Movimento dei Focolari
Sorelle nell’amore a Gesù in croce

Sorelle nell’amore a Gesù in croce

di Giovanni Coppa, Cardinale  – su L’Osservatore Romano del 4 aprile 2008 Hans Urs von Balthasar pubblicava nel 1950 uno studio su santa Teresa di Lisieux e, nel 1953, uno su Elisabetta della Trinità, riuniti in un volume nel 1970 col titolo Schwestern im Geist, tradotto quattro anni dopo in italiano dalla Jaca Book. Il grande teologo svizzero voleva raffrontare le due straordinarie personalità mistiche del Carmelo della fine del secolo XIX:  “Ambedue – scriveva – cercano di obbedire perfettamente alla propria missione, ma ciascuna delle due deve lasciarsi completare dal messaggio dell’altra. Esse si additano a vicenda, formano le due emisfere, che, messe insieme, costituiscono il mondo spirituale del Carmelo nella sua globalità” (H.U. von Balthasar, Sorelle nello Spirito, Milano 1975 2, p.10). Quasi coetanee, Teresa era morta nel 1897 a ventiquattro anni, Elisabetta nel 1906, a ventisei.

Una profonda affinità spirituale

Un’affinità spirituale profonda unisce, ai tempi nostri, anche le figure di altre due grandi personalità della storia religiosa del secolo scorso, Madre Teresa di Calcutta e Chiara Lubich, anch’esse quasi coetanee:  Gonxha Bojaxhiu, in religione Teresa per la devozione che aveva a santa Teresa di Gesù Bambino, nata nel 1910, morta a ottantasette anni nel 1997; Chiara Lubich, nata nel 1920, e, da poco meno di un mese, chiamata all’eternità, a ottantotto anni. Non si vuole certamente anticipare in alcun modo per quest’ultima il giudizio della Chiesa, ma credo che un loro raffronto spirituale possa essere di grande interesse. Anch’esse hanno corrisposto a fondo alla missione loro affidata dalla Volontà di Dio, come iniziatrici di un solco fondamentale di spiritualità e di azione nelle istituzioni, pur tanto diverse, da esse iniziate; e sono anch’esse complementari per il messaggio che trasmettono con tanta efficacia alla Chiesa del Terzo Millennio. Ed è l’amore a Gesù, assetato sulla Croce, abbandonato nella solitudine assoluta del Calvario per ricondurre gli uomini al Padre in un dono d’amore, incomprensibile fuori della logica di Dio. Nella Veglia pasquale scorsa, Papa Benedetto XVI ha dato un’interpretazione di singolare acutezza e profondità  del passo di Ebrei, 13, 20:  “Il Dio della pace ha fatto tornare dai morti il Pastore grande delle pecore in virtù del sangue di un’alleanza eterna”. (… continua )

Natalia Dallapiccola, la prima che ha seguito Chiara Lubich, ha concluso il suo viaggio terreno

