Giu 11, 2013 | Focolare Worldwide, Focolari nel Mondo
«La prima festa, il primo viaggio, il primo appuntamento, il primo ballo… non si dimenticano mai! le prime volte, avvenimenti che quando li ricordiamo ci commuovono, regalandoci un sorriso o una lacrima. Cosi come già mi succede ricordando la mia prima Mariapoli, da poco conclusa. Avevo ricevuto l’invito da un caro amico e, nonstante dubbi e incertezze, ho deciso di partecipare. Quando sono arrivato a Esmeraldas – città abitata prevalentemente da afrodiscendenti, con tradizione, cucina e ritmo particolari – conoscevo forse 10 persone delle 350 che partecipavano alla Mariapoli, sentendomi perciò un “perfetto estraneo”. Ho dovuto condividere la stanza con due sconosciuti, pregando che non russassero, e poi ho partecipato a riunioni, tavole rotonde, momenti di incontro con persone mai viste prima… ma ascoltando le loro esperienze, i loro sogni, la maniera in cui cercavano la loro felicità e quella dei loro prossimi, ho sentito la fiducia necessaria per lanciarmi anch’io a parlare di me.
Tra le varie meditazioni, quella che mi ha più colpito è stata una lettera che Giovanni Paolo II ha scritto a Chiara dove invita i membri del Movimento ad essere “apostoli del dialogo”. Come farlo? Ascoltando e aprendoci al prossimo. Mi è venuto in mente mio padre, che tra poco compirà 85 anni e sta rimanendo senza amici perchè tanti sono già in cielo. Ho capito che posso essere suo amico, ascoltandolo nelle cose che gli interessano: con lui non posso parlare di I-pad o Internet, ma ugualmente posso amarlo e stare più tempo con lui. l titolo della Mariapoli diceva: “L’altro da me un altro me”. Un’esperienza molto forte in questo senso è stata andare a visitare le detenute del carcere femminile e sentir cadere molti pregiudizi e indifferenze, scomprendo che sempre possediamo qualcosa da donare: l’amore. Ma la Mariapoli non è stata solo impegno e meditazioni, nel talent-night, dove ognuno donava i suoi talenti artistici, mi sono divertito come poche altre volte mi era successo. Inoltre, è stata splendida la Messa afro: la rappresentazione esatta della gioia che esiste nei nostri cuori quando partecipiamo ad un incontro con Dio.
Quando sono rientrato nella mia città, nonostante sia ritornato con lo stomaco vuoto – per non aver mangiato i famosi piatti tradizionali a base di pesce, come il corviches o l’encocao -, il mio cuore era completamente pieno di amore. Ci è stato detto che la Mariapoli inizia veramente quando torniamo a casa, nella nostra routine. Ho cercato, allora, di mettere in pratica quanto avevo imparato, in particolare cercando di vedere il volto di Gesù in tanti fratelli con cui avevo a che fare durante il giorno. Posso sicuramente affermare che quella di Esmeraldas è stata la mia prima Mariapoli, ma non sarà certo l’ultima».
