varietà dei carismi che arricchiscono e animano la comunità (cf 12, 3-13). Il modello non è, per usare un’immagine di papa Francesco, la sfera dove ogni punto si trova equidistante dal centro senza che vi siano differenze tra un punto e l’altro. Il modello è il poliedro che ha superfici diverse tra loro e una composizione asimmetrica, dove tutte le parzialità mantengono la loro originalità. «Persino le persone che possono essere criticate per i loro errori, hanno qualcosa da apportare che non deve andare perduto. È l’unione dei popoli, che, nell’ordine universale, conservano la loro peculiarità; è la totalità delle persone in una società che cerca un bene comune che veramente incorpora tutti». “Accoglietevi perciò gli uni gli altri come anche Cristo accolse voi, per la gloria di Dio”. La parola di vita è un invito pressante a riconoscere il positivo che c’è nell’altro, almeno per il fatto che Cristo ha dato la vita anche per quella persona che sarei portato a giudicare. È un invito ad ascoltare lasciando cadere i meccanismi difensivi, a rimanere aperti al cambiamento, ad accogliere le diversità con rispetto e amore, per giungere a formare una comunità plurale e insieme unita. Questa parola è stata scelta dalla Chiesa evangelica in Germania per essere vissuta dai suoi membri ed essere loro di luce per l’intero 2015. Condividerla, almeno in questo mese, tra membri di varie Chiese, vuol essere già un segno di accoglienza reciproca. Potremo così rendere gloria a Dio con un solo animo e una voce sola (15, 6), perché, come disse Chiara Lubich nella cattedrale riformata di St. Pierre a Ginevra: «Il tempo presente […] domanda a ciascuno di noi amore, domanda unità, comunione, solidarietà. E chiama anche le Chiese a ricomporre l’unità infranta da secoli. E’ questa la riforma delle riforme che il Cielo ci chiede. E’ il primo e necessario passo verso la fraternità universale con tutti gli uomini e le donne del mondo. Il mondo infatti crederà se noi saremo uniti». Fabio Ciardi (altro…)
Gen 30, 2015 | Dialogo Interreligioso, Focolare Worldwide, Focolari nel Mondo, Spiritualità

Da sinistra: Natalia Dallapiccola, Peppuccio Zanghì, Luce Ardente
«Quando Luce Ardente iniziò a testimoniare l’Ideale dell’unità tra i monaci buddhisti, Giuseppe Maria Zanghì, Peppuccio per tanti, scomparso in questi giorni, lo definì “Un nuovo san Paolo per il buddhismo”. Sapendo quanto fosse difficile per un monaco far parte di un movimento cristiano e straniero, avevo nutrito dei dubbi a proposito della realizzazione concreta della sua affermazione. Dopo 20 anni esatti, posso dire che quelle parole si stanno avverando. Tutto è iniziato nel 1995, quando al centro del Movimento dei Focolari, un monaco buddhista faceva la sua prima comparsa: si chiamava, a quel tempo, Phramaha Thongrattana Thavorn. Era giunto a Roma per accompagnare un suo discepolo, Somjit, che stava facendo l’esperienza da monaco per un breve periodo prima del matrimonio, seguendo la tradizione di tutti i giovani buddhisti. Phra Mahathongrat, che vuol dire ‘oro fino’, conobbe in quell’occasione Chiara Lubich e ne fu molto impressionato. Anche lei fu colpita da questa persona e gli diede, su sua richiesta, un nome nuovo: Luce Ardente. Mai avevo notato in lui, in questi anni di frequentazione, una forza ed entusiasmo così forte come in questi giorni, nell’annunciare la fratellanza universale, l’ideale di ‘mamma Chiara’ (come ancora oggi la chiama). Oggi, in una cerimonia importante, alla quale Luce Ardente mi ha invitato, di fronte a più di 120 monaci, tra cui le più alte autorità buddhiste della regione, Luce Ardente ha chiesto la parola, dando spontaneamente, ma molto chiaramente la testimonianza della sua esperienza con Chiara Lubich e col Focolare e dicendo apertamente che lui è un membro della grande famiglia di Chiara sparsa in più di 120 nazioni con milioni di membri.
