Movimento dei Focolari
Amore e misericordia nella Bibbia e nel Corano

Amore e misericordia nella Bibbia e nel Corano

9-12 ottobre Convegno Islamo-Cristiano

servizio del Tg2

album fotografico

«Amore e misericordia nella Bibbia e nel Corano» In concomitanza con il Sinodo dei Vescovi sulla Parola, oltre 200 cristiani e musulmani da vari Paesi si incontrano per approfondire il dialogo della vita basato sull’Amore e sulla Misericordia centrali nella spiritualità dell’unità

La città luogo della fraternità SESSIONE APERTA DEL SABATO 11 OTTOBRE (ore 16-18) Iniziative e testimonianze di cristiani e musulmani insieme, a livello politico, educativo, e sociale, realizzate in varie città d’Italia, Stati Uniti, Maghreb, Libano e Macedonia

comunicato stampa n. 17.10.2008

comunicato stampa n. 210.10.2008

comunicato stampa n. 3 – 11.10.2008

Interventi Sessione aperta

Intervento Vera Araujo

Intervento Educazione Annalisa Gasparini – Croazia

Intervento Educazione Aziz Shehu – Macedonia

Intervento Dialogo Città Layachi e Inglese – Veneto

Intervento Politica Marco Fatuzzo – Sicilia

Intervento Diversi… ma uno Baztami Fazzini – Teramo

Interventi del convegno

Amore e misericordia nel Corano e nella Sunna – Imam Kamel Layachi, Comunità islamica del Veneto

Amore e misericordia nella Bibbia – Padre Fabio Ciardi

La Regola d’oro nella spiritualità dell’unità – Michele Zanzucchi

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ottobre 2008

Ti è mai capitato di ricevere da un amico un dono e di sentire la necessità di contraccambiare? E di farlo non tanto per sdebitarti, quanto per vero amore riconoscente? Certamente sì. Se succede a te così, puoi immaginare a Dio, a Dio che è Amore. Egli ricambia sempre ogni dono che noi facciamo ai nostri prossimi in nome suo. E’ un’esperienza che i cristiani veri fanno molto spesso. Ed ogni volta è una sorpresa. Non ci si abitua mai all’inventiva di Dio. Potrei farti mille, diecimila esempi, potrei scriverne un libro. Vedresti quanto è vera quell’immagine “una misura buona, pigiata, colma e traboccante ti sarà versata nel grembo”: che significa l’abbondanza con cui Dio contraccambia, la sua magnanimità. “Era già scesa la notte su Roma. E in quell’appartamento seminterrato l’esiguo gruppo di ragazze, che volevano vivere il Vangelo, si davano la buona notte. Ma ecco il campanello. Chi era a quell’ora? Un uomo che si presentava alla porta nel panico, disperato: il giorno dopo l’avrebbero sfrattato di casa con la famiglia, perché non pagava l’affitto. Le ragazze si guardarono ed in un muto accordo, aprirono il cassettino dove, in buste distinte, avevano raccolto il residuo dei loro stipendi e un deposito per le bollette del gas, del telefono, della luce. Diedero tutto a quell’uomo, senza ragionare. Quella notte dormirono felici. Qualcun altro avrebbe pensato a loro. Ma ecco che non è ancora l’alba. Il telefono squilla. ‘Vengo subito con un taxi’, dice la voce dell’uomo. Meravigliate per la scelta di quel mezzo, le ragazze attendono. La faccia dell’ospite dice che qualcosa è cambiato: ‘Ieri sera, appena tornato a casa, ho trovato un’eredità che non avrei mai immaginato di ricevere. Il cuore m’ha detto di farne a metà con voi’. La somma era esattamente il doppio di quanto avevano generosamente dato”.