Mariápolis Esmeraldas Flickr photostream Per info sulle Mariapoli nel mondo: www.focolare.org/mariapolis (altro…)
Giu 10, 2013 | Cultura
Crisi di coppia? Quali segnali non vanno sottovalutati? Come intervenire prima che sia troppo tardi? Il Volume, edito da Città Nuova, cerca di rispondere a questi interrogativi. Come una macchina. Senza il carburante, l’olio e un motore pienamente efficiente, non cammina. Le spie rosse del cruscotto si accendono segnalando che qualcosa non va; forse è un guasto di poca importanza, ma che può farsi serio. Diventa allora necessario intervenire prima che sia troppo tardi. È così anche per il rapporto di coppia. Si verificano talvolta incomprensioni, malintesi e dissapori che non vanno sottovalutati. Sono il segnale, dapprima irrilevante poi sempre più evidente, di una difficoltà tra i due. È importante fare attenzione a queste “spie dell’amore” per evitare che la crisi si aggravi. Quali sono i segnali più frequenti di una crisi imminente? Cosa fare e cosa non fare in questi casi? Con competenza e leggerezza insieme Ventriglia risponde con utili consigli pratici. Rino Ventriglia è neurologo, psicoterapeuta, analista transazionale, da sempre appassionato dell’uomo. È direttore della Scuola di Psicoterapia ad indirizzo analitico. Per Città Nuova con RitaDella Valle ha pubblicato Comunicare nella coppia (2011). (altro…)
Giu 10, 2013 | Chiara Lubich, Dialogo Interreligioso, Focolare Worldwide, Focolari nel Mondo, Spiritualità
Dopo aver parlato nei templi buddisti e nella moschea di Harlem, Chiara Lubich era felice di potersi rivolgere ai fratelli ebrei. “È con grande gioia — ha detto — che mi trovo oggi qui con loro, che fanno parte di una delle più grandi comunità ebraiche del mondo. Una grande gioia perché […] Non ho mai avuto la fortunata possibilità d’incontrare in numero così notevole coloro che, col Santo Padre Giovanni Paolo II, so essere i miei ‘fratelli maggiori’ ed onorarli ed amarli come tali». I 150 presenti hanno intonato Shalom, il canto della pace. Tutto si è svolto in un clima di cerimoniale sacro, ritmato dalle Parole di Dio dell’Antico Testamento e dalla percezione di assistere ad un avvenimento che – come è stato detto – ha il significato di “chiudere un’epoca e aprirne un’altra: quella dell’unità”. Di fronte, un grande candelabro dalle 7 braccia (la menorah) con le candele accese ad una ad una con solennità: la prima rappresenta la luce, la seconda la giustizia, la terza la pace, la quarta la benevolenza, la quinta la fratellanza, la sesta la concordia. Per accendere la settima, quella centrale, sono stati invitati Chiara e il presidente [della B’nai B’rith, dott. Jaime Kopec, ndr]: è la candela della verità, il sigillo di Dio, il cuore della vita. Appena accesa, Chiara s’è rivolta al presidente proponendogli di fare in questo momento un patto d’unità. E lui ha risposto: “questo è un patto”. Poi, nel suo discorso, in cui s’è rivolto a Chiara chiamandola “sorella”, ha voluto spiegarlo a tutti come “un patto di volerci bene, di fede nel guardare il futuro, di sotterrare i secoli d’intolleranza. Non è facile, ma solo i valorosi compiono imprese difficili”. “L’unità si fa nel rispetto della diversità – ha aggiunto Mario Burman [incaricato del dialogo interreligioso della B’nai B’rith, ndr] –. Comincia un tempo nuovo”. E rivolto direttamente a Chiara: “Chiara, l’Argentina ha bisogno del suo messaggio”. “Sono qui – ha affermato Chiara – con fratelli con i quali condividiamo un’autentica fede in un solo Dio ed abbiamo in comune il patrimonio inestimabile della Bibbia in quello che noi chiamiamo: l’Antico Testamento. Che fare? Che pensare? Se la semplice regola d’oro (fai agli altri ciò che desideri sia fatto a te) riesce a farci fraternizzare, se non sempre in Dio, almeno nella fede di un Essere superiore, con i fedeli di altre religioni, cosa potrà avvenire se il Signore incomincia a chiarire che è Sua volontà intrecciare anche fra noi, ebrei e cristiani, una relazione fraterna? (…) Mi sono lasciata illuminare da tante divine verità, che costellano la loro tradizione ebraica e che noi condividiamo. Verità che possono diventare cemento fra la nostra e la vostra vita spirituale. (…) Ho sognato così di poter vivere insieme queste verità e dare con la nostra profonda comunione, con la nostra collaborazione, una nuova speranza al mondo”. Tratto da “Le luci della menorah – con Chiara Lubich in Argentina e Brasile”, Città Nuova Ed., Roma, 1998, pp. 132,34. (altro…)
Giu 9, 2013 | Cultura, Focolari nel Mondo, Senza categoria
L’ONG MoveRSE, che ha sede a Rosario (Argentina), ha organizzato il 24 maggio scorso, nella sede della Borsa di Commercio, l’edizione 2013 del “Foro MoveRSE”. Si tratta di un convegno dedicato alla Responsabilità Sociale e Sostenibile (RSE) che ogni anno convoca responsabili dei settori imprenditoriali, governativi e civili, con l’obiettivo di confrontarsi sulle principali sfide che ogni gestione imprenditoriale deve affrontare in favore di uno sviluppo sostenibile, partecipativo e trasparente.