Poche ore prime della “partenza” aveva meditato su una pagina di Chiara, che aveva modellato la sua vita: “Ho una sola madre sulla terra, Maria Desolata… nel suo stabat, il mio stare, nel suo stabat, il mio andare…”. A chi gliel’ha letta, la sua piena adesione e  gratitudine: “Sì, era proprio quello che volevo”. Natalia Dallapiccola era nata in un paesino sui monti trentini, Fornace, il 27 giugno 1924.  Incontra Chiara a Trento, dove vive con la famiglia, nel giugno 1943.  Sta attraversando una crisi profonda in seguito alla morte del padre e all’infuriare della guerra.  Deve interrompere gli studi e lavorare per aiutare la famiglia. “Pian piano la musica, la natura, le amicizie perdevano il loro valore. Mi sono trovata in un buio profondo, sino a credere che l’amore in terra non esistesse”. Chiara la colpisce per l’armonia esteriore e interiore e per le sue parole con cui comunica la sua grande scoperta, “Dio è amore”: “…Ma se l’amore è la cosa più che bella che esiste sulla terra, che cosa sarà Dio che l’ha creato?”.  Dirà lei stessa:  “Mi sentivo portare su, su, in Dio. Vedevo tutta la vita passata con le sue circostanze gioiose e dolorose, come legate dal filo d’oro del suo amore; e nell’anima la certezza che Dio mi amava immensamente. Questo immenso e personale amore di Dio aveva capovolto la mia vita”. Natalia è con Chiara nel primo focolare di Trento, in piazza Cappuccini. Poi la segue a Roma. Nell’Est europeo – Avrà un ruolo determinante, nel 1959, nella fondazione del focolare di Berlino Ovest. Sarà parte del primo gruppo che varca il muro, nel 1962, insieme a focolarine e focolarini medici chiamati dal vescovo di Lipsia a prestare la loro opera nell’ospedale cattolico della città, carente di personale sanitario per le fughe in occidente. Il suo segreto era la fedeltà alla scelta di rivivere Maria Desolata, nel suo  “stabat” ai piedi della croce nel momento in cui Gesù lancia al Padre il grido di abbandono. Riconosceva ed amava il suo volto che si presentava ad ogni passo. Natalia era di sostegno a chi condivideva con lei l’impegno a costruire l’unità in ogni ambiente. Un fatto che  sconcertava e  si  rivelava “contagioso”. Ha sorpreso trovarlo documentato nei rapporti della Stasi, la polizia segreta tedesca: si parla  del  “programma del Movimento ‘Fucolar’ di creare “una forte unità religiosa nonostante le opinioni nazionali diverse”. Era una corrente d’amore che passava da persona a persona. Dialogo interreligioso – Dal 1976 è al Centro del Movimento. Ha la salute seriamente compromessa. Nel 1977 non può seguire Chiara a Londra, dove è invitata a ricevere il premio Templeton per il progresso della religione. Per il sorprendente interesse mostrato al racconto dell’esperienza spirituale della fondatrice dei Focolari da parte dei rappresentanti delle varie religioni presenti nella Guildhall, quell’evento segnerà il momento fondante del dialogo interreligioso che si aprirà nel Movimento. Da Londra Chiara le telefona, affidando a lei questa nuova pagina con una consegna: “Amali!”. E’ ciò che ha fatto in tutte le occasioni, come alle assemblee generali della Conferenza mondiale delle Religioni per la Pace (WCRP), in cui rappresentava Chiara. Sono rapporti profondi che costruisce con vari leader del mondo ebraico, musulmano, induista, buddista ecc. Natalia prepara così gli sviluppi che nasceranno dal loro incontro con Chiara. Formazione spirituale – Sin dall’inizio per la particolare profondità con cui vive la spiritualità dell’unità, svolge un compito importante per la formazione spirituale dei membri del Movimento. Chiara aveva soprannominato Natalia, “Anzolon” (in dialetto trentino significa “angelo”), per l’amore sempre vivo in lei verso tutti, vissuto con la radicalità degli inizi.

Zavoli ricorda la Lubich: «Mistica in tempi di ideologia»