«Date e vi sarà dato: una misura buona, pigiata, colma e traboccante vi sarà versata nel grembo»

Ne hai fatto anche tu l’esperienza? Se non è così, ricordati che il dono va fatto disinteressatamente, senza speranza di ritorno, a chiunque chiede. Prova. Ma fallo non per vedere il risultato, ma perché ami Dio. Mi dirai: “Ma io non ho nulla.” Non è vero. Se vogliamo abbiamo tesori inesauribili: il nostro tempo libero, il nostro cuore, il nostro sorriso, il nostro consiglio, la nostra cultura, la nostra pace, la nostra parola per convincere chi ha a dare a chi non ha… Mi dirai ancora: “Ma non so a chi dare.” Guardati attorno: ti ricordi di quell’ammalato in ospedale, di quella signora vedova sempre sola, di quel compagno rimandato così avvilito, di quel giovane disoccupato sempre triste, del fratellino bisognoso d’aiuto, di quell’amico in carcere, di quell’apprendista esitante? E’ in loro che Cristo ti aspetta. Assumi il comportamento nuovo del cristiano – di cui è tutto impregnato il Vangelo – che è quello dell’anti-chiusura e dell’anti-preoccupazione. Rinuncia a mettere la tua sicurezza nei beni della terra e poggiati su Dio. Qui si vedrà la tua fede in Lui, che sarà presto confermata dal dono che ti tornerà. Ed è logico che Dio non si comporta così per arricchirti o per arricchirci. Lo fa perché altri, molti altri, vedendo i piccoli miracoli che raccoglie il nostro dare, facciano altrettanto. Lo fa perché più abbiamo, più possiamo dare; perché – da veri amministratori dei beni di Dio – facciamo circolare ogni cosa nella comunità che ci circonda, finché si possa dire come della prima comunità di Gerusalemme: non v’era fra loro nessun povero . Non senti che con questo concorri a dare un’anima sicura alla rivoluzione sociale che il mondo s’attende?

«Date e vi sarà dato»

Certamente Gesù pensava in primo luogo alla ricompensa che avremo in Paradiso, ma quanto avviene su questa terra ne è già il preludio e la garanzia. Chiara Lubich (altro…)