In quest’ambito e nel settore delle “Iniziative Sostenibili” – una serie di progetti presentati alle 300 persone presenti nell’Auditorio – Francisco Buchara, della Commissione Giovanile di Economia di Comunione (EdC) ha presentato l’originale progetto nato in Brasile nel 1991 e al quale aderiscono un migliaio circa di aziende in tutto il mondo.
“A differenza di altre imprese solidali – ha esordito Buchara – che prima producono e poi decidono come utilizzare gli utili (donarli, destinarli ad un progetto sociale, altre iniziative benefiche), le aziende di Economia di Comunione, sin dalla loro nascita puntano a generare ‘beni relazionali’. Cioè beni non materiali, non consumabili individualmente, ma legati ai rapporti interpersonali. Beni scarsi, quindi, che perché nascano hanno bisogno di almeno due persone, e che necessariamente generano reciprocità”. Buchara continua la sua esposizione definendo i pilastri dell’EdC: “…i poveri, i primi protagonisti dell’EdC che nasce, appunto, per ridurre il divario sempre più grande fra povertà e ricchezza; le aziende; i poli industriali; e una cultura della condivisione. Essa, sta a fondamento dell’EdC che vuole immettere nell’agire economico un nuovo modo di fare impresa”. Il giovane imprenditore sorprende quando spiega che “il progetto dell’EdC nasce da un carisma; come le banche che, come si sa, sono nate dal carisma francescano. Si può perciò affermare che i carismi sono importanti anche per l’economia, perché riescono a vedere prima e più lontano”.
Il suo intervento viene corredato dalla presentazione di due aziende che aderiscono all’EdC: una Agenzia di Turismo, Boomerang Viajes (di Buenos Aires), e Dimaco, importante centro di distribuzione di materiale da costruzione (di Paraná, città al nord est dell’Argentina). In comune hanno l’atteggiamento di porsi al servizio, dando origine ad una catena positiva. Un esempio? “Un giorno – racconta German Jorge di Dimarco – mi chiama al telefono il nostro principale concorrente per chiedermi di anticipargli del cemento perché gli altri fornitori non gli davano più credito; attraversava una situazione finanziariamente difficile. Per anni aveva scommeso forte sul mercato, anche mettendomi contro il muro. Avevo l’occasione di vendicarmi o di restare fedele alle scelte dell’EdC e cambiare i nostri rapporti. La felicità che ho provato quando mi sono deciso a dargli quanto mi chiedeva valeva per me molto di più del cemento. Ed è questo modo di rapportarci, anche con la concorrenza, che rafforza la nostra reputazione. E spesso ci vengono offerte nuove possibilità di lavoro, quasi senza bisogno di andare a cercarle”. (altro…)
Giu 8, 2013 | Chiesa, Focolare Worldwide, Focolari nel Mondo, Nuove Generazioni
«Dopo un’esperienza pastorale come viceparroco durata undici anni, il mio vescovo, prima di affidarmi la parrocchia, mi ha dato l’opportunità di trascorrere quattro mesi nella cittadella di Loppiano, nel Centro di formazione per noi sacerdoti diocesani. Qui mi sono trovato con una ventina di sacerdoti e seminaristi venuti da tante parti del mondo per vivere un’esperienza evangelica di comunione, nella linea della spiritualità dell’unità. Tra noi sacerdoti all’inizio non era facile comunicare a motivo della lingua. Ad esempio, quando è arrivato Yvon del Madagascar che parlava solo francese, per comunicare con lui dovevo tradurre dall’italiano all’inglese e Peter degli Stati Uniti dall’inglese al francese. Era laborioso, ma lo facevamo con tutta la fraternità possibile e ci siamo capiti benissimo. In questa scuola di vita tutto si fa in concordia: pregare, meditare insieme, lezioni ricche di approfondimento teologico, biblico, pastorale nei più diversi ambiti; ma anche lavorare in giardino, in cucina, lavare i pavimenti, tradurre in varie lingue, insegnare l’italiano, giocare a calcio… Questo non limitarsi alle attività tipiche del prete per fare anche tanti lavori manuali, come ha fatto per trent’anni Gesù a Nazareth, fa di questo corso una vera scuola integrale.