I monaci hanno ascoltato, per niente infastiditi: alcuni divertiti, altri interessati, qualcuno anche perplesso, come è normale in qualsiasi ‘comunità religiosa’. Prima, durante e dopo la cerimonia Luce Ardente, spesso al di là delle regole, ha voluto salutare ciascuno, manifestando il massimo rispetto ed affetto verso i monaci più anziani. Luce Ardente ama ripetere in questi giorni: «È giunto il momento per me di dire a tutti i buddhisti quanto mamma Chiara ha fatto di bene alla mia vita come monaco. Io sento che lei continua a darmi una spinta interiore ed una forza per portare a tutti l’ideale della fraternità tra tutti». La morte di Peppuccio – che tanto ha fatto per il dialogo interreligioso – , l’inizio del processo di beatificazione di Chiara, sono momenti forti ed importanti, non solo per noi cristiani ma per tutti i membri del Movimento. Luce Ardente ebbe a dire, all’indomani del 14 Marzo del 2008, giorno in cui Chiara lasciava questa terra: «Chiara non appartiene più a voi cristiani solamente, ma ora lei e il suo ideale sono eredità dell’umanità intera». In questi giorni, direi speciali, questi fatti testimoniano che quelle parole di Peppuccio si stanno avverando sotto i nostri occhi. Seguendo via internet la cerimonia di apertura della causa di beatificazione di Chiara Lubich, Luce Ardente commenta: «Ora dobbiamo testimoniare, ancora di più, insieme, la santità di Chiara». (altro…)
Gen 28, 2015 | Chiesa, Spiritualità

Suor Mariella Giannini (seconda da sinistra) al Centro delle Religiose del Movimento dei Focolari in Grottaferrata, Roma.
Difendere la vita umana in condizione di fragilità. È ciò che anima le Suore ospedaliere del Sacro Cuore di Gesù, la famiglia di suor Mariella Giannini, religiosa che vive la spiritualità del Movimento dei Focolari e protagonista di questa storia. «Attraverso l’incontro con il carisma dell’unità di Chiara Lubich – racconta – sono riuscita a ricomporre la mia identità di religiosa nel carisma dell’Ospitalità, che è lo specifico del mio Istituto». Filippine, Spagna, Italia, sono le tappe che ha toccato nel suo cammino. La scoperta che Dio «ci ama immensamente» la segna fortemente; nonostante questo arriva presto un momento triste, uno di quelli che volentieri si eviterebbe, soprattutto dopo aver scelto una vita di donazione così impegnativa. «Si trattava di un forte dolore morale – confida suor Mariella -, un momento di prova, forse anche di tentazione. Sicuramente di lotta contro Dio. È arrivato improvviso il buio, è scesa in me la notte, insieme al silenzio di un mare oscuro e profondo, di un fiume limaccioso da attraversare. Ma dove vado a finire? Mi chiedevo. Non avevo futuro». Ricorda con emozione quei momenti duri e confessa che, nonostante il buio, non ha mai smesso di donarsi agli altri. «Mi è venuto incontro in modo inaspettato il grido di Gesù sulla Croce: “Dio mio, perché mi hai abbandonato? Colui che per assurdo è senza risposte, è stato la chiave al mio dolore e a quello di ogni dolore umano». Un passaggio delicato risolto non tanto con la forza di volontà, ma con l’abbandono fiducioso a Dio. «All’interno di ogni famiglia religiosa – continua suor Mariella – è inevitabile che ci siano dei problemi, perché l’egoismo non è mai estirpato del tutto. Ma certe cose cambiano dentro di te. L’ho sperimentato specialmente con i nostri collaboratori laici, che non vedo più come degli estranei, o peggio, solo dei dipendenti, ma nostri fratelli e sorelle con cui condividere il carisma e realizzare insieme nuovi progetti. Inoltre, Dio mi ha donato una nuova famiglia anche col Movimento dei Focolari. Il mio cuore si è dilatato. Il carisma dell’ospitalità e il carisma dell’unità sono diventati per me una unica forza, una dinamite che rinnova la casa di Dio, la Chiesa». Parla con cognizione di causa, perché i compiti da lei svolti sono stati diversi e delicati, non solo come superiora provinciale, ma anche in giro per il mondo. «Amore chiama sempre Amore – afferma con convinzione. – Ho potuto constatarlo e viverlo perché, dopo l’incarico di Provinciale per l’Italia del mio Istituto, sono stata inviata, come formatrice, tra le Juniores delle Filippine. La prima formazione è una fase delicata, affascinante e coinvolgente, ma con l’ascolto quotidiano e il dialogo reciproco ci si capisce. A questo livello, quando cioè accolgo la vita dell’altra in un rapporto da cuore a cuore, allora divento grembo per ogni sofferenza passata e presente. Vivere così mi fa superare ogni barriera di lingua, cultura e di generazione». Dalle Filippine si reca in Spagna per preparare le giovani suore ai voti perpetui. Tornata in Italia, a Viterbo, si occupa di un gruppo di ammalati psichici, alcolisti e di persone con disturbi del comportamento. Visita regolarmente i detenuti nel super-carcere della città: «Gesù dona grande gioia anche a questi ultimi perché è Lui per primo che ha scelto di essere l’ultimo, e quando questi due poli “Dio e uomo” s’incontrano, misteriosamente il rapporto s’illumina e i cuori si riscaldano». (altro…)
Gen 28, 2015 | Chiara Lubich, Spiritualità
http://vimeo.com/118008405 (altro…)