Una sfida culturale

Dopo il fallimento della Washington Mutual, che si aggiunge ai fallimenti di banche e fondi americani delle settimane recenti, è ormai chiaro che ci troviamo di fronte alla crisi finanziaria più grave dopo quella del ventinove. Basti pensare che la somma che Henry Paulson ha chiesto al Congresso americano di stanziare per rilevare e cancellare i titoli “tossici” delle banche ammonta a 700 miliardi di dollari, una cifra pari al 5 per cento del Pil degli Stati Uniti. Siamo dunque vicini alla fine del capitalismo? Forse no, ma è probabile che siamo di fronte alla fine di un certo capitalismo finanziario e speculativo – cresciuto troppo e male negli ultimi due decenni – di cui la crisi attuale è solo una (e non l’unica) eloquente espressione. Una crisi le cui cause hanno radici profonde, nel sistema finanziario ma anche negli stili di vita e di consumo. Una prima causa è lo snaturamento del ruolo e della funzione della banca e della finanza. Le istituzioni bancarie e finanziarie sono indispensabili nell’economia moderna. La banca è stata, e continua a essere, una cinghia di trasmissione sociale tra generazioni (il risparmio di un adulto consente un investimento per un giovane) e tra famiglie e imprenditori. La banca, e la finanza, sono quindi istituzioni essenziali per il bene comune. Le prime banche popolari sono state infatti i Monti di Pietà dei francescani, inventati nel Quattrocento, come mezzo per liberare i poveri dal cappio dell’usura. La malattia del capitalismo contemporaneo è la progressiva trasformazione delle banche da istituzioni a speculatori. Lo speculatore è un soggetto il cui scopo è massimizzare il profitto. L’attività che svolge non ha alcun valore intrinseco, ma è solo un mezzo per far arricchire gli azionisti. L’economista Yunus, Nobel per la pace, fondatore della Grameen Bank, una delle innovazioni finanziarie più interessanti dell’ultimo secolo, ha più volte affermato che nell’economia di mercato l’accesso al credito è un diritto fondamentale dell’uomo, poiché senza questo diritto le persone non riescono a realizzare i propri progetti e a uscire dalle tante trappole della miseria. Se questo è vero allora la banca speculatrice deve essere l’eccezione e non la regola dell’economia di mercato, se non altro perché i prodotti che la banca gestisce sono sempre ad alto rischio. Va infatti notato che la crisi attuale non è stata scatenata dalle banche ordinarie, ma dalle banche d’affari, soggetti fortemente speculativi. Può sembrare paradossale, ma la natura della banca è vicina a un’impresa nonprofit e non a quella dello speculatore. L’impresa nonprofit (come le università o i teatri) è un’istituzione che ha un vincolo di efficienza e di economicità, che non ha come scopo il profitto ma gli interessi di molti soggetti. Non è certo un caso che, dai Monti di Pietà alle banche cooperative, la banca si è pensata anche come impresa senza scopo di lucro, perché tanti erano gli interessi che doveva soddisfare. Ciò che i fallimenti, e ancor più i salvataggi, di questi giorni stanno insegnando che la banca è un’istituzione con un grande valore sociale e con una grande responsabilità:  non può essere lasciata al gioco rischioso della massimizzazione dei profitti degli azionisti, a causa della pluralità di interessi che essa deve contemperare. La nuova e più attenta regolamentazione dei mercati finanziari, che tanti economisti auspicano, va nella direzione di riconoscere alle banche una responsabilità sociale che negli ultimi decenni è andata smarrita, nonostante una crescita esponenziale di strumenti di stima del rischio e di agenzie di rating. Ma dietro questa crisi c’è anche una patologia del consumo delle famiglie, che dal capitalismo americano si sta estendendo a tutto l’occidente opulento. L’eccessivo indebitamento delle famiglie americane ha creato un terreno fragile che è crollato sotto il peso della crisi dei mutui subprime. I mutui sulla casa si sono infatti aggiunti a tutta una serie di debiti in una cultura che privilegia il consumo qui e ora e che ha dimenticato il valore, anche etico, del risparmio. Nessuno nega che entro certi limiti il debito delle famiglie possa essere virtuoso per l’economia e per il bene comune. In realtà, sempre più spesso il consumo è sollecitato e drogato da un sistema economico e finanziario, complici i media, che induce le famiglie a indebitarsi al di là delle reali possibilità di restituzione del debito. L’istituzione finanziaria che presta troppo e alle persone sbagliate non è meno incivile di quella che presta troppo poco alle persone giuste. La crisi attuale può dunque essere anche una grande occasione per una riflessione profonda sugli stili di vita insostenibili che l’attuale capitalismo finanziario ha determinato:  non si tratta di immaginare un’economia senza banche e senza finanza. La banca e la finanza sono troppo importanti per lasciarle ai soli speculatori. Una buona società non si fa senza banche e senza finanza, ma con una buona banca e una buona finanza. La storia della finanza europea ha da secoli dato vita a istituzioni bancarie “a movente ideale”, che hanno umanizzato l’economia moderna. Occorre che anche oggi fioriscano imprenditori e banchieri animati da scopi più grandi del solo profitto. Senza questi nuovi attori non ci sarà democrazia né economica né politica. La sfida è allora soprattutto culturale e antropologica e per essere vinta richiede l’impegno di tutti e di ciascuno. Dentro e fuori i mercati. di Luigino Bruni Università Milano-Bicocca coordinatore del progetto dell’Economia di Comunione (Focolari) (©L’Osservatore Romano – 28 settembre 2008)