«Una mistica dell’unità “tra cielo e terra”». Così Sergio Zavoli, mostro sacro del giornalismo italiano, parla al Riformista di Chiara Lubich, scomparsa ieri dopo una vita interamente dedicata al movimento dei Focolari da lei fondato prima del Concilio Vaticano II. Un movimento ecclesiale riconosciuto per la prima volta da Giovanni XXIII nel 1962: presente oggi in 87 nazioni, 780 comunità sparse in tutto il mondo, 140 mila membri attivi e oltre 4 milioni di aderenti. Un movimento segnato da tre concetti chiave: unità, pace e dialogo tra popoli e culture. Un movimento che, come ha ricordato ieri il Papa, ha avuto origine da una donna «la cui vita è stata segnata instancabilmente dal suo amore per Gesù abbandonato». Zavoli era amico personale della Lubich: «Per me – spiega – è stata la mistica dell’unità “tra cielo e terra”, cioè di quella trascendenza anche verso il basso, verso la “santa materia” di cui aveva parlato Teilhard de Chardin, il gesuita scienziato e teologo che, in quell’incontro, vedeva il “punto omega” della reciprocità tra Dio e l’uomo». Fu durante la seconda guerra mondiale che Silvia Lubich scelse – come spiegò lei stessa – “Dio amore”. Decise di cambiare il suo nome in Chiara, in onore della santa di Assisi. Allo sconquasso e alla divisione della guerra in atto si trovò a contrapporre, senza averlo preordinato con calcoli o progetti studiati a tavolino, la “spiritualità dell’unità”: Dio è amore e il suo amore deve innervare ogni ambito della società scardinando le divisioni. Tra questi ambiti, quello privilegiato del dialogo tra Chiese cristiane e tra religioni diverse. Una “spiritualità dell’unità” proposta anche al mondo dell’economia, con un’adesione internazionale di migliaia di aziende. Spiega Zavoli: «Non a caso Chiara, tra i mistici moderni, sarà ricordata come la punta più alta dell’ecumenismo, in sintonia con l’“ut unum sint” scelto da papa Wojtyla a simbolo del famoso “spirito di Assisi”, in base al quale può dirsi che da nessuna cattedra e pulpito, da nessuna panca e stuoino, una preghiera – se autentica – può pretendere di salire più in alto di tutte le altre». Spirito di unità, dunque, al centro del carisma della Lubich. Un carisma che Chiara si è misteriosamente “trovato addosso”. Era il 7 dicembre 1943 quando, sola in una cappella, fece a Dio la promessa di donarsi per sempre. Fu il giorno in cui cambiò nome. Fu la data che poi segnò l’inizio del suo movimento ecclesiale. I focolari, secondo Zavoli, «la metafora del vivere (non solo dell’esistere) insieme – cioè spirito e scopo esemplarmente rappresentati dalla famiglia – sono annuncio e ascolto, parola e traduzione, segno e senso dell’opera di Chiara, nella quale non a caso Madre Teresa di Calcutta vide una singolare reciprocità, seppure diversamente manifestata, rispetto alla sua stessa opera». Per Chiara, infatti, «si è trattato di rimettere insieme i frammenti dell’indivisibile, cioè l’uomo, e ricomporre le fratture del condivisibile, cioè la comunità». Chiara fu una donna profetica per il suo tempo. Visse in pieno Novecento. Fece sue le istanze più significative di quegli anni, cambiandole, innervandole di uno spirito diverso, cristiano. «Quando il pensiero di Chiara cominciò a precisarsi – conclude Zavoli – correvano tempi intrisi di ideologia. Si diceva, tra l’altro, che “il comunismo era la parte di dovere non compiuto dei cristiani”; qualcuno spinse l’azzardo fino ad assimilare la predicazione di Chiara, religiosa e laica, a un sentimento sommariamente e ingenuamente comunistico, su cui il bigottismo si esercitò a lungo.  In realtà, il suo “teologo e amico” Piero Coda, presidente dei teologi italiani, cita spesso la frase di Chiara: “Dovete essere, tutti, l’uno la madre dell’altro”. Non era un’astrazione, un abbandono misticheggiante: era la sua religione “tra cielo e terra”. O viceversa».