Servire – ad esempio – la domenica alla mensa, assieme a religiosi e laici che condividono questa esperienza, accogliere con un bel pranzo i numerosi visitatori di Loppiano, apparecchiare e poi lavare le pentole, i piatti, ecc… una mole di cose che, solo insieme agli altri, si riesce a fare: anche con gusto. È solo un particolare delle attività che si svolgono qui, ma per me era tutto nuovo ed è stato un bell’insegnamento. Il fatto di lavorare dal lunedì al venerdì nella falegnameria, mi ha fatto apprezzare in un modo diverso il sabato e la domenica, come fa la mia gente in parrocchia. Per lavorare nell’artigianato (verniciatura, lisciatura, lavorazione del legno) è stato necessario imparare ad usare bene la vista, l’udito e il tatto; e a dosare la forza muscolare, altrimenti si rischia di rovinare i pezzi o i macchinari. L’artigianato è una scuola di attenzione e delicatezza, caratteristiche fondamentali nella vita, specialmente nella vita di un prete. Anche la Messa quotidiana ha acquistato un sapore diverso. Ad esempio offrire il lavoro al momento dell’offertorio è una cosa molto più concreta quando ti fa male la schiena perché hai passato la mattinata chinato a zappare la terra o a levigare un legno… Inoltre, sbrigare i lavori di casa tutti insieme mi ha aiutato a superare il pressapochismo. Certe cose le avevo sempre fatte ma, confrontandomi con gli altri, ho scoperto che c’è un modo migliore di farle. E cioè che non basta fare il bene, bisogna farlo bene! Mi sento molto arricchito da questi pochi mesi vissuti in una “scuola integrale” di vita. Il lavoro manuale mi ha fatto capire di più la vita della mia gente, e che cosa significhi testimoniare la fede sul luogo di lavoro. Ed ho riscoperto il sacerdozio regale di ogni cristiano che deve essere alla base del mio sacerdozio ministeriale. (Tratto dalla rivista di vita ecclesiale Gen’s) (altro…)
Giu 7, 2013 | Chiesa, Focolari nel Mondo
Sono originario del Brasile, quinto di una famiglia di sei figli, di cui due nati dal matrimonio precedente di mio padre, rimasto vedovo. Avevo appena un anno quando il babbo se n’è andato di casa, lasciando la mamma incinta e senza la possibilità di lavorare perché noi eravamo ancora piccoli. Siccome non avevamo dei parenti vicini e nostro padre non contribuiva al nostro sostentamento, la situazione è diventata critica. In pratica non avevamo niente da mangiare, e tanti conti da pagare! La mamma ha deciso di vendere alcuni mobili di casa per supplire ai bisogni immediati e siamo rimasti solo con l’essenziale. Uno dei miei fratelli acquisiti aveva un negozio alimentare dove lei prendeva ciò di cui avevamo bisogno per mangiare. Ma poiché non avevamo come pagarlo, lui un giorno si è portato via il frigorifero. Per lo stesso motivo, ci hanno tagliato prima la luce e poi anche il gas. Per anni abbiamo vissuto usando delle lampade a olio e cucinando con il fuoco a legna. Spesso alcuni vicini di casa ci sono venuti in aiuto, col poco di cui disponevano.