Il perdono a qualunque prezzo

Sia mio marito che i miei figli sono alcolizzati. Fino ad un anno fa, Tom il più grande conviveva con una ragazza. Tutti e due si sono trovati ad essere non solo alcolizzati, ma anche tossicodipendenti. E’ stato circa un anno fa che mio figlio è tornato a casa perché non andava più d’accordo con la donna con cui viveva. Intanto, però, era nato un bambino. L’idea di questo nipotino mi dava tanta pena perché la sua situazione era dolorosissima. Io ne incolpavo la madre e un giorno, incontrandola per la strada, l’ho apertamente accusata di tante cose. Ci siamo lasciate con tanta amarezza da ambo le parti. Inutile dire che tornando a casa mi sentivo colpevole di non aver amato. E tutte le giustificazioni che cercavo di darmi, il ripetermi che in fondo avevo ragione, che l’avevo fatto per mio nipote, non mi davano pace. Qualcosa dentro di me mi spingeva a chiamarla per chiedere scusa, anche se trovavo la cosa molto difficile. Non sapevo neanche se mi avrebbe ascoltata. In realtà, quando io mi sono scusata con lei, è stata poi lei a scusarsi con me. Alcune settimane dopo questo episodio, Dorothy è stata messa in prigione. Le cose andavano di male in peggio, e io, preoccupata per la situazione del nipotino, provavo un forte risentimento verso i genitori che l’avevano messo al mondo in quella situazione. Non essendo sposati, il bambino sarebbe stato affidato allo Stato. Il risentimento dentro di me cresceva di ora in ora, eppure le parole di Gesù sul perdono non mi davano pace. Dovevo amare anche Dorothy, qualunque cosa fosse successa a mio nipote. Dopo vari sforzi, finalmente la Parola ha fatto breccia nel mio animo ed è stato con un’anima nuova che sono andata a trovarla in prigione: mi ha abbracciata, commossa. Credo abbia sentito che sono andata per amarla ed accettarla così com’era. E’ stata lei a parlarmi del bambino e a chiedermi se potevo tenerlo io. Così la custodia legale del nipotino è passata a mio figlio e ambedue adesso sono sotto il mio tetto. Mi è sembrato il centuplo promesso da Gesù a chi cerca il suo Regno, facendo la sua volontà, il frutto dell’essermi impegnata ad amare, fino in fondo. (J.S. – USA) (altro…)

La difficile situazione in Orissa

Il communalism – come in India si definisce l’intemperanza religiosa – soprattutto dopo l’indipendenza, aveva visto come protagonisti di scontri, spesso sanguinari, indù e musulmani. Solo in qualche occasione – come nel 1984 per l’uccisione di Indira Gandhi – la violenza era esplosa fra gruppi diversi: tra indù e sikh. I cristiani sono entrati nel mirino solo da qualche anno; ma, non lo si può negare, con una escalation preoccupante. La cosa di fatto è nuova, in un mondo come quello del subcontinente indiano che da sempre si propone come modello di armonia e tolleranza e dove il cristianesimo, sin dai tempi di San Tommaso non è quasi mai stato oggetto di persecuzione. Ciò che sta accadendo in Orissa è espressione di una problematica assai complessa. Lo Stato, infatti, è caratterizzato da una popolazione di 36 milioni di persone a grande maggioranza indù, con piccole minoranze di cristiani (2,4 per cento) e di musulmani (2 per cento). Dopo quelli del Nord-Est, l’Orissa è lo Stato indiano con più forte presenza tribale, circa il 25 per cento della popolazione. Proprio i gruppi tribali – adivasi, si chiamano – caratterizzati da religioni tradizionali, fortemente radicate nella presenza dell’Assoluto nella natura, sono oggetto del contenzioso fra le diverse religioni. Da una parte, l’induismo ha da sempre esercitato una serie di meccanismi socio-culturali per inglobare la religiosità tradizionale nelle diverse espressioni del mondo indù. Si tratta di un processo millenario che sociologi definiscono oggi di “sanscritizzazione” e di “brahminizzazione”. Dall’altra, nell’ultimo secolo i missionari cristiani si sono rivolti proprio a queste porzioni di popolazione per assicurare loro una promozione sociale e una dignità che non avevano, o che era stata persa. L’assistenza medica, la difesa dei diritti umani e la scolarità sono i tre cardini della testimonianza cristiana. Sebbene i cristiani siano una piccolo minoranza, i gruppi fondamentalisti percepiscono la conversione come una minaccia all’identità nazionale. I gruppi della Sangh Parivar, convergenti nella linea politica del Bharatya Janata Party (Bjp), sono i promotori della hindu rashtra, la costituzione di una nazione degli indù. Swami L. Saraswati, il leader indù assassinato, era da anni paladino di tale politica, culminata ancora negli anni Novanta nell’uccisione brutale di un missionario australiano laico, con i suoi due figli, bruciati vivi all’interno della loro jeep, e nei numerosi scontri e uccisioni del dicembre scorso. Nonostante paia che il crimine sia stato commesso da guerriglieri maoisti (i naxaliti), che controllano buona parte del territorio dello Stato, e i vescovi delle cinque diocesi dell’Orissa abbiano immediatamente diramato una nota di cordoglio a condanna del brutale assassinio del leader indù colpito nel suo ashram, la reazione violenta si è diretta contro i cristiani. «Qui la maggioranza vorrebbe eliminare la croce – ha affermato mons. Cheenath, arcivescovo di Bubhaneswar – ma le sue radici sono troppo profonde ed il cancro dell’intemperanza non prevarrà. La Chiesa continuerà ad essere luce per molte generazioni future».