Rassegna Stampa locale italiana

Oltre 500 gli articoli apparsi sulla stampa regionale in questo mese. La rassegna stampa che segue è quindi del tutto parziale… Chiara profeta, messaggera ed apostola: soprattutto con queste parole è stata disegnata la figura di Chiara per la Chiesa e la società attuale. «Chiara, astro del secolo » (L’Eco di Bergamo, 19.3), «Profeta del dialogo tra le religioni» (La Provincia di Cremona, 15.3; Il Verbano, 22.3), «a lei il Signore consegnò il dono della profezia, lo stesso che riconosciamo nell’esempio di tanti personaggi di cui è ricca la storia di questi duemila anni» (Provincia Granda, 21.3);  «messaggera di pace e dialogo» (L’informazione di Reggio Emilia, 15.3; Gazzetta d’Asti, 21.3), «missionaria dell’unità e dell’ecumenismo» (Bresciaoggi, 15.3). «Un astro lucente dell’amore divino, per una spiritualità che ha precorso i tempi» (La Sicilia, 19.3); «Tra le braccia di Dio l’apostola dell’unità» (L’Ora del Salento, 22.3). «Chiara Lubich non c’è più ma la sua opera resta e si proietta nel futuro come una forza d’amore irresistibile, quella di una creatura che ha fatto della propria esistenza una testionianza evangelica» (Latina oggi, 17.3), «profeta dolce, eroe della carità» (Trentino, 19.3). Di Chiara si dice «una vita all’insegna dell’unità […] i focolari stanno dentro la storia con lo sguardo in avanti. Una spiritualità proiettata su un orizzonte infinito, però con i piedi per terra» (La Voce del Popolo, 28.3), «Un apostolo dell’amore […] missionaria dell’unità e dell’ecumenismo» (L’Arena, 15.3), «messaggera di Unità» (Il Giornale della Toscana, 15.3); «il sogno: l’umanità unita» (La Nazione, il Resto del Carlino, 15.3); «profeta di un mondo migliore […] una grande stella è salita in cielo a indicare la via dell’unità, della fraternità, della pace» (Il Tirreno, 15.3) «testimone di fede ecumenica […] sorella del mondo» (Il Giorno, 15.3; Il Resto del Carlino, 17.3); «vita che testimonia Cristo risorto» (Corriere di Romagna, 25.3); «una vera testimone del nostro tempo che si è prodigata per la pace e la solidarietà» (Il Corriere di Firenze, 18.3). Chiara «portatrice di un rovente messaggio d’amore, infuocata dall’amore di Gesù» (Il Sannio, 15.3). La vita di Chiara è inestricabilmente connessa con quella del Movimento dei Focolari, da lei fondato: «fondatrice dell’Opus Mariae […] che ha vissuto per la comunione nella Chiesa, maestra del dialogo» (Il Centro, 15.3; Il Gazzettino, Calabria ora, 15.3); «fondatrice di un movimento laico che ha come fine la realizzazione dell’unità tra le persone, come richiesto da Gesù secondo il racconto del Vangelo di Giovanni, da cui consegue una precisa vocazione ecumenica oltre che al dialogo in altri settori della cultura» (L’Unione Sarda, 14.3); «la sua forza fu proprio cercare ciò che unisce, costruire ponti e legami […] è un simbolo della costruzione della pace nel mondo e dell’unità dei popoli» (La Voce dei Berici, 23.3); e ancora «la trentina più famosa nel mondo, fondatrice di un movimento antesignano nel dialogo interreligioso e macroecumenico, pure noto per l’economia di comunione» (Trentino, 23.3); «fondatrice del Movimento dei Focolari è stata sicuramente una delle grandi personalità di questi tempi, che ha attraversato e illuminato con la luce del suo carisma. Non c’è stato conflitto, divisione, difficoltà che Chiara Lubich  non sia riuscita ad affrontare costruendo ponti e rapporti di fraternità» (La Repubblica ed. Napoli, 16.3). Chiara ha condotto «una pacifica rivoluzione evangelica […] che l’ha portata al dialogo con chiunque» (Braidese, 22.3); «voce della spiritualità che nutre la fratellanza» (Giornale di Brescia, 15.3). Il profilo femminile di Chiara è stato ripercorso con enfasi. Chiara, «una donna che porta la Chiesa e il Vangelo nel mondo moderno» (Il Giornale dell’Umbria, 15.3, Corriere Adriatico, 15.3; La Provincia di Como, 19.3), «la semplicità di una donna eccezionale, per un amore che valica ogni confine» (Toscana oggi, 23.3); «una grande donna, perché ha saputo fare della sensibilità tipicamente femminile, della disponibilità di ascolto dell’altro e di comunicazione profonda dei sentimenti, un carisma capace di agire nella società e nella Chiesa, e di trasformarle radicalmente dall’interno. Non una rivoluzione armata, non uno scontro di poteri, non la rivendicazione di verità assolute o di ideologie indiscutibili, ma la capacità di aprirsi all’altro, chiunque esso sia, a qualunque religione, credo politico, estrazione sociale appartenga, e condividerne la strada insieme» (L’Adige 15.3); «l’eredità di Chiara è il suo amore» (Verona fedele, 23.3); «luce per il mondo, un impegno per la fratellanza fra tutti i popoli» (Il Popolo di Concordia-Pordenone), «”madre” dei focolarini, una donna al servizio della pace» (Giornale di Sicilia, 15.3), «una madre che non lascia i figli tristi; anzi, c’è la consapevolezza che niente si fermerà» (La Sicilia, 19.3). «Personalità straordinaria, una donna che ha fatto del dialogo e della solidarietà una vera e propria scelta di vita» (La Nazione di La Spezia, 15.3); «Donna di Dio impegnata tra gli uomini» (Corriere delle Alpi, 15.3); «una vita tutta spesa per l’unità» (Il Cittadino di Genova, 23.3). Da più parti si fa riferimento alla santità di Chiara: «Una grande santa del Novecento»; «Santa subito»; «Santa Donna» (Corriere del Trentino, Il Resto del Carlino, Gazzetta del Sud, Il Sannio); «Chiara Lubich, il dono che Dio ha fatto alla Chiesa e al mondo» (L’Eco di Bergamo, 15.3). Questa «figura molto amata, è stata un esempio luminoso» (Gazzetta di Parma, 15.3; Libertà di Piacenza, 17.3; Nuovo Molise, Ciociaria oggi, Il Centro, Il Mattino di Padova, 14-23.3). a cura di Alberto Lopresti

aprile 2008

Infine in noi sarà effuso uno spirito dall’alto; allora il deserto diventerà un giardino e il giardino sarà considerato una selva“. Così inizia il testo da cui è tratta la Parola di vita di questo mese. Il profeta Isaia, nella seconda metà dell’VIII secolo avanti Cristo, annuncia un futuro di speranza per l’umanità, quasi una nuova creazione, un nuovo “giardino”, abitato da diritto e giustizia, capaci di generare pace e sicurezza.
Questa nuova èra di pace (shalom) sarà opera dello Spirito divino, forza di vita capace di rinnovare la creazione, e insieme sarà frutto del rispetto del patto tra Dio e il suo popolo e tra i componenti del popolo stesso, essendo inseparabili comunione con Dio e comunità degli uomini.