Lizomar Dos Santos
Intanto, nostro padre ha avuto altri tre figli con un’altra donna. Per noi è stato molto duro non avere il suo amore, ma la mamma ci ha sempre insegnato a rispettarlo come nostro padre. Quando lo vedevamo, lei ci diceva: “Quello è vostro padre, andate da lui a chiedere la benedizione”. Fino ai diciotto anni ho fatto il venditore ambulante. Spesso mi nascondevo quando vedevo un amico, perché mi vergognavo. Ho fatto anche il contadino e il muratore. Poi, nel 2000, mi hanno convocato per lavorare come volontario presso il Ministero della Giustizia dove, vedendo il mio impegno, mi hanno assunto nella Segreteria del Tribunale. Sono riuscito anche a finire i miei studi e a laurearmi in Lettere. Un giorno, un amico mi ha invitato ad un incontro del Movimento dei Focolari di cui faceva parte. Lì ho scoperto che Gesù, che aveva sofferto e vissuto l’abbandono in croce, poteva dare significato al mio soffrire personale e a quello della mia famiglia. Ho creduto che tutto poteva avere un senso e che il mio dolore era servito per fare di me una persona più umana, sensibile al soffrire degli altri. Questa scoperta mi ha condotto e mi conduce a un incontro personale con Dio, al quale ho deciso di donare la mia vita, servendo i fratelli nella strada del focolare.
Video: Veglia di Pentecoste con Papa Francesco. Introduzione: Canti e testimonianze (contiene la testimonianza di Lizomar Dos Santos) (altro…)
Giu 6, 2013 | Cultura, Focolare Worldwide, Focolari nel Mondo, Spiritualità
«Insegno lingua italiana nella periferia nord di Parigi, una zona sfavorita dal punto di vista socio-economico, con una popolazione scolastica multiculturale. Alto è il traffico di droga. Normalmente qui arrivano insegnanti all’inizio della carriera, poi, acquisito punteggio, chiedono il trasferimento in scuole meno impegnative. Avrei potuto fare così, ma ho deciso di restare – sono qui da dodici anni – per dare ai ragazzi la stessa qualità di insegnamento delle migliori scuole di Parigi. All’inizio è stata dura. Sono stata insultata dagli studenti e, una volta mi hanno demolito l’auto a calci. Non sapendo come comportarmi, mi mettevo sulla difensiva…Poi pian piano ho imparato ad accogliere i miei alunni, anche attraverso il dialogo con le famiglie, nella certezza che la scuola è anche il luogo per vivere esperienze positive che aiutino la formazione umana. Molti colleghi arrivano impreparati in questa realtà: alcuni crollano psicologicamente, altri mandano continuamente gli studenti davanti al consiglio di disciplina. Cerco di sostenerli. Importante è aiutare i ragazzi a superare l’aggressività e a ritrovare una certa serenità in classe. Ci vuole tempo per comunicare in modo adeguato, far sentire loro che li rispetto e nello stesso tempo, porre dei limiti, ponendo sempre un’attenzione particolare a chi, attraverso un comportamento indisciplinato, manifesta difficoltà. Penso a S. che ha cinque fratelli dei quali uno portatore di handicap. Poiché la mamma lavora tutto il giorno se ne deve occupare lui. A scuola è demotivato. Sa che gli sono vicina perché riesca a superare il suo dolore, incoraggiandolo a dare il meglio di sé Valorizzare la partecipazione di tutti è una delle mie finalità. All’inizio dell’anno pongo delle regole. Per es.: nessuno ha il diritto di prendere in giro gli altri. Gradualmente si instaura un’atmosfera di rispetto, in cui ciascuno è libero di esprimersi. Costruire una buona lezione dipende da me, ma anche da loro se si impegnano a partecipare attivamente. Dal punto di vista didattico fondamentali sono i progetti culturali interdisciplinari che si concludono ogni anno con una gita scolastica finanziata, oltre che dagli enti preposti (Comune, Conseil général, banche), da piccole attività