Settembre 2008

“Amate i vostri nemici”. Questo sì che è forte! Questo sì che capovolge il nostro modo di pensare e fa dare a tutti una sterzata al timone della propria vita!
Perché, non nascondiamocelo: qualche nemico… nemichino, nemicone lo abbiamo tutti.
E’ lì dietro la porta dell’appartamento accanto, in quella signora così antipatica e intrigante, che cerco sempre di sfuggire ogni volta che minaccia di entrare con me nell’ascensore…
E’ in quel mio parente che trent’anni fa ha recato un torto a mio padre, per cui gli ho tolto il saluto…
Siede dietro il tuo banco di scuola e mai, mai l’hai guardato in faccia, da quando t’ha accusato al professore…
E’ quella ragazza che ti era amica e poi ti ha piantato in asso per andar con un altro…
E’ quel commerciante che t’ha imbrogliato…
Sono quei tali che in politica non la pensano come noi, per cui li dichiariamo nostri nemici. (…)
Come c’è, e c’è sempre stato, chi vede nemici i sacerdoti e odia la Chiesa.
Ebbene, tutti questi e un’infinità di altri che chiamiamo nemici, vanno amati.
Vanno amati?
Sì, vanno amati! E non credere che ce la possiamo cavare semplicemente mutando il sentimento d’odio in un altro più benevolo.
C’è di più.
Senti cosa Gesù dice:

“Amate i vostri nemici, fate del bene a quelli che vi odiano, benedite coloro che vi maledicono, pregate per coloro che vi trattano male”.

Vedi? Gesù vuole che vinciamo il male col bene. Vuole un amore tradotto in gesti concreti.
Vien da chiederci: come mai Gesù dà un simile comando?
La realtà è che Lui vuole modellare la nostra condotta su quella di Dio, suo Padre, il quale “fa sorgere il sole sopra i malvagi e sopra i buoni e fa piovere sopra i giusti e sopra gli ingiusti” .
Questo è. Non siamo soli al mondo: abbiamo un Padre e gli dobbiamo assomigliare. Non solo, ma Dio ha diritto a questo nostro comportamento perché, mentre noi gli eravamo nemici, eravamo ancora nel male, Lui ci ha amato per primo , mandandoci suo Figlio, che morì in quella terribile maniera per ciascuno di noi.

“Amate i vostri nemici, fate del bene a quelli che vi odiano…”.

Questa lezione l’aveva imparata il piccolo Jerry, il bambino nero di Washington, che, per il quoziente alto di intelligenza, era stato ammesso ad una classe speciale con tutti ragazzi bianchi. Ma l’intelligenza non gli era bastata per far capire ai compagni che era uguale a loro. La sua pelle nera gli aveva attirato l’odio generale, tanto che il giorno di Natale tutti i ragazzi si fecero reciproci doni, ignorando Jerry. Il fanciullo ne pianse; si capisce! Ma arrivato a casa pensò a Gesù: “Amate i vostri nemici” e d’accordo con la mamma comprò doni che distribuì con amore a tutti i suoi “fratelli bianchi”.

“Amate i vostri nemici… pregate per coloro che vi trattano male”.