“Effetto della giustizia sarà la pace, frutto del diritto una perenne sicurezza”

Le parole di Isaia richiamano la necessità di un impegno serio e responsabile nel seguire le norme comuni della convivenza civile che impediscono l’individualismo egoistico e il cieco arbitrio, favoriscono la coesistenza armoniosa e l’operosità finalizzata al bene comune.
Sarà possibile vivere secondo giustizia e praticare il diritto? Sì, a condizione di riconoscere in tutte le altre persone dei fratelli e delle sorelle e se vedremo l’umanità come una famiglia, nello spirito della fraternità universale.

E come vederla tale senza la presenza di un Padre per tutti? Egli ha già iscritto la fraternità universale, per così dire, nel DNA di ogni persona. La prima volontà di un padre è infatti che i figli si trattino da fratelli e sorelle, si vogliano bene, si amino.
Per questo il “Figlio” per eccellenza del Padre, il Fratello di ogni uomo, è venuto e ci ha lasciato come norma del vivere sociale l’amore vicendevole. È espressione dell’amore rispettare le regole della convivenza, compiere il proprio dovere.

L’amore è la norma ultima di ogni agire, quella che anima la vera giustizia e porta la pace. Le nazioni hanno bisogno di leggi sempre più adeguate alle necessità della vita sociale e internazionale, ma soprattutto hanno bisogno di uomini e donne che ordinino nel proprio intimo la carità. Quest’ordine è giustizia, e solo in quest’ordine le leggi hanno valore.

“Effetto della giustizia sarà la pace, frutto del diritto una perenne sicurezza”

Come vivremo dunque la Parola di vita durante questo mese?
Impegnandosi di più ancora nei doveri professionali, nell’etica, nell’onestà, nella legalità.
Riconoscendo negli altri persone della stessa famiglia che attendono da noi attenzione, rispetto, vicinanza solidale.
Se a base della tua vita, nei tuoi rapporti con il prossimo, metterai la mutua e continua carità (che precede tutte le cose), quale più piena espressione del tuo amore verso Dio, allora la tua giustizia sarà proprio grata a Dio.

“Effetto della giustizia sarà la pace, frutto del diritto una perenne sicurezza”

Un vigile urbano del Sud dell’Italia, per una scelta di condivisione con le persone più disagiate della città, ha deciso di risiedere con la famiglia in uno dei quartieri di nuova formazione: le strade sono sterrate, non c’è l’illuminazione pubblica, non esiste la rete idrica né quella fognaria, di servizi sociali e trasporto pubblico neanche a parlarne.

«Abbiamo cercato di creare con ciascuna famiglia e abitante del quartiere – racconta – un rapporto di conoscenza e di dialogo, tentando di ricucire lo strappo tra i cittadini e l’amministrazione pubblica. Pian piano i circa tremila abitanti del quartiere sono diventati soggetti attivi nel rapporto con le istituzioni pubbliche attraverso un comitato creato appositamente.
Si è giunti ad ottenere dall’amministrazione regionale lo stanziamento pubblico di una forte somma per il risanamento del quartiere, diventato ora un quartiere-pilota, che ha dato vita ad attività formative per i rappresentanti di tutti i comitati di quartiere della città».

Chiara Lubich

“E la Parola divenne carne”: per una catechesi-vita

  Un decisivo salto di qualità del rinnovamento della catechesi è auspicato da tempo nella Chiesa. Diffusa è l’urgenza di passare da una catechesi “su Gesù”, dove sono prevalenti i contenuti dottrinali ad una catechesi  che conduca all’incontro vivo con lui, attraverso un itinerario di maturazione nella fede, lungo tutti gli stadi della vita. E’ questo l’obiettivo del Convegno internazionale per catechisti, promosso dal Movimento parrocchiale dei Focolari. E’ ben espresso dal titolo: “E la Parola divenne carne” – per una catechesi-vita. Vi partecipano oltre 800 catechisti aderenti al Movimento dei Focolari, laici e sacerdoti, dai 5 continenti.  Il convegno, infatti,  è incentrato sulla Parola vissuta che ha caratterizzato sin dagli inizi la vita del Movimento dei Focolari, in sintonia con il prossimo Sinodo dei Vescovi. Questa esperienza ha influito anche sul modo di fare catechesi in cui sono impegnati numerosi membri e aderenti dei Focolari nelle Chiese locali dei diversi Paesi. Da questa esperienza si prospetta la novità e l’apporto che il carisma dell’unità può offrire alla catechesi per renderla sorgente di vita evangelica. Dopo aver tracciato una  panoramica sulla catechesi nel mondo, con interventi dall’Africa, Corea, Argentina, Germania e Italia, grande spazio è dedicato alle esperienze realizzate in parrocchie di vari paesi.  Come quella raccontata da don Innocent Thibaut, del Burundi: vivendo la Parola i catechisti sono diventati veri animatori delle comunità, aiutandole ad essere “famiglia di Dio”, con un influsso anche sulla società civile. Dagli interventi si sta delineando una catechesi che conduce al passaggio da una catechesi come preparazione ai sacramenti e quindi rivolta soprattutto a fanciulli e ragazzi, ad un itinerario permanente di maturazione nella fede che abbraccia tutta la vita; dalla trasmissione prevalente di contenuti dottrinali alla comunicazione di esperienze di fede vissuta; da una catechesi individuale ad una catechesi comunitaria; da una catechesi di “conservazione” ad una catechesi aperta alla dimensione evangelizzatrice e missionaria.