di autofinanziamento. Per i ragazzi uscire dal loro ambiente che li condiziona, li giudica e li emargina è un’esperienza bella, di fraternità; diventano quasi altre persone ed emerge il loro potenziale positivo. Y. ad esempio in classe è passivo, amorfo. Parlando con lui ho scoperto che gli insegnanti e il padre gli hanno detto per anni che era un buono a nulla e lui ha finito per crederci. In classe detesta la storia ma in Sicilia si è dimostrato sensibile alla bellezza artistica: è stato affascinato dal teatro greco di Taormina e dall’acquedotto romano di Siracusa. Non so se quello che faccio avrà un risultato positivo. Ho imparato a non aspettarmi subito i risultati. Anche quando un ragazzo non cambia, l’importante è continuare a credere in lui, non fermandomi su quello che non va, ma cogliere tutto il positivo che c’è in lui valorizzandolo e gratificandolo. Con molti colleghi poi, ho un buon rapporto. È importante ascoltare, parlare, condividere esperienze. Così per l’orientamento. Ad un alunno che voleva diventare cuoco ho detto: “ Hai la fortuna di avere le idee chiare. È raro. Sii ambizioso, punta ad avere un’ottima formazione”. È stato accettato in una delle migliori scuole di cucina di Parigi. Dandomi la notizia ha aggiunto: “Creerò delle ricette e una sarà un tiramisù dedicato a te”». (Maria Amata – Francia) (altro…)
Giu 5, 2013 | Focolari nel Mondo, Senza categoria
- Data di Morte:6/6/2013
- Branca di Appartenenza:volontaria
- Nazione:Libano
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Giu 5, 2013 | Cultura, Focolare Worldwide, Focolari nel Mondo, Nuove Generazioni, Spiritualità
«Siamo arrivate alla Mariapoli Piero (Nairobi, Kenya) la mattina del 10 maggio, accolte come sanno fare gli Africani: sorrisi e abbracci gratuiti per tutti! Questo perché al centro delle loro giornate c’è la persona, e lo abbiamo scoperto attraverso le loro vite, i racconti delle loro tribù che ci sono state presentati durante la Scuola d’Inculturazione. È stato arricchente entrare in tutte queste culture, scoprirne i punti in comune e ciò che invece le distingue. Oltre a chi era giunto dai paesi dell’Africa subsahariana, erano presenti una quindicina di giovani provenienti dai paesi vicini al Kenya: Uganda, Tanzania, Burundi, Ruanda, ma anche Madagascar, Zambia, Angola, Malawi…due dal Sudamerica che vivono per un periodo nella cittadella e noi 5: oltre me, Chiara, Giulia, Aurelio e Paula. Ci è stata spiegata la nascita del progetto e proposte due attività: raggiungere i Samburu nella Savana e vivere con loro 4 giorni intervistandoli e conoscendone le radici e il perché della loro cultura; prestare il proprio aiuto fra il centro nutrizionale di Madare, slum di Nairobi, e Njabini, villaggio a 2600 metri di altezza. In un gruppo di 8 abbiamo deciso per la seconda attività. Il primo giorno siamo stati accolti in una cappella di latta, di giorno centro nutrizionale e di sera Tempio di Dio. La realtà dello slum è pesante, c’è una condizione di miseria assoluta, un degrado sociale che tocca il disumano, eppure si innalza la dignità della persona che non molla e che si aggrappa a quell’unica certezza: Dio Amore. Alcune suore italiane, missionarie a Madare dagli anni Settanta, ci hanno confermato quanto sia forte la fede, e quanto questa porti all’aiuto reciproco. La stessa responsabile del centro nutrizionale è nata e cresciuta nello slum; ora, abbracciata la spiritualità dell’unità, ha messo in piedi questa attività dove, oltre ad assicurare un’istruzione minima e due pasti al giorno, insegna ai bambini l’arte di amare attraverso il dado dell’amore. Questi, arrivati a casa, irradiano tutta la famiglia sfidandosi a vicenda in una gara d’amore che rende anche la vita spiritualmente più piena.