Che dolore quel giorno per Elisabetta, la ragazzina di Firenze, quando salendo i gradini per andare alla Messa si sentì deridere da un gruppo di coetanei! Pur volendo reagire, sorrise, ed entrata in Chiesa pregò tanto per loro. All’uscita la fermarono e le chiesero il motivo del suo comportamento che lei spiegò col fatto d’esser cristiana. Doveva quindi amare sempre. Lo disse con una convinzione infuocata. La sua testimonianza fu premiata: la domenica seguente vide tutti quei giovani in Chiesa, attentissimi, in prima fila.
Così i ragazzi prendono la Parola di Dio. Per questo sono grandi davanti a Lui. Forse conviene che anche noi sistemiamo qualche situazione, tanto più che saremo giudicati da come noi giudichiamo gli altri. Siamo noi infatti a dare in mano a Dio la misura con la quale Egli deve misurarci . Non gli chiediamo forse: “Rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori”?  Dunque amiamo il nemico! Solo agendo così si possono aggiustare disunità, abbattere barriere, si può costruire la comunità. 

E’ grave? E’ penoso? Non ci lascia dormire al solo pensarlo? Coraggio. Non è la fine del mondo: un piccolo sforzo da parte nostra, poi il 99 per cento lo fa Dio e… nel nostro cuore un fiume di gioia.

Chiara Lubich

Parola di vita, maggio 1978. Pubblicata su Essere la tua Parola, Chiara Lubich e cristiani di tutto il mondo, Roma 1980, p. 27-29.

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agosto 2008

Quanti prossimi incontri nella giornata tua – dall’alba alla sera – in altrettanti vedi Gesù.

Se il tuo occhio è semplice chi guarda in esso è Dio. E Dio è Amore e l’amore vuole unire conquistando.

Quanti – errando – guardano alle creature e alle cose per possederle! Ed il loro sguardo è egoismo o invidia o, comunque, peccato. O guardano dentro di loro per possedersi, per possedere la loro anima, e il loro sguardo è spento perché annoiato o turbato.

L’anima, perché immagine di Dio, è amore e l’amore ripiegato su se stesso è come la fiamma che, non alimentata, si spegne.

Guarda fuori di te: non in te, non nelle cose, non nelle creature: guarda al Dio fuori di te per unirti con lui.

Egli è in fondo ad ogni anima che vive e, se morta, è il tabernacolo di Dio che essa attende a gioia ed espressione della propria esistenza.

Guarda dunque ogni fratello amando e l’amare è donare. Ma il dono chiama dono e sarai riamato.

Così l’amore è amare ed esser amato: come nella Trinità.

E Dio in te rapirà i cuori, accendendovi la Trinità che in essi riposa magari, per la grazia, ma vi è spenta.

Non accendi la luce in un ambiente – pur essendovi la corrente elettrica – finché non provochi contatto dei poli.

Così la vita di Dio in noi: va messa a circolare per irradiarla al di fuori a testimoniare Cristo: l’uno che lega Cielo a terra, fratello a fratello.

Guarda dunque ad ogni fratello donandoti a lui per donarti a Gesù e Gesù si donerà a te. E’ legge d’amore: “Date e vi sarà dato” (Lc 6,38).

Lasciati possedere da lui – per amore di Gesù -, lasciati “mangiare” da lui – come altra Eucaristia -; mettiti tutto al servizio di lui, che è servizio di Dio, ed il fratello verrà a te e t’amerà. E nel fraterno amore è il compimento d’ogni desiderio di Dio che è comando: “Io vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri” (Gv 13,34).

L’amore è un Fuoco che compenetra i cuori in fusione perfetta.

Allora ritroverai in te non più te, non più il fratello; ritroverai l’Amore che è Dio vivente in te.

E l’Amore uscirà ad amare altri fratelli perché, semplificato l’occhio, ritroverà sé in essi e tutti saranno uno.

E attorno a te crescerà la Comunità: come attorno a Gesù dodici, settantadue, migliaia…

E’ il Vangelo che affascinando – perché Luce in amore – rapisce e trascina.

Poi morrai magari su una croce per non esser dappiù del Maestro, ma morrai per chi ti crocifigge, e così l’amore avrà l’ultima vittoria.

Ma la sua linfa – sparsa pei cuori – non morrà.

Frutterà, fecondando, gioia e pace e Paradiso aperto.

E la gloria di Dio crescerà.

Ma tu sii quaggiù l’Amore perfetto.

Chiara Lubich

Pubblicata sul giornale “La Via”, 12 novembre 1949, e ripresa in parte su: Chiara Lubich, La dottrina spirituale, Roma 2006, p. 134-135.