Rassegna Stampa Internazionale

L’universalità del messaggio di Chiara emerge anche dalla vasta eco della sua scomparsa avuta nei media di tutto il mondo. Il prestigioso The Times inglese scrive: «I Focolari sono una rete internazionale formata da piccole comunità, i cui membri, sia sposati che single, sono votati all’ideale dell’unità tra le nazioni, le religioni e le razze. La organizzazione ha avuto un impatto rivoluzionario sulla stagnante situazione della Chiesa del suo tempo. Molte delle sue innovazioni: l’importanza del laicato, il ritorno alle Scritture, una liturgia gioiosa con melodie moderne, l’importanza di amore e unità, hanno anticipato di vent’anni la direzione indicata dal Concilio Vaticano II». Sempre a Londra, The Guardian paragona Chiara Lubich a Madre Teresa di Calcutta. Sono le uniche due donne che hanno avuto influenza sul mondo vaticano fatto di soli uomini. Parte del fascino di Chiara Lubich deriva dal fatto che non fu una tipica leader cattolica. È sempre fuggita da qualsiasi culto della personalità e le persone che si sono unite ai Focolari sono diventate parte di qualcosa che è cresciuto naturalmente». Dalla California, il Los Angeles Times, evidenzia come, sull’esempio di Chiara, «non sia necessario essere preti o suore per vivere una vita pienamente cristiana». Dalla costa atlantica, «invece che scegliere un convento – scrive il The New York Times –, Chiara ha messo in evidenzia l’idea della pari dignità del laicato cristiano. E in una Chiesa dove gli uomini hanno un ruolo predominante, Chiara Lubich, in un’intervista rilasciata nel 2003… ha raccontato che una volta ha chiesto a Giovanni Paolo II se si sentisse a disagio se negli statuti del Movimento dei focolari fosse previsto che il presidente fosse sempre una donna. “Magari!”, rispose il papa». Anche Le Monde da Parigi evidenzia la laicità dei Focolari e la sua apertura al dialogo: «Il carisma e la sua volontà di condividere la sua esperienza con più gente possibile hanno portato i Focolari ad aprirsi al dialogo ecumenico e agli scambi interreligiosi». Un altro quotidiano francese, La Croix, aggiunge: «Chiara Lubich è immersa nel nostro secolo e non ne uscirà più, con una spiritualità di comunione originale e profondamente mariana. Scrisse una volta: “Fare dell’unità un trampolino di lancio per costruirla dove non c’è, e proprio lì realizzarla”». In Brasile Canção Nova Noticias afferma che Chiara è una delle personalità con-temporanee più rispettate: «Ella afferma l’importanza dell’unità come “segno dei tempi”: unità tra le persone, tra le razze, tra cristiani di varie confessioni e tra le re-ligioni. Unità è la parola chiave dei focolarini, il cui obiettivo è dare il proprio contributo a far sì che l’umanità sia una grande famiglia». Commozione anche in Argentina. Nel giornale Los Andes leggiamo che «il governo argentino ha espresso il suo dolore per la morte di Chiara Lubich, considerata una bandiera del dialogo interreligioso in tutto il mondo. Il ministro del culto Guillermo Oliveri, in una nota ufficiale, ha evidenziato come la dimensione spirituale di questa grande donna continua nella testimonianza quotidiana di migliaia di focolarini che continuano la sua opera, per rendere visibile il carisma dell’unità di tutti gli uomini proposta da Dio». Nella Gaceta Tucumán argentina i Focolari sono considerati uno dei più importanti movimenti del cristianesimo sorti nel XX secolo. «È nato – leggiamo – nell’alveo della Chiesa cattolica, però lavora con tutte le Chiese cristiane. La meta dei Focolari è portare lo spirito dell’unità e la fratellanza in tutti gli ambiti della vita umana. La parola focolare viene dalla lingua italiana e significa fuoco. Ci ricorda la sicurezza che offre una famiglia». Sul Philippine Star, nelle Filippine, William Esposo sottolinea l’impatto sociale che ha avuto il Movimento dei focolari con le molte opere realizzate a favore dei poveri, frutto non di un’organizzazione ma di uno stile di vita evangelico: «Chiara se ne è andata, ma ci ha lasciato una preziosa eredità, una vita basata sull’amore che, se vissuto da tutti quelli che l’hanno seguita, crea un cambiamento nelle nostre vite e nella società». Nello spagnolo El País si riconosce il carisma personale della fondatrice dei Focolari: «Tutti avvertono la sua assenza, perché Chiara Lubich, è una delle più grandi figure del cattolicesimo con-temporaneo, capace di mobilitare le masse e con aderenti in centinaia di Paesi». a cura di Aurelio Molé (da “Chiara Lubich” Ed. Città Nuova, Aprile 2008)