Il giorno seguente a Njabini. Dopo 3 ore di viaggio, siamo stati accolti da una famiglia composta da Mama Julia, Papa Joseph, Mary, Absunta e Anthony, originari della tribù Kikuyu. Siamo stati con loro 3 giorni, aiutando nei lavori domestici, nei campi e con il bestiame. L’ultima sera, durante un momento di condivisione, ho proprio sentito che quella era ormai diventata la mia famiglia, e non mi sono più sentita una “mzungu” (bianca) in mezzo a loro! E mama Julia ci ha confidato: “Prima che arrivaste pensavo di avere quattro figli, ora sento di averne 8 in più!”. Sento di non essere tornata, perché credo che i viaggi siano di sola andata. Qualcosa in me è cambiato per sempre: sono arricchita di una cultura diametralmente opposta alla mia, e più consapevole dei punti di forza e di debolezza del mio modo di vivere. Una cosa è sicura, ho fatto della filosofia dell'”Ubuntu” la mia filosofia di vita: posso realizzarmi come persona solo nel momento in cui entro in relazione con l’Altro e lo metto al centro della mia vita. Che poi, in fondo, si tratta di quell’amore al fratello predicato da un Tale più di duemila anni fa e che la nostra Chiara ci ha puntualmente ricordato». (Elena D. – Italia) (altro…)
Giu 4, 2013 | Chiesa, Focolare Worldwide, Focolari nel Mondo, Spiritualità
Ribeirao Preto, nuovo polo tecnologico, 700 000 abitanti. Negli ultimi anni sono tante le persone che migrano da altri Stati del Brasile in cerca di lavoro. Sorgono nuovi condomìni, ciascuno con migliaia di persone. È il caso della parrocchia di P. Luis, dove nell’aprile 2011 si è costruito un grande condominio residenziale, con la capacità di 4000 persone. Insieme i parrocchiani hanno deciso di muovere il primo passo verso i nuovi abitanti, prima ancora che arrivassero, perché avessero subito a chi rivolgersi. Ricorda P. Luis: «In quel periodo era in corso la beatificazione di Giovanni Paolo II la cui vita, per noi, rappresenta tutto ciò che desideriamo per la nostra comunità: aperta al dialogo con tutti, accogliente, disponibile al perdono». Decidono così di affidarsi alla sua protezione «cercando di improntare la nuova comunità sulla vita del Vangelo secondo la spiritualità dell’unità di Chiara Lubich». Si parte dal dialogo, e si arriva a condividere i propri beni: «Ci riunivamo in uno degli appartamenti del condominio. Ma il numero dei partecipanti cresceva, così abbiamo affittato un piccolo salone, che poi sarebbe diventato la nostra cappella dove, col permesso del vescovo, abbiamo la presenza costante di Gesù Eucarestia. Per potere pagare l’affitto di questo locale, i membri della comunità hanno iniziato a fare una comunione dei beni».
Sono nate anche delle attività remunerative, come ad esempio una cooperativa che raccoglie materiali riciclabili. Il ricavato si divide in 2 parti: per chi vi lavora e per l’affitto del locale. Altri hanno cominciato a vendere hot dog, dando una parte del ricavato per le spese della cappella. Continua il parroco: «La vendita degli hot dog avviene in un quartiere frequentato anche da spacciatori di droga. Chi va a vendere gli hot dog cerca di mettere davanti a tutto l’amore al prossimo, accogliendo ciascuno e ricordando la parola di Gesù: “Avevo fame e mi avete dato da mangiare”. Questo ha fatto si che tanti si avvicinino alla cappella e partecipino delle attività che vi si svolgono». E ancora, il caffè dopo la Messa la domenica mattina: «Finita la Messa, mettiamo fuori un tavolo con caffè, tè, dolci…. La gente si avvicina e si parla di tanti argomenti. È un bel momento di scambio di esperienze, conoscenza reciproca e condivisione di difficoltà e gioie». «Stiamo iniziando nella cappella anche un lavoro di catechesi dove cerchiamo che i bambini non solo conoscano Dio ma si sentano amati da Lui, anche nelle difficili condizioni di vita in cui a volte si trovano. Tutti i mesi ci incontriamo con quelli che vogliono partecipare e animare la comunità. Sono sempre momenti gioiosi di dialogo intenso e fraternità». Un lavoro impegnativo, quello di P. Luis e dei suoi parrocchiani, ma fruttuoso. Come andare avanti? «Siamo spronati a continuare – conclude il don – perché vediamo che cresce l’aiuto reciproco e la gente sente che il condominio è davvero la casa di tutti». (altro…)