Felice Pasqua di Resurrezione

Riportiamo un pensiero di Chiara del 14 novembre 2002, in cui condivide con le persone del Movimento un’esperienza di quei giorni: “un’intuizione, forse una luce che ho ricevuto qualche tempo fa. E’ forse une delle più belle; senz’altro una di quelle che personalmente mi ha toccato di più. Si può intitolare: ‘Conferma della fede'”. La risurrezione di Gesù è ciò che maggiormente caratterizza il cristianesimo, ciò che distingue il suo Fondatore, Gesù. Il fatto che è risorto. Risorto da morte! Ma non nella maniera di altri risorti, come Lazzaro ad esempio, che poi, a suo tempo, è morto. Gesù è risorto per non morire mai più, per continuare a vivere, anche come uomo, in Paradiso, nel cuore della Trinità. E l’hanno visto in 500 persone! E non era certo un fantasma. Era lui, proprio lui: “Metti qua il tuo dito e guarda le mie mani; stendi la tua mano, e mettila nel mio costato” (Gv 20,27), ha detto a Tommaso.   Ed ha mangiato con i suoi ed ha parlato ai suoi ed è rimasto con loro ben 40 giorni… Aveva rinunciato alla sua infinita grandezza per amore nostro e s’era fatto piccolo, uomo fra gli uomini, come uno di noi, così piccoli che da un aereo non ci possono neppure vedere. Ma, poiché è risorto, ha rotto, ha superato ogni legge della natura, del cosmo intero, e s’è mostrato, con questo, più grande di tutto ciò che è, di tutto ciò che ha creato, di tutto ciò che si può pensare. Sicché anche noi, al solo intuire questa verità, non possiamo non vederlo Dio, non possiamo non fare come Tommaso e, inginocchiati di fronte a Lui, adoranti, confessare e dirgli col cuore in mano: “Mio Signore e mio Dio”. Anche se non la saprò mai descrivere bene, è questo l’effetto che ha fatto in me la luce del Risorto. Certamente, lo sapevo; sicuramente lo credevo, e come! Ma qui l’ho come visto. Qui la mia fede è diventata chiarezza, certezza, ragionevole, vorrei dire. E ho visto con altri occhi quello che ha fatto in quei nuovi favolosi giorni terreni. Dopo la discesa dal Cielo di un angelo che ha ribaltato la pietra del suo sepolcro e lo ha annunciato, ecco il Risorto apparire per primo alla Maddalena, già peccatrice, perché egli aveva preso carne per i peccatori. Eccolo sulla via di Emmaus, grande e immenso com’era, farsi il primo esegeta a spiegare ai due discepoli la Scrittura. Eccolo come fondatore della sua Chiesa, imporre le mani ai suoi discepoli, per dar loro lo Spirito Santo; eccolo dire straordinarie parole a Pietro, che ha posto a capo della sua Chiesa. Eccolo mandare i discepoli nel mondo ad annunziare il Vangelo, il nuovo Regno da lui fondato, in nome della Santissima Trinità da cui era disceso quaggiù e che nell’ascensione seguente avrebbe raggiunto in anima e corpo. Tutte cose conosciute da me, ma ora nuove perché vere in assoluto per la fede e per la ragione. E perché Risorto, ecco anche le sue parole detteci in precedenza, prima della sua morte, acquistare una luminosità unica, esprimere verità incontrastabili. E prime fra tutte quelle in cui annuncia anche la nostra risurrezione. Risorgerò, risorgeremo. Lo sapevo e lo credevo perché sono cristiana. Ma ora ne sono doppiamente certa.  Potrò dire allora ai miei molti, ai nostri molti amici partiti per l’Aldilà e, forse, pensati da noi inconsciamente perduti, non tanto: addio, ma ARRIVEDERCI, ARRIVEDERCI per non lasciarci mai più. Perché fin qui arriva l’amore di Dio per noi. Non so se ho espresso, almeno un po’, la grazia, la luce che ho ricevuto: una conferma della fede. Che il Signore faccia in modo che l’abbia potuta comunicare a tutti voi che mi avete ascoltato, come conferma della vostra fede. (da un pensiero del 14 novembre 2002)

“L’eroica lezione su che cosa è l’Amore “

  Venerdì santo: la morte di Gesù in croce è l’altissima, divina, eroica lezione di Gesù su cosa sia l’amore. Aveva dato tutto: una vita accanto a Maria nei disagi e nell’obbedienza. Tre anni di predicazione rivelando la Verità, testimoniando il Padre, promettendo lo Spirito Santo, facendo ogni sorte di miracoli d’amore. Tre ore di croce, dalla quale dà il perdono ai carnefici, apre il Paradiso al ladrone, dona a noi la Madre e, finalmente, il suo Corpo e il suo Sangue, dopo averci dati misticamente nell’Eucaristia, gli rimaneva la divinità. La sua unione col Padre, la dolcissima e ineffabile unione con Lui che l’aveva fatto tanto potente in terra, quale figlio di Dio, e tanto regale in croce, questo sentimento della presenza di Dio doveva scendere nel fondo della sua anima, non farsi più sentire, disunirlo in qualche modo da Colui che Egli aveva detto di essere uno con Lui: “Io e il Padre siamo uno” (Gv. 10,30). In Lui l’amore era annientato, la luce spenta la sapienza taceva. Si faceva dunque nulla per far noi partecipi al tutto; verme (Salmo, 22,7) della terra, per far noi figli di Dio. Eravamo staccati dal Padre. Era necessario che il Figlio, nel quale noi tutti ci ritrovavano, provasse il distacco dal Padre. Doveva sperimentare l’abbandono di Dio, perché noi non fossimo mai più abbandonati. Egli aveva insegnato che nessuno ha maggior carità di colui che pone la vita per gli amici suoi. Egli, la Vita, poneva tutto di sé. Era il punto culmine, la più bella espressione dell’amore. Il suo volto è nascosto in tutti gli aspetti dolorosi della vita: non sono che Lui. Sì, perché Gesù che grida l’abbandono è la figura del muto: non sa più parlare. E’ la figura del cieco: non vede, del sordo: non sente. E’ lo stanco che si lamenta. Rasenta la disperazione. E’ l’affamato d’unione con Dio. E figura dell’illuso, del tradito, appare fallito. E pauroso, timido, disorientato. Gesù abbandonato è la tenebra, la malinconia, il contrasto, la figura di tutto ciò che è strano, indefinibile, che sa di mostruoso, perché un Dio che chiede aiuto!… E’ il solo, il derelitto… Appare inutile, scartato, scioccato… Lo si può scorgere perciò in ogni fratello sofferente. Avvicinando coloro che a Lui somigliano, possiamo parlare di Gesù abbandonato. A quanti si vedono simili a lui e accettano di condividere con Lui la sorte, ecco che egli risulta: per il muto la parola, a chi non sa, la risposta, al cieco la luce, al sordo la voce, allo stanco il riposo, al disperato la speranza, al separato l’unità, per l’inquieto, la pace. Con Lui l’uomo si trasforma e il non senso del dolore acquista senso. Egli aveva gridato il perché al quale nessuno aveva risposto, perché noi avessimo la risposta ad ogni perché. Il problema della vita umana è il dolore. Qualsiasi forma abbia, per terribile che sia, sappiamo che Gesù l’ha preso su di sé e muta, per un’alchimia divina, il dolore in amore. Per esperienza posso dire che appena si gode di un qualsiasi dolore, per essere come Lui e poi si continua ad amare facendo la volontà di Dio, il dolore, se spirituale, sparisce; se fisico, diviene giogo leggero. Il nostro amore puro al contatto coi dolore, lo tramuta in amore; quasi prosegue in noi – se lo possiamo dire  – la divinizzazione che Gesù fece del dolore. E, dopo ogni incontro con Gesù abbandonato, amato, trovo Dio in modo nuovo, più faccia a faccia, più aperto, in un’unità più piena. Tornano la luce e la gioia e, con la gioia, la pace che è frutto dello spirito. Quella luce, quella gioia, quella pace fiorite dal dolore amato colpiscono e sciolgono anche le persone più difficili. Inchiodati in croce si è madri e padri di anime. Effetto è la massima fecondità. Si annulla ogni disunità e trauma, fioriscono miracoli di risurrezione, nasce una nuova primavera nella Chiesa e nell’umanità. Come scrive Olivier Clément, “l’abisso, aperto per un istante da quel grido, si riempie del grande soffio della resurrezione.”